Introduzione
Quello che
segue è il testo preparato a suo tempo allo scopo di raccontare e
rendere pubblica la storia che ha portato alla fine dell'esperienza
del Centro Demetra. Purtroppo una serie di fatti e di circostanze
sfavorevoli ne hanno ritardato la pubblicazione, annunciata in un
primo tempo per la fine di agosto 1999 a due quotidiani ticinesi e
alla principale destinataria del testo, On. Patrizia Pesenti. Ho dovuto
attendere pazientemente che terminasse l'agonia del Centro Demetra
e ne giungesse la morte, ho atteso che la Magistratura concludesse
la sua inchiesta in merito alla vergognosa denuncia subita da alcuni
piccoli ospiti del Centro, ho atteso che l'On. Pesenti rispondesse
all'interrogazione parlamentare presentata agli inizi di dicembre
da oltre venti deputati di tre partiti, ho atteso e temporeggiato
per tutta una serie di altri motivi, ma adesso è giunto il tempo di
non indugiare oltre. Il Centro Demetra è defunto, i tempi d'inchiesta
della Magistratura si sono conclusi anche se stranamente la pratica
continua a languire da mesi sul tavolo della Magistrata dei minorenni
[Per un procuratore si chiude un'inchiesta nel
giro di 4 o 5 giorni e questo va molto bene, questa è una giustizia
efficiente. Per due bambini, già vittime di inaudite violenze subite
in famiglia, ingiustamente accusati d'infamia e una volta ancora vittime
innocenti - questa volta degli squallidi giochi di vendetta di alcuni
adulti irresponsabili -, un'inchiesta c'impiega invece mesi e mesi
ad essere conclusa. Questo non va bene, questa non è giustizia!],
l'On. Pesenti ha vinto la sua piccola battaglia. Posso quindi
finalmente pubblicare il mio "j'accuse" al sistema e alle
persone che per anni hanno operato perché l'esperienza di Demetra
fallisse e, alla luce di quanto è accaduto, nel peggiore dei modi.
Ho deciso anche, per esigenze di vario tipo, di pubblicare il testo
in capitoli che appariranno con cadenza settimanale. Di seguito il
primo capitolo. Seguirà tra una settimana il secondo capitolo e dopo
un'altra settimana l'ultimo.
La storia
di Demetra, ovvero, ciò che il DOS, la fondazione Demetra, l'associazione
Demetra, i giornali, la televisione e la radio non vi avrebbero mai
raccontato.
I
Capitolo
Introduzione
"Non
avrei mai voluto dovermi assumere il compito e la responsabilità di
raccontare quanto vado per scrivere. Purtroppo una serie di eventi,
di circostanze e la mia coscienza hanno voluto e deciso diversamente.
Quella che
vi racconterò non è proprio una bella storia. Vi prego però di aver
la pazienza di scorrerla fino in fondo malgrado possa apparire ai
più un po' lunga.
L’esposizione,
per evidenti motivi di tempo, non sarà particolarmente curata nella
forma. Essenziale rimane però la correttezza e chiarezza dei suoi
contenuti e ad esse mi dedicherò. Inizialmente avrei desiderato poter
mantenere la forma dell'anonimato ma purtroppo non è stato possibile
ed ho deciso quindi di uscire allo scoperto ed assumermi in pieno
la responsabilità di quanto andrò a raccontarvi.
Quando si
"attacca" un potere come quello rappresentato da un'istituzione
(non importa, per il momento, di che natura) ed in modo effettuale
dalle persone che la rappresentano, ponendo in evidenza i suoi malfunzionamenti,
i suoi errori, le cattive volontà e l'ingiustizia in esso presenti,
bisogna aspettarsi che quel sistema reagisca difendendosi, anzi attaccando,
con tutti i mezzi a sua disposizione.
Quando è
un singolo cittadino a portare tale "attacco" è chiaro che
il rischio che nel confronto rimanga stritolato a causa della sproporzione
delle forze in campo è decisamente elevato e reale. Internet mi permette
in questo senso di livellare in parte la sproporzione di potere esistente
tra me e coloro che sto per denunciare ma è evidente che non potrà
impedirmi di divenire oggetto di persecuzione, iscritto in uno o più
dei molti libri neri esistenti in Ticino. [questa
previsione si è puntualmente avverata] Del resto l'annuncio
della pubblicazione del presente memoriale ha messo in moto da tempo
la macchina infangatrice della calunnia con l'intento di sporcare
ed annientare la dignità, l'onore ed il valore delle persone che hanno
lottato per una causa e inavvertitamente contro un certo sistema di
cose. Questa si sa è l'arma per eccellenza utilizzata da ogni apparato
di potere degno di chiamarsi tale, da sempre e storicamente utilizzata
per fare fuori i dissidenti, gli eretici, i sovversivi, gli avversari,
coloro insomma che non si allineano e che anzi esprimono indignazione,
critica e finanche aperta denuncia. Così, con la calunnia e la menzogna,
si sono sovente creati i folli, i pervertiti, gli emarginati,
i falliti, gli additati, gli spregevoli senzadio da gettare cinicamente
in pasto alla pubblica riprovazione, al malevolo pettegolezzo e al
disprezzo. Oggi e qui, non si uccide più il corpo ma l'anima e di
questa sordida arte, mi sono purtroppo dovuto avvedere, sono in
molti ad esserne esperti.
I fatti che
riporterò sono fatti realmente accaduti, in parte documentabili e
in parte registrati nella mia memoria e nella memoria dei molti che
sapevano, sanno, ma hanno taciuto e tacciono tutt'ora. La parte non
documentabile potrebbe divenirlo se venisse istituita un'inchiesta
condotta in modo serio e indipendente, cosa che qui in Ticino è molto
difficile, primo perché è scarsa la possibilità di autonomia degli
individui e secondo perché vi è un muro d'inscalfibili vincoli
omertosi fondati sulla paura. Paura (invero non del tutto ingiustificata)
di perdere il posto di lavoro, paura di non poter fare carriera, paura
di compromettere la propria immagine, paura di essere attaccati nei
propri interessi o negli interessi dei propri cari; quest'ultima è
del resto la più potente arma degli spiriti vili: se non possono attaccare
voi colpiranno chi vi è vicino.
Le fonti
che hanno permesso di ricostruire i fatti che esporrò sono diverse
e tutte attendibili. Molti di questi fatti li ho rilevati personalmente,
li ho quindi visti con i miei occhi e sentiti con le mie orecchie.
Per concludere
questa doverosa introduzione non mi rimane che dichiarare, per chiarezza,
il mio rapporto con la vicenda che descriverò: non ho azioni investite,
interessi personali da tutelare o da incrementare, non ho tratto e
non trarrò alcun vantaggio dal racconto di questa storia, semmai il
contrario. Ho investito per alcuni anni importanti energie nell'opera
di realizzazione del progetto Demetra, poi, prima che tutto naufragasse,
mi sono ritirato dovendo però continuare a sentirne parlare poiché
mia moglie è colei che ne ha promosso la realizzazione ed è colei
che vi ha lavorato fino all'ultimo nel disperato quanto inutile tentativo
d'impedirne il pilotato fallimento.
Il motivo
per cui mi assumo l'onere di denunciare quanto successo in Ticino
negli ultimi anni e dietro le quinte del problema del maltrattamento
dei minori non sta tanto nell'inevitabile ferita prodotta dal fallimento
di un progetto - vissuto inevitabilmente anche come il proprio progetto,
in ragione delle molte, troppe, energie profuse - e neppure nell'indignazione
e nella rabbia derivante dal fatto che si sia offeso, e vedremo come
e per quali squallidi motivi, il diritto alla protezione e alla cura
di molti bambini vittime d'indicibili violenze subite in famiglia,
ma è legato essenzialmente ad un fondamentale quanto semplice principio
di coscienza, di libertà e di progresso: è il desiderio di chiarezza.
In altri e più importanti termini, è il desiderio di verità e di giustizia,
contro le verità-menzogne dell'apparato, puntualmente, come è accaduto
in questi mesi sulla vicenda Demetra [da fine
agosto 1999 a dicembre 1999], rilevate, riportate e propagate
al pubblico dai nostri mezzi d'informazione.
Ritengo quindi
giusto informare ora l'opinione pubblica delle nefandezze che si sono
consumate e si stanno consumando in Ticino sulle e dietro le spalle
dei bambini vittime di violenza, a danno di coloro che in favore di
questi bambini hanno voluto seriamente e concretamente impegnarsi.
Chiedo a
chiunque si troverà a leggere queste pagine di divulgarle e poi, se
vuole, compatibilmente con la propria coscienza, con il proprio ordine
d'idee e di valori, faccia sentire la propria voce, protesti, chieda
chiarezza, correttezza e soprattutto giustizia. Sarà difficile ma
vale la pena provarci. Se avete invece deciso di vivere dentro Matrix,
liberi di farlo, io non ci sto!
Partiamo!
I personaggi
e gli interpreti principali di questa brutta storia.
Sono veramente
tante le persone che a vario titolo hanno partecipato a questa storia.
Non posso quindi elencarle tutte, ma come già detto valga il fatto
che in Ticino sono in molti ad aver saputo e a sapere, ed altrettanti
ad aver taciuto e a continuare a tacere, i fatti che sto per esporre.
Figure chiave
sono o sono state un gruppo di persone che alcuni anni or sono costituirono
un'associazione perché si creasse qualcosa in Ticino per i bambini
vittime di violenze famigliari. L'associazione fu chiamata Demetra
e promotrice di quell' iniziativa fu Daniela D'Ottavio-Del Priore,
mia moglie, come ho già avuto modo di dire. Al primo comitato dell'associazione
[era la primavera del 1996] aderirono
un gruppo di persone rappresentanti di diversi ambiti professionali
ed istituzionali del cantone.
Già da alcuni
anni si parlava del fenomeno sommerso del maltrattamento infantile.
Le iniziative erano però orientate tutte quante ad un discorso di
prevenzione delle violenze e degli abusi e poco o niente si faceva
invece per le vittime, per coloro che queste violenze le subivano.
Amilcare
Tonella e Patrizia Pesenti, sulla scorta di quanto accadeva in altri
paesi e in diversi cantoni della Svizzera, avevano avviato attraverso
i media una sorta di campagna d'informazione e di sensibilizzazione
sul problema. Il primo è medico pediatra ed era allora Presidente
di ASPI Ticino, la seconda è oggi responsabile del Dipartimento delle
Opere Sociali ed era allora magistrata dei minorenni.
Brevemente,
per non occupare spazio e rubare inutilmente tempo, ecco i nomi di
alcuni altri enti e persone che entreranno mano a mano sulla scena
del racconto. Comincerò dalle cariche istituzionali più alte per scendere
piano piano verso il basso: Pietro Martinelli, Alex Pedrazzini, allora
entrambi Consiglieri di Stato, Roberto Sandrinelli, responsabile dell'Ufficio
sociale cantonale e Delegato per le vittime di reati (denominazione
breve), Carlo Denti, allora responsabile della Sezione degli istituti,
oggi Sezione del sostegno a enti e attività sociali, la Commisione
permanente di coordinamento Lav (Legge di Aiuto alle Vittime di reati),
composta da vari professionisti, allora in prevalenza dell'area giuridica,
i Servizi Sociali, le U.I.R. (Unità d'Intervento Regionali), Demetra
(Centro, Associazione e Fondazione), Daniela D'Ottavio-Del Priore
(responsabile del Centro Demetra). Questi quindi i principali interpreti.
Ve ne sono altri i cui nomi incontrerete, cammin facendo, durante
la narrazione. Narrazione che adesso è proprio ora di cominciare.
Tenetevi forte!
Una bruttissima
storia
Mi sembra
di ricordare fosse il 1996, la primavera del 1996 per essere esatti.
In Ticino già da forse due o tre anni, come ho già avuto modo di dire,
era stato avviato un dibattito sull'inquietante problema dei maltrattamenti
dei bambini. Due le associazioni che a livello cantonale si occupavano
della problematica, ASPI ed SOS Infanzia. La prima diretta da Amilcare
Tonella e la seconda da Federico Mari, disegnatore tecnico, dipendente
del Dipartimento del territorio, molto attivo nell'ambito del volontariato
e sul fronte della protezione dell'infanzia. Tra queste due associazioni
e tra i suoi padri fondatori va subito detto che ci fu e c'è tutt'ora
una dura guerra. Non scorse sangue evidentemente ma tanto malumore,
rancore e forse anche odio. Malgrado SOS Infanzia, poi TSOS Ticino,
fosse attiva, in termini di realizzazione di progetti, più di quanto
non fosse ASPI, restò per una serie di motivi, che non vale la pena
di approfondire ora, al margine degli interessi del Dipartimento delle
Opere Sociali (d'ora in avanti DOS). Andava invece consolidandosi
in quel periodo una convergenza d'interessi, sulla base di indubbie
affinità personologiche, tra Tonella, Pesenti e Sandrinelli che coincise
con una parziale caduta in disgrazia di SOS Infanzia [caduta
in disgrazia che si è trasformata oggi in una vera e propria condizione
di emarginazione ]. Pesenti e Tonella, ho detto, imperversavano
già da tempo nei media, sui giornali, alla radio e in TV. La loro
presenza era talmente massiccia e l'argomento di cui si facevano interpreti
talmente nuovo e preoccupante che vennero identificati come i massimi
esperti in Ticino del problema della violenza sui minori.
Roberto Sandrinelli
stava intanto "lavorando" assiduamente per realizzare il
sogno e l'ambizione coltivati con l'entrata in vigore della legge
Lav, della legge cantonale di applicazione e complemento e del regolamento
di esecuzione: diventare il Delegato per i problemi delle vittime
di violenza e la prevenzione dei maltrattamenti. Il problema era che
non si sapeva ancora quale dipartimento sarebbe stato quello responsabile
della materia. Vi fu un braccio di ferro, si fa quasi per dire, tra
Dipartimento delle Istituzioni e DOS. Pare, si racconta ancora oggi
nei corridoi delle Istituzioni, che tanto fu il lavoro ai fianchi
operato dall'interno del DOS che Alex Pedrazzini (allora direttore
del dipartimento) e i suoi funzionari preferirono gettare subito la
spugna e mollare l'osso.
Comunque,
dicevamo di essere nella primavera del 1996. Daniela Del Priore, neolaureata
in pedagogia, specializzatasi a Milano presso una struttura d'intervento
e di terapia in favore di minori vittime di maltrattamenti (CBM di
Milano) e una buona esperienza già maturata nell'ambito delle problematiche
legate al disagio giovanile, individuava nel dibattito che si stava
svolgendo in Ticino sul tema dei maltrattamenti all'infanzia una grossa
lacuna e pensò di dare il suo contributo a tale dibattito ponendo
in evidenza il problema della presa a carico dei bambini che subiscono
violenze in famiglia. Le poche iniziative in atto, i dibattiti, le
manifestazioni, la sensibilizzazione, la pubblicazione di opuscoli
e di libretti, gli spot televisivi, ecc., come già scritto, si concentravano
quasi esclusivamente su un generico discorso di prevenzione. Del tutto
ignorato restava il fatto che vi fossero delle vittime e che soprattutto
di queste ci si dovesse occupare e in termini differenti da quelli
posti in atto fino a quel punto.
D'Ottavio-Del
Priore contattò una serie di persone provenienti dagli ambiti disciplinari
e professionali più disparati. Sottopose loro un progetto d'intervento
e di presa a carico di questi bambini. Lavorarono per apportarvi le
modifiche necessarie a rendere possibile la sua applicazione al contesto
ticinese. Il modello di riferimento era infatti quello sperimentato
da anni preso il CBM di Milano. La necessità di un progetto generale
d'intervento e di presa a carico di queste situazioni era giustificata
dal fatto che in Ticino la prassi corrente faceva sì che quando (e
sottolineo il quando, sottolineatura che vale del resto ancora oggi,
dato che non è assolutamente da dare per scontato il fatto che autorità
civili competenti o servizi sociali preposti pongano prontamente in
un contesto di protezione le piccole vittime di violenza loro segnalate)
un bambino maltrattato veniva allontanato dalla famiglia venisse collocato
in un istituto, magari accompagnato ufficialmente dalla meno infamante
etichetta, rispetto a quella di abuso sessuale o di maltrattamento,
d'inadeguatezza educativa dei genitori o di caratterialità del bambino
stesso e questo il più delle volte senza che si avviasse una qualsivoglia
indagine (penale se del caso, psicologica per vedere quale fosse la
storia di cui si faceva portatore il minore, familiare per individuare
problemi, limiti, ma anche possibili risorse su cui lavorare in modo
serio in prospettiva di un rientro in famiglia dei figli) e senza
che si attivasse il contesto terapeutico più adatto a quella situazione.
La possibilità
di un serio percorso terapeutico che riconoscesse e rispettasse il
vissuto di sofferenza, il bisogno di protezione e di risignificazione
delle propria storia, era semplicemente delegato alla casualità dell'incontro
con qualcuno che, sensibile al problema, se ne facesse carico e si
risolveva sovente in una rapsodica e temporanea attivazione di misure
a carattere psicoterapeutico (presso i servizi o studi privati). Questo
quando e se andava bene, altrimenti la regola era il nulla più assoluto.
Il grave disagio, la sofferenza, ogni manifestazione dell'impossibilità
di gestire da solo il terribile passato, doveva estinguersi nell'ambito
di un rapporto educativo/normativo forzatamente normale e normalizzante
in cui il passato veniva costretto, per buona pace di tutti, nell'oblio.
Sul fronte familiare il rapporto con l'istituzione e il rapporto tra
la vittima ed i suoi parenti veniva (ma potrei dire tranquillamente
viene a tutt'oggi) giocata in genere nella più totale ambiguità.
Il DOS e
gli istituti sociali del cantone avevano avviato nel 1995, approfittando
di un programma occupazionale, una ricerca che desse modo di conoscere
un po' meglio la realtà degli ospiti presenti negli istituti stessi.
Fu avviata una prima fase di raccolta e di sistematizzazione di tutta
una serie di dati a cui avrebbe dovuto seguirne un'altra, cioè quella
della ricerca vera e propria. I risultati di tale ricerca non vennero
mai resi noti. In realtà la ricerca stessa non fu mai conclusa, almeno
dalla persona che la intraprese (non so se sia stata continuata da
qualcun d'altro ma ne dubito). Motivo: non so molto e sarebbe interessante
che lo spiegassero coloro che commissionarono lo studio. Comunque
pare sia certo che alcuni dei risultati raccolti "confliggessero"
con il quadro che DOS ed istituti sociali avrebbero desiderato emergesse
dalla ricerca stessa, in altre parole alcuni risultati apparirono
"indesiderabili" e furono ritenuti non "divulgabili".
