Introduzione

Quello che segue è il testo preparato a suo tempo allo scopo di raccontare e rendere pubblica la storia che ha portato alla fine dell'esperienza del Centro Demetra. Purtroppo una serie di fatti e di circostanze sfavorevoli ne hanno ritardato la pubblicazione, annunciata in un primo tempo per la fine di agosto 1999 a due quotidiani ticinesi e alla principale destinataria del testo, On. Patrizia Pesenti. Ho dovuto attendere pazientemente che terminasse l'agonia del Centro Demetra e ne giungesse la morte, ho atteso che la Magistratura concludesse la sua inchiesta in merito alla vergognosa denuncia subita da alcuni piccoli ospiti del Centro, ho atteso  che l'On. Pesenti rispondesse all'interrogazione parlamentare presentata agli inizi di dicembre da oltre venti deputati di tre partiti, ho atteso e temporeggiato per tutta una serie di altri motivi, ma adesso è giunto il tempo di non indugiare oltre. Il Centro Demetra è defunto, i tempi d'inchiesta della Magistratura si sono conclusi anche se stranamente la pratica continua a languire da mesi sul tavolo della Magistrata dei minorenni [Per un procuratore si chiude un'inchiesta nel giro di 4 o 5 giorni e questo va molto bene, questa è una giustizia efficiente. Per due bambini, già vittime di inaudite violenze subite in famiglia, ingiustamente accusati d'infamia e una volta ancora vittime innocenti - questa volta degli squallidi giochi di vendetta di alcuni adulti irresponsabili -, un'inchiesta c'impiega invece mesi e mesi ad essere conclusa. Questo non va bene, questa non è giustizia!], l'On. Pesenti ha vinto la sua piccola battaglia. Posso quindi finalmente pubblicare il mio "j'accuse" al sistema e alle persone che per anni hanno operato perché l'esperienza di Demetra fallisse e, alla luce di quanto è accaduto, nel peggiore dei modi. Ho deciso anche, per esigenze di vario tipo, di pubblicare il testo in capitoli che appariranno con cadenza settimanale. Di seguito il primo capitolo. Seguirà tra una settimana il secondo capitolo e dopo un'altra settimana l'ultimo.

 

La storia di Demetra, ovvero, ciò che il DOS, la fondazione Demetra, l'associazione Demetra, i giornali, la televisione e la radio non vi avrebbero mai raccontato.

 

 

I Capitolo

 

Introduzione

"Non avrei mai voluto dovermi assumere il compito e la responsabilità di raccontare quanto vado per scrivere. Purtroppo una serie di eventi, di circostanze e la mia coscienza hanno voluto e deciso diversamente.

Quella che vi racconterò non è proprio una bella storia. Vi prego però di aver la pazienza di scorrerla fino in fondo malgrado possa apparire ai più un po' lunga.

L’esposizione, per evidenti motivi di tempo, non sarà particolarmente curata nella forma. Essenziale rimane però la correttezza e chiarezza dei suoi contenuti e ad esse mi dedicherò. Inizialmente avrei desiderato poter mantenere la forma dell'anonimato ma purtroppo non è stato possibile ed ho deciso quindi di uscire allo scoperto ed assumermi in pieno la responsabilità di quanto andrò a raccontarvi.

Quando si "attacca" un potere come quello rappresentato da un'istituzione (non importa, per il momento, di che natura) ed in modo effettuale dalle persone che la rappresentano, ponendo in evidenza i suoi malfunzionamenti, i suoi errori, le cattive volontà e l'ingiustizia in esso presenti, bisogna aspettarsi che quel sistema reagisca difendendosi, anzi attaccando, con tutti i mezzi a sua disposizione. 

Quando è un singolo cittadino a portare tale "attacco" è chiaro che il rischio che nel confronto rimanga stritolato a causa della sproporzione delle forze in campo è decisamente elevato e reale. Internet mi permette in questo senso di livellare in parte la sproporzione di potere esistente tra me e coloro che sto per denunciare ma è evidente che non potrà impedirmi di divenire oggetto di persecuzione, iscritto in uno o più dei molti libri neri esistenti in Ticino. [questa previsione si è puntualmente avverata] Del resto l'annuncio della pubblicazione del presente memoriale ha messo in moto da tempo la macchina infangatrice della calunnia con l'intento di sporcare ed annientare la dignità, l'onore ed il valore delle persone che hanno lottato per una causa e inavvertitamente contro un certo sistema di cose. Questa si sa è l'arma per eccellenza utilizzata da ogni apparato di potere degno di chiamarsi tale, da sempre e storicamente utilizzata per fare fuori i dissidenti, gli eretici, i sovversivi, gli avversari, coloro insomma che non si allineano e che anzi esprimono indignazione, critica e finanche aperta denuncia. Così, con la calunnia e la menzogna, si sono sovente creati i folli, i pervertiti,  gli emarginati, i falliti, gli additati, gli spregevoli senzadio da gettare cinicamente in pasto alla pubblica riprovazione, al malevolo pettegolezzo e al disprezzo. Oggi e qui, non si uccide più il corpo ma l'anima e di questa sordida arte, mi sono purtroppo dovuto avvedere, sono in molti ad esserne esperti.

I fatti che riporterò sono fatti realmente accaduti, in parte documentabili e in parte registrati nella mia memoria e nella memoria dei molti che sapevano, sanno, ma hanno taciuto e tacciono tutt'ora. La parte non documentabile potrebbe divenirlo se venisse istituita un'inchiesta condotta in modo serio e indipendente, cosa che qui in Ticino è molto difficile, primo perché è scarsa la possibilità di autonomia degli individui  e secondo perché vi è un muro d'inscalfibili vincoli omertosi fondati sulla paura. Paura (invero non del tutto ingiustificata) di perdere il posto di lavoro, paura di non poter fare carriera, paura di compromettere la propria immagine, paura di essere attaccati nei propri interessi o negli interessi dei propri cari; quest'ultima è del resto la più potente arma degli spiriti vili: se non possono attaccare voi colpiranno chi vi è vicino.

Le fonti che hanno permesso di ricostruire i fatti che esporrò sono diverse e tutte attendibili. Molti di questi fatti li ho rilevati personalmente, li ho quindi visti con i miei occhi e sentiti con le mie orecchie.

Per concludere questa doverosa introduzione non mi rimane che dichiarare, per chiarezza, il mio rapporto con la vicenda che descriverò: non ho azioni investite, interessi personali da tutelare o da incrementare, non ho tratto e non trarrò alcun vantaggio dal racconto di questa storia, semmai il contrario. Ho investito per alcuni anni importanti energie nell'opera di realizzazione del progetto Demetra, poi, prima che tutto naufragasse, mi sono ritirato dovendo però continuare a sentirne parlare poiché mia moglie è colei che ne ha promosso la realizzazione ed è colei che vi ha lavorato fino all'ultimo nel disperato quanto inutile tentativo d'impedirne il pilotato fallimento.

Il motivo per cui mi assumo l'onere di denunciare quanto successo in Ticino negli ultimi anni e dietro le quinte del problema del maltrattamento dei minori non sta tanto nell'inevitabile ferita prodotta dal fallimento di un progetto - vissuto inevitabilmente anche come il proprio progetto, in ragione delle molte, troppe, energie profuse - e neppure nell'indignazione e nella rabbia derivante dal fatto che si sia offeso, e vedremo come e per quali squallidi motivi, il diritto alla protezione e alla cura di molti bambini vittime d'indicibili violenze subite in famiglia, ma è legato essenzialmente ad un fondamentale quanto semplice principio di coscienza, di libertà e di progresso: è il desiderio di chiarezza. In altri e più importanti termini, è il desiderio di verità e di giustizia, contro le verità-menzogne dell'apparato, puntualmente, come è accaduto in questi mesi sulla vicenda Demetra [da fine agosto 1999 a dicembre 1999], rilevate, riportate e propagate al pubblico dai nostri mezzi d'informazione.

Ritengo quindi giusto informare ora l'opinione pubblica delle nefandezze che si sono consumate e si stanno consumando in Ticino sulle e dietro le spalle dei bambini vittime di violenza, a danno di coloro che in favore di questi bambini hanno voluto seriamente e concretamente impegnarsi.

Chiedo a chiunque si troverà a leggere queste pagine di divulgarle e poi, se vuole, compatibilmente con la propria coscienza, con il proprio ordine d'idee e di valori, faccia sentire la propria voce, protesti, chieda chiarezza, correttezza e soprattutto giustizia. Sarà difficile ma vale la pena provarci. Se avete invece deciso di vivere dentro Matrix, liberi di farlo, io non ci sto!

Partiamo!

 

I personaggi e gli interpreti principali di questa brutta storia.

Sono veramente tante le persone che a vario titolo hanno partecipato a questa storia. Non posso quindi elencarle tutte, ma come già detto valga il fatto che in Ticino sono in molti ad aver saputo e a sapere, ed altrettanti ad aver taciuto e a continuare a tacere, i fatti che sto per esporre.

Figure chiave sono o sono state un gruppo di persone che alcuni anni or sono costituirono un'associazione perché si creasse qualcosa in Ticino per i bambini vittime di violenze famigliari. L'associazione fu chiamata Demetra e promotrice di quell' iniziativa fu Daniela D'Ottavio-Del Priore, mia moglie, come ho già avuto modo di dire. Al primo comitato dell'associazione [era la primavera del 1996] aderirono un gruppo di persone rappresentanti di diversi ambiti professionali ed istituzionali del cantone.

Già da alcuni anni si parlava del fenomeno sommerso del maltrattamento infantile. Le iniziative erano però orientate tutte quante ad un discorso di prevenzione delle violenze e degli abusi e poco o niente si faceva invece per le vittime, per coloro che queste violenze le subivano.

Amilcare Tonella e Patrizia Pesenti, sulla scorta di quanto accadeva in altri paesi e in diversi cantoni della Svizzera, avevano avviato attraverso i media una sorta di campagna d'informazione e di sensibilizzazione sul problema. Il primo è medico pediatra ed era allora Presidente di ASPI Ticino, la seconda è oggi responsabile del Dipartimento delle Opere Sociali ed era allora magistrata dei minorenni.

