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It's a wonderful life
di Marco Giampetruzzi

    Vagava in un universo caldo e materno. Era come una stella nel ventre gravido di una nebulosa. Nessun dolore, nessuna sensazione se non benessere e calma. All'improvviso un rumore insistente aprì una breccia nel suo bocciolo di quiete: plic, plic, plic. Lentamente, dolorosamente, l'illusione si sfaldò. Tentò disperatamente di rievocarla. Inutile, Gary Tranc aprì gli occhi. Davanti a lui l'abitacolo del Suspicion ruotava sfocato. "L'impianto ottico è andato!" pensò. Uno spasmo di vomito così violento da dargli le vertigini. Sentì la colazione farsi strada nel suo stomaco cercando un'uscita. Riuscì a controllarsi. Con cautela provò a muoversi. Niente da fare: le sue gambe erano bloccate. Un enorme container gli impediva ogni movimento, lasciandogli libero solo il braccio destro. Ruotò la testa cercando di individuare la plancia. Era alla sua sinistra, a solo tre metri, fiocamente illuminata dal bagliore rossastro della luce di emergenza: per lui all'altro capo del sistema. Plic, plic, plic, il rumore sembrava volerlo schernire.
    "Pensa" si impose "Cosa è andato storto?"
    Solo un carico di componenti per droidi protocollari. Erano quasi giunti a destinazione quando...l'imprevisto. Un'improvvisa esplosione. Chissà da quanto tempo Torn non faceva revisionare quel vecchio rottame.
    "Torn!" gridò. Attese per secondi eterni. Nessuna risposta.
    "Torn, stai bene?" il tono spaventato della sua voce lo sorprese. Alle sue spalle qualcosa di pesante rotolò sul pavimento.
    "Torn!!" dalle ombre emerse zoppicando un'alta figura che si massaggiava le tempie.
    "Per carità, parla più piano. Ho la testa che mi scoppia! A proposito, qualcuno sa dirmi cos'è successo?"
    "Grazie al Cielo stai bene. Sei quasi riuscito a spaventarmi, sai?"
    "Non mi dire, temevi di avermi perso?" disse Torn, chino alla consolle della plancia.
    "Dopo che avrai finito, se non ti crea troppo disturbo, ti spiacerebbe tirarmi fuori di qui?" chiese Gary cercando inutilmente di mascherare un sorriso. Erano entrambi illesi ed il suo inguaribile ottimismo gli suggeriva già un lieto fine per quello spiacevole incidente.
    "A dire il vero, pensavo di dare la prima controllatina al carico, ma se insisti..."così dicendo, senza visibile sforzo, Torn sollevò e spinse via il container che andò  a schiantarsi rumorosamente contro una parete.
    "Stai bene?" chiese poi all'amico, osservandone l'esile e pallida figura.
    "Solo un po' ammaccato." rispose Gary sgranchendosi le gambe. Poi ansioso, si guardò attorno come in cerca di qualcosa. Il suo sguardo si diresse verso un angolo e di colpo si illuminò. Raccolse la custodia della sua Derfen e l'aprì lentamente. Sospirò di sollievo: il suo gioiello era intatto. Intanto Torn era di nuovo alla plancia ed eseguiva il check-up del cargo.
    "Allora?" chiese Gary, dopo che ebbe disattivati l'ormai inutile impianto bionico che gli sostituiva l'occhio destro.
    Il Tatooiano si rivolse verso di lui: "Sai che odio quando gli amici mi tengono nascosto qualcosa, ma se adesso mi riveli che sei un genio della meccanica, ti giuro che non ti porterò rancore."
    "Grande! Sapevo che non dovevo fidarmi di te! Me lo sentivo!"
    "Hei! Guarda che non ti ho mica trascinato io qui! E' stato sua maestà Gary Tranc Futuro Principe del Sintorock a insistere nel voler venire!" era vero. Ma se voleva diventare famoso doveva assolutamente lasciare Bespin, e le corse di landspeeder di Boonta attiravano un mucchio di gente da tutta la galassia. Così quando Torn gli aveva confidato che era proprio quella la meta del suo prossimo viaggio...I due si fissarono accigliati per alcuni secondi.
    "Okay! Scusa." disse infine Gary. Non era davvero il caso di litigare.
    "Lascia perdere." rispose Torn sorridendo.
    "Bene! Adesso che siamo di nuovo amici, pensiamo a come uscire da questo guaio."
    "Il segnale di emergenza!" Gridò Gary, come folgorato.
    "Oh, scusa. Dimenticavo di viaggiare in compagnia di una delle menti più brillanti della Galassia. Credi che non ci abbia già pensato?"