L'epilogo
di quello studio fu che venne imposto il silenzio e non più riconfermato
l'incarico alla persona che aveva svolto il rilevamento. Iniziò a
circolare voce che avesse svolto un pessimo lavoro e che i dati non
erano attendibili. Fu detto anche che si trattava di una persona un
po' squilibrata. Insomma un modo come un altro per sconfessare i risultati
della ricerca, finita poi puntualmente dimenticata nel cassetto di
qualcuno, e il solito modo per far fuori moralmente chi l'aveva condotta
(ce n'era bisogno?). DOS e responsabili degli istituti decisero che
dovesse esserci il totale riserbo su quei dati e così fu.
Demetra presentò,
nel maggio 1996, il proprio progetto di Centro di pronta e temporanea
accoglienza e di presa a carico globale del minore maltrattato agli
allora Consiglieri di Stato Alex Pedrazzini e Pietro Martinelli (non
era ancora definito quale dipartimento avrebbe gestito la materia)
i quali dopo attenta lettura e sulla base di una serie di dati raccolti
da Demetra, che indicavano l'esistenza di una massa critica sufficiente
a giustificare la realizzazione di un Centro di quel tipo in Ticino,
diedero il loro assenso per la realizzazione di massima del progetto.
Piatti forti di questo progetto erano la descrizione di un processo
d'intervento (chi fa cosa, quando e perché), che teneva principalmente
e finalmente conto dello stato e dei bisogni delle piccole vittime
di violenza, e la creazione di un Centro di pronta accoglienza quale
luogo per la protezione e la cura di questi bambini.
Uno dei principi
cardine del progetto era la concentrazione in un'unità interdisciplinare
della responsabilità dell'intero processo. In altri termini la concentrazione
del sapere, delle competenze e delle responsabilità in modo da garantire
sufficiente unità e funzionalità al processo generale di presa a carico.
Insomma, il progetto ubbidiva nel contempo alle esigenze psicologiche
della vittima e al bisogno di coerenza e razionalità organizzativa
dell'intervento posto in essere.
L'entusiasmo
dei Consiglieri di Stato cozzò immediatamente contro la freddezza
dei funzionari del DOS e in particolar quella del non ancora Delegato
Roberto Sandrinelli che aveva in mente e voleva assolutamente, con
meno impegno, minor specificità e risorse finanziarie, fare altro.
In sostanza
non piaceva che l'Associazione venisse autorizzata ad aprire e a gestire
un tale centro sulla base di un proprio, si fa per dire, visto che
non vi sono copyright da tutelare, modello d'intervento. Dopo aver
ascoltato per anni e sino alla noia, dagli "esperti" del
maltrattamento, che si doveva intervenire seriamente per affrontare
il problema, perché quanto emerso era soltanto la punta dell'iceberg,
si cominciò a sentir dire, dai medesimi "esperti", che il
fenomeno non era poi così ampio e che non era giustificata una struttura
specialistica. [e questo è il motivetto
che al DOS, in ragione del punto di vista privilegiato - sui problemi
dei bambini maltrattati - di cui godono i suoi funzionari, cioè la
loro scrivania, va per la maggiore ancora oggi]
Invero, al
di là dell'apparente razionalità con cui si condiscono sovente i fatti,
per cui sembrerebbe che soltanto dalla loro natura derivino i motivi
delle scelte che vengono compiute in un senso o in un altro, molte
delle decisioni, degli atteggiamenti, dei comportamenti, assunti dalle
istituzioni o dai loro singoli rappresentanti in questa triste vicenda
furono motivati e costantemente alimentati dai meno nobili tra
i sentimenti che albergano nell'animo umano e di cui è lecito pensare
ognuno sappia quanto basta per rinunciare alla loro esplicita elencazione.
Quelli di
Demetra però non erano degli ingenui e le cose, fino allora, le avevano
fatte bene (e questo, col senno di poi, è forse stato paradossalmente
uno dei limiti della loro azione; ma vedremo poi meglio in dettaglio
questa questione). Appena accennato del progetto ai consiglieri e
prima di presentarne la stesura definitiva, procedettero, come già
detto, alla raccolta di elementi statistici, numeri, in grado di dire
se esistesse o meno una cosiddetta "massa critica" che giustificasse
la realizzazione di quel progetto. Fu un lavoro che svolsero tra diverse
difficoltà, resistenze ed ostruzionismi. I dati c'erano, ma sovente
incompleti. Alcuni di questi venivano raccolti in forme del tutto
inutilizzabili. Di altri veniva rifiutata la comunicazione costringendo
chi rilevava i dati a chiedere autorizzazione più in alto.
Il lavoro
terminò e i dati raccolti finirono ad indicare e a descrivere il medesimo
quadro definito nella famosa ricerca effettuata dalla ricercatrice
"pazza". Non ricordo come, ma tra le tante cose, anche quest'ultima
ricerca arrivò in mano a Demetra e al DOS non furono molto contenti
di vederla rispuntar fuori e tanto più utilizzata per confutare le
tesi dei funzionari che volevano irrisorie le cifre del maltrattamento.
Purtroppo
in quei giorni si definì a livello di Governo chi avrebbe avuto competenza
di applicare e gestire quanto contenuto nella Lav, nella relativa
legge di applicazione e complemento e nel suo regolamento. Breve inciso:
il complemento alla legge federale e relativo regolamento di applicazione
per il Canton Ticino furono elaborati da una commissione di studio
all'interno della quale già siedevano Pesenti, Tonella e Sandrinelli.
La patata bollente fu attribuita, come già detto, per "getto
della spugna" da parte delle Istituzioni, al DOS. Sandrinelli,
con l'entrata in vigore del regolamento di esecuzione della Legge
di applicazione e complemento della Lav il 1° agosto 1996, venne nominato
Delegato e con questa nomina si produsse una situazione per cui un
solo funzionario concentrava nelle proprie mani una serie impressionante
d'incarichi, responsabilità, funzioni, in altrettanti e differenti
ambiti di competenza. La cosa cominciò a dar fastidio persino all'interno
del suo Dipartimento. Ma le immancabili gelosie ed invidie dipartimentali
a noi possono anche importare poco. Sorgeva invece e rimane intatto
ancora adesso più di un giustificato sospetto che l'assunzione di
tutti quei ruoli (capo del servizio sociale, Delegato per i problemi
delle vittime di violenza, Segretario della Commissione Lav, membro
di vari consigli di fondazione e commissioni, responsabile dei fondi
della Lotteria intercantonale, quelli con cui si finanziano molte
attività e associazioni cantonali, nume tutelare e promotore
di Telefono Amico, e non so quant'altro ancora) comportasse una mole
di lavoro tale da non poter essere svolto, nella realtà dei fatti
e non nella rappresentazione che si può dare di essa, da una persona
sola. Ma la cosa non destò/desta preoccupazione più di tanto al Nostro,
anzi, era/è lui il più convinto, ed è questo il punto a cui voglio
arrivare, assertore del nuovo comandamento che andava/va ancora con
apostolica fede diffondendo ovunque: "non creiamo nulla di nuovo,
utilizziamo quanto già esiste", che tradotto per l'uomo della
strada significa "possiamo fare di tutto e poco importa che lo
facciamo male o che in realtà non lo facciamo affatto, basta che alla
gente, all'opinione pubblica e magari anche al politico, si dica che
lo facciamo e che magari credano anche che lo sappiamo fare bene".
Insomma, il classico specchietto per le allodole.
Tutto si
gioca ormai sulle illusorie rappresentazioni mentali della realtà
che si sanno "stimolare", perché tanto in Ticino la realtà
delle tante disfunzioni, anche nell'ambito dell'intervento sociale,
non la svelerà [quasi] mai nessuno. Che il re è nudo non lo si saprà
mai e con il vento di risparmismo che tira, sempre più forte anche
nel DOS - per cui gli amministratori sono costretti a far credere
che si riesce con sempre meno a fare meglio le stesse cose che si
facevano prima - dovrà inevitabilmente continuare ad indossare vestiti
che non esistono e noi continuare a credere che sia vestito e per
giunta... pure bene.
Il Delegato
divenne, come già anticipato, anche segretario della Commissione Lav
(Commissione permanente di coordinamento della Lav), all'interno della
quale, lo ripeto, sedevano, tra gli altri, Tonella e Pesenti.
Dopo alcuni
incredibili incontri avuti con i funzionari del DOS (Denti, certo
Beltraminelli e Sandrinelli), che attaccarono duramente il progetto
di Centro di pronta accoglienza sulla base di faziose argomentazioni
di natura finanziaria, Martinelli decise per l'avvio di una fase sperimentale
supervisionata dalla Commissione Lav. La scelta di Martinelli fu invero
non facile, proprio perché preceduta ed accompagnata da una serie
di duri attacchi al progetto portati da uno schieramento che andava
piano piano delineandosi con maggior chiarezza. Cominciò a delinearsi
anche quale sarebbe stata la linea di comportamento e forse caratteristica
personologica più importante del Delegato: permanere nell'ambiguità
più totale, affermare una cosa qui e adesso e smentirla poco più in
là, assumere sempre posizioni a geometria variabile a dipendenza dell'interlocutore.
In quei giorni
accadde però il primo di una serie di gravi episodi che spiegano,
in gran parte, il perché si giunge oggi a voler chiudere il Centro
Demetra.
Pesenti si
presentò in televisione, precisamente al Quotidiano. Aveva combinato
con Fabio Dozio, sicuramente sulla base di un pretesto qualsiasi ma
con un subito chiaro intento, un'intervista. I contenuti erano i soliti,
solite le domande e solite le risposte. Aria fritta insomma. Alla
fine dell'intervista ecco spuntare però il vero motivo di quella "combine":
portare un attacco frontale ai promotori del progetto di un Centro
di pronta accoglienza per bambini maltrattati, in sostanza a quelli
di Demetra. Il progetto, fu detto, era inutile e i suoi promotori
erano soltanto dei fanatici che vedevano abusi e maltrattamenti dappertutto.
Questo in pillole ciò che disse all'opinione pubblica ticinese Patrizia
Pesenti. Questo fu quanto affermò colei che andò per anni negli studi
televisivi di Comano e radiofonici di Besso a dire che i maltrattamenti
rilevati dai servizi non rappresentavano altro che la "punta
di un iceberg" e che bisognava impegnarsi per far emergere la
sua parte sommersa.
Per alcuni
fu subito chiaro che ci si trovava di fronte ad una persona confusa
e prevenuta che, sulle basi della propria " ignoranza" in
materia (dubito seriamente che a tutt'oggi abbia letto anche solo
una volta il progetto Demetra; comunque sia in quella trasmissione
si espresse indubbiamente senza alcuna cognizione di causa) e dei
propri pregiudizi, giudicava un progetto di cui non conosceva nulla.
Fu purtroppo anche chiaro che ci si trovasse di fronte ad una persona
molto determinata nel voler perseguire con ostinazione i suoi, allora
comunque non ancora del tutto chiari, scopi.
Per la cronaca,
Demetra chiese la possibilità di una replica a Dozio. Le venne rifiutata
(proposero un minutino di ripresa e, il colmo, per di più registrata).
Soltanto a distanza di anno fu concesso ai suoi rappresentanti di
presentare il progetto Demetra. [ Anche questo è TSI!]
Vi propongo
una serie di spezzoni filmati dell'intervista rilasciata da Pesenti
così che possiate rendervi conto di persona del mucchio di sciocchezze
che andò ad affermare. I filmati sono purtroppo di pessima qualità
e l'audio non è molto meglio, ma si comprende abbastanza bene. Ho
accompagnato i filmati con un'analisi delle affermazioni di Pesenti
che vi pregherei di leggere.
II
Capitolo
Il Centro Demetra
iniziò la sua attività tra mille difficoltà e problemi nel settembre
del 1997. Il progetto elaborato da Demetra (potete
consultarne copia on-line), malgrado fosse il frutto di anni di
esperienze condotte in altri paesi e tenesse conto delle indicazioni
provenienti dalla letteratura scientifica, quindi di ciò che si conosce
a livello scientifico ed empirico sui bambini vittime di violenza, sulle
loro famiglie e sui contesti sociali in cui vivono, malgrado avesse
al suo centro la figura del bambino e la sua sofferenza, fu accolto
soltanto in minima parte. Furono imposte modifiche che finirono per
snaturare gran parte del potenziale innovativo che con esso s'intendeva
portare nell'intervento in favore di questi bambini. Ma del resto, si
diceva in Associazione, si trattava di partire in qualche modo, poi,
una volta consolidata l'esperienza, si sarebbe lavorato per cercare
di avvicinarsi al modello d'intervento proposto nel progetto. I funzionari
del DOS (Denti e Sandrinelli) definirono loro la sede più adeguata per
il Centro Demetra e cioè la Casa S. Felice di Rovio. Gli spazi per il
Centro dovevano essere ritagliati all'interno di questo istituto. La
responsabilità del progetto non era affidata all'associazione promotrice
del progetto ma bensì alla Fondazione Casa S. Felice che del progetto
Demetra non gliene poteva importare di meno. Non mancarono le umiliazioni
per l'ideatrice e responsabile del progetto, sig.ra D'Ottavio-Del Priore,
la quale, secondo i funzionari, avrebbe dovuto subordinare (chissà perché?!)
la sua attività all'autorità del neonominato direttore della S. Felice,
il quale del progetto Demetra e dei problemi legati a quella particolare
casistica non sapeva e conosceva quasi nulla. La collocazione a Rovio
aveva un suo senso d'essere anche perché il Centro Demetra avrebbe dovuto
fungere da salvagente per Casa S. Felice che sarebbe stato altrimenti
chiuso (lo sarà comunque, per decisione del DOS e salvo ripensamenti,
alla fine di agosto 2000).
La collocazione
a Rovio si dimostrò essere veramente una mossa geniale: la sua perifericità
rispetto alle aree più densamente popolate del Cantone convinse diversi
operatori sociali ed autorità civili della sua inadeguatezza a fungere
da centro cantonale di pronta accoglienza.
I funzionari
crearono anche una serie impressionante di problemi per l'assunzione
del personale. Le educatrici furono date col contagocce, assunte nella
misura in cui arrivavano i bambini e sottoposte ad un vero tour de force
lavorativo durante il primo anno di lavoro. Non vennero assunte subito,
ma inizialmente, per diversi mesi, pagate ad ore. Inorridiscano i sindacati,
fu concepito pure l'impiego di un'educatrice su chiamata per cui sopra
un certo numero di bambini veniva impiegata a tempo pieno, sotto quel
numero tornava ad essere disoccupata. Giravano paghe mensili che potevano
arrivare fino a 12.000.-, ho detto dodicimila, franchi al mese a causa
delle ore straordinarie accumulate. La norma era di 8-9 mila franchi
al mese. Il motivo di questo modo di procedere: la quasi certezza che
il Centro non avrebbe avuto successo (ricordatela sempre questa parola,
"successo", è , con "gelosia" ed "invidia",
un elemento chiave delle azioni e della volontà d'invalidazione che
affossarono questo progetto), quindi prudenza nell'assumere personale
che avrebbe potuto rimanere inutilizzato. Domanda facile: con la
massa salariale pagata in quel periodo quante persone avrebbero potuto
lavorare all'interno di un regolare ed umano rapporto di lavoro di 42
ore alla settimana che permettesse i necessari tempi di ricupero delle
energie fisiche e psicologiche del personale educativo?
In verità i
funzionari pregarono e sperarono che i bambini non arrivassero e che
potessero così andare dal loro direttore a dire che l'esperienza era
fallita prima di cominciare. Ma, maledizione, i bambini c'erano e cominciarono
pure ad arrivare. La responsabile si trovò così subito in enormi difficoltà:
gli angusti spazi dovevano essere ancora organizzati, non c'era il personale
e quello che c'era era al primo impiego e da formare (i candidati preparati
e con esperienza non accettavano la precarietà delle condizioni di lavoro
offerte); andava ancora avviata tutta l'opera di contatto e d'informazione
dei vari servizi, delle autorità civili e penali, delle polizie, degli
istituti sociali, opera utile perché si comprendesse che esisteva il
Centro e a cosa serviva questo centro; e c'erano poi anche i bambini
e le loro famiglie, gli operatori coinvolti, gli avvocati delle famiglie
e la consulenza richiesta da questa o da quella scuola …. insomma s'iniziò
a seminare prima ancora di aver arato il terreno e prima ancora di disporre
delle braccia necessarie a coltivarlo.
La responsabile
del Centro, venne ulteriormente umiliata e fatta passare da una classe
di stipendio superiore, precedentemente acquisita, ad una inferiore.
Paradosso dei paradossi: faceva ancora più ore delle sue educatrici
(quelle degli 8-9-12 mila franchi al mese di paga), con un carico di
responsabilità, uno sforzo ed un logorio dei nervi infinitamente superiore
e percepiva la paga di una capo-équipe, per intenderci, quindi, di pochi
franchi superiore a quella prevista dal Regolamento organico cantonale
per un'educatrice.
Con il Centro
iniziò a funzionare, si fa per dire, l'invenzione di Sandrinelli: le
Unità d'Intervento Regionale (UIR). Quattro unità d'intervento composte
da quattro professionisti - un assistente sociale, uno psicologo o psichiatra
per bambini e uno per adulti, un rappresentante dell'Ufficio del tutore
ufficiale, tutti operanti all'interno dei servizi cantonali - per le
quattro regioni del Cantone la cui creazione venne ancorata nel regolamento
di esecuzione della Legge di applicazione e complemento della Lav. Ancora
oggi c'è la più totale confusione/disinformazione ed incertezza circa
il loro mandato, circa le responsabilità, i compiti e le funzioni che
dovrebbero assumere. Non lo dico io, basterebbe chiedere agli operatori
o all'utenza che con esse hanno avuto o avrebbero voluto aver a che
fare. Questa fu una delle tante scelte imposte da Sandrinelli che si
rifanno al principio, prima enunciato, del "non creare nulla e
usare ciò che già c'è". Per chi sa minimamente come funzionano
il servizio sociale e gli altri servizi che di disagio sociale si occupano
è subito evidente l'entità della farsa messa in piedi. Sedici persone
che, oltre ai compiti normalmente assunti (sovente impossibilitati a
svolgere a causa dell'eccessivo carico di lavoro), dovrebbero, e il
condizionale è d'obbligo visto quanto affermato poc'anzi riguardo alla
confusione circa il loro mandato, occuparsi delle segnalazioni di presunti
maltrattamenti (consulenza), su mandato dell'autorità civile degli accertamenti
del caso (indagine psicosociale), della valutazione delle famiglie,
della partecipazione alla costruzione di progetti psicoeducativi riguardanti
i minori vittime di violenza, ecc. Ben inteso: le UIR non si occuperebbero
soltanto di bambini maltrattati, ma bensì di qualsiasi situazione in
cui siano coinvolte delle vittime che abbisognano di un'assistenza di
tipo psicologica e/o sociale, siano esse minorenni o adulte.