Brevemente, per non occupare spazio e rubare inutilmente tempo, ecco i nomi di alcuni altri enti e persone che entreranno mano a mano sulla scena del racconto. Comincerò dalle cariche istituzionali più alte per scendere piano piano verso il basso: Pietro Martinelli, Alex Pedrazzini, allora entrambi Consiglieri di Stato, Roberto Sandrinelli, responsabile dell'Ufficio sociale cantonale e Delegato per le vittime di reati (denominazione breve), Carlo Denti, allora responsabile della Sezione degli istituti, oggi Sezione del sostegno a enti e attività sociali, la Commisione permanente di coordinamento Lav (Legge di Aiuto alle Vittime di reati), composta da vari professionisti, allora in prevalenza dell'area giuridica, i Servizi Sociali, le U.I.R. (Unità d'Intervento Regionali), Demetra (Centro, Associazione e Fondazione), Daniela D'Ottavio-Del Priore (responsabile del Centro Demetra). Questi quindi i principali interpreti. Ve ne sono altri i cui nomi incontrerete, cammin facendo, durante la narrazione. Narrazione che adesso è proprio ora di cominciare. Tenetevi forte!

 

Una bruttissima storia

Mi sembra di ricordare fosse il 1996, la primavera del 1996 per essere esatti. In Ticino già da forse due o tre anni, come ho già avuto modo di dire, era stato avviato un dibattito sull'inquietante problema dei maltrattamenti dei bambini. Due le associazioni che a livello cantonale si occupavano della problematica, ASPI ed SOS Infanzia. La prima diretta da Amilcare Tonella e la seconda da Federico Mari, disegnatore tecnico, dipendente del Dipartimento del territorio, molto attivo nell'ambito del volontariato e sul fronte della protezione dell'infanzia. Tra queste due associazioni e tra i suoi padri fondatori va subito detto che ci fu e c'è tutt'ora una dura guerra. Non scorse sangue evidentemente ma tanto malumore, rancore e forse anche odio. Malgrado SOS Infanzia, poi TSOS Ticino, fosse attiva, in termini di realizzazione di progetti, più di quanto non fosse ASPI, restò per una serie di motivi, che non vale la pena di approfondire ora, al margine degli interessi del Dipartimento delle Opere Sociali (d'ora in avanti DOS). Andava invece consolidandosi in quel periodo una convergenza d'interessi, sulla base di indubbie affinità personologiche, tra Tonella, Pesenti e Sandrinelli che coincise con una parziale caduta in disgrazia di SOS Infanzia [caduta in disgrazia che si è trasformata oggi in una vera e propria condizione di emarginazione ]. Pesenti e Tonella, ho detto, imperversavano già da tempo nei media, sui giornali, alla radio e in TV. La loro presenza era talmente massiccia e l'argomento di cui si facevano interpreti talmente nuovo e preoccupante che vennero identificati come i massimi esperti in Ticino del problema della violenza sui minori.

Roberto Sandrinelli stava intanto "lavorando" assiduamente per realizzare il sogno e l'ambizione coltivati con l'entrata in vigore della legge Lav, della legge cantonale di applicazione e complemento e del regolamento di esecuzione: diventare il Delegato per i problemi delle vittime di violenza e la prevenzione dei maltrattamenti. Il problema era che non si sapeva ancora quale dipartimento sarebbe stato quello responsabile della materia. Vi fu un braccio di ferro, si fa quasi per dire, tra Dipartimento delle Istituzioni e DOS. Pare, si racconta ancora oggi nei corridoi delle Istituzioni, che tanto fu il lavoro ai fianchi operato dall'interno del DOS che Alex Pedrazzini (allora direttore del dipartimento) e i suoi funzionari preferirono gettare subito la spugna e mollare l'osso.

Comunque, dicevamo di essere nella primavera del 1996. Daniela Del Priore, neolaureata in pedagogia, specializzatasi a Milano presso una struttura d'intervento e di terapia in favore di minori vittime di maltrattamenti (CBM di Milano) e una buona esperienza già maturata nell'ambito delle problematiche legate al disagio giovanile, individuava nel dibattito che si stava svolgendo in Ticino sul tema dei maltrattamenti all'infanzia una grossa lacuna e pensò di dare il suo contributo a tale dibattito ponendo in evidenza il problema della presa a carico dei bambini che subiscono violenze in famiglia. Le poche iniziative in atto, i dibattiti, le manifestazioni, la sensibilizzazione, la pubblicazione di opuscoli e di libretti, gli spot televisivi, ecc., come già scritto, si concentravano quasi esclusivamente su un generico discorso di prevenzione. Del tutto ignorato restava il fatto che vi fossero delle vittime e che soprattutto di queste ci si dovesse occupare e in termini differenti da quelli posti in atto fino a quel punto. 

D'Ottavio-Del Priore contattò una serie di persone provenienti dagli ambiti disciplinari e professionali più disparati. Sottopose loro un progetto d'intervento e di presa a carico di questi bambini. Lavorarono per apportarvi le modifiche necessarie a rendere possibile la sua applicazione al contesto ticinese. Il modello di riferimento era infatti quello sperimentato da anni preso il CBM di Milano. La necessità di un progetto generale d'intervento e di presa a carico di queste situazioni era giustificata dal fatto che in Ticino la prassi corrente faceva sì che quando (e sottolineo il quando, sottolineatura che vale del resto ancora oggi, dato che non è assolutamente da dare per scontato il fatto che autorità civili competenti o servizi sociali preposti pongano prontamente in un contesto di protezione le piccole vittime di violenza loro segnalate) un bambino maltrattato veniva allontanato dalla famiglia venisse collocato in un istituto, magari accompagnato ufficialmente dalla meno infamante etichetta, rispetto a quella di abuso sessuale o di maltrattamento, d'inadeguatezza educativa dei genitori o di caratterialità del bambino stesso e questo il più delle volte senza che si avviasse una qualsivoglia indagine (penale se del caso, psicologica per vedere quale fosse la storia di cui si faceva portatore il minore, familiare per individuare problemi, limiti, ma anche possibili risorse su cui lavorare in modo serio in prospettiva di un rientro in famiglia dei figli) e senza che si attivasse il contesto terapeutico più adatto a quella situazione. 

La possibilità di un serio percorso terapeutico che riconoscesse e rispettasse il vissuto di sofferenza, il bisogno di protezione e di risignificazione delle propria storia, era semplicemente delegato alla casualità dell'incontro con qualcuno che, sensibile al problema, se ne facesse carico e si risolveva sovente in una rapsodica e temporanea attivazione di misure a carattere psicoterapeutico (presso i servizi o studi privati). Questo quando e se andava bene, altrimenti la regola era il nulla più assoluto. Il grave disagio, la sofferenza, ogni manifestazione dell'impossibilità di gestire da solo il terribile passato, doveva estinguersi nell'ambito di un rapporto educativo/normativo forzatamente normale e normalizzante in cui il passato veniva costretto, per buona pace di tutti, nell'oblio. Sul fronte familiare il rapporto con l'istituzione e il rapporto tra la vittima ed i suoi parenti veniva (ma potrei dire tranquillamente viene a tutt'oggi) giocata in genere nella più totale ambiguità.

Il DOS e gli istituti sociali del cantone avevano avviato nel 1995, approfittando di un programma occupazionale, una ricerca che desse modo di conoscere un po' meglio la realtà degli ospiti presenti negli istituti stessi. Fu avviata una prima fase di raccolta e di sistematizzazione di tutta una serie di dati a cui avrebbe dovuto seguirne un'altra, cioè quella della ricerca vera e propria. I risultati di tale ricerca non vennero mai resi noti. In realtà la ricerca stessa non fu mai conclusa, almeno dalla persona che la intraprese (non so se sia stata continuata da qualcun d'altro ma ne dubito). Motivo: non so molto e sarebbe interessante che lo spiegassero coloro che commissionarono lo studio. Comunque pare sia certo che alcuni dei risultati raccolti "confliggessero" con il quadro che DOS ed istituti sociali avrebbero desiderato emergesse dalla ricerca stessa, in altre parole alcuni risultati apparirono "indesiderabili" e furono ritenuti non "divulgabili". 

L'epilogo di quello studio fu che venne imposto il silenzio e non più riconfermato l'incarico alla persona che aveva svolto il rilevamento. Iniziò a circolare voce che avesse svolto un pessimo lavoro e che i dati non erano attendibili. Fu detto anche che si trattava di una persona un po' squilibrata. Insomma un modo come un altro per sconfessare i risultati della ricerca, finita poi puntualmente dimenticata nel cassetto di qualcuno, e il solito modo per far fuori moralmente chi l'aveva condotta (ce n'era bisogno?). DOS e responsabili degli istituti decisero che dovesse esserci il totale riserbo su quei dati e così fu.

Demetra presentò, nel maggio 1996, il proprio progetto di Centro di pronta e temporanea accoglienza e di presa a carico globale del minore maltrattato agli allora Consiglieri di Stato Alex Pedrazzini e Pietro Martinelli (non era ancora definito quale dipartimento avrebbe gestito la materia) i quali dopo attenta lettura e sulla base di una serie di dati raccolti da Demetra, che indicavano l'esistenza di una massa critica sufficiente a giustificare la realizzazione di un Centro di quel tipo in Ticino, diedero il loro assenso per la realizzazione di massima del progetto. Piatti forti di questo progetto erano la descrizione di un processo d'intervento (chi fa cosa, quando e perché), che teneva principalmente e finalmente conto dello stato e dei bisogni delle piccole vittime di violenza, e la creazione di un Centro di pronta accoglienza quale luogo per la protezione e la cura di questi bambini.

Uno dei principi cardine del progetto era la concentrazione in un'unità interdisciplinare della responsabilità dell'intero processo. In altri termini la concentrazione del sapere, delle competenze e delle responsabilità in modo da garantire sufficiente unità e funzionalità al processo generale di presa a carico. Insomma, il progetto ubbidiva nel contempo alle esigenze psicologiche della vittima e al bisogno di coerenza e razionalità organizzativa dell'intervento posto in essere.