    "Fantastico!! Allora non ci resta che aspettare che qualcuno lo capti e ci venga a prendere." concluse Gary.
    "Dimentichi un piccolo particolare: trasportiamo un carico non autorizzato. Cosa credi che ci succederebbe se fosse un Incrociatore Imperiale a captare il segnale?" Gary rabbrividì. Il silenzio fu interrotto dal lampeggiare improvviso del radar. I due si precipitarono alla consolle.
    "Cos'è?" chiese Gary allarmato.
    "Rilassati, non sono Imperiali. A giudicare dalla grandezza, direi che è un mercantile Groc. Chiedono un canale di comunicazione."
    "Cosa ne pensi?"
    "Staremo a vedere." premette un pulsante e lentamente sul video si materializzò il volto di un uomo. Aveva una vistosa cicatrice sull'ampia fronte, che i radi capelli contribuivano a far risaltare. L'orecchio sinistro era letteralmente ricoperto di orecchini dalla foggia strana.
    "Salve amici. Avete dei problemi?"
    "Sì, un'avaria al sistema di raffreddamento. Avremmo bisogno di un commutatore HS-21. Potete aiutarci?" rispose Torn.
    "Credo di sì. Avete carico a bordo?"
    "No. Andavamo a Boonta a vedere le corse. E' stata una fortuna che ci abbiate trovati." rispose Gary sfoderando un sorriso disarmante.
    "Già, siete stati davvero fortunati. State pronti per la manovra di attracco." lo schermo ridivenne opaco.
    "Non mi piace, Torn. Non mi piace quel tipo e soprattutto non mi piacciono le sue domande!"
    "Vedo che sei sospettoso. Dov'è la tua fiducia nel prossimo?"
    "Temo di averla persa dopo che ho ripulito le tasche ad un uomo per la prima volta." ispose Gary con aria afflitta.
    "Deve essere stato un duro colpo per te." disse Torn divertito.
    "Il cuore ancora mi sanguina per il rimorso."
    "Comunque, hai ragione." disse Torn d'un tratto serio. "Meglio essere prudenti."
    Sfiorò una parete e ne emerse un ripiano contente due fulminatori tascabili. Ne lanciò uno all'amico nascondendo il proprio nell'ampia manica dell'abito. Il cargo era ormai chiaramente visibile: un mercantile Gorc talmente in malarnese da far sembrare al confronto il Suspicion nuovo fiammante. Lo osservarono nervosi mentre si apprestava a compiere la manovra di attracco. Una leggera scossa li avvisò che la manovra era riuscita. Torn si accostò allo portello. Attese qualche istante e lanciò uno sguardo d'intesa all'amico. Gary annuì. Premette il tasto di apertura. Il portello si aprì con un ronzio sordo. Quello che accadde dopo fu fulmineo. Una scarica di colpi laser si riversò su Torn che ebbe appena il tempo di lanciarsi dietro un container prima di essere investito.
    "Maledizione!! Avete proprio intenzione di distruggermi il carico!" urlò iniziando a sparare all'impazzata. Gary aveva aperto il fuoco subito prima di lui. Per alcuni secondi il cargo fu invaso da una  nuvola di denso fumo, colpi di laser saettavano dappertutto. Poi...silenzio.
    "Gary, tutto bene?" domandò Torn, ancora accucciato dietro il suo riparo improvvisato...
    "Sì, e tu?"
    "Tutto okay!" con circospezione, la testa di un malconcio Torn fece capolino dal container. Distesi sul pavimento in un groviglio innaturale, giacevano i corpi esamini dei loro nemici.
    "Puoi uscire amico: è finita!" si accostò ai tre uomini osservandoli. Gary gli era vicino, pallido come un cadavere.
    Torn lo guardò: "Se ti può consolare, può anche darsi che li abbia fatti fuori tutti io."
    Gary non rispose. Si voltò e vomitò.
    "Sarà meglio dare un'occhiata alla loro nave!" propose Torn e si avviò all'altro cargo.
    "Puah! Questo posto è un letamaio!" disse il Tatooiniano con una smorfia di disgusto. Poi rivolto all'amico che l'aveva seguito: "Prendiamoci ciò che ci serve e andiamocene alla svelta!" andò a prendere gli attrezzi mentre Gary rovistava fra le cianfrusaglie sparse sulla plancia in cerca di qualcosa di valore.
    "Niente!" rispose sconsolato alla domanda dell'amico che sopraggiungeva portando con sé una voluminosa scatola di metallo.
    "Ah, sì? Io invece ho trovato quasi mille crediti! Su, sorridi amico! Siamo vivi, illesi e abbiamo un carico quasi del tutto intatto."
    "Già, la vita è proprio meravigliosa." rispose Gary osservando i corpi sul pavimento. Si volse verso l'amico per aiutarlo.
 