Sandrinelli
presentò le UIR forgiando la metafora del 4x4. L'immagine voleva probabilmente
rimandare ad un mezzo solido, robusto, efficiente ed affidabile su cui
contare. Bene, quel 4x4 intravisto da Sandrinelli rappresenta a mio
giudizio un carrozzone con 16 ruote, ognuna o quasi rivolta in una direzione
diversa. Non mancano al loro interno le qualità, le competenze o la
professionalità (ma neppure l'approssimazione e l'improvvisazione),
quello che fa storcere il naso è la fumosità del modello d'intervento
proposto e il collocamento di tanto fumo all'interno di un processo
d'intervento ancor più fumoso e confuso e non da ultimo il numero delle
persone chiamate ad operare. Questo modello terrà, forse, conto dell'organizzazione
dei servizi, delle loro logiche di funzionamento, terrà anche forse
conto del bisogno di risparmiare, terrà sicuramente conto degli scopi
del suo ispiratore, ma è mille miglia lontano dalla natura del problema,
dai reali bisogni dei bambini vittime di violenza e delle loro famiglie,
dalla reale condizione e situazione di queste bambini, mille miglia
lontano dal rappresentare una soluzione accettabile che possa dare l'idea
di una chiara e seria volontà d'intervento di aiuto e di sostegno in
questo ambito da parte dello Stato.
Iniziò così
un braccio di ferro, sotto l'abile regia di Sandrinelli (tra l'altro
oltre ad ispiratore delle UIR è anche loro coordinatore e responsabile)
sulle competenze assunte dal Centro Demetra e su quelle assunte dalle
UIR. La confusione permise alla zizzania di proliferare ovunque vi fossero
persone che tentassero in qualche modo di orientarsi rispetto ai problemi
esistenti (alla lunga ho scoperto che è una "caratteristica"
piuttosto diffusa in questo paese; ma nel caso si sono raggiunti livelli
decisamente preoccupanti) e alle possibili soluzioni applicabili per
risolverli. Sandrinelli non favorì in alcun modo (diciamo così) la possibilità
che tra Demetra, UIR, servizi sociali s'instaurasse un serio canale
di comunicazione e collaborazione; ad esempio, uno dei molti, non accolse
mai l'idea e la proposta che il Centro presenziasse agli incontri delle
UIR. Vien da domandarsi: c'era forse il pericolo che comunicando direttamente
i rispettivi problemi, evitando quindi di farlo per interposta persona,
iniziassero a parlare una lingua comune, in grado di aiutarli a superare
problemi ed eventuali divergenze di vedute, e finissero magari addirittura
a lavorare bene?
Credo comunque
che nessuno abbia mai tirato in giro i membri dell'associazione e del
Centro Demetra come ha fatto questo signore (Pesenti in questo senso
e a onor del vero è stata molto più coerente): se qui e adesso confermava
il suo appoggio al Centro, un attimo dopo, da un'altra parte e con qualcun
d'altro, era capace di far capire l'esatto opposto. Oggi è colui che,
rimangiatosi clamorosamente le poche parole buone espresse in favore
del Centro (erano i giorni in cui il Centro "tirava" alla
grande), in piena armonia con Pesenti, divenuta nel frattempo sua direttrice,
spinge per la "terminazione" ed abbandono del progetto Demetra.
Fu con Denti tra quelli che si opposero con inusuale ottusità e determinazione
a che il Centro di pronta accoglienza si chiamasse Demetra e qui, colto
il senso più deteriore del termine, è il caso di dirlo, si trascese
non solo nel grottesco ma anche nell'infantile.
Nella prima
corrispondenza che intercorse tra Centro Demetra e Dipartimento delle
opere sociali non figurò mai espresso il nome di Centro Demetra. Si
giunse al ridicolo quando si trattò di schematizzare il processo d'intervento
cantonale per le situazioni di maltrattamento: Sandrinelli confinò il
Centro Demetra all'interno di un microscopico punto dello schema, inserito
in maniera vaga all'interno di una serie di punti-opzione, badando bene
di omettere in una prima stesura anche il nome di battesimo del Centro.
In tutte le sue apparizioni in pubblico, è stato sistematicamente constatato,
non fece mai il nome di Demetra, mai spiegò dell'esistenza di questa
struttura e men che meno del progetto di cui si faceva interprete. Tanto
poté l'avversione per un progetto, che malgrado tutto prendeva piede,
faceva parlare di se e raccoglieva la considerazione ed il plauso della
gente e di molti operatori e professionisti dell'ambito sociale e sanitario!
Purtroppo credo,
sempre con il senno di poi, che quelli di Demetra sottovalutarono di
molto la reale natura dell'azione portata avanti dai loro avversari.
Va detto ancora,
giusto per far risaltare l'ulteriore ridicolo con cui si condiscono
talune scelte in questo paese, che al tempo della nascita delle UIR
già operavano in Ticino, o almeno ci provavano, i cosiddetti CAN Team.
Questa fu, sembra, un'invenzione di Tonella che trasportò pari-pari
il modello di quanto esiste da anni negli U.S.A. e in Canada (ma qualcosa
di simile esisteva/esiste anche nei principali ospedali svizzeri) in
Ticino e cioè un équipe di specialisti che nei principali ospedali del
Cantone fossero pronti, 24 ore al giorno per 365 giorni all'anno, ad
intervenire nelle situazioni di bambini picchiati o abusati per i quali
si fosse reso necessario il ricovero.
Ora, quando
Demetra presentò, scritto nero su bianco, il modello d'intervento applicato
presso il CBM di Milano adattato al contesto ticinese, i soliti noti
dissero che "qui non siamo mica a Milano", che in Ticino non
ci può essere il numero di casi trattati in una metropoli di due milioni
di abitanti. Sfuggiva ai "soliti" che il CBM di Milano tratta
i casi di pochi quartieri di Milano e non riesce, malgrado questo, a
soddisfare le richieste di collocamento e che risultava ben più assurda
l'idea di 4 CAN Team, visto che di bambini maltrattati nei pronto soccorso
ne arrivano veramente pochissimi. Quindi avevamo nel cantone ben 32
persone (forse qualcuna in meno perché potevano esserci delle sovrapposizioni
di persone che operavano in entrambe le équipe) che si occupavano del
problema.
Voglio insistere
ad evidenziare ulteriormente il grottesco: provate a raccogliere i numeri
di telefono che in Ticino si occupano di rilevare le segnalazioni o
offrire consulenza per casi concernenti i maltrattamenti, parlo delle
Antenne di TSOS Infanzia, delle 4 UIR, del Telefono Amico (che Sandrinelli
ha voluto si occupasse di raccogliere telefonate inerenti la problematica;
ma non c'era già TSOS Infanzia? perché non sono state utilizzate le
sue strutture e competenze? [come mai gli sono
invece stati tagliati i pochi finanziamenti statali ricevuti tramite
il fondo della lotteria intercantonale?]), di Pro Juventute e
vedrete che giungla. Al bambino maltrattato o all'adulto gli ci vorrebbe
una guida del telefono in formato A3 per orientarvisi.
La Confederazione
ha versato per anni (6 ad essere precisi) centinaia di migliaia di franchi
al Canton Ticino quale incentivo per avviare dei progetti (questo era
lo scopo) nell'ambito delle problematiche inerenti le vittime di violenza.
Sapete cosa ne è stato della maggior parte di quei soldi? Sono rimasti
inutilizzati per anni e questo fatto è evidenziato in un rapporto (2°
rapporto, 1993-1996) commissionato a livello federale per vedere gli
effetti prodotti nei vari Cantoni dall'introduzione della Lav. Il senso
di quel finanziamento, in sé piuttosto modesto, era quello di stimolare
i cantoni a metterci del loro e ad avviare dei loro progetti. Qui in
Ticino si sono pagati per anni soltanto i gettoni di presenza dei membri
della Commissione Lav e poco altro. A onor del vero non so se la Confederazione
mossa a compassione per tanta difficoltà ad imbastire dei progetti non
abbia riportato di anno in anno e messo comunque a disposizione il finanziamento
non consumato. C'è da augurarsi di sì.
Quando, l'appena
laureata D'Ottavio-Del Priore (era il 1994) decise di andare a Milano
per specializzarsi nella casistica dei minori vittime di violenza, si
rivolse alla Commissione Lav per ottenere un finanziamento. La legge
prevedeva e prevede ovviamente anche la possibilità del finanziamento
della formazione in ambiti specifici legati alla problematica delle
vittime di reati. Pareva al privo di pregiudizi Giacinto Colombo (allora
presidente della commissione) che non vi fossero problemi, tant'è che
si sbilanciò ad esprimere, evidentemente solo a parole, un preavviso
sostanzialmente favorevole. La Commissione, dopo complicata procedura,
decise di convocare la richiedente in Commissione per la presentazione
del suo caso. Vi fu un sereno dibattere e per contrasto il totale silenzio
di Pesenti. Stette forse in silenzio perché era arrivata durante gli
ultimi dieci minuti di un incontro durato un'ora? Sembrò proprio di
no! La Commissione si riunì in separata sede e decise di rifiutare il
finanziamento. Si seppe subito dopo che a far la parte del leone in
questa "strana" decisione vi fu proprio Pesenti. I soldi era
meglio lasciarli a Berna piuttosto che darli a una Del Priore, deve
aver pensato (il padre della richiedente, insegnante di storia, ebbe
la sfortuna di avere tra le sue allieve proprio l'On. Pesenti; la sfortuna,
nei panni di una spietata nemesi storica, toccò in seguito ai suoi figli).
Il Centro Demetra,
dicevo, iniziò il suo faticoso percorso (siamo al 1997-1998). Cominciarono
ad arrivare i bambini, s'intessevano rapporti di lavoro, rapporti personali
e la fiducia nel progetto cominciò ad aumentare un po' ovunque. Fu ciclopico
il lavoro svolto, per la sua portata ma soprattutto per le difficili
condizioni in cui fu svolto. Sensibilizzare, informare, formare, una
realtà abituata fino a lì ad operare in un certo modo, penso sia stato
uno degli sforzi più grossi intrapresi dall'Associazione Demetra e dal
Centro. A chiacchiere, in radio, TV o sui giornali, è facile dire che
bisogna portare una nuova cultura dell'infanzia, nella realtà è ben
altra cosa. Non mancarono le resistenze ma in generale fu positiva la
rispondenza di coloro che collaborarono con il Centro. La presenza di
una struttura che si occupasse concretamente del problema di cui si
era andati ad infarcire la testa della gente per anni sembrò avere per
molti una sorta di effetto catartico, in grado di liberare la tensione
e il disagio accumulati per la preoccupazione di un fenomeno descritto
tanto vasto e tanto terribile.
I bambini,
dicevo, iniziarono ad arrivare nel Centro. In circa un anno e mezzo
di reale operatività ne sono arrivati circa una ventina. La struttura
si rivelò immediatamente inadeguata. Le stanze erano state ricavate
separando con dei pannelli due aule scolastiche, lo spazio per il gioco
da due corridoi attigui alle stanze, l'ufficio della responsabile da
uno sgabuzzino per le scope, il tutto molto piccolo e paradossalmente
dispersivo, incredibilmente freddo d'inverno e terribilmente caldo d'estate.
Questo è quanto volle offrire il DOS. La responsabile dovette arrangiarsi
a fare di tutto, dalla responsabile all'addetta alle pubbliche relazioni,
dall'impiegata alla donna delle pulizie, dalla formatrice alla consulente,
dall'educatrice all'amministratrice. Si portò per due anni il lavoro
a casa, le scartoffie burocratico-amministrative e i contatti telefonici
che non riusciva o non poteva evadere presso il Centro. Lavorava durante
il giorno, la sera, spesso la notte, il sabato e la domenica, garantendo
un picchetto 24 ore su 24 per 365 giorni all'anno, quindi anche durante
le rare volte che andava in vacanza. Follia! Doveva lavorare anche a
casa perché durante il giorno lo sgabuzzino-ufficio doveva fungere da
centralino telefonico, da ufficio per le educatrici, da direzione, da
luogo d'incontro delle famiglie o di qualsiasi rappresentante di autorità
o di servizio, da passaggio obbligato per il cesso, uno spazio
(4 x 3 metri) "invaso" da ogni bambino in transito; tutto
insomma meno che un luogo degno in cui poter lavorare. Qualcuno oggi
(gente che ha magari la segretaria, un paio di servilissimi tuttofare
e un ufficio di 150 metri quadri a disposizione) dice che non ha saputo
organizzarsi bene. Malgrado questo, malgrado le vergognose condizioni
in cui è stato costretto ad operare, il Centro Demetra è riuscito a
raccogliere l'apprezzamento della stragrande maggioranza degli enti
ed istituzioni coi quali ha collaborato. Giudicate
voi.
L'implicito
principio del collocamento del Centro Demetra a Rovio, del finanziamento
per l'organizzazione dei suoi spazi interni, dell'attribuzione di unità
lavorative per svolgere il lavoro, definito all'interno di un preciso
mandato dato dal DOS a Demetra, fu questo: dietro il paravento della
scarsezza dei mezzi finanziari a disposizione, fare in modo che il personale
del Centro operasse nelle condizioni più difficili per non dire quasi
impossibili, togliere il massimo potenziale di operatività possibile
e attraverso di esso quote di potere ("potere" è un'altra
parola chiave di cui tener conto) nel più generale contesto della presa
a carico. Ai funzionari del DOS poteva anche andar bene un contenitore
in cui collocare i casi di bambini maltrattati o abusati ma quello che
non volevano era un Centro pensante, competente ed agente sul territorio
col quale dover avere a che fare. E questo penso lo pensassero e lo
pensino tutt'oggi anche alcuni operatori sociali e medicopsicologici
dei servizi statali e non solo. Grave responsabilità di Demetra e della
sua responsabile di aver accettato queste condizioni convinti che per
guadagnarsi la fiducia del DOS bisognasse prima dimostrare di saper
lavorare. Questo fu quanto suggerirono gli allora membri dell'Associazione
poi confluiti nell'omonima fondazione.
Oggi si capisce
bene quali siano stati gli effetti di quell'errore. Peccato che a pagarne
le conseguenze ed in termini decisamente pesanti siano poche persone,
e la vittima prescelta, il capro espiatorio di tutto, l'agnello sacrificale,
colei che deve a quanto pare assumersi tutte le responsabilità, una
soltanto. Il successo ha molti padri, madri, padrini e madrine, parenti
vicini e lontani, ma la sconfitta, mi pare di ricordare, dovrebbe normalmente
restare orfana. In questo caso non si è voluto fosse così. Qualcuno
mi può spiegare come mai?
I problemi
irrisolti si accumularono dando poco spazio e poca lucidità di mente
per affrontare quelli nuovi. Se l'arrivo di ospiti mise in stand-by
i detrattori e gli avversari del Centro, i problemi di gestione iniziarono
a far serpeggiare il nervosismo all'interno dell'Associazione, che ad
onor del vero non poteva godere della necessaria libertà di movimento
per districarsi nell'intricata questione e selva di problemi. Ogni sua
decisione o volontà doveva essere passata al vaglio della Fondazione
Casa S. Felice e ricevere il nulla osta dei funzionari. Si sprecarono,
soltanto per fare un esempio, un numero impressionante di ore, di parole
e di energie per risolvere il problema di una vasca da bagno inizialmente
del tutto mancante presso il Centro.
Ogni richiesta
formulata per garantire il minimo vitale per far funzionare il Centro,
richiedeva discussioni infinite, incontri ad ogni livello. Le educatrici
assunte presso il Centro erano inizialmente molto motivate e sopportarono
abbastanza bene lo stress, anche perché, come ho già detto, ogni fine
mese vedevano comunque premiato bene il loro impegno e sforzo. Ma a
lungo andare gli effetti del logoramento a cui furono sottoposte fu
evidente.
Prendete dei
topolini, metteteli in una gabbietta, rendete penosa la loro convivenza
con ogni sorta di ostacoli e vedrete che dopo un po' di tempo il tasso
di aggressività inizierà a salire e alla fine qualcuno aggredirà qualcun
d'altro e finirà per fargli male. Questa è psicologia elementare che,
strumentalmente, mancò a ai funzionari del DOS.
Bene, a questo
punto debbo affrontare una parte sicuramente tra le più interessanti
della storia al fine di capire cosa è successo in Ticino in questi anni,
cosa si è giocato dietro le quinte del teatrino dell'intervento in favore
dell'infanzia maltrattata.
III
Capitolo
L'opera
di sensibilizzazione portata avanti nell'opinione pubblica, nei servizi
e nelle scuole, iniziò a dare i suoi frutti. Le segnalazioni di bambini
che si trovavano in evidente situazione di pericolo per la loro incolumità
iniziarono a lievitare. Il centro come già detto, dopo i primi mesi
di preparazione della struttura e d'informazione al territorio della
sua esistenza (il DOS ed il Delegato l'avrete già capito se n'è guardarono
bene dal prendere questa iniziativa da parte loro), iniziò a funzionare.
All'inizio un po' lentamente, poi decollò. Dovettero riempire al massimo
un centro che poteva contenere non più di 6 bambini (Denti dixit) arrivando
a punte di presenza di 9-10 bambini. La commissione Lav, all'interno
della quale siedevano rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni
coinvolte nel problema della violenza ai bambini (p. es. SOS Infanzia
ed ASPI), ma nella quale fu rifiutata la presenza di Demetra, aveva
avuto l'incarico di monitorare l'esperienza del Centro e quelli di Demetra
sapevano che l'unica cosa che erano in grado di "monitorare",
malgrado l'On. Martinelli, abituato ad analizzare con rigore ogni dossier,
avesse chiesto ben altro, era il tasso di riempimento della struttura
e che su questo tasso si sarebbe giocata la loro valutazione. Presidente
della Lav venne nominato, malgrado il suo scarso entusiasmo, Padre Callisto
Calderari. Per i contatti con Demetra e per seguire da vicino l'esperienza
venne formata una sottocommissione: Pesenti (ma guarda!), Gacinto Colombo
e l'onnipresente/potente segretario.