L'entusiasmo dei Consiglieri di Stato cozzò immediatamente contro la freddezza dei funzionari del DOS e in particolar quella del non ancora Delegato Roberto Sandrinelli che aveva in mente e voleva assolutamente, con meno impegno, minor specificità e risorse finanziarie, fare altro.

In sostanza non piaceva che l'Associazione venisse autorizzata ad aprire e a gestire un tale centro sulla base di un proprio, si fa per dire, visto che non vi sono copyright da tutelare, modello d'intervento. Dopo aver ascoltato per anni e sino alla noia, dagli "esperti" del maltrattamento, che si doveva intervenire seriamente per affrontare il problema, perché quanto emerso era soltanto la punta dell'iceberg, si cominciò a sentir dire, dai medesimi "esperti", che il fenomeno non era poi così ampio e che non era giustificata una struttura specialistica. [e questo è il motivetto che al DOS, in ragione del punto di vista privilegiato - sui problemi dei bambini maltrattati - di cui godono i suoi funzionari, cioè la loro scrivania, va per la maggiore ancora oggi]

Invero, al di là dell'apparente razionalità con cui si condiscono sovente i fatti, per cui sembrerebbe che soltanto dalla loro natura derivino i motivi delle scelte che vengono compiute in un senso o in un altro, molte delle decisioni, degli atteggiamenti, dei comportamenti, assunti dalle istituzioni o dai loro singoli rappresentanti in questa triste vicenda furono motivati e costantemente alimentati dai  meno nobili tra i sentimenti che albergano nell'animo umano e di cui è lecito pensare ognuno sappia quanto basta per rinunciare alla loro esplicita elencazione.

Quelli di Demetra però non erano degli ingenui e le cose, fino allora, le avevano fatte bene (e questo, col senno di poi, è forse stato paradossalmente uno dei limiti della loro azione; ma vedremo poi meglio in dettaglio questa questione). Appena accennato del progetto ai consiglieri e prima di presentarne la stesura definitiva, procedettero, come già detto, alla raccolta di elementi statistici, numeri, in grado di dire se esistesse o meno una cosiddetta "massa critica" che giustificasse la realizzazione di quel progetto. Fu un lavoro che svolsero tra diverse difficoltà, resistenze ed ostruzionismi. I dati c'erano, ma sovente incompleti. Alcuni di questi venivano raccolti in forme del tutto inutilizzabili. Di altri veniva rifiutata la comunicazione costringendo chi rilevava i dati a chiedere autorizzazione più in alto.

Il lavoro terminò e i dati raccolti finirono ad indicare e a descrivere il medesimo quadro definito nella famosa ricerca effettuata dalla ricercatrice "pazza". Non ricordo come, ma tra le tante cose, anche quest'ultima ricerca arrivò in mano a Demetra e al DOS non furono molto contenti di vederla rispuntar fuori e tanto più utilizzata per confutare le tesi dei funzionari che volevano irrisorie le cifre del maltrattamento.

Purtroppo in quei giorni si definì a livello di Governo chi avrebbe avuto competenza di applicare e gestire quanto contenuto nella Lav, nella relativa legge di applicazione e complemento e nel suo regolamento. Breve inciso: il complemento alla legge federale e relativo regolamento di applicazione per il Canton Ticino furono elaborati da una commissione di studio all'interno della quale già siedevano Pesenti, Tonella e Sandrinelli. La patata bollente fu attribuita, come già detto, per "getto della spugna" da parte delle Istituzioni, al DOS. Sandrinelli, con l'entrata in vigore del regolamento di esecuzione della Legge di applicazione e complemento della Lav il 1° agosto 1996, venne nominato Delegato e con questa nomina si produsse una situazione per cui un solo funzionario concentrava nelle proprie mani una serie impressionante d'incarichi, responsabilità, funzioni, in altrettanti e differenti ambiti di competenza. La cosa cominciò a dar fastidio persino all'interno del suo Dipartimento. Ma le immancabili gelosie ed invidie dipartimentali a noi possono anche importare poco. Sorgeva invece e rimane intatto ancora adesso più di un giustificato sospetto che l'assunzione di tutti quei ruoli (capo del servizio sociale, Delegato per i problemi delle vittime di violenza, Segretario della Commissione Lav, membro di vari consigli di fondazione e commissioni, responsabile dei fondi della Lotteria intercantonale, quelli con cui si finanziano molte attività e associazioni cantonali,  nume tutelare e promotore di Telefono Amico, e non so quant'altro ancora) comportasse una mole di lavoro tale da non poter essere svolto, nella realtà dei fatti e non nella rappresentazione che si può dare di essa, da una persona sola. Ma la cosa non destò/desta preoccupazione più di tanto al Nostro, anzi, era/è lui il più convinto, ed è questo il punto a cui voglio arrivare, assertore del nuovo comandamento che andava/va ancora con apostolica fede diffondendo ovunque: "non creiamo nulla di nuovo, utilizziamo quanto già esiste", che tradotto per l'uomo della strada significa "possiamo fare di tutto e poco importa che lo facciamo male o che in realtà non lo facciamo affatto, basta che alla gente, all'opinione pubblica e magari anche al politico, si dica che lo facciamo e che magari credano anche che lo sappiamo fare bene". Insomma, il classico specchietto per le allodole. 

Tutto si gioca ormai sulle illusorie rappresentazioni mentali della realtà che si sanno "stimolare", perché tanto in Ticino la realtà delle tante disfunzioni, anche nell'ambito dell'intervento sociale, non la svelerà [quasi] mai nessuno. Che il re è nudo non lo si saprà mai e con il vento di risparmismo che tira, sempre più forte anche nel DOS - per cui gli amministratori sono costretti a far credere che si riesce con sempre meno a fare meglio le stesse cose che si facevano prima - dovrà inevitabilmente continuare ad indossare vestiti che non esistono e noi continuare a credere che sia vestito e per giunta... pure bene. 

Il Delegato divenne, come già anticipato, anche segretario della Commissione Lav (Commissione permanente di coordinamento della Lav), all'interno della quale, lo ripeto, sedevano, tra gli altri, Tonella e Pesenti.

Dopo alcuni incredibili incontri avuti con i funzionari del DOS (Denti, certo Beltraminelli e Sandrinelli), che attaccarono duramente il progetto di Centro di pronta accoglienza sulla base di faziose argomentazioni di natura finanziaria, Martinelli decise per l'avvio di una fase sperimentale supervisionata dalla Commissione Lav. La scelta di Martinelli fu invero non facile, proprio perché preceduta ed accompagnata da una serie di duri attacchi al progetto portati da uno schieramento che andava piano piano delineandosi con maggior chiarezza. Cominciò a delinearsi anche quale sarebbe stata la linea di comportamento e forse caratteristica personologica più importante del Delegato: permanere nell'ambiguità più totale, affermare una cosa qui e adesso e smentirla poco più in là, assumere sempre posizioni a geometria variabile a dipendenza dell'interlocutore.

In quei giorni accadde però il primo di una serie di gravi episodi che spiegano, in gran parte, il perché si giunge oggi a voler chiudere il Centro Demetra.

Pesenti si presentò in televisione, precisamente al Quotidiano. Aveva combinato con Fabio Dozio, sicuramente sulla base di un pretesto qualsiasi ma con un subito chiaro intento, un'intervista. I contenuti erano i soliti, solite le domande e solite le risposte. Aria fritta insomma. Alla fine dell'intervista ecco spuntare però il vero motivo di quella "combine": portare un attacco frontale ai promotori del progetto di un Centro di pronta accoglienza per bambini maltrattati, in sostanza a quelli di Demetra. Il progetto, fu detto, era inutile e i suoi promotori erano soltanto dei fanatici che vedevano abusi e maltrattamenti dappertutto. Questo in pillole ciò che disse all'opinione pubblica ticinese Patrizia Pesenti. Questo fu quanto affermò colei che andò per anni negli studi televisivi di Comano e radiofonici di Besso a dire che i maltrattamenti rilevati dai servizi non rappresentavano altro che la "punta di un iceberg" e che bisognava impegnarsi per far emergere la sua parte sommersa. 

Per alcuni fu subito chiaro che ci si trovava di fronte ad una persona confusa e prevenuta che, sulle basi della propria " ignoranza" in materia (dubito seriamente che a tutt'oggi abbia letto anche solo una volta il progetto Demetra; comunque sia in quella trasmissione si espresse indubbiamente senza alcuna cognizione di causa) e dei propri pregiudizi, giudicava un progetto di cui non conosceva nulla. Fu purtroppo anche chiaro che ci si trovasse di fronte ad una persona molto determinata nel voler perseguire con ostinazione i suoi, allora comunque non ancora del tutto chiari, scopi. 

Per la cronaca, Demetra chiese la possibilità di una replica a Dozio. Le venne rifiutata (proposero un minutino di ripresa e, il colmo, per di più registrata). Soltanto a distanza di anno fu concesso ai suoi rappresentanti di presentare il progetto Demetra. [ Anche questo è TSI!]

Vi propongo una serie di spezzoni filmati dell'intervista rilasciata da Pesenti così che possiate rendervi conto di persona del mucchio di sciocchezze che andò ad affermare. I filmati sono purtroppo di pessima qualità e l'audio non è molto meglio, ma si comprende abbastanza bene. Ho accompagnato i filmati con un'analisi delle affermazioni di Pesenti che vi pregherei di leggere.