 



 






Dancing in the Dark
di Marco Giampetruzzi

 

    I meat a lady in the meads,
    Full beatiful, a fairy's child,
    Her hair was long, her foot was light,
    And her eyes were wild.
    -John Keats
    Il caldo sole pomeridiano picchiava sulle vie e gli edifici fatiscenti di Boonta. Gary Tranc si trascinava stancamente lungo la strada gremita.
    "Ho sete," disse a sé stesso "ho sete, ho fame e sono stanco."
    Era in giro dall'alba in cerca di un lavoro. A mezzogiorno era ormai stufo. Stufo di continui rifiuti e insulti, stufo di essere sballottato dalla folla come un fagotto di stracci. Erano passati due giorni dal suo arrivo sul pianeta. Due lunghi giorni in cui aveva cercato in tutti i modi di trovare un ingaggio. Aveva pensato che sarebbe stato uno scherzo. Un artista del suo calibro non poteva rimanere a spasso a lungo. Invece...Torn era partito il giorno dopo l'arrivo.
    "Ci rivedremo presto!" gli aveva detto Gary, fiducioso.
    "Ci puoi scommettere!" aveva replicato l'amico, ma non ne sembrava così convinto. Con una strana sensazione di distacco,   Gary aveva osservato il Suspicion che si librava sempre più in alto nell'atmosfera del pianeta, fino a divenire un piccolo puntino luminoso e scomparire. Aveva trovato rifugio nei campi di Mannon. Un ottimo a posto se si era a corto di crediti e non si badava alla puzza e soprattutto non si andava per il sottile per la compagnia. Gary si lasciò cadere in un angolo della strada, osservando i passanti. L'agglomerato urbano era gigantesco, un enorme formicaio brulicante di esseri in continua attività, misto di improvvisate baracche e di edifici cadenti che non sembravano più stabili delle prime. La babele di razze differenti che invadeva le strade ad ogni ora del giorno e della notte era impressionante: Umani, Rodiani, Wookie, Sullustiani, Semiumani ed esseri non altrettanto semplici da classificare, piloti e scommettitori confluiti a Boonta dagli angoli più remoti della Galassia per un unico motivo, assistere o partecipare alle gare di landspeeder.
    "Ed essere derubati, naturalmente" pensò Gary.
    Già, perché Boonta, per il breve periodo delle gare, era un vero paradiso per ladri e truffatori, come ben sapeva Gary, che ne aveva fatto le spese in prima persona. E bisognava ammettere che la cosa gli bruciava, dato che lui stesso si considerava un discreto borseggiatore, anche se adoperava questa sua abilità con riluttanza. Con un prolungato brontolio, il suo stomaco gli ricordò imperioso il suo dovere di nutrirlo.
    "Bene suppongo che non mi resti scelta."
    Si alzò spolverandosi il fondo dei pantaloni e si avviò verso la zona delle gare.