Sapevano
molto bene quelli di Demetra che era fondamentale in quei due anni il
numero (ma sarebbe più giusto dire in quel primo anno perché, malgrado
si fosse parlato di due anni di sperimentazione, gli avversari di Demetra
ventilarono la fine dell'esperienza già dopo il primo anno, agosto 1998,
se non fosse arrivato un numero sufficiente di bambini; fu per questo
motivo che le educatrici dopo essere state assunte durante i primi mesi
con un contratto ad ore si videro tramutare quel contratto in un contratto
a termine fino al 31 agosto 1998; si ventilava, qualcuno sperava, la
chiusura del Centro entro tale data) di bambini accolti presso il Centro.
Malgrado Martinelli avesse dato alla Commissione Lav un mandato ben
più articolato ed impegnativo (controllo qualitativo di tutti gli interventi
operati presso il Centro, in sostanza), l'unico criterio che furono
in grado di controllare, per loro stessa ammissione, fu questo. I bambini
collocati al Centro, l'ho già detto, sono stati circa una ventina. Il
riempimento medio è stato di circa dell'80%.
Ma
altrettanti, se non di più, furono i bambini mai arrivati al Centro
Demetra. Ed ecco senza tanti giri di parole i motivi:
-
Alcune
assistenti sociali non li hanno voluti collocare al Centro Demetra.
Altre assistenti sociali, malgrado fossero state sottoposte a pressioni
per non collocare al Centro, restarono invece fedeli al loro senso
etico e alla loro professionalità.
-
Il
servizio sociale e i servizi in genere sono sovente al corrente
da anni di situazioni di gravissimo pregiudizio subite da bambini
ma non procedono ad alcuna misura di protezione. L'alleanza in taluni
casi, di operatori sociali, sanitari, rappresentanti delle autorità,
con gli adulti maltrattanti è ampiamente trattata nella letteratura
scientifica e la credenza della sacralità ed inviolabilità della
famiglia (i figli sono possesso dei propri genitori e la famiglia
è per sua natura buona, sempre) piuttosto diffusa anche in Ticino.
Non è un problema di colpe, è un problema di assunzione di responsabilità,
di etica professionale, di preparazione e di formazione (seriamente
proposta e seriamente svolta). E comunque i recenti fatti (l'interpellanza
Buzzi farà sicuramente scuola) hanno dimostrato quanto precaria
sia la posizione dei servizi quando decidano di rompere un malsano
equilibrio in favore della messa in atto di misure di protezione
per i minori che si trovino in grave situazioni di pregiudizio.
-
La
magistrata dei minorenni, cioè Patrizia Pesenti, è intervenuta in
prima persona per impedire che alcuni bambini maltrattati fossero
allontanati dalle proprie famiglie "rischiando" così di
venir collocati presso il Centro Demetra. Visto che il numero di
bambini accolti era l'unico criterio in base al quale veniva determinata
l'utilità o meno del Centro Demetra, niente di meglio che fargli
mancare l'ossigeno. E poi... "la peggior famiglia è pur sempre
meglio del miglior istituto" (Pesenti). Ora dovrebbe essere
chiaro a tutti cosa intendeva l'On. Pesenti in Gran Consiglio quando,
rispondendo all'interpellanza Buzzi, disse che la procedura di collocamento
del bambino, oggetto dell'interpellanza e presunta vittima di violenze
ad opera di un'altra ospite del Centro, l'aveva seguita molto da
vicino ma che purtroppo, a differenza dell'Italia dove il Magistrato
può intervenire anche nella procedura di allontanamento di un minore,
in questo caso, pur avendo "fatto presente" la sua posizione,
non potè fare più di tanto. Lei non era in Italia ma di fatto agì
come se lo fosse stata!
-
Le
Delegazioni Tutorie sono a conoscenza di innumerevoli casi di maltrattamento
ma per i più disparati motivi non procedono in alcun senso ad adottare
delle misure di protezione. Nel migliore dei casi delegano ai servizi
che a loro volta avviano, se possono, le classiche misure tampone
che non portano assolutamente a nulla.
-
Nella
maggior parte dei casi in cui qualcuno (insegnante, privato cittadino,
conoscente) segnala una situazione di presunto stato di pericolo
o pregiudizio di un minore a causa di una situazione di disagio
familiare, non accade nulla. Anzi vengono sovente denunciate le
gravi difficoltà a cui va incontro il o la segnalante. E sono molte
le segnalazioni avvenute in tutto il Ticino nei due anni di vita
del Centro Demetra.
Questo
cari lettori è quanto è capitato e capita tutt'oggi in Canton Ticino.
Concentriamoci
ora un attimo ancora sull'allora Magistrata dei minorenni P. Pesenti.
Fu
tale lo scontento che la invase per non aver visto condivisa la sua
indicazione dell'inutilità di realizzare un simile progetto e struttura
che cominciò a perdere la misura. Iniziò un'opera di attacco del progetto
Demetra senza eguali e non si fermò di fronte a nulla, men che meno
di fronte alle legittime e reiterate richieste di spiegazione del perché
di tanta avversione. Questo atteggiamento da parte di una persona che
ricopriva una così importante carica istituzionale, quale quella di
giudice dei minorenni, risulta ancora a tutt'oggi inspiegabile ed inspiegato.
Diverse
persone del Ticino-che-conta conoscono o per lo meno sanno bene di questo
e di molti altri fatti, ma hanno sempre prudentemente, e colpevolmente
aggiungo io, taciuto. Il fatto che nessuno sia insorto per ricondurre
la signora Pesenti di fronte alle sue responsabilità e alla gravità
di quanto stava per fare, in questa ed in tante altre vicende di cui
ho sentito soltanto accennare, non ha fatto altro che rimandarle e confermarle
per anni l'immagine di potenza, forse di onnipotenza, che di sè ha coltivato.
Molti ne parlavano e sicuramente ne parlano ancora oggi nei corridoi
e nei salottini-bene del Cantone, ma rigide regole non scritte – regole
che danno contenuto e forma all'ipocrisia di certo perbenismo benpensante
e di certa codardia, presenti purtroppo in maniera importante anche
alle nostre latitudini; regole che in taluni casi alimentano, figlia
della prima, l'ipocrisia delle istituzioni e dei suoi rappresentanti;
regole che danno troppo sovente ingiusta morte alla volontà delle persone
migliori elevando per contro la mediocrità dei peggiori - vietano loro
anche il più semplice atto d'indignazione. Li trafigge come il peggiore
degli abomini l'idea ed il coraggio della denuncia. L'atteggiamento,
generalmente registrato, è quello di una tollerante rassegnazione. E'
la legge non scritta che impera, per cui ai ricchi ed ai potenti si
perdona molto, troppo in alcuni casi, ai poveri cristi si chiede invece
conto di tutto!
Uno
dei problemi di cui si fece carico l'Associazione Demetra fu la raccolta
di fondi per sostenere il Centro nelle attività e nell'acquisto di materiale
che non veniva riconosciuto dal Cantone. Si trattava quindi di andare
a cercare finanziamenti. Una domanda in questo senso fu rivolta ad un'importante
fondazione svizzera tedesca, la Kinder und Gewalt. Membro ticinese del
consiglio era, al momento della richiesta, Tonella (doveva essere il
1997). Si guardò bene dal fare qualcosa per favorirla. Demetra rappresentava
anche per lui un fastidiosissimo concorrente. Gli succedette Pesenti
(com'è piccolo il Ticino). Se Tonella non fece niente (del resto non
scrisse neppure mai nulla del Centro o di Demetra sul suo bollettino,
il bollettino ticinese di ASPI per intenderci. Sollecitato a forza scrisse
dopo tanto tempo le classiche due righe per dire che c'era un centro
di quel tipo in Ticino; nuovamente sollecitato a forza si decise a segnalare
il sito web di Demetra nelle pagine web di ASPI dedicate ai link importanti.
Demetra aveva inserito ASPI il giorno stesso in cui inaugurarono il
loro di sito. Sicuramente dettagli, inezie, ma dicono molto sulla differenza
di stile e di atteggiamento e poi non nascondiamoci dietro falsi paraventi:
è proprio di queste inezie che condiamo la nostra repulsione, invidia,
gelosia, verso i progetti altrui), dicevo, se Tonella non fece nulla,
Pesenti si diede invece molto da fare per "elogiare" di fronte
ai suoi colleghi di fondazione l'esperienza che la Consigliera federale
Ruth Dreifuss considerava e considera ancora un'esperienza pilota in
Svizzera. Pervenuta la richiesta di finanziamento qualcuno della fondazione,
certo signor Rickenbacher, manifestò genuina soddisfazione perché si
trattava, disse, di una richiesta di finanziamento finalmente in linea
con gli intendimenti della Kinder und Gewalt, che si trovava altrimenti
a finanziare progetti che poco avevano a che fare con essi. La risposta
finale, grazie alla preziosa intermediazione di Pesenti, fu la negazione
del finanziamento. Non scrissero, è la prassi, il motivo per cui lo
negavano. Ora lo sapete!
L'associazione
Demetra tentò in tutti i modi di dialogare con Pesenti incontrando però
sempre il classico muro, in questo caso di vero e proprio cemento armato.
Mai una risposta, mai un invito accolto, mai una spiegazione al perché
della sua contrarietà al progetto, solo silenzi e a volte anche molto
imbarazzanti. Furono raccolte a fatica qua è là alcune, a dire il vero
poche, osservazioni fatte da Pesenti. Cose del tipo "non c'è un
numero così elevato di casi da giustificare una struttura specialistica",
"la peggior famiglia è meglio del miglior istituto sociale",
"l'offerta di servizi di questo tipo genera il bisogno" e
altre "perle" di saggezza simili. L'associazione Demetra ha
sempre risposto pazientemente a questa e a tutta una serie di altre
questioni poste da altri interlocutori. Ha scritto centinaia di fogli,
speso milioni di parole in spiegazioni, ripetuto per centinaia di volte
le stesse cose.
Pesenti
da parte sua arrivò a collezionare invece una serie impressionante di
figuracce come quelle in cui fu confrontata di persona con i rappresentanti
di Demetra in sede di Commissione Lav e che la vedevano ogni volta e
puntualmente chiusa in un penoso, quanto triste ed imbarazzante per
tutti, mutismo.
Neppure
le insistenti esortazioni rivolte al vento dall'amico (suo) Callisto
servivano a farle scucire una parola di bocca… e la pazienza si dilatò
in dimensioni inimmaginate ed inimmaginabili. E' incredibile quanto
possa pesare lo status sociale ed il ruolo istituzionale incarnato da
una persona in ordine alla tolleranza e alla pazienza che nei suoi confronti
si può avere!
Martinelli,
i membri dell'associazione (magari qualcuno al suo interno con un po'
più di fatica), si resero comunque conto di aver a che fare con una
persona in difficoltà, incapace di effettuare una lucida ed oggettiva
analisi della realtà e di render conto del perché delle proprie posizioni
e soprattutto delle proprie emozioni.
Restava
comunque il grave fatto che avesse "usato" del suo potere
e del suo ruolo di Magistrato e presunta esperta di bambini maltrattati (così esperta, così legata ed appassionata al tema, che
in 14 anni di magistratura non è stata capace di mettere un solo peluche,
un orsacchiotto, un quadretto simpatico, per rendere meno squallido
l'ambiente in cui normalmente effettuava le audizioni dei bambini, complimenti!)
per impedire che potessero avvenire dei collocamenti presso il Centro.
Lo stesso "uso" del potere che decide oggi della chiusura
del Centro in un contesto di linciaggio morale e professionale delle
persone che vi hanno lavorato.
Questa
cosa fece comunque andare su tutte le furie alcune persone all'interno
dell'Associazione Demetra. Tra loro si fece pian piano strada l'idea
che bisognasse reagire con gli strumenti che la legge offriva perché
la questione fosse risolta. Ipotizzarono, chi timidamente, chi scettico,
chi invece molto deciso, una denuncia al Consiglio della magistratura,
organo superiore deputato al controllo del buon funzionamento della
giustizia (almeno credo). Il gruppo - si badi bene, c'era gente del
mondo politico ed istituzionale ticinese cosiddetta molto importante
- si riunì nell'ufficio di un avvocato per discutere la faccenda e vedere
il da farsi. Come da copione la guerra tra falchi e colombe terminò
con la sconfitta dei primi. Tre le considerazioni che furono espresse
in quella sede: non è opportuno attaccare una così alta carica istituzionale,
potrebbe essere controproducente per il progetto Demetra e poi, malgrado
si sappia che queste cose sono realmente accadute, non abbiamo le prove
per dimostrarle.
Il
"paraculismo", imperante in questo Cantone, per ovvi, ma non
necessariamente condivisibili, motivi di tipo socio-demo-politico-cultural-geografici,
aveva ancora una volta vinto una battaglia. Vi era chi si preoccupava
per la propria immagine o per la propria carriera, chi per il proprio
posto di lavoro, chi per il bene dell'Associazione e del Centro, insomma,
non se ne fece nulla, neppure una miserabile letterina di timida ed
appena accennata protesta.
Un
paio di appunti alle conclusioni dei Nostri sono d'obbligo: il non aver
richiamato al proprio dovere quell'alta carica istituzionale ha permesso
che la sua moralità e professionalità si elevasse a cariche istituzionali
ancor più alte con conseguenze che lascio ora a voi d'immaginare. Le
prove, a parer mio, si raccolgono facendo istituire delle inchieste
e un'inchiesta sull'attività di magistrata della signora Pesenti di
prove sui "difetti" del suo operato ne avrebbe raccolte parecchie
e non sarebbero bastati 1000 Robbiani, Rezzonico, Caffé della domenica
e Gazzette Ticinesi (responsabili di aver gonfiato e gonfiare a tutt'oggi
un involucro vuoto) per rifarle l'immagine che le ha consentito di divenire
Consigliera di Stato e per giunta direttrice del DOS.
Per
comprendere meglio lo stile e la qualità dei rapporti instaurati da
Pesenti nei confronti di Demetra merita di essere raccontato ancora
un episodio che definirei paradigmatico e poi passiamo oltre.
All'inaugurazione
ufficiale del Centro Demetra (ottobre 1997) fu invitata, presente Fondazione
S. Felice e Associazione Demetra, la Commissione Lav in corpore che
per l'occasione decise di fare nella sala delle riunioni della S. Felice
il suo incontro di lavoro. C'era anche Pesenti. Terminati i discorsi
di circostanza fu offerto un aperitivo e quindi furono tutti quanti
invitati a visitare il centro. Pesenti affondò immediatamente l'invito
col pretesto che aveva altro da fare e che doveva andare subito via.
Il Ticino di coloro che contano o che hanno avuto professionalmente
a che fare con questo personaggio sanno e conoscono bene la sua, ormai
divenuta proverbiale, maleducazione: sempre in ritardo alle riunioni
o conferenze, facilmente assente ingiustificata, oppure giustificata
all'ultimo momento. Ma in quell'occasione, a Rovio, superò se stessa.
Tutti gli invitati andarono a visitare il centro; parlarono, risero,
scherzarono, qualcuno apprezzò addirittura il lavoro di preparazione
degli angusti ed infelici spazi di accoglienza. Sandrinelli osservava
attentamente se le "azioni Demetra" stessero salendo o scendendo
per orientarsi circa l'atteggiamento più opportuno da assumere di conseguenza.
Pesenti cosa faceva? Era andata via? No! rimase a chiacchierare appena
fuori l'entrata del Centro. Qualche ingenuo chiese alla responsabile
del Centro di riformularle l'invito a visitare la struttura. Chissà
che tanta gentilezza, fin quasi servilismo, non riuscisse ad attenuare
tanta rigidità. Pare che la risposta che diede fu qualcosa di molto
simile ad un sibilo: "le ho detto di no!". Alla fine della
visita se ne andò insieme a tutti gli altri invitati.
Potrei
andare avanti a raccontarvi ancora molte cose ma credo che l'essenziale
circa gli antefatti della decisione di chiusura del Centro Demetra di
Rovio l'ho detto. Ora mi sembra importante fare un salto temporale per
venire velocemente ai giorni nostri.
Pensavate
di aver ascoltato il peggio? Beh! rassegnatevi, il peggio arriva adesso.
IV
Capitolo
Veloci
verso il presente
Il
Centro Demetra riuscì a lavorare bene fino quasi al termine della sperimentazione.
Questo mise a tacere per circa un anno i vari detrattori, sabotatori
ed avversari dell'esperienza. Sussistevano dei problemi interni al Centro,
dovuti per lo più al fatto che il personale educativo risultava essere
insufficiente e quello operante era messo costantemente sotto pressione,
ma al DOS di questo non poteva fregargliene di meno, e nei rapporti
istituzionali tra il Centro Demetra (Direzione ed équipe educativa)
e i suoi responsabili (Associazione e Fondazione Demetra). Nulla comunque
che potesse in qualche modo prefigurare quanto sarebbe successo dopo
il 18 di aprile. Quasi tutti gli istituti sociali cantonali sopravvivono
ai loro conflitti istituzionali interni ed esterni, ai loro disfunzionamenti,
ai fatti "gravi" che di tanto in tanto accadono. Per Demetra,
malgrado la sua storia e le pessime condizioni entro cui fu collocata
la sua azione, questo "sopravvivere" ha funzionato abbastanza
bene fino ad un certo punto, fino al 18 di aprile 1999 appunto.
Pesenti,
che all'inizio (1996-1997) godeva ancora di un certo prestigio, si vide
pian piano messa da parte (fine 1998 e inizio 1999) e alla fine quasi
del tutto ignorata. La sua opinione contava ormai come il classico due
di picche. Molti dubitavano ormai della possibilità che potesse esprimere
ancora qualcosa di equilibrato e di sensato semmai l'avesse espresso.
Aveva gettato così tanto veleno sul progetto Demetra e su colei che
se ne fece interprete e fornito così poche spiegazioni di tale atteggiamento
(i membri della Lav non dimenticheranno facilmente l'imbarazzo di quei
lunghi silenzi in cui non riusciva a proferire parola di fronte ai rappresentanti
di Demetra che le chiedevano di spiegare la sua posizione rendendosi
disponibili a spiegare e a confrontare la loro) che finì per non essere
più credibile ed in sostanza non fu più ascoltata. Dopo il primo anno
di sperimentazione fu elaborato dalla Lav un rapporto intermedio che
a Pesenti non piacque: e come poteva piacerle visto che dava il proprio
nulla osta a che si continuasse la sperimentazione per un altro anno?
Decise di elaborarne uno suo di minoranza.