 

 

II Capitolo

 

Il Centro Demetra iniziò la sua attività tra mille difficoltà e problemi nel settembre del 1997. Il progetto elaborato da Demetra (potete consultarne copia on-line), malgrado fosse il frutto di anni di esperienze condotte in altri paesi e tenesse conto delle indicazioni provenienti dalla letteratura scientifica, quindi di ciò che si conosce a livello scientifico ed empirico sui bambini vittime di violenza, sulle loro famiglie e sui contesti sociali in cui vivono, malgrado avesse al suo centro la figura del bambino e la sua sofferenza, fu accolto soltanto in minima parte. Furono imposte modifiche che finirono per snaturare gran parte del potenziale innovativo che con esso s'intendeva portare nell'intervento in favore di questi bambini. Ma del resto, si diceva in Associazione, si trattava di partire in qualche modo, poi, una volta consolidata l'esperienza, si sarebbe lavorato per cercare di avvicinarsi al modello d'intervento proposto nel progetto. I funzionari del DOS (Denti e Sandrinelli) definirono loro la sede più adeguata per il Centro Demetra e cioè la Casa S. Felice di Rovio. Gli spazi per il Centro dovevano essere ritagliati all'interno di questo istituto. La responsabilità del progetto non era affidata all'associazione promotrice del progetto ma bensì alla Fondazione Casa S. Felice che del progetto Demetra non gliene poteva importare di meno. Non mancarono le umiliazioni per l'ideatrice e responsabile del progetto, sig.ra D'Ottavio-Del Priore, la quale, secondo i funzionari, avrebbe dovuto subordinare (chissà perché?!) la sua attività all'autorità del neonominato direttore della S. Felice, il quale del progetto Demetra e dei problemi legati a quella particolare casistica non sapeva e conosceva quasi nulla. La collocazione a Rovio aveva un suo senso d'essere anche perché il Centro Demetra avrebbe dovuto fungere da salvagente per Casa S. Felice che sarebbe stato  altrimenti chiuso (lo sarà comunque, per decisione del DOS e salvo ripensamenti, alla fine di agosto 2000).

La collocazione a Rovio si dimostrò essere veramente una mossa geniale: la sua perifericità rispetto alle aree più densamente popolate del Cantone convinse diversi operatori sociali ed autorità civili della sua inadeguatezza a fungere da centro cantonale di pronta accoglienza. 

I funzionari crearono anche una serie impressionante di problemi per l'assunzione del personale. Le educatrici furono date col contagocce, assunte nella misura in cui arrivavano i bambini e sottoposte ad un vero tour de force lavorativo durante il primo anno di lavoro. Non vennero assunte subito, ma inizialmente, per diversi mesi, pagate ad ore. Inorridiscano i sindacati, fu concepito pure l'impiego di un'educatrice su chiamata per cui sopra un certo numero di bambini veniva impiegata a tempo pieno, sotto quel numero tornava ad essere disoccupata. Giravano paghe mensili che potevano arrivare fino a 12.000.-, ho detto dodicimila, franchi al mese a causa delle ore straordinarie accumulate. La norma era di 8-9 mila franchi al mese. Il motivo di questo modo di procedere: la quasi certezza che il Centro non avrebbe avuto successo (ricordatela sempre questa parola, "successo", è , con "gelosia" ed "invidia", un elemento chiave delle azioni e della volontà d'invalidazione che affossarono questo progetto), quindi prudenza nell'assumere personale che avrebbe potuto rimanere inutilizzato. Domanda facile: con la massa salariale pagata in quel periodo quante persone avrebbero potuto lavorare all'interno di un regolare ed umano rapporto di lavoro di 42 ore alla settimana che permettesse i necessari tempi di ricupero delle energie fisiche e psicologiche del personale educativo?

In verità i funzionari pregarono e sperarono che i bambini non arrivassero e che potessero così andare dal loro direttore a dire che l'esperienza era fallita prima di cominciare. Ma, maledizione, i bambini c'erano e cominciarono pure ad arrivare. La responsabile si trovò così subito in enormi difficoltà: gli angusti spazi dovevano essere ancora organizzati, non c'era il personale e quello che c'era era al primo impiego e da formare (i candidati preparati e con esperienza non accettavano la precarietà delle condizioni di lavoro offerte); andava ancora avviata tutta l'opera di contatto e d'informazione dei vari servizi, delle autorità civili e penali, delle polizie, degli istituti sociali, opera utile perché si comprendesse che esisteva il Centro e a cosa serviva questo centro; e c'erano poi anche i bambini e le loro famiglie, gli operatori coinvolti, gli avvocati delle famiglie e la consulenza richiesta da questa o da quella scuola …. insomma s'iniziò a seminare prima ancora di aver arato il terreno e prima ancora di disporre delle braccia necessarie a coltivarlo.

La responsabile del Centro, venne ulteriormente umiliata e fatta passare da una classe di stipendio superiore, precedentemente acquisita, ad una inferiore. Paradosso dei paradossi: faceva ancora più ore delle sue educatrici (quelle degli 8-9-12 mila franchi al mese di paga), con un carico di responsabilità, uno sforzo ed un logorio dei nervi infinitamente superiore e percepiva la paga di una capo-équipe, per intenderci, quindi, di pochi franchi superiore a quella prevista dal Regolamento organico cantonale per un'educatrice.

Con il Centro iniziò a funzionare, si fa per dire, l'invenzione di Sandrinelli: le Unità d'Intervento Regionale (UIR). Quattro unità d'intervento composte da quattro professionisti - un assistente sociale, uno psicologo o psichiatra per bambini e uno per adulti, un rappresentante dell'Ufficio del tutore ufficiale, tutti operanti all'interno dei servizi cantonali - per le quattro regioni del Cantone la cui creazione venne ancorata nel regolamento di esecuzione della Legge di applicazione e complemento della Lav. Ancora oggi c'è la più totale confusione/disinformazione ed incertezza circa il loro mandato, circa le responsabilità, i compiti e le funzioni che dovrebbero assumere. Non lo dico io, basterebbe chiedere agli operatori o all'utenza che con esse hanno avuto o avrebbero voluto aver a che fare. Questa fu una delle tante scelte imposte da Sandrinelli che si rifanno al principio, prima enunciato, del "non creare nulla e usare ciò che già c'è". Per chi sa minimamente come funzionano il servizio sociale e gli altri servizi che di disagio sociale si occupano è subito evidente l'entità della farsa messa in piedi. Sedici persone che, oltre ai compiti normalmente assunti (sovente impossibilitati a svolgere a causa dell'eccessivo carico di lavoro), dovrebbero, e il condizionale è d'obbligo visto quanto affermato poc'anzi riguardo alla confusione circa il loro mandato, occuparsi delle segnalazioni di presunti maltrattamenti (consulenza), su mandato dell'autorità civile degli accertamenti del caso (indagine psicosociale), della valutazione delle famiglie, della partecipazione alla costruzione di progetti psicoeducativi riguardanti i minori vittime di violenza, ecc. Ben inteso: le UIR non si occuperebbero soltanto di bambini maltrattati, ma bensì di qualsiasi situazione in cui siano coinvolte delle vittime che abbisognano di un'assistenza di tipo psicologica e/o sociale, siano esse minorenni o adulte.

Sandrinelli presentò le UIR forgiando la metafora del 4x4. L'immagine voleva probabilmente rimandare ad un mezzo solido, robusto, efficiente ed affidabile su cui contare. Bene, quel 4x4 intravisto da Sandrinelli rappresenta a mio giudizio un carrozzone con 16 ruote, ognuna o quasi rivolta in una direzione diversa. Non mancano al loro interno le qualità, le competenze o la professionalità (ma neppure l'approssimazione e l'improvvisazione), quello che fa storcere il naso è la fumosità del modello d'intervento proposto e il collocamento di tanto fumo all'interno di un processo d'intervento ancor più fumoso e confuso e non da ultimo il numero delle persone chiamate ad operare. Questo modello terrà, forse, conto dell'organizzazione dei servizi, delle loro logiche di funzionamento, terrà anche forse conto del bisogno di risparmiare, terrà sicuramente conto degli scopi del suo ispiratore, ma è mille miglia lontano dalla natura del problema, dai reali bisogni dei bambini vittime di violenza e delle loro famiglie, dalla reale condizione e situazione di queste bambini, mille miglia lontano dal rappresentare una soluzione accettabile che possa dare l'idea di una chiara e seria volontà d'intervento di aiuto e di sostegno in questo ambito da parte dello Stato. 

Iniziò così un braccio di ferro, sotto l'abile regia di Sandrinelli (tra l'altro oltre ad ispiratore delle UIR è anche loro coordinatore e responsabile) sulle competenze assunte dal Centro Demetra e su quelle assunte dalle UIR. La confusione permise alla zizzania di proliferare ovunque vi fossero persone che tentassero in qualche modo di orientarsi rispetto ai problemi esistenti (alla lunga ho scoperto che è una "caratteristica" piuttosto diffusa in questo paese; ma nel caso si sono raggiunti livelli decisamente preoccupanti) e alle possibili soluzioni applicabili per risolverli. Sandrinelli non favorì in alcun modo (diciamo così) la possibilità che tra Demetra, UIR, servizi sociali s'instaurasse un serio canale di comunicazione e collaborazione; ad esempio, uno dei molti, non accolse mai l'idea e la proposta che il Centro presenziasse agli incontri delle UIR. Vien da domandarsi: c'era forse il pericolo che comunicando direttamente i rispettivi problemi, evitando quindi di farlo per interposta persona, iniziassero a parlare una lingua comune, in grado di aiutarli a superare problemi ed eventuali divergenze di vedute, e finissero magari addirittura a lavorare bene? 

Credo comunque che nessuno abbia mai tirato in giro i membri dell'associazione e del Centro Demetra come ha fatto questo signore (Pesenti in questo senso e a onor del vero è stata molto più coerente): se qui e adesso confermava il suo appoggio al Centro, un attimo dopo, da un'altra parte e con qualcun d'altro, era capace di far capire l'esatto opposto. Oggi è colui che, rimangiatosi clamorosamente le poche parole buone espresse in favore del Centro (erano i giorni in cui il Centro "tirava" alla grande), in piena armonia con Pesenti, divenuta nel frattempo sua direttrice, spinge per la "terminazione" ed abbandono del progetto Demetra. Fu con Denti tra quelli che si opposero con inusuale ottusità e determinazione a che il Centro di pronta accoglienza si chiamasse Demetra e qui, colto il senso più deteriore del termine, è il caso di dirlo, si trascese non solo nel grottesco ma anche nell'infantile. 

