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Star Wars Chronicles (intanto, altrove...)
 di Fiorenzo Delle Rupi

    “Guarda guarda, qui ce n’è un altro.” Nag Skarr frugò in mezzo ai detriti e alle macerie di plastacciaio e ne estrasse un blaster impolverato e malconcio. “Chissà se funziona…” stese il braccio avanti con eleganza dritto davanti al naso e mirò ad un palo di ferro a circa 10 metri da lui, che sporgeva triste e solitario in mezzo ai detriti. Il blaster fece fuoco regolarmente ma il colpo mancò il  palo di almeno tre metri. “Visibilmente difettoso,” borbottò Nag fra sé, affrettandosi a metter via il blaster sperando che nessuno degli altri avesse notato.
    Continuò a frugare e ramazzare in mezzo alle rovine alla ricerca di qualcos’altro di prezioso. Chi l’avesse visto da lontano l’avrebbe a prima vista scambiato per un profugo di Spirador. Tuta da volo lisa e lercia, i capelli rossicci lunghi e appiccicati al volto, la barba incolta di qualche giorno che completava il quadro da vagabondo. Non che Nag fosse molto  di più di un vagabondo, in realtà, ma non apparteneva alle molte vittime che avevano perso casa, famiglia o peggio nel disastro di Spirador. Aveva messo piede sul pianeta solo poche ore dopo che la devastazione aveva avuto luogo, e aveva trovato lo stesso scenario che ora gli si parava di fronte agli occhi: chilometri e chilometri di macerie, detriti e devastazione, intervallati solo da esplosioni ritardate di qualche macchinario rimasto intrappolato sotto le macerie o sbuffi di fumo, vapore o acido che venivano dalle tubature incrinate o spezzate.
    “Splendido, eh?” disse col suo miglior sorriso da canaglia quando sentì i passi dei suoi clienti arrivare. Se Nag non aveva proprio l’aria del tipo raccomandabile, i “clienti” parevano usciti or ora dalla corte di Jabba: due gamorreani, un umano ancora più grosso di loro, un Twi’lek viscido e sfuggente e un droide di sorveglianza ovviamente modificato e riprogrammato erano comparsi oltre la montagnola di detriti. Tutti portavano sulle spalle zaini ricolmi di materiale saccheggiato, e tutti - ma Nag fece finta di non accorgersene- avevano i blaster sfoderati. L’umano ciccione parlò per primo. “È una meraviglia…” grugnì con voce rasposa. “Avremo tirato su roba per almeno 20.000 crediti…Ancora non ci hai spiegato che posto è questo, però.”
    Nag si mise a sedere tranquillo sulla carcassa di un X-wing carbonizzato. “Mai sentito parlare di Spirador? Hei, ma dove sei stato negli ultimi sei mesi? A Kessel? Ah, ah, ah.”
    “Sì” lo interruppe trucido l’altro. Nag tornò serio immediatamente e tergiversò.“ Beh, la storia è questa. Fino a poco tempo fa, Spirador era capitale di settore. Sede governativa Imperiale, e tutto il resto. Ma qui nel settore operava anche un gruppo di rivoluzionari indipendenti, capeggiati da un ex-ufficiale Imperiale rinnegato, Xivan. Contro ogni avvertimento e ogni suggerimento dai capoccioni dell’Alleanza vera e propria, Xivan sferrò un attacco dritto al cuore di Spirador.” Nag tentava di  rendere il racconto interessante, gesticolando e infervorandosi nella storia, ma il gruppo non pareva granché affascinato. “Beh, – bang! – l’attacco ebbe successo. Spirador cadde in mano a Xivan. Ma, invece di impadronirsi di tutto e di filarsela, il matto decise di restare e proclamare il ‘libero governo di Spirador’, indipendente da ogni autorità Imperiale. Non chiedetemi perché, questi significa cercare grane. Lui disse qualcosa sull’Alleanza che combatteva solo di nascosto, mentre bisognava dare qualcosa di esempio che la gente della galassia potesse vedere. Beh, potete immaginarvi come è andata a finire: ritorsione Imperiale, tutto il pianeta raso al suolo. hammo.” Si aggiustò meglio sulla punta del naso del X-wing, perché tutti gli si facevano più vicini? Era per sentire il seguito della storia?“ Adesso qui non ci viene più nessuno…Alcuni dicono che è un luogo maledetto, infestato dagli spettri di coloro che sono morti durante il massacro…Altri temono che l’Impero abbia bombardato il pianeta batteriologicamente o chimicamente… Ma in realtà è tutto a posto. Anzi, come avete visto, a frugare tra le macerie, si trova materiale di ogni tipo. I ‘Ribelli’ non hanno mai fatto in tempo ad evaquare. I posti che vi ho fatto vedere sono i migliori.
    Kapow! Il calcio di un fucile sibilò in aria e atterrò sulla sua mascella con la violenza di una carica di Bantha. Vide per qualche secondo solo un’esplosione luminosa, sentì il sangue che gli colava lungo il mento, poi riuscì di nuovo a mettere a fuoco. Era a terra, e su di lui l’uomo ciccione e i due gamorreani incombevano con le armi spianate. La mano verde di un gamorreano lo prese per il bavero e lo tirò su a viva forza.
    “Già, è un bel posticino per far soldi,” grugnì l’umano. “Sarebbe da idioti lasciare che tu ci conducessi qualcun altro.”
    Nag si esibì nel suo più innocuo sorriso amichevole: “Heheruejjo? Hama, jollo pesshavo…”