Per
evitare una magra figura davanti al Consigliere di Stato la Commissione
accettò di effettuare una serie di modifiche al proprio rapporto. Sandrinelli
rilevò subito o quasi il cambiamento di atmosfera intorno al progetto
e si adeguò di conseguenza assumendo un atteggiamento un po' meno
ostile ed ambiguo. Nulla di straordinario intendiamoci ma sufficiente
per permettere al Centro e all'Associazione di orientare le proprie
energie su attività più importanti, interessanti e produttive. Denti
era praticamente sparito dalla circolazione. Suppongo fosse finito anche
lui ad interessarsi di altro e a non contare più nulla nella gestione
del progetto Demetra.
A
lui subentrò il neo nominato capo divisione Martino Rossi che non si
sbilanciò mai in un pro o in un contro sull'esperienza, assunse invece
un atteggiamento professionale e corretto nei rapporti. S'impegnò a
cercare di capire, a conoscere il progetto e le sue peculiarità, individuando,
dal proprio punto di osservazione, vincoli e risorse in esso presenti.
Un atteggiamento apprezzato da Demetra che finalmente aveva l'impressione
di essere in presenza di un valido interlocutore, disposto al confronto
delle/sulle idee, critico ma anche disponibile ad accogliere gli elementi
più creativi e propositivi qualificanti il progetto. Il suo fu forse
un atteggiamento troppo professionale e troppo oggettivo. Dopo la decisione
della chiusura del Centro per la fine dell'anno (decisione presa da
Pesenti alla fine di agosto!) di lui non si seppe più nulla. Non si
occupò più del Centro Demetra.
Dall'Associazione
prese forma alla fine del 1998 la Fondazione Demetra (siamo in Ticino
e per rendere le cose complicate la gente si fa in quattro a costo di
picchiare anche i piedi per terra e i pugni sul tavolo). Quasi sicuri
che il Centro avrebbe funzionato oltre i due anni di sperimentazione,
sicuri di aver lavorato sodo e bene, così da meritarsi l'affidamento
della struttura, alcuni membri dell'Associazione lasciarono il proprio
posto in seno al Comitato e diedero vita a questo nuovo ente che avrebbe
avuto il compito di gestire il Centro di pronta accoglienza.
Purtroppo
l'imprevisto, l'impensabile ed inimmaginabile accade.
Il
Partito socialista inserì nella lista dei candidati per il Consiglio
di Stato Patrizia Pesenti. Pesenti lasciò il posto di magistrata attribuitole
circa dodici anni prima grazie al più infelice dei criteri di
selezione, quello della lottizzazione partitica, ed iniziò la sua campagna
elettorale. Offrì di sè l'immagine suggeritale dal suo consulente ed
amico, quella cioè di una Pesenti fossilizzata in un improbabile quanto
irrealistico (per chi la conosce minimamente bene) sorriso. Sorrise
e parlò poco, tanto le bastò perché trentacinquemila cittadini le dessero
fiducia eleggendola a Consigliera di Stato. Rivendicò il DOS e glielo
diedero. Come ebbi già modo di scrivere ed affermare nel mio sito web
personale: il nulla divenne tutto.
Rientrò
in gioco Denti. Nessun sforzo per "convertire" Sandrinelli:
come l'ago di una bussola si orienta sempre verso il polo nord così
lui, compiacente, verso il potere. Si conformò immediatamente al "new
deal" dipartimentale ed abbracciò, contento di poterlo finalmente
fare senza falsi pudori e riserve, la linea d'intransigenza e di chiusura
della sua direttrice nei confronti di Demetra. Preparò
con Denti il boccone avvelenato per Demetra.
Iniziarono,
in quella che finì per divenire una delle azioni di "eliminazione
del problema" più confuse e maldestre mai viste, a dire e a far
scrivere che c'erano pochi soldi, che il fenomeno del maltrattamento
si era rivelato essere troppo esiguo, che non si giustificava la presenza
di una struttura specialistica, che le esigenze del Cantone erano mutate,
che però non sarebbero andate perse le competente e l'esperienza acquisite
con Demetra, ecc. ecc.
Verso
la fine di agosto Pesenti affrontò finalmente il dossier Demetra (la
sperimentazione scadeva il 31 agosto) e riunì i suoi funzionari per
annunciare la sua decisione. Pesenti comunicò la chiusura del Centro
Demetra per il 31 dicembre 1999. La notizia arrivò per vie traverse
alle mie orecchie e ne diedi immediatamente comunicazione, in forma
forzatamente anonima (ebbene sì! ho commesso un così grave misfatto,
che ripeterei dieci, cento, mille volte, con un unica variante: firmerei
con il mio nome e cognome), al Corriere del Ticino e alla Regione. I
giornalisti si catapultarono da Pesenti, reduce da una conferenza stampa,
e la interrogarono sulla fondatezza della notizia. Pesenti, presa alla
sprovvista, disse e fece scrivere che non era vero che non era stata
decisa alcuna chiusura. I giornalisti, dopo aver sentito il Presidente
dell'Associazione, Alex Pedrazzini, che forse più per esorcizzare il
timore che per vera convinzione si disse convinto della possibilità
di un futuro per il Centro e fiducioso nella Consigliera, pubblicarono
un paio di articoletti all'acqua di rose. Pesenti e compagnia bella
vennero a sapere per la prima volta che c'era in giro qualcuno che stava
scrivendo un memoriale sulla vicenda Demetra e che ciò che stava scrivendo
li avrebbe riguardati da molto vicino.
La
situazione del Centro si fece progressivamente più confusa. L'équipe
educativa ricevette disdetta dei contratti di lavoro dalla S. Felice
(formalmente loro datore di lavoro) che a sua volta aveva saputo dell'intenzione
di chiudere per fine giugno, poi fine agosto, 2000 l'istituto. L'équipe
lavorò da fine agosto fino alla fine di settembre senza datore di lavoro,
senza contratti, senza copertura assicurativa (RC) e senza sapere cosa
sarebbe accaduto.
Fondazione
Demetra e Associazione Demetra indirono una conferenza stampa per presentare
il rapporto di autovalutazione redatto durante il mese di giugno. Accuratamente
omesso anche soltanto il minimo accenno alla mostruosa selva di difficoltà
incontrate e procurate, risultò essere la descrizione di un idillio,
tutto bello, tutto positivo e i giornalisti altro non poterono che bere
anche questa. Intanto in Dipartimento stavano pensando al da farsi,
in Fondazione Demetra cresceva il nervosismo e l'équipe educativa del
Centro Demetra si disfaceva.
In
settembre, dopo la conferenza stampa di Demetra, ci fu un incontro tra
rappresentanti di Demetra e Consigliera di Stato (il primo e l'ultimo
concesso da Pesenti). Al termine della riunione uscirono tutti sorridenti
e soddisfatti e i giornalisti, cogliendo quella generale soddisfazione,
titolarono il giorno seguente che tra DOS e Demetra era tornato il sereno
e che insieme avrebbero lavorato ad un nuovo progetto di struttura di
pronta accoglienza che avrebbe tenuto conto di una serie di altre esigenze
manifestate dalla Commissione Lav nel suo rapporto (ma ci vuole un bel
coraggio a chiamarlo "rapporto") e dal DOS stesso. In realtà
non c'era proprio nulla di cui essere contenti. L'accordo trovato non
presentava alcun elemento di novità rispetto a quanto già deciso in
precedenza, cioè in sostanza la chiusura del Centro Demetra. Demetra
sarebbe risultata essere poi uno dei molti enti coinvolti in sede di
riflessione sul nuovo progetto, progetto che veniva elaborato a livello
dipartimentale (veterostatalismo verticista di ritorno). L'unica concessione,
già annunciata in precedenza, era lo slittamento della chiusura al 30
giugno 2000 (l'ennesima menzogna).
Bruno
Costantini, del Giornale del Popolo, riprendeva in un suo articolo il
fatto che la Consigliera di Stato aveva ricevuto minacce e insulti per
via anonima, verosimilmente da un personaggio vicino a Demetra allontanato
tempo prima dai responsabili di Demetra stessa. Non so se sia stata
fantasia del giornalista o bugia raccontata per opportunità dai responsabili
di Demetra, sta di fatto che in realtà, ci tengo a dirlo perché molti
pensavano a me, nessuno è mai stato allontanato dall'Associazione Demetra.
In diversi se ne sono andati, ma per loro volontà e tra questi c'ero
anch'io che per oltre due anni fui segretario e membro di Comitato
dell'Associazione. Inoltre Pesenti non ha mai ricevuto minacce o insulti
e tanto meno minacce all'incolumità fisica sua e di sua figlia, come
avrebbe detto invece lei ai responsabili di Demetra in quell'occasione
d'incontro. A quest'ultimo riguardo v'invito a consultare
il testo integrale che inviai a Pesenti.
Alex
Pedrazzini affermava, mi auguro in buona fede o per lo meno anche lui
solo per opportunità dettata dalle circostanze, che quanto fatto da
questo personaggio non era onorevole. Bene, caro Alex, ti assicuro che
il mio onore è integro e salvo e sarei disposto a presentarmi oggi di
fronte a qualsiasi tribunale, umano o divino che dir si voglia, per
esserne giudicato. Non so se potrebbero però dire altrettanto alcuni
dei personaggi coinvolti in questa vicenda e siccome non ho il vezzo
della manichea divisione del mondo in buoni e cattivi con quel "personaggi",
sia ben inteso, non mi riferisco soltanto a coloro che avversarono il
progetto Demetra.
Insomma,
il DOS e in particolar modo la sua direttrice pensavano che con un paio
di telefonate, un incontro e una lettera, qualche silenzio e qualche
mezza verità, il tutto gestito in maniera dilettantesca, confusa (e
la confusione generata dagli articoli di giornali in molti lettori testimonia
bene della confusione dipartimentale) e oserei dire stucchevole, fossero
sufficienti a "terminare" l'esperienza del Centro Demetra.
Purtroppo si sbagliarono e si sbagliano ancora di grosso.
Comunque,
per non smentire la propria fama, a distanza di pochi giorni da questa
trionfale quanto effimera ripresa dell'idillio tra DOS e Demetra ecco
riproposta l'intenzione iniziale di Pesenti che "ufficializzò"
(vedremo in che forma) la chiusura del Centro Demetra per il 31.12.1999.
Quindi,
riassumendo, voleva chiuderlo a fine 1999, messa in difficoltà, ha s-mentito
di fronte ai giornalisti, ha deciso per una chiusura al 30 di giugno
dell'anno 2000 e quando si sono calmate un po' le acque sui giornali
ha riproposto la chiusura per la fine del 1999. Pensino quello che vogliono
i rappresentanti di Demetra, ma a me pare che siano stati presi in giro
molto bene.
Solo
un accenno ad un particolare di questo dietro front: Pesenti assicurò
a Pedrazzini (Associazione Demetra) e Broggi (Fondazione Demetra), preoccupati
per le conseguenze che avrebbe avuto il contrasto sorto tra DOS e Demetra
sull'immagine del Centro e sulla possibilità di accogliere ancora bambini,
che avrebbe dato disposizione a Sandrinelli perché scrivesse una lettera
ai servizi preposti (assistenza sociale, UIR, servizi medicopsicologici,
ecc.) per segnalare la regolare continuazione dell'attività del Centro
Demetra fino a fine giugno 2000 e quindi la possibilità di continuare
a collocarvi i bambini maltrattati. Nella realtà non diede mai questa
disposizione e Sandrinelli si guardò bene dallo scrivere una simile
cosa. Domanda puramente retorica: come mai?
Perfino
i suoi funzionari (quelli onesti) si accorsero che c'erano cose che
non quadravano in tutta la faccenda. Un esempio sopra tutti la presenza
nel preventivo 2000 di una voce dedicata al finanziamento del Centro
Demetra. Questa voce venne stralciata, prima della presentazione del
preventivo, all'insaputa dello stesso funzionario responsabile della
dossier Demetra che si trovò quindi un preventivo diverso da quello
precedentemente discusso. Fu questo il modo in cui si seppe che il Centro
Demetra di Rovio avrebbe chiuso il 30.12.1999 e questo indicò in maniera
chiara che, rispetto alla decisione presa a fine agosto, l'On Pesenti
non cambiò in realtà mai idea.
Al
Centro Demetra, con l'estate, di bambini da collocare non ne arrivarono
più, eccezion fatta per uno probabilmente sfuggito alla "rete di
controllo".
Quando
le cose vanno bene, si sa e lo ripeto, sono tutti pronti a saltare sul
carro dei vincenti, quando invece vanno male… sapete forse quanto e
meglio di me come va a finire.
Con
fine agosto 1999 non venne più rinnovato, per gravi motivi professionali
, il contratto di lavoro con il Centro Demetra ad un'educatrice. Malconsigliata
da qualcuno, cosciente del ruolo negativo avuto dalla neo-eletta Consigliera
di Stato nel decorso dell'esperienza del Centro, decise di rivolgersi
personalmente a lei per denunciare tutta una serie di torti di cui si
sentiva vittima. Chiese un appuntamento e guarda caso lo ottenne. Presentò
a Pesenti la situazione del Centro Demetra sparando a zero verso colei
che, più di altri (Fondazione Demetra), era a suo giudizio responsabile
del non rinnovo del suo contratto. Pesenti prese attentamente nota di
tutto quanto le veniva riferito e ne fece "tesoro" prezioso.
In sostanza utilizzò le informazioni di una delatrice, ottenute all'interno
di incontro che nessun capo dipartimento si sarebbe forse mai
sognato di accettare, per "raffinare" la propria azione di
"terminazione" del Centro Demetra.
Sappiano
ora tutte le strutture del Cantone quello che potrà succedere loro se
un dipendente scontento si dovesse rivolgere in questi anni al DOS.
Auguro loro di non avere qualche contenzioso aperto con l'On. Pesenti.
Credo di poter affermare che la Consigliera di Stato abbia inaugurato
con questa vicenda un nuovo stile nell'impostare i rapporti istituzionali
con le strutture a lei subordinate. Auguri quindi!
Questo
fatto diede inizio verso la fine di agosto ad una serie d'intricatissime
vicende che videro coinvolti il Centro Demetra, la sua équipe educativa,
la Fondazione e l'Associazione Demetra, il DOS. Per farla in breve,
anche se sarebbe una storia interessante da raccontare, Demetra, in
ogni sua espressione, di fronte alla prospettiva della sua "terminazione",
fece la manzoniana e poco dignitosa fine dei famosi polli di Renzo.
I momenti di difficoltà riescono in taluni casi ad esaltare le qualità
dell'individuo in altri a far esprimere la sua parte peggiore. Non mi
spingo oltre. Dedico a Demetra (Fondazione e Centro in particolare)
soltanto una vignetta che penso dica di più e meglio
di quanto non potrebbero dire mille parole.

Ora,
la prospettiva segnata dal nuovo corso impresso da Pesenti e collaboratori
al sociale ticinese non prevede più un Centro ed un processo d'intervento
specialistico per minori vittime di violenza in famiglia. L'emergenza
maltrattamenti è finita: Pesenti è Consigliera di Stato, Sandrinelli
continua ad essere, forse a fare, il Delegato e tante altre cose, Demetra
è stata "terminata", l'ostinata e scomoda Daniela D'Ottavio-Del
Priore ha avuto ciò che si meritava e qualche giuda penso stia ancora
aspettando la sua ricompensa (son solo curioso di vedere quanto valgano
oggi i trenta denari), mi auguro resti deluso.
Tutto
si è risolto nel migliore dei modi. Ora si torna a costruire illusioni,
rappresentazioni mentali, e si lascia nuovamente e comodamente inalterata
la realtà. Si va in televisione e alla radio a far credere all'opinione
pubblica che in Ticino "si sono fatti e si continuano a fare passi
da giganti". Avanti con la prevenzione, avanti con la punta dell'iceberg,
avanti con i bla-bla.
Questa
storiaccia avrebbe potuto terminare tranquillamente a questo punto.
Pensavo di aver visto abbastanza ed invece il peggio, il liquame più
putrido e nauseante doveva ancora essere sparso.
V
Capitolo
Questi
sono i fatti degli ultimi giorni: una famiglia, cui era stato tolto
il figlio a causa dei gravi maltrattamenti subiti, si rivolge al deputato
leghista Paolo Buzzi che in parlamento fa un interpellanza al governo
riprendendo una serie di deliranti menzogne e calunnie, suggeritegli
dalla famiglia stessa, contro l'operato del Centro Demetra e indirettamente
della sua responsabile e della sua équipe educativa. Per chi non lo
sapesse ancora sappia che il padre del bambino che ha contattato l'On.
Buzzi altri non era che un deputato della Lega dei ticinesi a
livello di Consiglio comunale. Capito?
cliccate
qui per consultare l'interpellanza dell'On. Buzzi
cliccate
qui per ascoltare on-line la risposta dell'On. Pesenti all'interpellanza
cliccate
qui per scaricare il file audio della risposta dell'On Pesenti all'interpellanza
Guarda
caso questa famiglia si era già rivolta all'allora Magistrata dei Minorenni
per segnalare il suo malcontento per la decisione, presa dalla Delegazione
tutoria del paese in cui viveva, di togliere loro il figlio. Non dirò
molto di questa vicenda. Dirò soltanto che anche questa come altre è
stata strumentalizzata (ma ce n'era ancora bisogno?), a dire il vero
un po' malamente, per far fuori il Centro Demetra. Un esempio? L'On.
Pesenti si è sentita in obbligo di rispondere immediatamente il giorno
dopo l'interpellanza, senza aver raccolto alcuna informazione presso
gli altri dipartimenti coinvolti dall'interpellanza (DIC e Interno),
senza aver preso contatto con la direzione del Centro per avere ragguagli
(la signora Pesenti ha sempre evitato come il fuoco i contatti con Demetra,
sia essa Centro, Associazione o Fondazione), senza considerare le implicazioni
giuridiche delle decisioni che andava ad annunciare, senza considerare
le conseguenze del mucchio di sciocchezze che avrebbe detto in parlamento
e ai media. Purtroppo, accecata da ormai troppi anni di odio, rancore
e rabbia, non riesce proprio più a gestire nulla con un minimo di ordine
e di coerenza.
Incredibile
è in questa vicenda la posizione della Commissione Lav che ha monitorato
(si fa per dire) tutta l'esperienza del Centro Demetra. Ha cancellato
con un colpo di spugna due anni di sforzi e di lavoro condotto, malgrado
tutto, con serietà e professionalità appoggiando la decisione del DOS
di una chiusura anticipata del Centro Demetra quale gesto di sfiducia
nei confronti del Centro in rapporto ai fatti contenuti nell'interpellanza.