Nella prima corrispondenza che intercorse tra Centro Demetra e Dipartimento delle opere sociali non figurò mai espresso il nome di Centro Demetra. Si giunse al ridicolo quando si trattò di schematizzare il processo d'intervento cantonale per le situazioni di maltrattamento: Sandrinelli confinò il Centro Demetra all'interno di un microscopico punto dello schema, inserito in maniera vaga all'interno di una serie di punti-opzione, badando bene di omettere in una prima stesura anche il nome di battesimo del Centro. In tutte le sue apparizioni in pubblico, è stato sistematicamente constatato, non fece mai il nome di Demetra, mai spiegò dell'esistenza di questa struttura e men che meno del progetto di cui si faceva interprete. Tanto poté l'avversione per un progetto, che malgrado tutto prendeva piede, faceva parlare di se e raccoglieva la considerazione ed il plauso della gente e di molti operatori e professionisti dell'ambito sociale e sanitario!

Purtroppo credo, sempre con il senno di poi, che quelli di Demetra sottovalutarono di molto la reale natura dell'azione portata avanti dai loro avversari.

Va detto ancora, giusto per far risaltare l'ulteriore ridicolo con cui si condiscono talune scelte in questo paese, che al tempo della nascita delle UIR già operavano in Ticino, o almeno ci provavano, i cosiddetti CAN Team. Questa fu, sembra, un'invenzione di Tonella che trasportò pari-pari il modello di quanto esiste da anni negli U.S.A. e in Canada (ma qualcosa di simile esisteva/esiste anche nei principali ospedali svizzeri) in Ticino e cioè un équipe di specialisti che nei principali ospedali del Cantone fossero pronti, 24 ore al giorno per 365 giorni all'anno, ad intervenire nelle situazioni di bambini picchiati o abusati per i quali si fosse reso necessario il ricovero.

Ora, quando Demetra presentò, scritto nero su bianco, il modello d'intervento applicato presso il CBM di Milano adattato al contesto ticinese, i soliti noti dissero che "qui non siamo mica a Milano", che in Ticino non ci può essere il numero di casi trattati in una metropoli di due milioni di abitanti. Sfuggiva ai "soliti" che il CBM di Milano tratta i casi di pochi quartieri di Milano e non riesce, malgrado questo, a soddisfare le richieste di collocamento e che risultava ben più assurda l'idea di 4 CAN Team, visto che di bambini maltrattati nei pronto soccorso ne arrivano veramente pochissimi. Quindi avevamo nel cantone ben 32 persone (forse qualcuna in meno perché potevano esserci delle sovrapposizioni di persone che operavano in entrambe le équipe) che si occupavano del problema.

Voglio insistere ad evidenziare ulteriormente il grottesco: provate a raccogliere i numeri di telefono che in Ticino si occupano di rilevare le segnalazioni o offrire consulenza per casi concernenti i maltrattamenti, parlo delle Antenne di TSOS Infanzia, delle 4 UIR, del Telefono Amico (che Sandrinelli ha voluto si occupasse di raccogliere telefonate inerenti la problematica; ma non c'era già TSOS Infanzia? perché non sono state utilizzate le sue strutture e competenze? [come mai gli sono invece stati tagliati i pochi finanziamenti statali ricevuti tramite il fondo della lotteria intercantonale?]), di Pro Juventute e vedrete che giungla. Al bambino maltrattato o all'adulto gli ci vorrebbe una guida del telefono in formato A3 per orientarvisi.

La Confederazione ha versato per anni (6 ad essere precisi) centinaia di migliaia di franchi al Canton Ticino quale incentivo per avviare dei progetti (questo era lo scopo) nell'ambito delle problematiche inerenti le vittime di violenza. Sapete cosa ne è stato della maggior parte di quei soldi? Sono rimasti inutilizzati per anni e questo fatto è evidenziato in un rapporto (2° rapporto, 1993-1996) commissionato a livello federale per vedere gli effetti prodotti nei vari Cantoni dall'introduzione della Lav. Il senso di quel finanziamento, in sé piuttosto modesto, era quello di stimolare i cantoni a metterci del loro e ad avviare dei loro progetti. Qui in Ticino si sono pagati per anni soltanto i gettoni di presenza dei membri della Commissione Lav e poco altro. A onor del vero non so se la Confederazione mossa a compassione per tanta difficoltà ad imbastire dei progetti non abbia riportato di anno in anno e messo comunque a disposizione il finanziamento non consumato. C'è da augurarsi di sì.

Quando, l'appena laureata D'Ottavio-Del Priore (era il 1994) decise di andare a Milano per specializzarsi nella casistica dei minori vittime di violenza, si rivolse alla Commissione Lav per ottenere un finanziamento. La legge prevedeva e prevede ovviamente anche la possibilità del finanziamento della formazione in ambiti specifici legati alla problematica delle vittime di reati. Pareva al privo di pregiudizi Giacinto Colombo (allora presidente della commissione) che non vi fossero problemi, tant'è che si sbilanciò ad esprimere, evidentemente solo a parole, un preavviso sostanzialmente favorevole. La Commissione, dopo complicata procedura, decise di convocare la richiedente in Commissione per la presentazione del suo caso. Vi fu un sereno dibattere e per contrasto il totale silenzio di Pesenti. Stette forse in silenzio perché era arrivata durante gli ultimi dieci minuti di un incontro durato un'ora? Sembrò proprio di no! La Commissione si riunì in separata sede e decise di rifiutare il finanziamento. Si seppe subito dopo che a far la parte del leone in questa "strana" decisione vi fu proprio Pesenti. I soldi era meglio lasciarli a Berna piuttosto che darli a una Del Priore, deve aver pensato (il padre della richiedente, insegnante di storia, ebbe la sfortuna di avere tra le sue allieve proprio l'On. Pesenti; la sfortuna, nei panni di una spietata nemesi storica, toccò in seguito ai suoi figli).

Il Centro Demetra, dicevo, iniziò il suo faticoso percorso (siamo al 1997-1998). Cominciarono ad arrivare i bambini, s'intessevano rapporti di lavoro, rapporti personali e la fiducia nel progetto cominciò ad aumentare un po' ovunque. Fu ciclopico il lavoro svolto, per la sua portata ma soprattutto per le difficili condizioni in cui fu svolto. Sensibilizzare, informare, formare, una realtà abituata fino a lì ad operare in un certo modo, penso sia stato uno degli sforzi più grossi intrapresi dall'Associazione Demetra e dal Centro. A chiacchiere, in radio, TV o sui giornali, è facile dire che bisogna portare una nuova cultura dell'infanzia, nella realtà è ben altra cosa. Non mancarono le resistenze ma in generale fu positiva la rispondenza di coloro che collaborarono con il Centro. La presenza di una struttura che si occupasse concretamente del problema di cui si era andati ad infarcire la testa della gente per anni sembrò avere per molti una sorta di effetto catartico, in grado di liberare la tensione e il disagio accumulati per la preoccupazione di un fenomeno descritto tanto vasto e tanto terribile. 

I bambini, dicevo, iniziarono ad arrivare nel Centro. In circa un anno e mezzo di reale operatività ne sono arrivati circa una ventina. La struttura si rivelò immediatamente inadeguata. Le stanze erano state ricavate separando con dei pannelli due aule scolastiche, lo spazio per il gioco da due corridoi attigui alle stanze, l'ufficio della responsabile da uno sgabuzzino per le scope, il tutto molto piccolo e paradossalmente dispersivo, incredibilmente freddo d'inverno e terribilmente caldo d'estate. Questo è quanto volle offrire il DOS. La responsabile dovette arrangiarsi a fare di tutto, dalla responsabile all'addetta alle pubbliche relazioni, dall'impiegata alla donna delle pulizie, dalla formatrice alla consulente, dall'educatrice all'amministratrice. Si portò per due anni il lavoro a casa, le scartoffie burocratico-amministrative e i contatti telefonici che non riusciva o non poteva evadere presso il Centro. Lavorava durante il giorno, la sera, spesso la notte, il sabato e la domenica, garantendo un picchetto 24 ore su 24 per 365 giorni all'anno, quindi anche durante le rare volte che andava in vacanza. Follia! Doveva lavorare anche a casa perché durante il giorno lo sgabuzzino-ufficio doveva fungere da centralino telefonico, da ufficio per le educatrici, da direzione, da luogo d'incontro delle famiglie o di qualsiasi rappresentante di autorità o di servizio, da passaggio obbligato per il cesso,  uno spazio (4 x 3 metri) "invaso" da ogni bambino in transito; tutto insomma meno che un luogo degno in cui poter lavorare. Qualcuno oggi (gente che ha magari la segretaria, un paio di servilissimi tuttofare e un ufficio di 150 metri quadri a disposizione) dice che non ha saputo organizzarsi bene.  Malgrado questo, malgrado le vergognose condizioni in cui è stato costretto ad operare, il Centro Demetra è riuscito a raccogliere l'apprezzamento della stragrande maggioranza degli enti ed istituzioni coi quali ha collaborato. Giudicate voi.

L'implicito principio del collocamento del Centro Demetra a Rovio, del finanziamento per l'organizzazione dei suoi spazi interni, dell'attribuzione di unità lavorative per svolgere il lavoro, definito all'interno di un preciso mandato dato dal DOS a Demetra, fu questo: dietro il paravento della scarsezza dei mezzi finanziari a disposizione, fare in modo che il personale del Centro operasse nelle condizioni più difficili per non dire quasi impossibili, togliere il massimo potenziale di operatività possibile e attraverso di esso quote di potere ("potere" è un'altra parola chiave di cui tener conto) nel più generale contesto della presa a carico. Ai funzionari del DOS poteva anche andar bene un contenitore in cui collocare i casi di bambini maltrattati o abusati ma quello che non volevano era un Centro pensante, competente ed agente sul territorio col quale dover avere a che fare. E questo penso lo pensassero e lo pensino tutt'oggi anche alcuni operatori sociali e medicopsicologici dei servizi statali e non solo. Grave responsabilità di Demetra e della sua responsabile di aver accettato queste condizioni convinti che per guadagnarsi la fiducia del DOS bisognasse prima dimostrare di saper lavorare. Questo fu quanto suggerirono gli allora membri dell'Associazione poi confluiti nell'omonima fondazione. 