    Tutta la gang si guardò attonita. Nag si rincroccò la mascella dolorante a posto, sputò sangue, saliva e un dente e ci riprovò. “è per quello? Ah, ma io non pensavo di continuare a fare da guida…Io lo facevo soltanto finché non trovavo le persone giuste che si meritassero di rilevare l’impresa. Ora, ecco, voi mi sembrate il tipo di gente migliore e più fidata per questo genere di lavoro, così io vi lascio tutto volentieri…” voltò e fece per andarsene solo per sbattere contro il secondo gamorreano che gli si era parato subito sulla strada.
    Un altro sorriso, che però cominciava a tradire l’impotenza e la disperazione della situazione. “Mantengo il silenzio, ve lo giuro, ma vi prego, non è proprio il caso di uccidermi...Non tanto per me, ma per mia moglie invalida e i dodici figli orfani che lascerei su Arnoon…”
    Il Twi’lek fece una smorfia divertita. “Ma non eri quello che al viaggio di andata si era vantato di aver lasciato un cuore infranto ad ogni spazioporto perché amava la vita libera?”
    Il sorriso di Nag cominciava a sgretolarsi come l’intonaco di una facciata in rovina. “Ma non pretenderete mica che mia moglie lo sappia…Poverina soffre di cuore, è cieca…” Il ciccione rise rumorosamente poi sputò in terra. “Avanti, fate fuori il pagliaccio e incamminiamoci.”
    Nag deglutì e si profuse in una sequenza di dichiarazioni disperate che per la verità, nella fretta di inoltrare, non riusciva nemmeno a seguire.  “Aspetta! Conosco un sacco di altri posti come questo! Conosco l’ubicazione del tesoro nascosto di Alabak, le cripte di Xim il Despota, i rifugi segreti dell’Imperatore, le tenute private di-“
    Blam! Un colpo di blaster secco pose fine al suo piagnucolio. Sentì il sangue che gli schizzava sulla faccia. “Che strano” pensò “credevo facesse più male,” poi un tonfo sordo lo colpì in faccia. Riaprì gli occhi per vedere il gamorreano che avrebbe dovuto giustiziarlo crollargli addosso con la testa trafitta da un colpo di blaster letalmente preciso. Tutti gli altri della gang si voltarono come un sol uomo.  Nella direzione dell’attacco.
    Persino Nag seppe intuire la necessità di agire in quel momento. Si tuffò dritto sul Twi’lek, che doveva essere il capo del gruppo, mentre intorno al gruppo colpi laser e sparatorie cominciavano a sibilare in tutte le direzioni. Rotolò a terra insieme al Twi’lek…Ora che era finalmente in corpo a corpo gli avrebbe fatto vedere la sua maestria nel Kylan, la antica e perduta arte marziale della lotta a mani nude.
    Nemmeno nel giro di venti secondi era steso a terra, immobilizzato, e il Twi’lek incombeva su di lui pronto a strangolarlo con le mani artigliate. Il problema delle antiche e perdute arti marziali è che se non ti tieni in allenamento ti scordi tutto, pensò Nag con rammarico. Fece fatica a respirare, probabilmente stava diventando bluastro.
    Un colpo alla nuca mandò nel mondo dei sogni il Twi’lek e l’aria tornò a scorrere nei polmoni di colpo. Una figura alta e imponente scansò con un solo braccio il corpo del Twi’lek e gli porse una mano muscolosa e massiccia per aiutarlo a rialzarsi.  Nag non se lo fece ripetere due volte, e si rimise in piedi, ancora un po’ stordito.
    “Grazie…” mormorò. “Ce la stavo facendo, comunque, era solo questione di…” si interruppe, guardando il panorama intorno a sé: gamorreani, ciccione e droide di sicurezza giacevano tutti a terra, privi di senso o peggio. Mise a fuoco il volto del suo inaspettato salvatore: mascella squadrata, occhi azzurri profondissimi, fisico da culturista, capelli biondi ondulati…Odiava la gente perfetta, e questo aveva tutta l’aria di esserlo. A naso, sapeva già che non sarebbero andati d’accordo.
    “Pessima gente, in giro per la devastazione. Si rischiano brutti incontri.” Disse lo straniero sorridendo, con voce profonda e tranquilla.
    Ti prego, questo parla come il protagonista di un olofilm di serie C, pensò Nag.
    “Scusami, mi presento. Mi chiamo Douglas, Douglas Bluestorm.”
    Nag, accettò la stretta di mano, che naturalmente si rivelò serrata e dolorosissima, ma si impose di non gemere.
    “Bé, grazie dell’aiuto, Douglas. Come dicevo, sono abituato a cavarmela da me, in queste situazioni, ma sicuramente deve averti fatto piacere poter intervenire e sentirti utile, quindi…”
    L’altro lo interruppe, serissimo. “Ti seguivo da parecchio. Stavo cercando proprio te.”
    “Ah. E perché?”
    “Sei tu che hai detto che conosci bene questa distesa di detriti, no? Bene, ho bisogno che tu mi guidi.”
    A-ah, e così il grande e potente eroe ha bisogno dei nostri servigi, eh? Ecco, così già andava meglio. “Hey, ti sei rivolto al migliore esploratore della Galassia. Tu sai che io sono quello che ha tracciato la mappa dei labirinti di cristallo di Norulac?”
Incredibilmente, Douglas non reagì male alla sparata. Anzi, annuì compiaciuto. “Bene. Allora partiamo immediatamente.”
 