Come l'On. Buzzi anche i membri della Lav: hanno emesso una sentenza
di condanna sulla base delle calunnie di un padre che aveva tutto l'interesse
di calunniare e lo hanno fatto senza che una qualsiasi inchiesta avesse
appurato la verità dei fatti. Semplicemente vergognoso!
Con
questa storia la difesa dei minori vittime di maltrattamenti in famiglia
subisce un processo involutivo terribile. Se già oggi è difficilissimo
che le segnalazioni di maltrattamenti o abusi sessuali riescano ad avere
un seguito - e lo sanno i non pochi insegnanti e singoli cittadini
che quando hanno denunciato una di queste situazioni si sono visti mettere
immediatamente sul banco degli imputati passando immediatamente dalla
posizione di chi aveva dovuto farsi coraggio per assumere le proprie
responsabilità a quella di chi strammalediva il momento in cui gli era
venuto in mente d'impicciarsi degli affari degli altri - adesso sarà
quasi impossibile. Quale membro di delegazione tutoria, quale insegnante,
quale cittadino, quale operatore sociale, avrà d'ora in avanti il coraggio
di mettersi contro una famiglia (con i suoi parenti, i suoi amici, i
suoi referenti politici, ecc.) per proteggere e salvare un bambino o
una bambina dalla violenza che in essa si consuma?
On.
Pesenti, si assuma anche questa di responsabilità e con lei l'assumano
tutti quei rappresentanti istituzionali che hanno fatto, fanno e faranno
silenzio, abdicando alle proprie responsabilità, rinunciando all'azione
che segna il progresso morale e civile di un paese, per nascondere dietro
un muro di omertà la desolazione di cui si fanno implicitamente complici
e garanti! Lei e coloro che si sono prestati a queste strumentalizzazioni
avete inviato un pessimo messaggio alle famiglie dei bambini che hanno
trovato in Demetra un rifugio, una possibilità di salvezza. Facile ora
pensare come faranno a gara per dire che "ecco noi non centravamo
niente, gliele hanno insegnate lì certe cose!" Un brutto messaggio
perché toglierà anche a loro l'opportunità di farsi aiutare per guarire
dalla violenza che le pervade, di capire, di riconquistare in maniera
sana la propria funzione genitoriale.
Pubblico
di seguito il testo dell'interpellanza virtuale pubblicata il 10 novembre
u.s. nel mio sito web personale. Contengono una serie di domande a cui
credo si dovrà dare, prima o poi, risposta:
- "L'On.
Buzzi (Lega dei ticinesi) ha presentato in data 7 novembre un'interpellanza
in merito a presunti fatti accaduti presso il Centro Demetra di
Rovio. Pubblico l'interpellanza
così che tutti possano saggiare e valutare da sé i fatti cui fanno
riferimenti i suoi contenuti. A questa interpellanza l'On. Pesenti
ha risposto in termini che hanno soddisfatto l'interpellante: avvio
di un'inchiesta amministrativa e chiusura anticipata, rispetto alla
data del 30 giugno 2000, del Centro Demetra. Oggi leggo sui tre
quotidiani la presa di posizione della Commissione Lav che appoggia,
alla luce degli ultimi fatti, la decisione dei funzionari del DOS
e della loro direttrice di chiudere il Centro entro la fine
di dicembre 1999. Leggo anche che l'avvio dell'inchiesta amministrativa
annunciata l'altro ieri da Pesenti in Gran Consiglio è incerto a
causa di non bene precisati problemi di natura giuridica.
A
questo punto vorrei formulare io un'interpellanza, anche se soltanto
a carattere virtuale, ma nella speranza che magari qualche volonteroso
parlamentare se ne voglia fare interprete:
Interpellanza
virtuale di Bruno D'Ottavio al Consiglio di Stato ticinese
-
Perché
a distanza di due giorni dall'annuncio dell'On. Pesenti dell'avvio
di un'inchiesta amministrativa per appurare i fatti contenuti nell'interpellanza
dell'On. Buzzi viene messa in dubbio la possibilità che una tale
inchiesta venga avviata per motivi di tipo giuridico?
-
L'On.
Pesenti, prima di dare annuncio di tale decisione, perché non ha
valutato (ricordo che lei stessa è avvocato) le implicazioni di
natura giuridica di una simile decisione?
-
L'On.
Pesenti e alcuni funzionari del Dipartimento delle opere sociali
era già da tempo a conoscenza del fatto che qualcuno (il padre del
bambino in questione) andasse dichiarando quanto fatto poi confluire
nell'interpellanza dell'On. Buzzi. Perché l'On. Pesenti o i suoi
funzionari non avvertirono la Fondazione e la Direzione del Centro
Demetra di quanto vennero informati?
-
Perché
non avviarono subito un'inchiesta amministrativa e perché, essendo
venuti a conoscenza di un'ipotesi di reato, non segnalarono immediatamente
la cosa all'autorità penale, procura pubblica e Magistratura dei
Minorenni?
-
Perché
hanno atteso che la questione venisse affrontata in sede parlamentare
e assumesse così carattere pubblico?
-
Perché
l'On Pesenti decise alla fine di agosto in una riunione con i propri
funzionari che si sarebbe dovuto procedere alla chiusura del Centro
Demetra di Rovio entro la fine di quest'anno prima ancora di aver
preso coscienza dei contenuti di una serie di rapporti forniti da
enti diversi?
-
Perché,
interpellata dai giornalisti, che le chiedevano chiarimenti in tal
senso, rispose che non era vero e che non aveva deciso alcuna chiusura?
-
Perché
decise, in seguito ai colloqui avuti con i rappresentanti della
Fondazione e dell'Associazione Demetra, per una chiusura del Centro
per il 30 giugno 2000, dando tempo ai suoi funzionari di elaborare
un nuovo progetto che integrasse esperienza e competenze accumulate
con il Centro Demetra?
-
Perché
realizzare un nuovo e diverso progetto rispetto a quello rappresentato
dal Centro Demetra?
-
Perché,
malgrado gli accordi presi con Demetra e diversamente da quanto
annunciato anche ai media, venne in seguito stralciato dal preventivo
del DOS per l'anno 2000, con sorpresa stessa di alcuni funzionari,
la voce riguardante il finanziamento del Centro Demetra, indicando
quindi nuovamente quanto deciso a fine agosto e cioè la chiusura
del Centro Demetra per il 31.12.1999?
-
Perché
adesso si annuncia ufficialmente, al Parlamento e all'opinione pubblica
ticinese ma non a Demetra, la chiusura del Centro mettendola in
relazione agli ipotetici fatti contenuti nell'interpellanza
parlamentare?
-
Riassumendo:
prima si voleva chiudere il Centro Demetra alla fine del 1999 senza
neppure considerare l'esito della sperimentazione, poi lo si voleva
chiudere alla fine di giugno 2000 per integrarlo nel frattempo in
un progetto più ampio (si parlava di allargamento della fascia d'età
di accoglienza e della casistica) e si è scritto che il Ticino non
necessita di una struttura specialistica perché "fortunatamente"
i casi di maltrattamento rappresentano un numero esiguo, poi si
è stralciata la sua voce contabile dal preventivo 2000, per cui
risultava implicita la chiusura al 31.12.1999, adesso si annuncia
la sua chiusura al mondo intero in relazione ai fatti, tutti da
provare, contenuti nell'interpellanza di Buzzi. Domanda retorica:
si può sapere il motivo di tanta confusione e, se sì, si può sapere
il motivo esatto per cui si è deciso di affossare il progetto Demetra?
-
Tornando
alla questione dell'interpellanza, perché l'On. Pesenti risponde
il giorno dopo la presentazione dell'interpellanza senza aver preventivamente
preso alcun contatto con il Centro Demetra, senza aver quindi raccolto
alcuna informazione presso la sua direzione?
-
Perché
l'On. Pesenti dichiara la presunzione dei fatti e poi annuncia la
prematura chiusura del Centro Demetra, prima ancora che qualsiasi
inchiesta abbia prodotto dei risultati?
-
Perché
la Commissione Lav, che ha monitorato l'esperienza durante i due
anni di sperimentazione del Centro Demetra, sente il bisogno di
appoggiare la decisione dell'On. Pesenti e dei funzionari del DOS
e non attende invece che l'inchiesta annunciata, che non si può
fare, abbia fatto piena luce sulla vicenda?
-
Come
mai viene data così tanta rilevanza ed importanza, quasi un'implicita
autentificazione, a quanto denunciato da un padre a cui l'autorità
civile e i servizi sociali preposti avevano tolto il figlio perché
vittima di gravi maltrattamenti (al Centro Demetra arrivano soltanto
minori accompagnati da un decreto di autorità che dichiari il loro
stato di grave maltrattamento) e che ha presumibilmente tutto
l'interesse, per difendere la propria immagine pubblica di persona
onorata e rispettabile, a coprire le proprie responsabilità inquinando
la realtà dei fatti con la strumentalizzazione e la calunnia?
-
E'
vero che il Delegato ai problemi delle vittime di violenza era da
tempo a conoscenza delle accuse mosse dalla famiglia cui si fa riferimento
nell'interpellanza di Buzzi per cui riferì al responsabile della
struttura in cui si troverebbe uno dei bambini sospettati delle
violenze sessuali di fare attenzione al comportamento sessuale del
bambino?
-
Perché
il Delegato non avvertì i responsabili di Demetra?
-
Perché
il Delegato non segnalò la questione, che contempla un'ipotesi di
reato, alla Magistratura dei Minorenni ticinese o a quella del nuovo
luogo di residenza della presunta vittima?
-
Perché
il Delegato da implicitamente credibilità all'idea che al Centro
Demetra di Rovio si siano potute consumare delle violenze sessuali
tra bambini e non promuove invece un'indagine che possa fare chiarezza?
-
Come
mai questa storia viene fuori a distanza di molti mesi dalla dimissione
del bambino dal Centro e nel momento in cui si deve definire se
chiudere o meno il Centro Demetra?
-
E'
vero che l'On. Pesenti ha sempre osteggiato l'idea della creazione
di un Centro specialistico di pronta accoglienza per bambini che
abbiano subito maltrattamenti familiari?
-
E'
vero che quando venne avviata la struttura del Centro Demetra si
adoperò in tutti i modi per ostacolarne l'attività ed invalidarne
l'esperienza sfruttando la posizione di privilegio e di potere derivanti
dalla propria funzione di Magistrata dei Minorenni?
-
E'
vero che ha strumentalizzato ogni difficoltà interna ed esterna
di un Centro che muoveva i suoi primi passi in circostanze ambientali
non proprio favorevoli - come del resto capita ad ogni esperienza
innovativa rispetto ad uno stato ed un equilibrio di rapporti istituzionali
caratterizzati dalla conservazione di poteri, competenze, ambiti
d'influenza, metodi di lavoro, ecc. - per perseguire il fine della
sua "terminazione"?
-
E'
vero che a quest'azione non furono neppure estranei alcuni funzionari
del Dipartimento delle opere sociali e, a partire dalla fine di
agosto, anche alcune educatrici del Centro Demetra sollecitate da
lei a redigere un rapporto contro l'esperienza del Centro Demetra
e contro l'operato della sua responsabile?
-
E'
vero che l'On. Pesenti avrebbe sempre manifestato, per futili motivi
personali, che nulla hanno a che fare con la questione Demetra,
ostilità nei confronti della Direttrice del Centro Demetra, arrivando
ad attribuirle, in sede pubblica e privata ed in maniera neppure
troppo velata, atteggiamenti di fanatismo?
-
Perché
l'On. Pesenti insiste a definire come fanatismo l'impegno, la dedizione
e la competenza professionale di una persona come la direttrice
del Centro Demetra?
-
Come
definirebbe l'On. Pesenti l'accanimento e l'ostilità, non solo sua,
di cui sono stati fatti bersaglio il Centro Demetra e la sua responsabile,
rea quest'ultima di aver portato avanti con determinazione un progetto
da lei osteggiato?
-
E'
vero che l'On. Pesenti e alcuni funzionari del DOS, preposti a prendere
decisioni sul futuro del Centro Demetra, non hanno mai letto e quindi
non conoscono il progetto ed il metodo di lavoro elaborato a suo
tempo dall'Associazione Demetra?
-
E'
vero che nell'ottobre del 1996 l'On. Pesenti, allora Magistrata
dei Minorenni e considerata a livello ticinese uno dei massimi esperti
di maltrattamento all'infanzia, combinò un'intervista televisiva
al Quotidiano nel quale affossò l'idea della realizzazione del Centro
di pronta accoglienza previsto nel progetto elaborato dall'Associazione
Demetra, relativizzò il numero dei minori vittime di violenza domestica,
dopo aver predicato per anni la necessità di far emergere la punta
dell'iceberg, diede dei fanatici ai suoi promotori e tutto questo
senza aver letto una sola riga del progetto Demetra, tanto che finì
ad equivocare e a fare confusione tra il problema della pedofilia
e quello dell'incesto?
-
E'
vero che uno degli alti funzionari del DOS coinvolto nella decisione
di chiusura del Centro Demetra ha dimostrato, in occasione di un
recente incontro con i responsabili di Demetra, di non essere neppure
informato della casistica di cui il Centro Demetra si doveva occupare,
stigmatizzando il fatto che non tutti i bambini arrivati al Centro
erano vittime di abusi sessuali?
- Se anche solo
parte di questo fosse vero è ancora pensabile che il progetto Demetra
possa godere di quella serenità di valutazione e di giudizio necessaria
quando si sia chiamati a considerare l'operato svolto e a definire
la sua evoluzione futura?
- Se anche solo
parte di questo fosse vero è pensabile che la riflessione in atto
sulla presa a carico dei bambini vittime di violenza domestica possa
svolgersi seriamente e sulla base di elementi oggettivi che non escludano
pregiudizievolmente soluzioni quali il mantenimento di una struttura
specialistica che si occupi dei bambini vittime di gravi maltrattamenti
in famiglia?
- L'esito di questa
e molte altre vicende che effetto avrà sulla protezione e cura di
questi bambini? In termini più espliciti: se già oggi esistono molte
resistenze e difficoltà a che un minore vittima di maltrattamenti
venga allontanato dalla famiglia, come agiranno d'ora in avanti i
servizi sociali, le delegazioni tutorie, gli operatori delle Unità
d'intervento regionale, avendo avuto esempio di cosa potrebbe accadere,
anche a loro, se un genitore influente decidesse di reagire con manipolazioni,
strumentalizzazioni, calunnie, ad una loro decisione che abbia previsto
l'allontanamento dalla famiglia del/la figlio/a?
- Dato che sono
stati proposti strani quanto improbabili paralleli tra la recente
vicenda del piccolo Raoul ed il contenuto nell'interpellanza dell'On.
Buzzi (cfr. intervista a Pesenti fatta da Rete 1 della RTSI il 9.11.1999)
ne propongo uno un po' più corretto e calzante. Non pensa il lodevole
Consiglio di Stato che anche in Ticino stia avvenendo quanto capita
negli Stati Uniti, che vengano cioè demonizzati e pesantemente sanzionati
quelli che potrebbero essere nella realtà dei semplici giochi sessuali
tra coetanei, con l'aggravante però che tale demonizzazione sembra
ubbidisca da noi a fini che con l'intento della protezione dell'infanzia
non hanno nulla a che fare? O si vuol forse dire che nella famiglia
del signor X e al Centro Demetra i bambini non possano e non debbano
avere alcuna curiosità sessuale nei confronti dei loro coetanei? Non
è che nella realtà l'atteggiamento assunto dai vari attori di questa
vicenda corrisponda ad una delle mille sfaccettature di certo perbenismo
moralista che vorrebbe gli istituti educativi (famiglia compresa)
conformi ad un ordine morale ed istituzionale esistente soltanto nelle
loro teste? E se le cose stessero così perché questo perbenismo moralista
si manifesta come i classici due pesi e due misure per cui se queste
cose accadono al Centro Demetra si grida all'inchiesta amministrativa
(che non può essere fatta) e se accadono invece altrove (e accadono
perché è nella logica delle cose) si relativizza, com'è giusto che
sia, e si collocano i fatti in un corretto ordine di cose, d'idee
e di principi?
- E' al corrente
il lodevole Consiglio di Stato che ovunque, nelle loro famiglie, nella
mia, nelle famiglie di tutto il mondo, in tutti gli istituti sociali
e anche al Centro Demetra, sono avvenuti, avvengono e avverranno episodi
di curiosità sessuale, si sono consumati, si consumano e si consumeranno,
nelle forme più spontanee e naturali, esperienze sessuali connaturali
e connaturate all'età dei bambini che li vivono?
- Ritiene possibile
il lodevole Consiglio di Stato che un bambino di nove anni possa essere
vittima di violenza sessuale, di "rapporti completi e ripetuti"
da parte di una bambina di sette anni e di una bambina di undici?
- Perché l'On.
Pesenti strumentalizza questa vicenda per mettere anche in dubbio
la "concentrazione" in un'unica struttura di bambini che
abbiano subito maltrattamenti ("ghettizzare dei bambini"
diceva nell'intervista citata del 1996 - anche se oggi dice che non
si può parlare di ghetto [ma si decida poi a mantenere un minimo di
coerenza!] - e lo considerava una violenza altrettanto e forse più
grave di quella subita in famiglia), quando sappiamo benissimo che
il comportamento di questi bambini non si modifica in ragione del
loro sparpagliamento a due a due negli istituti sociali esistenti
ma in ragione di una seria presa a carico specialistica di tipo educativo-terapeutica?"
-
Vorrei
soffermarmi ancora un attimo sulla questione dell'inchiesta amministrativa
annunciata da Pesenti, quando in realtà non avrebbe dovuto annunciarla
perché non può svolgerla.
Riassumendo:
Buzzi, imbeccato dai genitori del bambino presunta vittima di violenze
sessuali al Centro Demetra da parte di altri bambini del centro, presenta,
senza aver preventivamente chiesto niente a nessuno (o forse no? forse
a qualcuno ha chiesto e gli sono state date informazioni fuorvianti?),
un'interpellanza al Governo. Il rappresentante leghista esige immediatamente
una risposta. L'On. Pesenti accoglie la ferma richiesta e si presenta
in Parlamento sforzandosi di evidenziare come fino a prova del contrario
non si possa dire che le cose contenute nell'interpellanza siano veramente
accadute (l'ha ripetuto così tante volte per sembrare convincente che
a Buzzi, nel risponderle, venne da dire che "fatti del genere non
devono più accadere") e annuncia un'inchiesta. Pesenti ha saputo
che i genitori del bambino non intendono sporgere denuncia e avviare
così un'inchiesta penale e dice che non si sente di sconsigliarli visto
che è legittimo non voler causare ulteriore sofferenza al bambino. Detta
da una Consigliera di Stato ed ex rappresentante della giustizia una
simile affermazione fa venire i brividi: ma questa è una attribuzione
di colpevolezza bella e buona! seguendo la logica implicita nel suo
discorso, lei On. Pesenti ha sostanzialmente avvallato quanto contenuto
nell'interpellanza di Buzzi e per evitare un'altra violenza a quel bambino
impedisce di fatto ad altri bambini di essere sollevati dal peso dell'infamante
accusa che devono portare sulle spalle e con loro lo impedisce anche
alla responsabile e all'équipe educativa del Centro Demetra.