    Feir Roth sognava. Era uno di quei sogni in cui i luoghi familiari hanno qualcosa di diverso. Ne era vagamente consapevole, ma al momento aveva altro a cui pensare. Era sulla stazione orbitale Yuggot 7. Percorreva ansiosa gli oscuri corridoi, conscia di dover portare a termine un compito di estrema importanza. Lame di ghiaccio le penetravano le carni facendola rabbrividire. Ma non pensava al freddo. La sua angoscia cresceva di secondo in secondo, al pari del suo battito cardiaco, mentre la testa pulsava di un dolore sordo. Iniziò a correre. I corti capelli incollati alla fronte dal sudore. Correva e, dapprima indistinta, la sensazione di essere seguita si fece sempre più reale. La paura. Penetrava fino alle più riposte fibre del suo essere, come l'inverecondo bisturi di un chirurgo scopriva i suoi pensieri più intimi, senza che le fosse possibile fermarla. Avvertiva la presenza dell'inseguitore. Era vicino, tremendamente vicino. Con un improvviso moto di rabbia si impose di voltarsi. Troppo tardi. Una mano guantata le si posò su una spalla e un dolore lancinante le esplose in petto. Con la vista annebbiata osservò la lucida lama che le spuntava dal cuore, mentre l'abito le si tingeva di vermiglio.
    Si svegliò in un bagno di sudore, gli occhi sbarrati fissavano il basso soffitto della squallida camera d'albergo. Si passò una mano appiccicaticcia sul volto e avvertì la dura superficie della cicatrice che le solcava il mento. Si sedette sul letto. Non riusciva a liberarsene, l'avrebbe perseguitata per sempre. Era passato un anno, ma neanche una vita le sarebbe stata sufficiente per dimenticare.
    "BASTA, E' FINITA ADESSO!"
    Osservò il lungo fodero accanto alla branda. La sua spada. Il Sacro Muir della sua famiglia. La lama di cui suo padre le aveva affidato la custodia secondo il costume Arcomiano.
    "All'alba del compimento del suo diciottesimo compleanno, il primogenito riceverà il Sacro Muir, l'arma sacra della sua famiglia, scrigno delle anime dei suoi antenati guerrieri, la cui lama egli monderà col suo caldo sangue affinché il suo spirito sia uno con essa."
    Feir recitò la Decima Regola del Codice Izzrut e il suo volto era contratto dall'odio. Ricordava ancora quando il sacerdote le aveva dato il Coltello del Patt col quale si era incisa le vene per compiere la cerimonia di purificazione della lama. Si osservò pensierosa i polsi, come per accertarsi che le cicatrici fossero davvero scomparse; le aveva fatte cancellare appena aveva lasciato Arcom. Era su Boonta da alcuni giorni, ma ancora non riusciva ad abituarsi al contatto con i barbari, coloro che non appartenevano ad Arcom, seppure, tecnicamente anche lei adesso era un barbaro. Aveva perso il diritto di chiamarsi Arcomiana rifiutandosi di partecipare alla Danza della Morte, aveva perso ogni diritto alla vita, per questo era dovuta fuggire.
    Si inguainò in una lucida tuta verde che ricoprì con una tunica bianca. Assicurò il fodero della spalla alla schiena in modo che fosse perfettamente dissimulato dalla tunica nella quale ripose anche una pistola blaster e, dopo un'occhiata compiaciuta alla sua immagine riflessa da uno specchio, uscì in strada.
    Sorrise al piacevole calore del sole che inondava la via. Si diresse verso il centro, la zona delle gare.
    "Come si chiamava quel posto? Ma certo: la Cantina di Mastro Rennedi!" pensò mentre scivolava tra la calca, "Lì troverò qualcuno a cui offrire i miei servizi, ma gli costeranno cari."