    “D’accordo,” concesse Nag tre ore dopo. “Forse non è proprio il livello delle camere blindate, ma sono sicuro che siamo sotto il palazzo Imperiale.”
    La torcia di Douglas illuminò una distesa di acqua spessa e  scura che gli arrivava al ginocchio. Il guerriero gemette, in preda allo sconforto: “Siamo finiti nelle fogne…”
    “Beh, se tu fossi stato un po’ più specifico su cosa stavamo cercando, avrei potuto essere di maggior aiuto, ma ‘le cripte di conservazione blindata del palazzo di Spirador, livello 102, Camera blindata 84-C’ può voler dire un sacco di cose.”
    Protetto dall’oscurità, Douglas strinse i pugni e piegò in due il tubo di raccordo del respiratore appeso alla cintura, immaginando che fosse il collo di Nag.
    “Va bene,” concesse “Stiamo cercando qualcosa che il Governatore Imperiale di Spirador teneva ben chiuso sotto chiave, e che i Ribelli di Xivan avevano cominciato ad esaminare.”
    Nag annuì, distratto, mentre cercava di orientarsi ad un bivio nei canali di scolo. “Uh, uh…Qualche arma?”
    “No,” ribatté Douglas afferrandolo per una spalla e illuminando con la torcia il baratro nel pavimento dove l’acqua scompariva con un gorgogliare incessante e dove Nag aveva deciso di dirigersi. “Erano tracce…Tracce su qualcosa, o su qualcuno…Che il Governatore di Spirador pareva temere tremendamente.”
    Nag, trionfale, indicò una breccia nella parete fognaria che doveva essersi formata al momento del bombardamento di Spirador. Oltre il varco, invece di un altro canale di scolo, si delineava un corridoio asettico e deserto con emblemi e decorazioni Imperiali. “Visto? Nessun problema.” Entrambi procedettero, con cautela, verso il varco. “Se l’Imperiale temeva questa cosa, perché tu vai ad impicciartene?”
    Scavalcarono detriti e macerie e si ritrovarono all’interno del lungo corridoio: decine e decine di porte, tutte pesantemente blindate, si delineavano davanti a loro fino a dove giungeva la vista.
    “Perché i Ribelli di Xivan avevano incominciato ad interessarsi alla cosa, e dicevano che questa ‘cosa’ era prossimo al risveglio, o ad entrare in azione.”
    Nag fece un fischio al vedere le cripte di contenimento delle camere blindate Imperiali. “Scommetto che qua dietro c’è roba per milioni di crediti…E questa ‘cosa’ che si sta risvegliando cosa vuole fare, distruggere la galassia?” Nag lo disse beffardo, per prendere in giro la serietà dell’altro, ma ancora una volta l’altro non rise.
    “Sì.” Fu la sua cupa risposta, dopo qualche minuto di silenzio.