Oggi si capisce bene quali siano stati gli effetti di quell'errore. Peccato che a pagarne le conseguenze ed in termini decisamente pesanti siano poche persone, e la vittima prescelta, il capro espiatorio di tutto, l'agnello sacrificale, colei che deve a quanto pare assumersi tutte le responsabilità, una soltanto. Il successo ha molti padri, madri, padrini e madrine, parenti vicini e lontani, ma la sconfitta, mi pare di ricordare, dovrebbe normalmente restare orfana. In questo caso non si è voluto fosse così. Qualcuno mi può spiegare come mai?

I problemi irrisolti si accumularono dando poco spazio e poca lucidità di mente per affrontare quelli nuovi. Se l'arrivo di ospiti mise in stand-by i detrattori e gli avversari del Centro, i problemi di gestione iniziarono a far serpeggiare il nervosismo all'interno dell'Associazione, che ad onor del vero non poteva godere della necessaria libertà di movimento per districarsi nell'intricata questione e selva di problemi. Ogni sua decisione o volontà doveva essere passata al vaglio della Fondazione Casa S. Felice e ricevere il nulla osta dei funzionari. Si sprecarono, soltanto per fare un esempio, un numero impressionante di ore, di parole e di energie per risolvere il problema di una vasca da bagno inizialmente del tutto mancante presso il Centro.

Ogni richiesta formulata per garantire il minimo vitale per far funzionare il Centro, richiedeva discussioni infinite, incontri ad ogni livello. Le educatrici assunte presso il Centro erano inizialmente molto motivate e sopportarono abbastanza bene lo stress, anche perché, come ho già detto, ogni fine mese vedevano comunque premiato bene il loro impegno e sforzo. Ma a lungo andare gli effetti del logoramento a cui furono sottoposte fu evidente.

Prendete dei topolini, metteteli in una gabbietta, rendete penosa la loro convivenza con ogni sorta di ostacoli e vedrete che dopo un po' di tempo il tasso di aggressività inizierà a salire e alla fine qualcuno aggredirà qualcun d'altro e finirà per fargli male. Questa è psicologia elementare che, strumentalmente, mancò a ai funzionari del DOS.

Bene, a questo punto debbo affrontare una parte sicuramente tra le più interessanti della storia al fine di capire cosa è successo in Ticino in questi anni, cosa si è giocato dietro le quinte del teatrino dell'intervento in favore dell'infanzia maltrattata.

 

 

III Capitolo

 

L'opera di sensibilizzazione portata avanti nell'opinione pubblica, nei servizi e nelle scuole, iniziò a dare i suoi frutti. Le segnalazioni di bambini che si trovavano in evidente situazione di pericolo per la loro incolumità iniziarono a lievitare. Il centro come già detto, dopo i primi mesi di preparazione della struttura e d'informazione al territorio della sua esistenza (il DOS ed il Delegato l'avrete già capito se n'è guardarono bene dal prendere questa iniziativa da parte loro), iniziò a funzionare. All'inizio un po' lentamente, poi decollò. Dovettero riempire al massimo un centro che poteva contenere non più di 6 bambini (Denti dixit) arrivando a punte di presenza di 9-10 bambini. La commissione Lav, all'interno della quale siedevano rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni coinvolte nel problema della violenza ai bambini (p. es. SOS Infanzia ed ASPI), ma nella quale fu rifiutata la presenza di Demetra, aveva avuto l'incarico di monitorare l'esperienza del Centro e quelli di Demetra sapevano che l'unica cosa che erano in grado di "monitorare", malgrado l'On. Martinelli, abituato ad analizzare con rigore ogni dossier, avesse chiesto ben altro, era il tasso di riempimento della struttura e che su questo tasso si sarebbe giocata la loro valutazione. Presidente della Lav venne nominato, malgrado il suo scarso entusiasmo, Padre Callisto Calderari. Per i contatti con Demetra e per seguire da vicino l'esperienza venne formata una sottocommissione: Pesenti (ma guarda!), Gacinto Colombo e l'onnipresente/potente segretario.

Sapevano molto bene quelli di Demetra che era fondamentale in quei due anni il numero (ma sarebbe più giusto dire in quel primo anno perché, malgrado si fosse parlato di due anni di sperimentazione, gli avversari di Demetra ventilarono la fine dell'esperienza già dopo il primo anno, agosto 1998, se non fosse arrivato un numero sufficiente di bambini; fu per questo motivo che le educatrici dopo essere state assunte durante i primi mesi con un contratto ad ore si videro tramutare quel contratto in un contratto a termine fino al 31 agosto 1998; si ventilava, qualcuno sperava, la chiusura del Centro entro tale data) di bambini accolti presso il Centro. Malgrado Martinelli avesse dato alla Commissione Lav un mandato ben più articolato ed impegnativo (controllo qualitativo di tutti gli interventi operati presso il Centro, in sostanza), l'unico criterio che furono in grado di controllare, per loro stessa ammissione, fu questo. I bambini collocati al Centro, l'ho già detto, sono stati circa una ventina. Il riempimento medio è stato di circa dell'80%.

Ma altrettanti, se non di più, furono i bambini mai arrivati al Centro Demetra. Ed ecco senza tanti giri di parole i motivi:

  • Alcune assistenti sociali non li hanno voluti collocare al Centro Demetra. Altre assistenti sociali, malgrado fossero state sottoposte a pressioni per non collocare al Centro, restarono invece fedeli al loro senso etico e alla loro professionalità.

  • Il servizio sociale e i servizi in genere sono sovente al corrente da anni di situazioni di gravissimo pregiudizio subite da bambini ma non procedono ad alcuna misura di protezione. L'alleanza in taluni casi, di operatori sociali, sanitari, rappresentanti delle autorità, con gli adulti maltrattanti è ampiamente trattata nella letteratura scientifica e la credenza della sacralità ed inviolabilità della famiglia (i figli sono possesso dei propri genitori e la famiglia è per sua natura buona, sempre) piuttosto diffusa anche in Ticino. Non è un problema di colpe, è un problema di assunzione di responsabilità, di etica professionale, di preparazione e di formazione (seriamente proposta e seriamente svolta). E comunque i recenti fatti (l'interpellanza Buzzi farà sicuramente scuola) hanno dimostrato quanto precaria sia la posizione dei servizi quando decidano di rompere un malsano equilibrio in favore della messa in atto di misure di protezione per i minori che si trovino in grave situazioni di pregiudizio. 

  • La magistrata dei minorenni, cioè Patrizia Pesenti, è intervenuta in prima persona per impedire che alcuni bambini maltrattati fossero allontanati dalle proprie famiglie "rischiando" così di venir collocati presso il Centro Demetra. Visto che il numero di bambini accolti era l'unico criterio in base al quale veniva determinata l'utilità o meno del Centro Demetra, niente di meglio che fargli mancare l'ossigeno. E poi... "la peggior famiglia è pur sempre meglio del miglior istituto" (Pesenti). Ora dovrebbe essere chiaro a tutti cosa intendeva l'On. Pesenti in Gran Consiglio quando, rispondendo all'interpellanza Buzzi, disse che la procedura di collocamento del bambino, oggetto dell'interpellanza e presunta vittima di violenze ad opera di un'altra ospite del Centro, l'aveva seguita molto da vicino ma che purtroppo, a differenza dell'Italia dove il Magistrato può intervenire anche nella procedura di allontanamento di un minore, in questo caso, pur avendo "fatto presente" la sua posizione, non potè fare più di tanto. Lei non era in Italia ma di fatto agì come se lo fosse stata!

  • Le Delegazioni Tutorie sono a conoscenza di innumerevoli casi di maltrattamento ma per i più disparati motivi non procedono in alcun senso ad adottare delle misure di protezione. Nel migliore dei casi delegano ai servizi che a loro volta avviano, se possono, le classiche misure tampone che non portano assolutamente a nulla.

 

  • Nella maggior parte dei casi in cui qualcuno (insegnante, privato cittadino, conoscente) segnala una situazione di presunto stato di pericolo o pregiudizio di un minore a causa di una situazione di disagio familiare, non accade nulla. Anzi vengono sovente denunciate le gravi difficoltà a cui va incontro il o la segnalante. E sono molte le segnalazioni avvenute in tutto il Ticino nei due anni di vita del Centro Demetra.

Questo cari lettori è quanto è capitato e capita tutt'oggi in Canton Ticino.

Concentriamoci ora un attimo ancora sull'allora Magistrata dei minorenni P. Pesenti.

Fu tale lo scontento che la invase per non aver visto condivisa la sua indicazione dell'inutilità di realizzare un simile progetto e struttura che cominciò a perdere la misura. Iniziò un'opera di attacco del progetto Demetra senza eguali e non si fermò di fronte a nulla, men che meno di fronte alle legittime e reiterate richieste di spiegazione del perché di tanta avversione. Questo atteggiamento da parte di una persona che ricopriva una così importante carica istituzionale, quale quella di giudice dei minorenni, risulta ancora a tutt'oggi inspiegabile ed inspiegato.

Diverse persone del Ticino-che-conta conoscono o per lo meno sanno bene di questo e di molti altri fatti, ma hanno sempre prudentemente, e colpevolmente aggiungo io, taciuto. Il fatto che nessuno sia insorto per ricondurre la signora Pesenti di fronte alle sue responsabilità e alla gravità di quanto stava per fare, in questa ed in tante altre vicende di cui ho sentito soltanto accennare, non ha fatto altro che rimandarle e confermarle per anni l'immagine di potenza, forse di onnipotenza, che di sè ha coltivato. Molti ne parlavano e sicuramente ne parlano ancora oggi nei corridoi e nei salottini-bene del Cantone, ma rigide regole non scritte – regole che danno contenuto e forma all'ipocrisia di certo perbenismo benpensante e di certa codardia, presenti purtroppo in maniera importante anche alle nostre latitudini; regole che in taluni casi alimentano, figlia della prima, l'ipocrisia delle istituzioni e dei suoi rappresentanti; regole che danno troppo sovente ingiusta morte alla volontà delle persone migliori elevando per contro la mediocrità dei peggiori - vietano loro anche il più semplice atto d'indignazione. Li trafigge come il peggiore degli abomini l'idea ed il coraggio della denuncia. L'atteggiamento, generalmente registrato, è quello di una tollerante rassegnazione. E' la legge non scritta che impera, per cui ai ricchi ed ai potenti si perdona molto, troppo in alcuni casi, ai poveri cristi si chiede invece conto di tutto!