    Gary si muoveva inosservato tra la folla sterminata che si accalcava entro lo spazio dell'arena che ospitava le corse, insignificante figura cui nessuno badava. Naturalmente non era rimasto con le mani in mano.
    "Un'altra ignara vittima caduta nelle grinfie di Gary il Magnifico, il più abile borseggiatore della Galassia!" pensò, cercando inutilmente di nascondersi il ribrezzo che provava per quello che stava facendo. Anche se non l'avrebbe mai ammesso davanti agli amici di Bespin detestava rubare, non era facile da spiegare, era qualcosa che apparteneva alla sua infanzia, prima della morte dei suoi genitori, un angolo della sua mente puro e inviolabile che conservava gelosamente. Immerso nei suoi pensieri, si diresse verso una grande cantina che sorgeva nell'area delle gare.
    Feir Roth si bloccò avvertendo la tensione crescerle intorno. D'improvviso, prima che potesse rendersene conto, si trovò coinvolta in una rissa. Gli istinti affinati della lotta la fecero reagire immediatamente. Fece esplodere un violentissimo colpo contro l'avversario più vicino. Prima di cadere svenuto l'uomo la guardò con un'espressione tale da farla quale sorridere: era come sbalordito ed ad un tempo scandalizzato per il colpo ricevuto. Un'unica, sorprendentemente chiara, scarica laser pose fine all'agitazione. La folla rimase in silenzio per una brevissima frazione di secondo, dopodiché gli uomini si diedero forsennatamente alla fuga. Feir esitò, osservando stupita il cadavere di una indistinta figura tentacolata riverso in una pozza di liquido bluastro: il suo sangue. Poi un alto ufficiale Imperiale iniziò a gridare confusi ordini e lei si sentì tirare per un braccio.
    "Coraggio, svelta!!" le urlò il ragazzo, trascinandola violentemente attraverso la folla. Passato la stupore, Feir lo seguì decisa. Ormai aveva compreso perfettamente quello che era successo. Si era trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato: un attentato, probabilmente contro un alto funzionario Imperiale. Era inutile protestare la sua innocenza, non le avrebbero creduto. Pensò, mentre la rabbia cresceva in lei. Dopo una confusa fuga, i due si fermarono in un fetido vicolo nei pressi dei campi di Mannon. Il ragazzo, che si era lasciato cadere nella polvere e respirava affannosamente, doveva avere circa la sua età. Portava i lunghi capelli neri bizzarramente acconciati, dimodoché sembrava indossare una voluminosa parrucca a forma di medusa. Sulle spalle, fissata con una cintura, una custodia bianca. Feir attese che si riprendesse prima di parlare. Ora anche lui la guardava.
    "Adesso sì che mi sono cacciato in un bel guaio!" pensò Gary, osservando il volto inespressivo della ragazza.
 
 




Dancing in the dark


 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Prima del prossimo racconto ti consiglio di leggere le vicende di Gothar Palpatine, in particolare: Era una notte buia e tempestosa

Diritto e rovescio
di Marco Giampetruzzi

    Tratteneva il respiro, il freddo metallo della lama della spada appoggiato alla sua gola. Deglutì osservando lo sguardo gelido della ragazza.
    “È così non sono della Ribellione!” gridò Gary, fallendo miseramente, nel tentativo di mantenere il suo  solito aplomb.
    “Dovrei crederti?” gli rispose lei, sorridendo divertita. La sua voce era calma, il tono non conteneva nessuna sfumatura di minaccia. Gary rabbrividì. Sentiva che avrebbe potuto ucciderlo e poi andare a prendere un Turms con le amiche sfoderando lo stesso innocente sorriso…e lo avrebbe fatto se avesse pensato che stava mentendo.
    “Ti credo” disse infine “Quello che non riesco a capire è perché tu mi abbia aiutata.” Continuò come parlando a se stessa. Con la stessa rapidità con cui era apparsa, l’elegante lama scomparve tra le pieghe della sua tunica. Gary riprese a respirare regolarmente, il battito del cuore che gli pulsava nelle orecchie. Avrebbe dovuto essere furioso, ma poteva comprenderla, dopotutto essere ricercata dall’Impero non era un bel modo per cominciare la giornata. No, decisamente no. Al contrario era un cosa che, nella maggior parte delle persone, avrebbe provocato un legittimo nervosismo, per quanto panico sarebbe stato il termine più adatto alla situazione. Si abbandonò sul selciato, mentre la ragazza, la fronte corrucciata, si passava una mano tra i neri capelli. Era molto attraente, i capelli lievemente offuscati dalla vistosa cicatrice che le solcava il mento. Lei si volse all’improvviso, cogliendo il suo sguardo prima che potesse rivolgerlo altrove, imbarazzato.
    “Ascolta io…” cominciò Gary, ma le parole gli morirono sulle labbra non appena scorse la pistola laser che la ragazza gli puntava contro.
    Gli sorrise: “Prendi” gli disse lanciandogli il fulminatore. Gary l’afferrò a stento, stupefatto. Poi: “Mi chiamo Feir” disse semplicemente.
    Gary non era arrivato alla metà del suo monologo quando iniziò a piovere, costringendo i due ad appiattirsi al sudicio muro di un edificio straordinariamente fatiscente.
    “Speriamo solo che non crolli” pensava Feir mentre valutava pensierosa la consistenza della parete. Gary, ormai in preda ad una vera e propria crisi logorroica, vi badò appena mentre sciorinava compiaciuto la sua vera o presunta conoscenza dell’underground davanti alla sua misteriosa interlocutrice. Nessuno dei due sembrava accorgersi dell’ombra nera che li osservava.
    “Perfetto!” un piano stava prendendo rapidamente consistenza nella mente machiavellica di Gothar Palpatine che ascoltava attento.