    La stanza trasudava dalle pareti, dal pavimento e dal soffitto una spessa e viscosa melma verde. Un brontolio sommesso, in lontananza simulava quelle che sembravano le pulsazioni di un gigantesco, mostruoso organo vitale. Da qualche parte, lungo le pareti, gocce di acido scendevano, e non erano infrequenti sbuffi di corrosione là dove il liquido arrivava fino a terra.
    Le due immagini di Nag e Douglas risplendevano minuscole ma nitide sul grande schermo, e perfino le loro voci echeggiavano nella sala, anche se remote e soffocate.
    L’ombra più nera dell’oscurità stessa che stava davanti allo schermo rimase ad osservare la scena per un altro secondo, poi emise uno sbuffo che poteva quasi essere un sorriso. Volse le spalle allo schermo, che immediatamente si dissolse nel buio, e rivolse la sua attenzione altrove. C’erano molti altri schermi, nella stanza, e ognuno inviava immagini diverse.
    Gothar Palpatine in fuga da Boonta assieme alla ragazza.
    Minn, dolce e tenera Minn, che andava incontro al suo destino su Coruscant.
    Aque che veniva finalmente a conoscenza dei suoi poteri.
    Perfino gli sviluppi di quel ciarlatano di De Vries su Daallya cominciavano a dare frutti interessanti.
    La Halet continuava a vagare inconsapevole…ovviamente.
    E, di tutti i casi possibili, Garad ed Etain si erano incontrati.
    Ma il Demone di Teta non credeva nel caso. Non più, da molti secoli, ormai. Fece scorrere gli occhi sulle altre decine di schermi di visione Sith che, come tanti occhi senza palpebre, spuntavano dalle pareti. Tante finestre sulla Galassia. Ognuno un’estensione della sua volontà. Ognuno un suo progetto che si incamminava inesorabilmente verso la conclusione che da molti anni prima era stata decisa per lui.
    Sospirò. Aveva raccolto tutte le informazioni che necessitava, la galassia ormai non aveva più alcun segreto per lui…anche se lui era ancora un segreto per la Galassia. Ma il fatto che così tanti dei suoi progetti si avviassero verso la loro realizzazione poteva solo voler dire che i tempi erano maturi, e che dopo secoli di attesa, la sua mano poteva intervenire nel grande gioco galattico.
    Gli occhi rossi senza pupille balenarono nel buio ed esaminarono di nuovo i volti di Minn, Garad, Gothar, De Vries, Vex e di tutti gli altri. “Come vi conosco bene…tutti voi, ad uno ad uno.” Parlava agli schermi con voce rauca e sommessa, come se fosse abituato al silenzio. “Ogni vostro più recondito segreto…Perfino ciò che nemmeno sapete di ignorare su voi stessi è un libro aperto, per me.”
    “Presto, ovunque voi siate, sentirete la mia voce. Vi muoverete, che lo vogliate o meno, nella direzione che io vi indico, e farete il mio gioco.”
    Si soffermò davanti ad uno schermo nero, dal quale non proveniva nessuna immagine. Sospirò. Per tutta la sua potenza, ancora non riusciva a penetrare le difese di Coruscant e dell’Imperatore. Ma era solo questione di tempo. Come tutto, del resto.
    Attesa, pianificazione, dettaglio. Gli avrebbero garantito la vittoria finale. Gliel’avevano già garantita…andava solo…fatta crescere. Sorrise al gioco di parole che solo lui poteva capire. Fece scorrere un’ultima occhiata sui volti davanti a lui. “Attesa, segretezza e invisibilità non sono un peso…E le cadute momentanee non contano, perché a lungo termine…Vangrovius vincerà.
    E voi, anche se ancora non lo sapete… mi aiuterete.”
 