Uno dei problemi di cui si fece carico l'Associazione Demetra fu la raccolta di fondi per sostenere il Centro nelle attività e nell'acquisto di materiale che non veniva riconosciuto dal Cantone. Si trattava quindi di andare a cercare finanziamenti. Una domanda in questo senso fu rivolta ad un'importante fondazione svizzera tedesca, la Kinder und Gewalt. Membro ticinese del consiglio era, al momento della richiesta, Tonella (doveva essere il 1997). Si guardò bene dal fare qualcosa per favorirla. Demetra rappresentava anche per lui un fastidiosissimo concorrente. Gli succedette Pesenti (com'è piccolo il Ticino). Se Tonella non fece niente (del resto non scrisse neppure mai nulla del Centro o di Demetra sul suo bollettino, il bollettino ticinese di ASPI per intenderci. Sollecitato a forza scrisse dopo tanto tempo le classiche due righe per dire che c'era un centro di quel tipo in Ticino; nuovamente sollecitato a forza si decise a segnalare il sito web di Demetra nelle pagine web di ASPI dedicate ai link importanti. Demetra aveva inserito ASPI il giorno stesso in cui inaugurarono il loro di sito. Sicuramente dettagli, inezie, ma dicono molto sulla differenza di stile e di atteggiamento e poi non nascondiamoci dietro falsi paraventi: è proprio di queste inezie che condiamo la nostra repulsione, invidia, gelosia, verso i progetti altrui), dicevo, se Tonella non fece nulla, Pesenti si diede invece molto da fare per "elogiare" di fronte ai suoi colleghi di fondazione l'esperienza che la Consigliera federale Ruth Dreifuss considerava e considera ancora un'esperienza pilota in Svizzera. Pervenuta la richiesta di finanziamento qualcuno della fondazione, certo signor Rickenbacher, manifestò genuina soddisfazione perché si trattava, disse, di una richiesta di finanziamento finalmente in linea con gli intendimenti della Kinder und Gewalt, che si trovava altrimenti a finanziare progetti che poco avevano a che fare con essi. La risposta finale, grazie alla preziosa intermediazione di Pesenti, fu la negazione del finanziamento. Non scrissero, è la prassi, il motivo per cui lo negavano. Ora lo sapete!

L'associazione Demetra tentò in tutti i modi di dialogare con Pesenti incontrando però sempre il classico muro, in questo caso di vero e proprio cemento armato. Mai una risposta, mai un invito accolto, mai una spiegazione al perché della sua contrarietà al progetto, solo silenzi e a volte anche molto imbarazzanti. Furono raccolte a fatica qua è là alcune, a dire il vero poche, osservazioni fatte da Pesenti. Cose del tipo "non c'è un numero così elevato di casi da giustificare una struttura specialistica", "la peggior famiglia è meglio del miglior istituto sociale", "l'offerta di servizi di questo tipo genera il bisogno" e altre "perle" di saggezza simili. L'associazione Demetra ha sempre risposto pazientemente a questa e a tutta una serie di altre questioni poste da altri interlocutori. Ha scritto centinaia di fogli, speso milioni di parole in spiegazioni, ripetuto per centinaia di volte le stesse cose. 

Pesenti da parte sua arrivò a collezionare invece una serie impressionante di figuracce come quelle in cui fu confrontata di persona con i rappresentanti di Demetra in sede di Commissione Lav e che la vedevano ogni volta e puntualmente chiusa in un penoso, quanto triste ed imbarazzante per tutti, mutismo.

Neppure le insistenti esortazioni rivolte al vento dall'amico (suo) Callisto servivano a farle scucire una parola di bocca… e la pazienza si dilatò in dimensioni inimmaginate ed inimmaginabili. E' incredibile quanto possa pesare lo status sociale ed il ruolo istituzionale incarnato da una persona in ordine alla tolleranza e alla pazienza che nei suoi confronti si può avere!

Martinelli, i membri dell'associazione (magari qualcuno al suo interno con un po' più di fatica), si resero comunque conto di aver a che fare con una persona in difficoltà, incapace di effettuare una lucida ed oggettiva analisi della realtà e di render conto del perché delle proprie posizioni e soprattutto delle proprie emozioni.

Restava comunque il grave fatto che avesse "usato" del suo potere e del suo ruolo di Magistrato e presunta esperta di bambini maltrattati (così esperta, così legata ed appassionata al tema, che in 14 anni di magistratura non è stata capace di mettere un solo peluche, un orsacchiotto, un quadretto simpatico, per rendere meno squallido l'ambiente in cui normalmente effettuava le audizioni dei bambini, complimenti!) per impedire che potessero avvenire dei collocamenti presso il Centro. Lo stesso "uso" del potere che decide oggi della chiusura del Centro in un contesto di linciaggio morale e professionale delle persone che vi hanno lavorato.

Questa cosa fece comunque andare su tutte le furie alcune persone all'interno dell'Associazione Demetra. Tra loro si fece pian piano strada l'idea che bisognasse reagire con gli strumenti che la legge offriva perché la questione fosse risolta. Ipotizzarono, chi timidamente, chi scettico, chi invece molto deciso, una denuncia al Consiglio della magistratura, organo superiore deputato al controllo del buon funzionamento della giustizia (almeno credo). Il gruppo - si badi bene, c'era gente del mondo politico ed istituzionale ticinese cosiddetta molto importante - si riunì nell'ufficio di un avvocato per discutere la faccenda e vedere il da farsi. Come da copione la guerra tra falchi e colombe terminò con la sconfitta dei primi. Tre le considerazioni che furono espresse in quella sede: non è opportuno attaccare una così alta carica istituzionale, potrebbe essere controproducente per il progetto Demetra e poi, malgrado si sappia che queste cose sono realmente accadute, non abbiamo le prove per dimostrarle.

Il "paraculismo", imperante in questo Cantone, per ovvi, ma non necessariamente condivisibili, motivi di tipo socio-demo-politico-cultural-geografici, aveva ancora una volta vinto una battaglia. Vi era chi si preoccupava per la propria immagine o per la propria carriera, chi per il proprio posto di lavoro, chi per il bene dell'Associazione e del Centro, insomma, non se ne fece nulla, neppure una miserabile letterina di timida ed appena accennata protesta. 

Un paio di appunti alle conclusioni dei Nostri sono d'obbligo: il non aver richiamato al proprio dovere quell'alta carica istituzionale ha permesso che la sua moralità e professionalità si elevasse a cariche istituzionali ancor più alte con conseguenze che lascio ora a voi d'immaginare. Le prove, a parer mio, si raccolgono facendo istituire delle inchieste e un'inchiesta sull'attività di magistrata della signora Pesenti di prove sui "difetti" del suo operato ne avrebbe raccolte parecchie e non sarebbero bastati 1000 Robbiani, Rezzonico, Caffé della domenica e Gazzette Ticinesi (responsabili di aver gonfiato e gonfiare a tutt'oggi un involucro vuoto) per rifarle l'immagine che le ha consentito di divenire Consigliera di Stato e per giunta direttrice del DOS.

Per comprendere meglio lo stile e la qualità dei rapporti instaurati da Pesenti nei confronti di Demetra merita di essere raccontato ancora un episodio che definirei paradigmatico e poi passiamo oltre.

All'inaugurazione ufficiale del Centro Demetra (ottobre 1997) fu invitata, presente Fondazione S. Felice e Associazione Demetra, la Commissione Lav in corpore che per l'occasione decise di fare nella sala delle riunioni della S. Felice il suo incontro di lavoro. C'era anche Pesenti. Terminati i discorsi di circostanza fu offerto un aperitivo e quindi furono tutti quanti invitati a visitare il centro. Pesenti affondò immediatamente l'invito col pretesto che aveva altro da fare e che doveva andare subito via. Il Ticino di coloro che contano o che hanno avuto professionalmente a che fare con questo personaggio sanno e conoscono bene la sua, ormai divenuta proverbiale, maleducazione: sempre in ritardo alle riunioni o conferenze, facilmente assente ingiustificata, oppure giustificata all'ultimo momento. Ma in quell'occasione, a Rovio, superò se stessa. Tutti gli invitati andarono a visitare il centro; parlarono, risero, scherzarono, qualcuno apprezzò addirittura il lavoro di preparazione degli angusti ed infelici spazi di accoglienza. Sandrinelli osservava attentamente se le "azioni Demetra" stessero salendo o scendendo per orientarsi circa l'atteggiamento più opportuno da assumere di conseguenza. Pesenti cosa faceva? Era andata via? No! rimase a chiacchierare appena fuori l'entrata del Centro. Qualche ingenuo chiese alla responsabile del Centro di riformularle l'invito a visitare la struttura. Chissà che tanta gentilezza, fin quasi servilismo, non riuscisse ad attenuare tanta rigidità. Pare che la risposta che diede fu qualcosa di molto simile ad un sibilo: "le ho detto di no!". Alla fine della visita se ne andò insieme a tutti gli altri invitati. 

Potrei andare avanti a raccontarvi ancora molte cose ma credo che l'essenziale circa gli antefatti della decisione di chiusura del Centro Demetra di Rovio l'ho detto. Ora mi sembra importante fare un salto temporale per venire velocemente ai giorni nostri. 

Pensavate di aver ascoltato il peggio? Beh! rassegnatevi, il peggio arriva adesso.