    Le due fradice figure si trascinavano penosamente sotto una pioggia ormai tanto fitta da nascondere i contorni delle cose rendendole vaghe e fumose come sotto una spessa coltre di nebbia.
    Gary, ormai bagnato fino al midollo, indicò l’insegna sgargiante di una locanda: “Eccola!”
    Feir lo gratificò con uno sguardo che non celava la sua diffidenza: “Sei sicuro che sia questo il posto?”
    Gary annuì con aria vagamente offesa, “Certo, ci sono stato ieri. È il ritrovo principale di tutta la feccia del sistema.”
“Insomma il tuo locale ideale” lo canzonò la ragazza.
    Per tutta risposta Gary entrò deciso nella locanda, seguito immediatamente dalla compagna. Furono immediatamente investiti da un multiforme miscuglio di odori e sensazioni: la musica che avevano avvertito all'esterno divenne assordante, mentre sudore e secrezioni corporee aliene si mescolavano al puzzo pesante dell’alcool e del lubrificante per motori. Sebbene nessuno sembrasse far caso ai nuovi venuti, Gary e Feir avvertirono immediatamente di essere l’oggetto di un attento esame da parte della folla.
    “Sediamoci qui.” Disse Gary.
    Sembrava che l’esame fosse terminato, i due non rappresentavano una minaccia e il loro aspetto non contribuiva certo a farne una possibile preda.
    Gary fece cenno alla creatura tentacolare che serviva ai tavoli: “Due drinks Chthulliani.” L’essere rispose con un gorgoglio indecifrabile e si avviò verso il bancone. Gary aveva già individuato dei piloti che avrebbero fatto al caso loro, gente che non avrebbe avuto problemi a traghettarli in un posto sicuro purché pagati profumatamente. C’era un solo problema: nessuno dei due possedeva abbastanza denaro da pagarsi un passaggio, e quella era gente che non avrebbe preso alla leggera un tentativo di imbrogliarli. Gary fissò il suo dink come se avesse potuto offrirgli una soluzione.
    “Buonasera, nobili amici.”
    Trasalì mentre si volgeva ad osservare la figura che aveva parlato. Era avvolto in un’ampia cappa scura, un lungo cappuccio calato sulla testa gli nascondeva completamente il volto.
    “Non l’avevo notata entrando, signore” disse Gary, facendo scivolare d’istinto lo sguardo verso l’uscita. Lo sconosciuto non sembrò dar peso all’osservazione. Con movimenti lenti e misurati si sedette. Poi osservò i due per alcuni secondi, come per vagliarne le intenzioni. Gary ondeggiò sulla sedia, nervoso. Feir rimase in attesa, quieta ed incuriosita dall’oscura apparizione verso la quale provava un’indefinibile senso d’identità e nello stesso tempo di vaga repulsione.
    “Credo, cari amici, che possiamo renderci utili a vicenda.” Disse lo sconosciuto, umettandosi le labbra.