 


 



 
 
Gli avvenimenti precedenti al racconto che segue li trovate in: Diritto e rovescio

Star Wars Chronicles
di Fiorenzo Delle Rupi

    Dormiva di un sonno così placido che Gothar scoprì di essere stato a guardarla fisso per quasi un'ora. Gli pareva quasi impossibile che si potesse dormire di un sonno così perfetto, così cristallino, così puro. Quando i suoi sonni non erano turbati da visioni, incubi o dalle sue stesse ambizioni, era il suo stesso corpo, infranto e malandato, a tormentarlo e a rendergli impossibile un riposo completo. Davanti alla sua fortuita compagna di viaggio che riposava così tranquillamente, a bordo della nave diretta alla chiatta mineraria che avevano dirottato tempo addietro, Gothar aveva meditato a lungo.
    Sempre più di frequente aveva strani, inquietanti momenti in cui si trovava a riflettere e a mettere in discussione questioni che ormai avrebbe dovuto dare per certe da tempo. Ma era inutile prendersi in giro: da quando era stato cacciato dall'Impero, era stato costretto ad ammettere che la galassia, e la vita stessa, erano quanto mai più complesse e sfaccettate di quanto un fedele discepolo del Lato Oscuro potesse ammettere.
    Aveva incontrato ladri, piloti, contrabbandieri, Ribelli e mercanti. Ognuno di loro talmente diverso dagli altri, eppure talmente... vivo. Sì, era quella la parola esatta. A Coruscant, chiunque non rientrasse negli schemi di ascesa al potere veniva etichettato come una pedina, un numero indegno di attenzione, e basta. Ma da quando aveva preso a girovagare in esilio per la Galassia, Gothar aveva conosciuto gente di ogni tipo, ognuna col proprio stile di vita, i suoi obiettivi, le sue convinzioni, e tutti parevano credere nelle proprie quanto lui credeva... o almeno aveva creduto, nelle sue.
    Sorrise: chi dice che tutto sommato non avessero ragione loro? La sua pianificazione del futuro non lo aveva portato a molto, dopotutto.
    Aveva puntato tutto sulla scalata al potere nell'Impero, e ora si ritrovava esiliato. si era votato all'apprendimento del Lato Oscuro, e ora se ne ritrovava prigioniero e devastato. Si sorprese a pensare se avrebbe mai potuto intraprendere una strada e scelte diverse da quelle fatte finora... E si accorse che tutto sommato lui non aveva mai scelto. L'Imperatore lo aveva avviato sul binario e lui aveva semplicemente seguito la strada... Almeno fino al momento dell'esilio.
    Sì, il rifiuto dell'Imperatore e il suo allontanamento da Coruscant erano stati il fulcro di tutto. Da allora si era trovato a dover scegliere, osservare, gestire, agire... Come se tutto fosse una gigantesca prova, un enorme, smisurato, grottesco test. Perché questa era stata la sua segreta speranza. Che se avesse tenuto duro, se avesse dimostrato di potersi affidare completamente al Lato Oscuro anche con le proprie sole forze, un giorno l'Imperatore lo avrebbe chiamato e gli avrebbe detto: "mi compiaccio, hai superato la prova alla quale sei sottoposto... Sei veramente degno di assumere il ruolo di Primo dignitario di corte."
    Si era aggrappato a quell'illusione nei momenti peggiori, e la visione a sua volta lo aveva sostenuto. Eppure più passava il tempo, più anche quella teoria affiorava sempre più per una follia.
    Nei momenti più nascosti, come questo, si trovava veramente a pensare di abbandonare il Sentiero
    Oscuro e di liberarsi di tutti i piani, le prove, i complotti. L'Imperatore lo aveva cacciato. Era libero, non gli doveva più nulla. Poteva smettere di osservare gli altri che si costruivano una vita e iniziare a fare altrettanto... Ma se nel farlo avesse ceduto a un passo dal traguardo? Se da lì a pochi giorni la grottesca macchinazione di Palpatine avesse avuto fine, e lui lo richiamasse a corte?