Inoltre
non si capisce e non si spiega come fa una persona che ha lavorato nella
Commissione di coordinamento permanente della Lav, che è stata tra coloro
che hanno dato origine alla legge di applicazione cantonale della Lav
e al suo regolamento, che è stata Magistrata dei minorenni, a dire che
sconsiglia una famiglia di denunciare gli ipotetici aggressori di loro
figlio? Provi a spiegare anche questa all'opinione pubblica perché io
francamente non capisco.
Prima
di terminare con una serie di domande che sorgono spontanee in seguito
a quanto visto, sentito dire, sperimentato in questi anni, nei panni
di segretario di Demetra, di operatore sociale e di comune cittadino,
vorrei proporvi ancora il contenuto di una riflessione operata in sede
di scambio epistolare con quello che una volta era un amico. Purtroppo
in questa vicenda si sono persi anche gli amici. Pazienza! fa parte
della vita e di una certa logica appartenente ad un determinato (dis)ordine
di cose. Ciò che fa male è quando chi ti è stato amico/a diviene per
circostanze avverse tuo nemico/a. Ad ognuno le sue responsabilità, certo,
ma signora Pesenti spero proprio che la vita le chieda conto anche di
questo e che cominci veramente a raccogliere quanto ha seminato!
Lo
scritto, che data del 22 settembre 1999, è il frutto di un momento,
buttato giù in fretta e furia mi sono poi accorto che conteneva in maniera
sintetica molto di più di quanto non contenga questo stesso lunghissimo
memoriale ed è per questo che lo ripropongo in forma pubblica omettendo
evidentemente le parti personali.
"[...] Ricordati
che i cambiamenti di cultura, i cambiamenti del punto di avvistamento
dei problemi, generano sempre ed immancabilmente resistenze e reazioni
contrarie. Quindi non stupirti se qualcuno se ne ha male e reagisce di
conseguenza. Il Centro Demetra non è un ostello della gioventù o un luogo
di ritiri spirituali. E' una struttura che si colloca, col suo progetto,
come elemento di rottura rispetto a dannosi equilibri istituzionali (quelli
interni alle famiglie maltrattanti in primis, ma non solo). Al Centro
Demetra avvengono cose, vengono dette cose inenarrabili che riguardano
bambini che hanno subito orrori e adulti che li hanno commessi. Va fatto
ordine all'interno di una selva di relazioni malsane in cui molti mentono,
altri nascondono, altri non possono dire, alcuni non vogliono sentire.
Questo è un lavoro enorme, che coinvolge l'intelligenza della mente e
l'intelligenza delle emozioni, è un lavoro molto ma molto delicato. Questo
lavoro confligge con tutta una serie d'interessi, confligge con una mentalità,
confligge con una morale nascosta, parallela e contraria a quella ufficiale,
confligge con un piano d'intervento [in favore di questi bambini] deflagrato,
per cui ognuno c'entra, ognuno deve dire la sua, ognuno è competente e
potente di qualcosa, confligge con l'irrazionalità, con l'opinione elevata
a conoscenza e l'approssimazione a metodo. [...] quello che voglio dirti
è che lavorare in un progetto del genere e pensare di salvaguardare i
rapporti di buon vicinato con tutto e tutti è semplicemente impossibile
e pensare di poter fare il pompiere per andare a spegnere tutti i fuochi,
dolosi o meno, che si accendono, anche."
Difendere i diritti
dei bambini a chiacchiere, credo lo si sia visto molto bene in questi
anni, sono capaci tutti. Riempirsi e sciacquarsi la bocca con
enunciazioni quali "bisogna che si affermi una nuova cultura dell'infanzia
e del suo rispetto", andare a scaldare le sedie nei salottini radiotelevisivi
o nelle assemblee pubbliche, raccogliere il plauso, l'ammirazione e
la riverenza della platea, sono operazioni che fanno bene al narciso
che c'è in noi ma lasciano il cosiddetto tempo che trovano là dove i
problemi sussistono. Quando c'è da difendere i diritti dei bambini con
i fatti ecco la metamorfosi. Il plauso muta in indifferenza se non addirittura
in feroce critica, l'ammirazione in odio, la riverenza in disprezzo
ed inizia una battaglia all'interno della quale i vuoti o le debolezze
istituzionali vengono immediatamente sfruttate dal "nemico"
per seminare la confusione ed il panico utile a distrarre e a sollevare
dalle proprie pesanti responsabilità. Perché sia chiaro, se c'è chi
opera in difesa dell'infanzia c'è anche chi opera contro l'infanzia,
per affermare il diritto di possesso e di prevaricazione, anche violenta,
degli adulti. Agire concretamente per difendere l'infanzia maltrattata
vuol dire sporcarsi le mani e anche le braccia e Demetra ha suo malgrado
dimostrato come gli schizzi di putrido liquame possano arrivare anche
e facilmente in pieno volto. Questo è forse uno dei motivi per cui si
preferisce fare la coda tra gli "esperti" davanti agli
studi televisivi o radiofonici e, se destino ha voluto che si scegliesse
una professione sociale, il motivo per cui si preferisce un comodo,
ma d'altra parte comprensibile visto quanto successo recentemente con
Demetra, immobilismo e silenzio.
Ancora qualche
domanda per terminare
-
L'ho
già chiesto ma fa bene ripetere. Come mai fino a pochissimi anni
fa, fino a quando non è arrivata Demetra con un progetto e delle
idee chiare sul da farsi per aiutare i bambini vittime di violenza,
Tonella, Pesenti, Sandrinelli andavano in giro a sensibilizzare
l'opinione pubblica dicendo che il fenomeno era preoccupante e bisognava
intervenire rompendo il muro del silenzio ed oggi si dice invece
che in realtà i casi sono pochi (è stato scritto nero su bianco)?
-
Come
mai è stata istituita la figura del Delegato che ha promosso una
serie (per nulla impressionante) d'iniziative nell'ambito della
formazione e dell'informazione specificatamente rivolte ai problemi
delle violenze su minori per un problema che si ridurrebbe a pochi
casi all'anno?
-
Come
mai è stata avviata una campagna d'informazione/formazione nelle
scuole del cantone durata anni e specificamente rivolta ai problemi
delle violenze sui minori se oggi si dice che tali violenze si riducono
a poca cosa?
-
Come
mai colei che è apparsa per anni in televisione, alla radio, sui
giornali, cavalcando il problema dei maltrattamenti sui bambini,
ora che è divenuta Consigliera di Stato affossa, con dei ridicoli
pretesti, uno dei più seri ed importanti progetti di protezione
e di aiuto alle piccole vittime di tali violenze?
-
Come
mai l'impegno finanziario del Cantone si riduce proprio in questo
campo e nel momento in cui arriva al potere chi ha fondato su di
esso il proprio successo politico?
-
Come
mai si continua a far credere all'opinione pubblica che si può fare
tutto senza spendere mai alcunché? Maghi o ciarlatani?
-
Come
mai l'Associazione Demetra ed il Centro Demetra sono stati sottoposti
per anni ad una serie impressionante di pratiche vessatorie chiamate
"valutazione"? e ogni altra invenzione viene immediatamente
ancorata all legge prima ancora che abbia dimostrato di funzionare?
-
Come
mai la Commissione Lav, incaricata da Martinelli di tutta una serie
di verifiche da effettuare sul Centro Demetra e sul modello d'intervento
attuatovi, ha prodotto soltanto una manciata di critiche e i classici
quattro numeri che dicono quanti bambini sono stati accolti?
-
Come
mai i contatti con il Centro per svolgere il lavoro di "monitoraggio"
del lavoro svolto è stato affidato ad un membro della commissione
Lav che è anche presidente di ASPI, associazione che, nella sua
espressione verticista e cantonticinese, ha sempre assunto un atteggiamento
di freddezza e di malcelata contrarietà a Demetra? E come mai è
stato scelto pur non avendo alcuna preparazione in ambito sociale,
psicologico, pedagogico, educativo o psicoterapeutico? Come mai,
fresco di nomina in Commissione Lav, in assenza della minima competenza
ed esperienza circa la casistica trattata dal Centro Demetra, addirittura
senza sapere che esistesse da anni un progetto, scritto nero su
bianco, riguardante il Centro Demetra, è stato chiamato ad occuparsi
di una questione tanto delicata e complessa?
-
Come
mai il rapporto della Commissione Lav, fornito in luglio al Consigliere
di Stato, arrivati ormai a novembre, è stato trattato con la massima
segretezza per cui non si è saputo fino a ieri cosa contenesse?
E' un rapporto di una commissione civile o è un rapporto dell'intelligence
militare?
-
E'
vero che il rapporto della Commissione Lav consta di cinque striminzite
paginette, rimpolpate con un po' d'inutili cifre e alcune opinioni
(sembra, guarda caso, per lo più negative) prese al volo qua e là
? E' vero che non contiene alcun apprezzamento dell'esperienza,
alcuna seria analisi e valutazione del lavoro svolto, da delle indicazioni
che ben rappresentano quanto ho già scritto circa l'opinione e l'approssimazione
elevate a metodo e in questo caso anche e purtroppo a dato di fatto
indiscutibile che sposa in pieno il Pesenti-"pensiero"?
-
Come
mai il Dipartimento delle opere sociali (dipartimento "socialista")
è riuscito a concepire un trattamento contrattuale così vergognoso
come quello imposto al personale del Centro che è stato occupato
per oltre due anni nella forma di precariato, prima pagato ad ore,
poi con contratto a termine di pochi mesi, poi con un contratto
a termine di un anno e quindi ancora con un contratto a termine
di pochi mesi, concependo in fine addirittura un contratto su chiamata?
Ad ognuno le sue responsabilità: come mai degli enti privati si
sono prestati senza quasi batter ciglio a questa forma di sfruttamento?
Approfitto
dell'occasione per rispondere ancora a coloro che, mentre pugnalavano
alle spalle la responsabile del Centro Demetra, mi accusavano e accusano
di essere il responsabile di tutto quanto è successo. Per costoro sarebbe
stato ciò che ho scritto nel mio sito web (ho denunciato i modi arroganti
e prepotenti della signora Pesenti e la pochezza della sua preparazione
politica e professionale) ad aver prodotto la caduta in disgrazia della
signora D'Ottavio-Del Priore e in certo qual modo del Centro Demetra.
Ero preparato ad una simile evenienza. Dico che sarebbe bene che ognuno
imparasse ad assumersi le proprie responsabilità (vedi vignetta), a
riconoscere e a discriminare correttamente tra le proprie responsabilità
e quelle di altri operando attribuzioni corrette, ma soprattutto a non
invertire i termini dei nessi causali per cui gli effetti divengono
cause e le cause effetti. Quando Pesenti dava pubblicamente dei fanatici
(è andata in TV e non al bar con un gruppo di amici) ai rappresentanti
di Demetra, quando operava dietro le quinte per far fallire il Centro,
quando alcuni funzionari del DOS ce la mettevano tutta per porre ostacoli
ad ogni passo, io non avevo ancora scritto una virgola nel mio sito
web e semplicemente perché non esisteva ancora. E' vero invece, l'ho
scritto nella mia lettera di dimissioni da segretario dell'associazione
Demetra date circa un anno e mezzo fa (giungo 1998), che nell'Associazione
prima e nella Fondazione Demetra adesso ci sono persone che non vogliono
e probabilmente non sanno assumersi alcuna responsabilità e neppure
di fronte all'evidenza più evidente. Ma questa è un'altra storia.
Credo
dovrebbe essere ormai piuttosto chiaro a tutti a questo punto che dietro
alla perbenista ed ipocrita facciata dell'impegno sociale in favore
dei bambini che soffrono si siano sovente mossi in questi anni le intenzioni,
le azioni, i sentimenti, le passioni e i pensieri più bassi e meschini.
A coloro che hanno nutrito, alimentato, coltivato tali sentimenti non
mi resta che dedicare una canzone prima di congedarmi.
Dedicato
a tutti coloro che in questi anni hanno fatto della sofferenza dei bambini
un mezzo per la loro carriera sociale, politica e professionale. Dedicato
a coloro che hanno ucciso l'impegno, la competenza e la creatività di
chi voleva soltanto aiutare concretamente le piccole vittime
di violenza domestica convinti che "tutto ciò che avrebbero
avuto il coraggio, la forza e la determinazione d'intraprendere, per
aiutare i bambini vittime di violenze, avrebbe contribuito a porre le
future generazioni al riparo dalle nefaste, dolorose e costose conseguenze
che tali violenze altrimenti generano"
Conclusioni
Ho
scritto molto [non tutto] e vi ringrazio se avete avuto la pazienza
e forse anche il coraggio di scorrere le pagine fino a questo punto.
Il mio atto, cioè scrivere questo memoriale, ritengo fosse del tutto
dovuto a chi per anni ha malevolmente, perché geloso, perché invidioso,
perché sentiva minacciato il suo piccolo potere o anche solo sminuita
la sua piccola persona, sabotato l'impegno, la volontà e la creatività
di coloro che hanno creduto in un valido e serio progetto quale quello
di Demetra. E' un atto dovuto anche nei confronti di coloro che non
hanno capito e non capiscono che cosa sia successo in questi anni in
Ticino nel teatrino, sul palcoscenico e dietro le quinte, dell'impegno
in favore dell'infanzia maltrattata. Penso e spero di aver dato, anche
se solo in parte, un'idea di quali e quante cose si siano intrecciate
intorno alla sfortunata vicenda di Demetra e soprattutto intorno alle
sfortunate vite dei bambini e delle bambine della cui protezione e cura
Demetra si è concretamente occupata.
Qualcuno
ha detto che Demetra ha dovuto assumersi il compito ingrato ma prezioso
di fare da rompighiaccio. Forse ha ragione. Si è rotto il silenzio che
fino a pochi anni fa contraddistingueva la sorte di tanti bambini e
bambine vittime di violenza nelle proprie famiglie. Ora si è cominciato
a scalfire il durissimo granito rappresentato dalla cultura che garantiva
quel silenzio, una cultura che ha attraversato ed attraversa trasversalmente
ogni dimensione, istituzionale e non, della nostra società. Purtroppo
l'impressione che ne traggo è che l'epilogo di questa vicenda farà fare,
e lo dico anche e soprattutto alla luce delle scelte che sembra essere
intenzionato a fare in quest'ambito il DOS, diversi passi indietro rispetto
al cammino fatto, grazie anche a Demetra, sino ad oggi. L'impressione
è che gli apparati si stiano ricompattando intorno ad una visione ed
interpretazione della presa a carico, della protezione e della cura
dei bambini, ma anche della cura della famiglia, che ha come preoccupazione-prima,
al di là delle solite affermazioni di rito, non la condizione ed i bisogni
delle piccole vittime di violenza e delle loro famiglie ma bensì la
soddisfazione di proprie precise esigenze, legate per lo più a determinate
caratteristiche della propria organizzazione, del proprio funzionamento,
al bisogno di ubbidire ad una determinata razionalità economica (mi
riferisco a certo economicismo risparmista, per intenderci) e al bisogno
di soddisfacimento di aspettative ed ambizioni personali che con il
bene del bambino o della sua famiglia non hanno proprio nulla a che
fare e a che vedere. Per questi bambini, spero che i fatti mi smentiscano.
Qualcuno
mi diceva non molto tempo fa, assistendo a quanto stava avvenendo intorno
al Centro Demetra e riferendosi in particolare alla presa a carico
della grave casistica di cui si occupava, che il Ticino rappresenta
un vero e proprio terzo mondo. Alla luce di quanto visto non gli posso
purtroppo dar torto. Penso quindi che l'impegno per il prossimo futuro
dovrà riguardare necessariamente la formazione e l'informazione (quello
che è stato fatto finora è del tutto insufficiente). Mi auguro che coloro
che continueranno malgrado tutto ad impegnarsi in questo ambito concentrino
i loro sforzi soprattutto in questo campo, organizzando corsi specialistici
per operatori, istituendo borse di studio per mandare operatori ed operatrici
sociali a formarsi all'estero, organizzando giornate di studio, seminari
e congressi, informando la popolazione in maniera seria, smettendola
quindi di andare a ripetere le solite banalità, le solite frasi trite
e ritrite, la solita aria fritta e strafritta che gira ormai da anni:
"il fenomeno non aumenta, se ne parla soltanto di più", "bisogna
affermare una cultura del rispetto del bambino", "la vittima
di ieri diventa l'aggressore di oggi" - affermazione che non mi
sembra abbia poi giovato molto al discorso di progresso e crescita culturale
visto che la maggioranza del popolo ticinese non si avvede della contraddizione
quando si commuove e s'indegna oggi per la piccola vittima di violenza
e domani, divenuto adulto, ne chiede invece a viva forza la forca o
il carcere a vita -, "bisogna far emergere la punta dell'iceberg",
ecc. Sono ben altri i problemi che devono essere affrontati e discussi
e credo che la vicenda di Demetra lo abbia ampiamente dimostrato.
Volendo
concludere, è d'obbligo appuntare ancora un paio di note in merito a
questo memoriale. Dei
suoi contenuti, dell'idea e della volontà di redigerlo e di pubblicarlo,
dev'essere chiaro a tutti che sono io in prima persona pieno ed unico
responsabile. Esso è rimasto segreto (in forma crittografata) sino al
giorno della sua pubblicazione. Molti sapevano della sua esistenza ma
nessuno, eccetto un legale, è stato messo a conoscenza del suo contenuto
sino al giorno in cui l'ho pubblicato. Con esso e con la mia persona
non hanno nulla a che fare l'Associazione Demetra, la Fondazione Demetra,
il Centro Demetra. Con esso non ha nulla a che fare mia moglie Daniela
che del resto, è bene dirlo, non ha condiviso la mia intenzione di scriverlo
e tanto meno quella di renderlo pubblico.
Purtroppo,
On. Pesenti, per un D'Ottavio, ogni promessa è debito!