    Era da poco passata l’alba e il sole di Boonta occhieggiava timidamente dalle cime degli edifici più alti, presto avrebbe preso vigore infierendo sui mattinieri viandanti. Appoggiato sul balcone della sua camera, Gary rimuginava sugli eventi della sera prima. L’uomo si era presentato come Tothan Galparipe, ma non aveva importanza, di sicuro era un nome falso. Ciò che importava era che sembrava conoscere perfettamente la loro identità. Ciononostante non li aveva denunciati, come chiunque altro avrebbe fatto, ma si era proposto di aiutarli a fuggire. A patto che si impegnassero a fare qualcosa per lui, naturalmente. Non ricordava cosa fosse successo dopo. Si era svegliato in quella camera d’albergo senza la più pallida idea di come ci fosse arrivato. Eppure non ricordava di aver bevuto altro che un drink. Riaffiorarono atre impressioni: il modo in cui Feir sembrasse attratta da Tothan…Lui stesso era come sotto l’effetto di un narcotico, come spiegare altrimenti la leggerezza con cui aveva accolto lo sconosciuto e le sue inverosimili spiegazioni.
    “Riordinare le idee” pensò.
    Primo: adesso gli appariva evidente che Tothan, o  come diavolo preferiva farsi chiamare, era nei guai, ed anche grossi, altrimenti non si sarebbe rivolto a due individui ricercati dall’Impero. In altre parole erano sulla stessa barca.
    Secondo: di certo non apparteneva alla Ribellione. Tutto in lui comunicava un’aura di falsità, disprezzo e nel contempo di servile untuosità, una persona, dunque, abituata a comandare, ma anche ad umiliarsi. Si concentrò ancora, sentiva di essere vicino alla soluzione. All’improvviso la verità lo abbacinò con la sua chiarezza: Tothan era il ritratto del funzionario  Imperiale. E se doveva fidarsi delle sue impressioni, non doveva neanche essere l’ultimo arrivato. Era perduto!
    No. L’Impero non agiva così.
    Se ci fosse stato l’Impero dietro Tothan, sarebbe già stato steso su un tavolo di  tortura. No, ne era sicuro.
    Ciò non significava che Tothan non fosse pericoloso.
    “Come ho potuto essere così stupido?” mormorò, mordendosi le labbra. “Dovrò tenere gli occhi aperti!”
    “Vedo che sei già sveglio. Bene.” Il suono di quella voce era inconfondibile.
    “Buongiorno Tothan.” Rispose Gary senza voltarsi.
    A Gothar non era sfuggito l’accento posto sull’ultima parola.
    “Scendiamo a fare colazione?”
    “Volentieri.” Mormorò l’uomo incappucciato a denti stretti. Il ragazzo era più sveglio di quanto pensasse. No sarebbe stato facile manipolare la sua mente come la sera prima.

    “Adesso è tutto chiaro. Sei pazzo.” Disse Gary, l’occhio non artificiale spalancato dallo stupore. Gothar sbatté violentemente i pugni sul tavolo in preda ad un eccesso di furore.
    “Tu…” disse digrignando i denti come una belva. Un attimo dopo, dando fondo a tutta la sua riserva di autocontrollo, aveva riacquistato la calma.
    Continuò con voce paterna, quasi rimproverando un fanciullo: “Suvvia, credo tu stia sopravalutando il pericolo dell’impresa.” Disse sorbendo tranquillamente il suo tè speziato. “E in ogni caso, non mi sembra che tu abbia molta scelta, non è vero, mio giovane amico?”
    Aveva ragione. L’Impero aveva spazzato via l’intera rete della Ribellione su Boonta. Lo scherzetto del giorno prima era costato caro ai Ribelli.
    “D’accordo, accetto.” Disse Gary con riluttanza.
    “Così va bene.” Gli fece eco Gothar compiaciuto.
    Il piano era semplice. “È suicida” pensò Gary. Dovevano recuperare la navetta di Tothan e fuggire. Solo che questo significava penetrare nello Spazioporto, un settore sottoposto a sorveglianza speciale, dal momento che rappresentava l’unica possibilità di fuga per gli eventuali Ribelli ancora presenti sul pianeta: tutti gli accessi alla zona erano presidiati. E questa era la parte più semplice dell’operazione. Poi avrebbero dovuto raggiungere il Molo 49, che per fortuna era localizzato in una zona periferica dell’impianto, col pericolo di essere individuati da una pattuglia ad ogni passo. Ma non era quello a preoccupare Gary, in primo luogo come potevano essere sicuri che l’iperspazio non fosse disattivato?
    “Non preoccuparti,” aveva risposto Tothan sibillino “A questo è già stato provveduto.”
    “E se la navetta stessa fosse sorvegliata?” era stata Feir a parlare.
    Tothan le lanciò un’occhiata profonda in cui le parve di scorgere un’ombra di preoccupazione: “In tal caso confido che sappiate far fronte alla situazione.”