    Lo scossone della nave che riemergeva dall'iperspazio lo distolse dalle sue riflessioni. Era arrivato.
    Per una volta, però, non ricacciò il pensiero in fondo alla testa, ma si ripromise di esaminarlo.
    Chissà, forse poteva essere davvero fatto. I vari contatti, movimenti clandestini, reti di agenti, mercenari e informatori che stava tentando di mettere in piedi avrebbero potuto essere utilizzati per qualcosa di positivo... Se non per aiutare la Ribellione, almeno per combattere i rami più marci dell'Impero, per salvare l'Impero da sé stesso e dai fanatici come Lord Tion, che ne sconquassavano la struttura per pura stupidità e superbia.
    Il carico di Nergon 14 gli avrebbe permesso di fare molto. Non sapeva come e in che direzione, ma molto, senza dubbio. Il punto rosso sullo schermo radar brillava ricco di speranza.
    Brillava un po' troppo, in realtà. Avvicinandosi alla fonte del segnale, si incupì: oltre alla chiatta mineraria c'era un altro mezzo, un'altra chiatta da trasporto, agganciata alla sua. Qualcuno stava rubando il suo Nergon 14? Guai a lui.
    Ogni tentativo di contattare i predoni via radio diede come risultato solo statica, quindi Gothar decise di passare alle maniere forti. Attraccò a sua volta alla chiatta e, con un blaster in mano - siccome gli mancava la sua frusta laser!- avanzò furibondo oltre il tubo di connessione.
    Un Jedi Oscuro infuriato è qualcosa che tutti coloro che son sani di mente dovrebbero temere, pensò Gothar, e stavolta non si sarebbe trattenuto. Mise piede sulla chiatta avversaria... e un sibilo appena udibile ma acutissimo sembrò trapanargli la testa.  Conosceva quel suono... Tentò di scappare e di risalire sulla chiatta a gambe levate, ma un colpo di blaster echeggiò nell'aria e lo colpì alla schiena, abbattendolo come un animale in fuga.

    Si riprese immaginando di trovarsi nella cella di Trevor Cassadyne, il cacciatore dell'Inquisizione Imperiale che si serviva del cyborg Zero, il cui campo antiforza era sicuro di aver avvertito a bordo della chiatta.
    Ma la scena che si mise a fuoco davanti a lui superava ogni incubo. Decine e decine di giganteschi, smisurati droidi umanoidi andavano avanti e indietro caricando suo Nergon 14 nella stiva. Da ognuno di loro veniva un sibilo stridulo che faceva impazzire le sue sinapsi cerebrali... Tutti quei droidi erano unità Zero? Impossibile! Non vedeva nessuna parte organica addosso a loro, non erano cyborg! E non portavano nessun segno di riconoscimento Imperiale...
    Qualcosa si mosse davanti a lui. Qualcosa di talmente alto che non aveva pensato possibile essere qualcosa di diverso dalla parete della baia d'attracco. Il gigantesco esoscheletro, quasi cinque metri, corazzato di uno splendente metallo dorato, si chinò su di lui. Ad un suo passo, l'intera stiva tremò.
    Quando il mostruoso droide allungò un braccio verso di lui, Gothar notò con orrore i molti blaster che erano innestati direttamente sull'avambraccio metallico, e con orrore ancora maggiore, all'interno di un oblò trasparente piazzato all'altezza del petto, intravide quello che poteva solo essere un cervello umano connesso a una miriade di cavi. L'abomino parlò, con una voce inumana, fatta di mille tuoni che rimbombavano fragorosi.
    "Contempla il tuo destino, Organico." Tuonò. "Io sono Kar Faass, Signore della Tecnologia e Maestro del domani."
    Gothar tentò di rispondere per scoprire che aveva a malapena il fiato per respirare. Si accorse di essere rinchiuso in un cilindro simile a quelli per il bacta, ma vuoto.
    "Non ti ho fatto niente, e non voglio niente da te. Cosa intendi farmi? Perché hai preso il mio
minerale?"
    L'esoscheletro si voltò a guardarlo, o almeno così suppose Gothar, visto che l'orrendo tronco era
privo di testa. L'oblò col cervello, tuttavia, parve farsi più vicino.
    "La tua energia propellerà le mie unità a lungo," rimbombò la voce del mostro. "E le tue funzioni
cerebrali ci saranno ancora più utili."
    Al termine "funzioni cerebrali" un campanello d'allarme scattò nella testa di Gothar.
    "Cosa?"
    "Preparati ad essere estrapolato, unità organica... Dalle tue funzioni cerebrali nascerà presto una
nuova unità zero."
    E con quella dichiarazione, mille luci si accesero nella cabina e strumenti sinistramente acuminati presero a calare verso la nuca di Gothar.
 
 

SWU Chronicles1


 



 
 