- Bruno
D'Ottavio
- Pedagogista
- ex
segretario dell'Associazione Demetra
Chi
è Bruno D'Ottavio in breve:
Nato
e cresciuto nella Svizzera tedesca, frequenta le scuole dell'obbligo
in Italia. Nel 1974 arriva in Ticino, dove frequenta la Scuola di apprendista
di commercio lavorando nel ramo dei trasporti e delle spedizioni internazionali.
Dopo il diploma lavora un anno come dichiarante doganale e passa quindi
a lavorare sui cantieri come vetraio posatore, poi come operaio di fabbrica
in diverse industrie del Cantone. Partecipa all'esperienza della casa
di accoglienza "Comunità Betania", struttura che accolse sull'arco
di sei anni (1983-1989) giovani e meno giovani con problemi di varia
natura (alcolismo, tossicodipendenza, disadattamento, ecc.). Nel 1989,
sposa Daniela Del Priore e riprende gli studi, prima la maturità e quindi
gli studi universitari in pedagogia a Verona. Ha lavorato diversi anni
in qualità di supplente educatore-vegliatore presso la Casa della Giovane
di Lugano e poco più di un anno come operatore sociale presso il Servizio
Tossicodipendenze di Comunità familiare a Bellinzona. A livello di volontariato
ha lavorato sodo per tre anni al progetto Demetra, è stato segretario
dell'associazione per due. Attualmente lavora al 50% in un Istituto
sociale e si occupa di handicap. Il tempo rimanente lo dedica a terminare
la formazione in corso (pedagogia) e ad apprendere varie cose nuove
come autodidatta e come allievo. Sostanzialemente sano di costituzione
e di salute mentale è però affetto da una grave patologia conosciuta
come sindrome di Robin Hood, per cui detesta in forma cronica l'arroganza,
la prepotenza, gli abusi di potere e la viltà; ha il vizio di difendere
i deboli, non importa se contro i potenti o contro chi si crede tale.
Malgrado abbia un pensiero politico e faccia Politica, non è iscritto
ad alcun movimento o partito politico.
Appendice
Le
vicende che ho esposto nel memoriale si arrestano grossomodo alla fine
del 1999, quando cioè il Centro cantonale di pronta accoglienza
per minori vittime di violenza fu materialmente chiuso. Da quel giorno
accaddero però ancora una serie di fatti che credo, a mo' di
epilogo, valga ancora la pena di raccontare. Evidentemente mi limiterò
ai più rilevanti. Lascerò quindi perdere il modo inglorioso
e finanche indecoroso con cui si è sciolta la Fondazione Demetra
e cioè nella più totale indifferenza della maggioranza
di coloro che ne facevano parte e nella delusione della minoranza che
al suo interno sperava di ottenere qualche soddisfazione dal DOS - anche
un misero ossicino da rosicchiare andava bene, pur di non dover subire
la ferita narcisistica di una sconfitta - in ragione forse dello spirito
servo con cui aveva affrontato le "trattative" sulla "terminazione"
dell'esperienza del Centro e in cambio del killeraggio morale e professionale
agito, con incredibile freddezza e squallido cinismo, contro la responsabile
del Centro e contro chi aveva tentato sino alla fine d'impedire quella
"terminazione".
Lascerò perdere la povera e disastrata Associazione Demetra,
finita ad essere ostaggio in mano ad un gruppetto d'inefficienti "funzionari"
del sistema burocratico, amministrativo, sociale ticinese, la cui unica
preoccupazione è stata, e a quanto pare rimane, quella di riverire
sino al grottesco, anzi oltrepassandolo, coloro che avevano deciso per
la peggior morte del Centro Demetra. Delusi però anch'essi, perché
oltre a non essere riusciti a produrre assolutamente nulla in due anni
di chiacchiere - non hanno prodotto alcun progetto (neppure quello striminzito
di aggiornare il sito Internet dell'associazione, ormai da anni ridotto,
per usare le parole di Pedrazzini, ad un'inguardabile vetrina di pasticceria
piena di mosche morte), hanno lasciato crollare il numero dei soci da
quasi 300 ad una manciata di unità, hanno alimentato in continuazione
il loro astio nei confronti di chi aveva lavorato sodo e per anni in
favore dell'associazione e della realizzazione del Centro, hanno avuto
come ultima delle loro preoccupazioni la situazione dei bambini vittime
di violenza e i problemi legati alla loro protezione - dicevo delusi
perché neppure loro hanno ottenuto qualcosa dal DOS.
Lascerò perdere il fatto che oggi so esattamente quanto valgono
i trenta denari versati a coloro che hanno lavorato sodo dall'interno
del Centro Demetra per delegittimare, dietro buon consiglio ed invito
di Pesenti, l'esperienza del Centro e la sua direzione.
Lascerò perdere il fatto che si stia tentando di perpetuare dall'interno
del DOS, con l'evidente fine mafioso di metterci a tacere, la persecuzione
contro i miei interessi e quelli di mia moglie. Nel caso operando strumentalmente,
attraverso atti di tipo amministrativo - fatti e compiuti nel più
totale arbitrio da parte dei servi più fedeli dell'apparato -
per ostacolare l'attività privata che, con sacrificio, impegno
e tra molte difficoltà, stiamo tentando di realizzare nell'ambito
dell'aiuto educativo e sociale.
Lascerò perdere tutto questo per concentrarmi nel poco spazio
che intendo ancora occupare per dirvi che cos'è successo: dell'intervento
cantonale in favore dei minori vittime di violenza, dell'inchiesta sui
due poveri bambini del Centro accusati di abusi sessuali su un loro
compagno e dell'atteggiamento assunto dai media in questa triste vicenda.
Intervento cantonale in favore dei minori vittime di violenza
Il problema, dopo
l'azzeramento del progetto Demetra, è divenuto di più
semplice soluzione: il DOS per il tramite dei suoi funzionari di punta
(Sandrinelli e Denti) hanno sancito che il numero di questi bambini
è meno elevato di quello che si pensava. Prova ne è che
con la chiusura del Centro Demetra non si sono praticamente quasi più
avute segnalazioni in tal senso. Ergo: il problema non sussiste e non
è necessaria una struttura specialistica che se ne occupi. I
servizi sociali e sociosanitari conoscono evidentemente un'altra realtà
ma restano in silenzio perché hanno grosse responsabilità
nella cattiva gestione e funzionamento della protezione dei minori e
perché sono divenuti anch'essi complici e se non complici comunque
silenziosamente riverenti nei confronti del demenziale dictat politico
che vuole che i minori restino, quasi fino all'estremo, nella loro famiglia,
perché, come dice Pesenti, "la peggior famiglia è
comunque migliore del miglior istituto ed un allontanamento" -
non importa se per metter in salvo un bambino da inaudite violenze giornalmente
subite, non importa se temporaneamente, per permettere ad una famiglia
in crisi di farsi un esame di coscienza e di vedere se riesce ad avere
in sé ancora delle risorse positive da rimettere in gioco, magari
con l'aiuto di qualcuno, nel sistema di relazioni affettive sin lì
compromesso e franato negli assurdi atti di perversione e di violenza
subiti dai suoi membri più deboli, non importa se per investire
e mobilitare energie positive, liberanti, terapeutiche, che vadano al
di là della ridicola consultazione mensile offerta in regime
ambulatoriale o semi ambulatoriale dai servizi (i più sfigati
fanno l'oretta di terapia e poi vengono rimessi a disposizione dei loro
seviziatori; i più fortunati tornano a casa solo il week-end,
così i seviziatori sono costretti a concentrare la loro azione
in soli due giorni).
Comunque, l'ho già scritto, vale sempre il sistema dello specchietto
per le allodole e quindi il DOS ha partorito, dopo 9 mesi dalla chiusura
del Centro Demetra, il P.A.O. (denominazione e prodotto tipico degli
apparati burocratici amministrativi e dei suoi funzionari che chiamano
ogni cosa con una sigla, nel caso, di "Pronta Accoglienza e Osservazione")- una violenza peggiore di quella subita".
Il P.A.O. è una sorta di contenitore istituzionale atto a "raccogliere"
in urgenza qualsiasi situazione o caso umano riguardante minorenni da
4 a 16 anni che non si sa bene dove collocare o di cui non si sa bene
cosa fare. Al P.A.O. è stato immediatamente detto a chiare lettere
che non avrebbero dovuto fare alcun intervento di tipo educativo-terapeutico
(questa era una delle caratteristiche del Centro Demetra invise ai nostri
efficientissimi servizi medicopsicologici che hanno l'esclusiva dell'intervento
nei processi di guarigione psicologica dei bambini) ed il suo bravo
responsabile non perde occasione per ribadire il prezioso concetto inculcatogli
dalla forza delle direttive dipartimentali.
Quindi questa struttura non ha nulla, assolutamente nulla, a che fare
con il progetto proposto con il Centro di Rovio. Ma gli è che
ai rappresentanti più in vista della nostra politica sociale
piace giocare - come al solito - in maniera ambigua e quando possono
o le circostanze lo richiedono danno da intendere, anche se non è
vero, che il P.A.O. è la struttura che ha preso il posto del
Centro Demetra e che in quanto tale ne fa le veci.
Gli stessi, poi, se interpellati sui motivi della chiusura del Centro
o sul senso di chiuderne uno per aprirne un altro "simile"
si trincerano dietro ai no comment e alle espressioni curiose delle
loro incredibili facce di tolla. E guardate che non sono alieni, sono
gli stessi che oggi vanno ripetendo sino alla nausea, di canale televisivo
in canale televisivo, di radio in radio, di giornale in giornale, che
"in Ticino sono stati fatti passi da giganti" e che è
importante impegnarsi soprattutto nella prevenzione. Privi ormai di
ogni pudore, garantiti da un sistema di connivenze e di silenzi sul
cialtronismo che ha sempre caratterizzato la loro azione, si ergono
ora addirittura a coraggiosi paladini e protettori dell'infanzia sofferente;
finendo poi, penso per eccesso di narcisismo e di protagonismo, a dire
le colossali stupidaggini che si sono sentite di recente in occasione
di una trasmissione televisiva: "Nei processi che vedono coinvolti
minori vittime di violenze dovrebbe valere il principio 'in dubbio pro
vittima'". Mah??!!!
Invece di attaccare la giustizia nei suoi dogmi (sic!) questi signori
sarebbe ora si occupassero dei servizi di cui sono responsabili e soprattutto
dei loro macroscopici disfunzionamenti e sarebbe ora che la smettessero
di accumulare cariche, ruoli e funzioni in dosi industriali, per cui
finiscono, poi (forse), a fare di tutto e comunque tutto male. Questo
farà bene alla loro vanità ma non ai problemi che richiedono
con urgenza delle soluzioni (concrete ed efficaci, se possibile).
Inchiesta sui due poveri bambini del Centro accusati di abusi sessuali
su un loro compagno
Inchiesta in realtà
non c'è stata. La magistrata dei minorenni, Silvia Torricelli,
ha tenuto inspiegabilmente per oltre un anno il dossier sulla sua scrivania
in qualche cassetto. L'inchiesta poteva concludersi in pochi giorni
e senza l'audizione dei bambini coinvolti in questa storiaccia dall'infamia
e dalla volontà d'infamare l'operato del Centro da parte di alcuni
adulti. Così sembrerebbe indicare la legge, che non punisce atti
sessuali tra minorenni se la differenza di età è inferiore
ai tre anni. Eppure la pseudo-inchiesta (se si sono voluti appurare
dei fatti ci si spieghi come mai nessuno del personale del Centro Demetra
sia mai stato interpellato o interrogato) è andata avanti per
mesi e, cosa ancor più strana, con la magistrata che di mese
in mese ripeteva che da lì a poco sarebbe uscita con un comunicato.
Centrano forse i contatti, i legami, rigorosamente di tipo istituzionale,
s'intende, esistenti ad esempio tra il Sandrinelli (Delegato e segretario
della Commissione LAV, la stessa commissione che aveva sfiduciato il
Centro in ragione dei fatti legati alla denuncia per abusi sessuali
e la stessa commissione in cui, guarda caso, siede anche la magistrata
dei minorenni; la stessa commissione il cui presidente, guarda un po',
è anche grande amico e ammiratore di Pesenti) e Torricelli?
C'entra forse il fatto che vi sono importanti ruoli e rapporti istituzionali
da tutelare - magari anche in cambio di qualche favore, chessò,
ad esempio, il superamento di certe resistenze manifestate in sede governativa
alle richieste di potenziamento degli effettivi fatte dalla magistratura
dei minorenni (è solo un'ipotesi, mi raccomando!) - che un esito
negativo della sentenza (assoluzione, non luogo a procedere, decreto
di abbandono) avrebbe in qualche modo compromesso?
E' certo che personalmente l'attendevo in gloria la conclusione di quest'inchiesta
- pensavo potesse avvenire in due o tre mesi al massimo -, non fosse
altro che per vedere almeno riabilitato il buon nome e l'operato del
Centro Demetra e del suo personale e comunque per denunciare l'atto
di vera e propria vile ruffianeria operato dalla commissione LAV, che
con un comunicato stampa sfiduciava, alla fine del 1999, in assenza
di qualsivoglia accertamento dei fatti, il Centro Demetra ed il suo
operato, appoggiando per contro la decisione di chiusura voluta da Pesenti.
Invece niente! I mesi sono trascorsi, ora gli anni e di quell'inchiesta
non si sa ancora nulla.
Solo con il gennaio del 2001 l'ex giornalista del Giornale del Popolo,
Aldo Bertagni, rompendo l'omertà mediatica calata su tutta la
vicenda Demetra e sulla più generale questione dei minori vittime
di violenza, divenuta ormai scomoda perché parlarne penso volesse
dire evocare automaticamente il fantasma di Demetra e tutte le sozzure
che hanno accompagnato la sua difficile esistenza terrena, decide d'interpellare
la Magistrata per chiedere che fine avesse fatto quell'inchiesta. Sorpresa
delle sorprese: l'inchiesta sarebbe stata conclusa alla fine del 2000
e il suo esito consegnato, ma guarda un po', nelle mani di Pesenti.
"Mi dica che cosa ha stabilito l'inchiesta", chiede Bertagni.
"E' topo secret" risponde la Magistrata.
L'indipendenza tra politica, partiti, giustizia, interessi personali,
istituzionali, è in Ticino quanto di più ridicolo si possa
affermare. Questo credo sia soltanto uno dei molti esempi che si potrebbero
fare (prima che ti "sparino" addosso).
Ora staremo vedere se due atti parlamentari pendenti davanti al Governo
riusciranno a dare qualche spiegazione di questi stranissimi fatti.
Sono comunque pessimista. Visto poi che il DOS ha dato in mano proprio
a Sandrinelli (il colmo!) il compito di rispondere ai molti quesiti
posti in quegli atti - quando proprio gli atti stessi chiedevano fosse
garantita un'inchiesta indipendente da coloro che sono coinvolti in
pieno e con pesanti responsabilità in questa brutta vicenda -
credo di avere motivi più che fondati per esserlo.
Anche se finora abbiamo visto soltanto che è scaduto il termine
entro cui il Governo era tenuto rispondere e di risposte neppure l'ombra,
staremo comunque a vedere!
L'atteggiamento dei mass media
Beh! potrei dire
che è stato semplicemente poco professionale, in alcuni frangenti
addirittura vergognoso. Hanno fatto da efficiente grancassa quando si
è trattato di gettare ombre e dubbi, generando morbosa inquietudine
in alcuni (sprovveduti) e godereccia soddisfazione in altri (i soliti
noti che non stiamo a ricordare); quando si è trattato invece
di fare o di chiedere chiarezza, la latitanza è stata massima.
Spicca tra le altre quella della RTSI (servizio pubblico, ma fatemi
il piacere! Al servizio degli interessi dei soliti potenti e prepotenti,
questo piuttosto direi!).
Singolare poi l'episodio che mi ha visto quasi litigare con il giornalista
del Corriere del Ticino, Carlo Manzoni, che non voleva pubblicare una
mia lettera in cui denunciavo, esprimendo il massimo del "politically
correct" permesso dalle circostanze, l'agire contraddittorio del
DOS (segnalavo anche il fatto che contrariamente a quanto affermato
da Pesenti, la sua decisione di chiusura del Centro risaliva ad una
comunicazione data ai suoi funzionari nell'agosto del 1999). Alla fine
l'ha pubblicata, dicendomi che Pesenti aveva rinunciato alla replica
e che comunque era stato informato di alcune cose sul mio conto (chissà
cosa gli avranno detto? :)
Da allora tutte le mie lettere al Corriere, su argomenti che con Demetra
o col DOS non avevano nulla a che fare, sono state regolarmente cestinate.
L'impressione generale che ne colgo è che vi sia un disinteresse
piuttosto generalizzato, da parte dei media e quindi anche da parte
dell'opinione pubblica (ciò che non si vede o non si sente non
esiste!), ad occuparsi del problema dell'aiuto ai minori vittime di
violenza in termini critici, tali da mettere in pericolo quel rapporto
di tacita piaggeria e sudditanza esistente tra politica, giustizia,
amministrazione pubblica ed informazione. Sulle storie sporche del Ticino
vengono scritti fiumi d'inchiostro soltanto quando non è più
possibile, per una serie di ragioni varie, fare altrimenti: perché
sono arrivati dei veri e propri "siluri" dall'estero, da Berna
o da Zurigo (vedi caso Cuomo-Verda: avrei sfidato chiunque, qui in Ticino,
giornalista o meno, ad andare in Magistratura o anche solo dai media
a denunciare quei fatti che hanno poi portato allo scandalo o meglio
agli scandali dell'estate scorsa; lo avrebbero fatto letteralmente a
pezzi!) oppure perché sono stati lesi degli interessi troppo
importanti di cerchie di persone ancor più importanti (i bambini
violentati non sono evidentemente tra queste!), che fanno venire meno
ad un certo punto il mantenimento dei delicati equilibri su cui si regge
l'ammucchiata - trasversale ai partiti, alla giustizia, ai rappresentanti
politici, al mondo finanziario e imprenditoriale, ai sindacati, ecc.,
ecc., - delle tante schifezze cantonali nascoste dietro i rassicuranti
"tout va bien" e "vogliamoci bene purché ognuno
tenga i propri scheletri nell'armadio, senza andare a scomodare quelli
degli altri" e che fanno scattare allora e solo allora le intense
campagne giornalistiche di denuncia e controdenuncia che possono durare
senza cedimenti anche per anni (Thermoselect, Cardiocentro, Centovallina,
ecc., ecc., ecc.).
Bene! Qui mi fermo,
al tempo e ai posteri l'arduo giudizio.
Sigirino, 22 marzo 2001
[La
storia di Demetra] [Comunicati e ultime]
[Forum di discussione] [Invia
un messaggio]

|
|