    Il rumore dei passi pesanti e cadenzati della pattuglia di Storm Trooprs era ancora udibile, quando Gary emerse dalle ombre seguito dai suoi strani alleati. Si avvicinò alla piccola sagoma nera della porta di servizio, osservando la serratura elettronica posta sulla parete.
    “Allora?” sibilò Tothan alle sue spalle.
    “Nessun problema” rispose Gary aprendo il pannello. “È un circuito standard di sicurezza: un gioco da ragazzi.” Poi il suo viso si rabbuiò.
    “Cosa c’è ancora?” chiese Tothan nervoso.
    “Sembra che mi sia sbagliato, questo è un Beck-Hansen 96” rispose come se ciò avesse chiarito  tutto.
    “Meraviglioso, ma che diavolo vuol dire?” sbraitò Tothan.
    “Significa che siamo nei guai, non so come aprirlo…A meno che. Ma sì, ne sono certo!” Gary chiuse gli occhi e sembrò massaggiarsi lievemente la palpebra sinistra. Immediatamente gli apparve il menù della memoria del suo impianto ottico. Scorse velocemente i file relativi alle serrature e agli impianti di sicurezza.
    “Eccolo!” esclamò trionfalmente, mentre Feir e Tothan si scambiavano sguardi perplessi.
    “Il mio Vuecual è in grado di memorizzare delle immagini: lo usavo quando suonavo, per non dimenticare i passaggi più difficili…e occasionalmente anche altro” disse ammiccando. Dopo pochi istanti la porta si aprì con un ronzio e i tre si ritrovarono all’interno di uno stretto cunicolo dalle pareti rivestite di metallo. Enormi fasci di cavi pendevano dal soffitto come i viscidi tentacoli di una piovra, in lontananza si scorgeva l’uscita dalla quale penetravano le luci dello spazioporto. Gary faceva strada, guardingo, controllando attentamente che non ci fossero altri sistemi di allarme. Giunti all’uscita si fermarono, esitanti. Un cartello sbiadito indicava: Molo 3. Davanti a loro una distesa infinita di navi punteggiata da luci intermittenti poste sulle carlinghe.
    “Seguitemi, in silenzio!” ordinò Tothan. Camminarono per diversi minuti, ogni tanto la loro misteriosa guida sembrava tendere i muscoli sotto la cappa nera, e svoltava improvvisamente costringendoli a repentini cambi di percorso. Incredibilmente non incontrarono mai nessuno.
    D’improvviso Tothan si fermò, volgendosi verso i compagni: “A quanto pare avevi ragione Feir” mormorò a fior di labbra “Il Silver Bolt è sorvegliato.”
    A un centinaio di metri dalla loro posizione si scorgeva un’agile navetta davanti alla quale si intravedevano due bianche figure.
“Non possiamo avvicinarci senza che ci vedano e diano l’allarme. Qualcuno deve distrarli.” Disse Gothar guardando eloquentemente Gary.
    “Ah sì? E chi mi assicura che tu mi aspetterai?” Gothar lo fissò intensamente, qualcosa sembrò passare fra i due e Gary sembrò convincersi.
    “Vai adesso” gli ordinò. L’agile figura di Gary si allontanò fra le ombre alla loro sinistra.
    “Cosa gli accadrà Gothar?” chiese Feir in un sussurro.
    “Non importa” rispose l’uomo. “Non lasciarti turbare dal suo destino.” Disse alzando una mano per accarezzarle il volto: “È un  essere inferiore, non possiede la Forza come noi.”
    Il silenzio fu rotto da un suono acutissimo, mentre luci abbaglianti lampeggiarono in lontananza. Le due guardie sembrarono consultarsi brevemente, dopodiché si precipitarono nella direzione dell’allarme.
    Gothar sorrise: “Addio, Gary Tranc.”

    Gothar aveva finito di tracciare la rotta che tre caccia Tie gli furono alla coda. Sorrise e premette il pulsante di attivazione.
    Poi, rivolto a Feir: “È meglio che ti riposi. Ti sveglierò non appena giunti a destinazione.”
    La ragazza annuì recandosi sul retro dell’abitacolo.
    “E' ancora scossa per  la fine del ragazzo” pensò Gothar accigliato. “Non importa le passerà presto.” Si slacciò la pesante cappa che lo aveva avvolto fino ad allora, sistemandosi comodamente su una delle poltrone di guida. La sua mente ondeggiava compiaciuta sui particolari della sua brillante fuga, mentre si lisciava la tunica. Improvvisamente si avvide di quello che era successo: la sua spada laser era scomparsa. Un urlo spaventoso eruppe dalla sua gola: “CHE TU SIA MALEDETTO, GARY TRANC!!!”
 
 



 



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

       

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