Per sapere quale sarà il destino di Gothar leggi il racconto: Destini incrociati

Star Wars Chronicles
di Fiorenzo Delle Rupi

    "Che cos'è?" mormorò Nag Skarr nell'oscurità della cripta blindata. Persino la sua voce aveva perso il consueto tono superficiale. Il fascio di luce di Douglas andò a posarsi sull'enorme oggetto che si posava...- o si riposava?- sul pavimento metallico davanti a lui. A un primo esame avrebbe potuto trattarsi di una navetta di raccordo di qualche tipo, di quelle che si usano per fare da  spoletta da una nave madre all'altra: un bozzolo ovoidale privo di armamenti  e accessori con due ali laterali appena accennate.
    ...Se non fosse stato per il fatto che nulla in quella navetta era fatto di metallo. La struttura e le pareti dell'abitacolo erano fatte di una sostanza viscosa ed elastica che pulsava lentamente e sembrava quasi viva. Sembrava addirittura trasudare qualcosa, una poltiglia verdognola che colava  le "vene" per poi cadere a terra e dissolversi. Nell'aria circolava un remoto odore di acido.
    "Questa," spiegò Douglas, "è la scoperta che i Ribelli di Xivan avevano fatto. Probabilmente è per questo che hanno perso la vita."
    Nag si spiccicò dalla faccia una ciocca di lunghi capelli rossicci e si asciugò il sudore. Era una sua impressione o quel coso emanava anche calore? Sbuffò: "I Ribelli di Xivan ci hanno rimesso la pelle perché è venuta giù la Flotta Imperiale al gran completo e gli ha incenerito il loro insediamento quaggiù! Dubito che un...bulbo come quello c'entri qualcosa."
    Douglas scosse la testa. Voleva esaminare più da vicino la navetta, ma prima si infilò dei guanti autodisinfettanti.
    "L'Impero aveva tollerato l'insurrezione su Spirador per mesi...Perché sarebbe dovuto intervenire solo ora? Noi crediamo che la situazione si sia fatta insostenibile quando qualcuno ha capito che Xivan aveva scoperto qualcosa di grosso...Qualcosa che doveva rimanere nascosto."
    "Ah..." annuì Nag poco convinto. Da bravo perdigiorno, prese a gironzolare in giro e ad osservare la navetta organica da altre direzioni. "E il terribile segreto sarebbe questa schifezza?" Poi si fermò un attimo, ci pensò su e chiese: "Scusa, chi è il 'noi'?"
    Anche Douglas cominciava a sentire caldo, e la sua faccia incorniciata dai capelli biondo scuro era una massa di sudore. Aveva cominciato ad esaminare lo scafo della navetta, e decise di rispondere alla prima domanda ma di ignorare la seconda.     "Tu hai mai visto niente di simile?"
    "Beh, no," ammise Nag senza difficoltà. Quasi subito aggiunse "e ne ho viste di cose strane, eh? Pensa che una volta ho fatto da pilota per un gruppo di caccia grossa su Yavin 4 e..."
    Un suono secco e improvviso, simile ad un ringhio, risuonò all'improvviso nella cripta, facendo gelare il sangue ai due.
    "Avevo detto 'non toccare niente', non mi hai sentito?" ringhiò Douglas estraendo il blaster.
    "Non ho toccato niente, davvero," si scusò Nag alzando le mani e uscendo da dietro alla pila di casse da dove era volato a nascondersi. Osservò a mascella spalancata per qualche secondo la navetta. "Wow."
    Sulla fiancata, là dove prima non esisteva nulla, era comparso un varco di circa due metri, e una membrana bulbosa trasparente stava finendo di schiudersi, come una tenda che si lacerava invitando i presenti ad entrare...o come una bocca spalancata e pronta ad inghiottirli.

    "Vado dentro," borbottò Douglas. "Sorveglia la soglia. Se vedi qualcosa di strano, avvertimi subito." Nag represse una risata. "Hm! Posso cominciare con la lista completa quando vuoi!"
    Douglas scomparve nel buio dell'interno della navetta e Nag rimase di guardia. Quando il taciturno e misterioso esploratore scomparve l'espressione di trasandata sicurezza sulla faccia di Nag scomparve per trasformarsi in una più sincera incredulità. "Tu devi essere pazzo, amico!" borbottò tra i denti. Guardò meglio la soglia che si era materializzata dal nulla e che ora incombeva sulla sua testa. A Nag dava l'impressione che aspettasse solo il momento giusto per iniziare a masticarlo.
    "Nag, vieni qua dentro." Comandò Douglas dall'interno della navetta. Nag represse un gemito. Lanciò un'occhiata di sbieco al varco bulboso che si era spalancato. "Buona, eh? Dicono tutti che ho un pessimo sapore!" Poi con riluttanza si avviò all'interno a sua volta.

    “Hai ragione, sono comandi di qualche tipo,” confermò Nag esaminando i bulbi, le protuberanze e i tentacoli che sporgevano da una consolle carnosa. “Questo potrebbe essere un…beh, un computer di qualche tipo…E questa sembra quasi una cloche. Ma è come se fossero… ‘cresciute’ sulla  consolle…è disgustoso! Chi è lo psicopatico a cui verrebbe in mente una cosa simile? Uno allergico al metallo?”
    “Dobbiamo recuperare questa navetta per studiarla,” sentenziò Douglas. “Bisogna trovare un modo per portarla via di qui…”
    Nag si sentì subito autorizzato ad autopromuoversi. “Beh, se è una navetta, si può pilotare fuori di qui. Sei fortunato, sono uno dei migliori piloti della Galassia, forse tu non ne hai sentito parlare ma io sono quello che ha battuto Dash Rendar nella corsa di- “
    “Ho detto di non toccare niente,” fu la risposta secca di Douglas…ma tutto accadde troppo rapidamente. Nag allungò la mano verso il tentacolo-cloche e, ancor prima di toccarlo, la navetta si animò da sola: con  un gemito sommesso il varco che si era aperto sulla fiancata si richiuse rapidamente, due o tre luci fioche e irregolari si accesero dai bulbi trasparenti sulla cloche e un istante dopo i due erano rotolati a terra sul pavimento mentre la navetta stava facendo acrobazie nei tunnel sotterranei di Spirador.
    “Sei un idiota, Nag, l’hai attivata!” urlò Douglas tentando di rimanere in piedi.
    “Non ho toccato niente!” fu la flebile protesta di Nag, che più che dalla rabbia dell’altro era preoccupato dalla velocità con cui i tunnel dei sotterranei di Spirador scivolavano attorno a loro. “Sta…sta viaggiando da sola!”

    Douglas borbottò un insulto all’altro, ma quando riuscì a mettersi in piedi e a raggiungere di nuovo i comandi vide che Nag aveva ragione: la navetta non  solo stava viaggiando da sola, ma aveva anche già riguadagnato i cieli di Spirador e stava puntando verso lo spazio.
    “Fermala!” gridò Nag menando pugni sui bulbi e sulle protuberanze della consolle. In preda alla rabbia strappò un piccolo tentacolo, solo per vedere stupefatto che ricresceva identico a prima dalla radice rimasta nella consolle.
    “Non c’è modo,” protestò Douglas. “È tutto automatizzato qui!” Menò a sua volta un pugno sui ‘comandi’. “Dannazione!”
    Per tutta risposta, la navetta vibrò leggermente e saltò in iperspazio.

    “Non avevamo capito niente,” borbottò Douglas qualche ora dopo, mentre la navetta procedeva imperterrita verso la sua misteriosa destinazione. “Questa cosa non è automatizzata come credevamo. È viva. È sempre stata viva! E stava soltanto aspettando che qualcuno forzasse la porta della cripta a tenuta stagna per poter tornare da dove proveniva…”
    Per Nag era troppo si rialzò di scatto dall’angolo in terra in cui si era seduto (E si accorse che il fondo dei pantaloni era fradicio di poltiglia verdognola) e si buttò su Douglas. “Le navette non sono vive!” ringhiò prendendolo per il bavero. “Questa è una cosa assurda, e tu sei un pazzo ad avermi immischiato in questa schifezza! Dove si è mai sentito che una navetta piglia e parte per conto suo?!! Potrei accusarti di rapimento, sai? Non sono in pessimi rapporti con tutte le autorità Imperiali, sai?? Una volta ho salvato la vita a un certo Capitano Thrawn, e lui-“
    Douglas prese a sua volta Nag per il bavero: “hai ragione le navette non sono vive,” sbottò, “si attivano solo quando un imbecille fanfarone mette le mani dove non dovrebbe per il puro gusto di dare aria alla bocca, e-“
    “Dopo che mi hai coinvolto in questa storia e mi stai portando chissà dove hai anche la faccia tosta di venirmi a-“
    “Io ti sto portando da qualche parte? Nel caso tu fossi troppo occupato a vincere il premio Tarkin per gli imbecilli per notarlo, io sono incastrato qui dentro proprio quanto te e-“
    Erano ancora aggrappati l’uno all’altro guardandosi in cagnesco quando con uno scossone la navetta riemerse dall’iperspazio.
    Interruppero il battibecco solo quando osservarono, terrorizzati, la loro destinazione: la gigantesca testa di un drago, dalle pupille rosse fiammanti, incombeva titanica su di loro. Solo Nag ebbe il tempo con un filo di voce di sussurrare “siamo spacciati…” prima che l’abominevole apparizione spalancasse le fauci, avanzasse verso la navetta e le serrasse di nuovo ingoiandoli al suo interno.
 
 


 
 
 


 



 
 
 
 
 
 

       

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