 

 

IV Capitolo

 

Veloci verso il presente

Il Centro Demetra riuscì a lavorare bene fino quasi al termine della sperimentazione. Questo mise a tacere per circa un anno i vari detrattori, sabotatori ed avversari dell'esperienza. Sussistevano dei problemi interni al Centro, dovuti per lo più al fatto che il personale educativo risultava essere insufficiente e quello operante era messo costantemente sotto pressione, ma al DOS di questo non poteva fregargliene di meno, e nei rapporti istituzionali tra il Centro Demetra (Direzione ed équipe educativa) e i suoi responsabili (Associazione e Fondazione Demetra). Nulla comunque che potesse in qualche modo prefigurare quanto sarebbe successo dopo il 18 di aprile. Quasi tutti gli istituti sociali cantonali sopravvivono ai loro conflitti istituzionali interni ed esterni, ai loro disfunzionamenti, ai fatti "gravi" che di tanto in tanto accadono. Per Demetra, malgrado la sua storia e le pessime condizioni entro cui fu collocata la sua azione, questo "sopravvivere" ha funzionato abbastanza bene fino ad un certo punto, fino al 18 di aprile 1999 appunto.

Pesenti, che all'inizio (1996-1997) godeva ancora di un certo prestigio, si vide pian piano messa da parte (fine 1998 e inizio 1999) e alla fine quasi del tutto ignorata. La sua opinione contava ormai come il classico due di picche. Molti dubitavano ormai della possibilità che potesse esprimere ancora qualcosa di equilibrato e di sensato semmai l'avesse espresso. Aveva gettato così tanto veleno sul progetto Demetra e su colei che se ne fece interprete e fornito così poche spiegazioni di tale atteggiamento (i membri della Lav non dimenticheranno facilmente l'imbarazzo di quei lunghi silenzi in cui non riusciva a proferire parola di fronte ai rappresentanti di Demetra che le chiedevano di spiegare la sua posizione rendendosi disponibili a spiegare e a confrontare la loro) che finì per non essere più credibile ed in sostanza non fu più ascoltata. Dopo il primo anno di sperimentazione fu elaborato dalla Lav un rapporto intermedio che a Pesenti non piacque: e come poteva piacerle visto che dava il proprio nulla osta a che si continuasse la sperimentazione per un altro anno? Decise di elaborarne uno suo di minoranza. 

Per evitare una magra figura davanti al Consigliere di Stato la Commissione accettò di effettuare una serie di modifiche al proprio rapporto. Sandrinelli rilevò subito o quasi il cambiamento di atmosfera intorno al progetto e si adeguò di conseguenza  assumendo un atteggiamento un po' meno ostile ed ambiguo. Nulla di straordinario intendiamoci ma sufficiente per permettere al Centro e all'Associazione di orientare le proprie energie su attività più importanti, interessanti e produttive. Denti era praticamente sparito dalla circolazione. Suppongo fosse finito anche lui ad interessarsi di altro e a non contare più nulla nella gestione del progetto Demetra.

A lui subentrò il neo nominato capo divisione Martino Rossi che non si sbilanciò mai in un pro o in un contro sull'esperienza, assunse invece un atteggiamento professionale e corretto nei rapporti. S'impegnò a cercare di capire, a conoscere il progetto e le sue peculiarità, individuando, dal proprio punto di osservazione, vincoli e risorse in esso presenti. Un atteggiamento apprezzato da Demetra che finalmente aveva l'impressione di essere in presenza di un valido interlocutore, disposto al confronto delle/sulle idee, critico ma anche disponibile ad accogliere gli elementi più creativi e propositivi qualificanti il progetto. Il suo fu forse un atteggiamento troppo professionale e troppo oggettivo. Dopo la decisione della chiusura del Centro per la fine dell'anno (decisione presa da Pesenti alla fine di agosto!) di lui non si seppe più nulla. Non si occupò più del Centro Demetra.

Dall'Associazione prese forma alla fine del 1998 la Fondazione Demetra (siamo in Ticino e per rendere le cose complicate la gente si fa in quattro a costo di picchiare anche i piedi per terra e i pugni sul tavolo). Quasi sicuri che il Centro avrebbe funzionato oltre i due anni di sperimentazione, sicuri di aver lavorato sodo e bene, così da meritarsi l'affidamento della struttura, alcuni membri dell'Associazione lasciarono il proprio posto in seno al Comitato e diedero vita a questo nuovo ente che avrebbe avuto il compito di gestire il Centro di pronta accoglienza.

Purtroppo l'imprevisto, l'impensabile ed inimmaginabile accade.

Il Partito socialista inserì nella lista dei candidati per il Consiglio di Stato Patrizia Pesenti. Pesenti lasciò il posto di magistrata attribuitole circa dodici anni prima  grazie al più infelice dei criteri di selezione, quello della lottizzazione partitica, ed iniziò la sua campagna elettorale. Offrì di sè l'immagine suggeritale dal suo consulente ed amico, quella cioè di una Pesenti fossilizzata in un improbabile quanto irrealistico (per chi la conosce minimamente bene) sorriso. Sorrise e parlò poco, tanto le bastò perché trentacinquemila cittadini le dessero fiducia eleggendola a Consigliera di Stato. Rivendicò il DOS e glielo diedero. Come ebbi già modo di scrivere ed affermare nel mio sito web personale: il nulla divenne tutto.

Rientrò in gioco Denti. Nessun sforzo per "convertire" Sandrinelli: come l'ago di una bussola si orienta sempre verso il polo nord così lui, compiacente, verso il potere. Si conformò immediatamente al "new deal" dipartimentale ed abbracciò, contento di poterlo finalmente fare senza falsi pudori e riserve, la linea d'intransigenza e di chiusura della sua direttrice nei confronti di Demetra. Preparò con Denti il boccone avvelenato per Demetra.

Iniziarono, in quella che finì per divenire una delle azioni di "eliminazione del problema" più confuse e maldestre mai viste, a dire e a far scrivere che c'erano pochi soldi, che il fenomeno del maltrattamento si era rivelato essere troppo esiguo, che non si giustificava la presenza di una struttura specialistica, che le esigenze del Cantone erano mutate, che però non sarebbero andate perse le competente e l'esperienza acquisite con Demetra, ecc. ecc.

Verso la fine di agosto Pesenti affrontò finalmente il dossier Demetra (la sperimentazione scadeva il 31 agosto) e riunì i suoi funzionari per annunciare la sua decisione. Pesenti comunicò la chiusura del Centro Demetra per il 31 dicembre 1999. La notizia arrivò per vie traverse alle mie orecchie e ne diedi immediatamente comunicazione, in forma forzatamente anonima (ebbene sì! ho commesso un così grave misfatto, che ripeterei dieci, cento, mille volte, con un unica variante: firmerei con il mio nome e cognome), al Corriere del Ticino e alla Regione. I giornalisti si catapultarono da Pesenti, reduce da una conferenza stampa, e la interrogarono sulla fondatezza della notizia. Pesenti, presa alla sprovvista, disse e fece scrivere che non era vero che non era stata decisa alcuna chiusura. I giornalisti, dopo aver sentito il Presidente dell'Associazione, Alex Pedrazzini, che forse più per esorcizzare il timore che per vera convinzione si disse convinto della possibilità di un futuro per il Centro e fiducioso nella Consigliera, pubblicarono un paio di articoletti all'acqua di rose. Pesenti e compagnia bella vennero a sapere per la prima volta che c'era in giro qualcuno che stava scrivendo un memoriale sulla vicenda Demetra e che ciò che stava scrivendo li avrebbe riguardati da molto vicino.

La situazione del Centro si fece progressivamente più confusa. L'équipe educativa ricevette disdetta dei contratti di lavoro dalla S. Felice (formalmente loro datore di lavoro) che a sua volta aveva saputo dell'intenzione di chiudere per fine giugno, poi fine agosto, 2000 l'istituto. L'équipe lavorò da fine agosto fino alla fine di settembre senza datore di lavoro, senza contratti, senza copertura assicurativa (RC) e senza sapere cosa sarebbe accaduto.

Fondazione Demetra e Associazione Demetra indirono una conferenza stampa per presentare il rapporto di autovalutazione redatto durante il mese di giugno. Accuratamente omesso anche soltanto il minimo accenno alla mostruosa selva di difficoltà incontrate e procurate, risultò essere la descrizione di un idillio, tutto bello, tutto positivo e i giornalisti altro non poterono che bere anche questa. Intanto in Dipartimento stavano pensando al da farsi, in Fondazione Demetra cresceva il nervosismo e l'équipe educativa del Centro Demetra si disfaceva.

In settembre, dopo la conferenza stampa di Demetra, ci fu un incontro tra rappresentanti di Demetra e Consigliera di Stato (il primo e l'ultimo concesso da Pesenti). Al termine della riunione uscirono tutti sorridenti e soddisfatti e i giornalisti, cogliendo quella generale soddisfazione, titolarono il giorno seguente che tra DOS e Demetra era tornato il sereno e che insieme avrebbero lavorato ad un nuovo progetto di struttura di pronta accoglienza che avrebbe tenuto conto di una serie di altre esigenze manifestate dalla Commissione Lav nel suo rapporto (ma ci vuole un bel coraggio a chiamarlo "rapporto") e dal DOS stesso. In realtà non c'era proprio nulla di cui essere contenti. L'accordo trovato non presentava alcun elemento di novità rispetto a quanto già deciso in precedenza, cioè in sostanza la chiusura del Centro Demetra. Demetra sarebbe risultata essere poi uno dei molti enti coinvolti in sede di riflessione sul nuovo progetto, progetto che veniva elaborato a livello dipartimentale (veterostatalismo verticista di ritorno). L'unica concessione, già annunciata in precedenza, era lo slittamento della chiusura al 30 giugno 2000 (l'ennesima menzogna).

Bruno Costantini, del Giornale del Popolo, riprendeva in un suo articolo il fatto che la Consigliera di Stato aveva ricevuto minacce e insulti per via anonima, verosimilmente da un personaggio vicino a Demetra allontanato tempo prima dai responsabili di Demetra stessa. Non so se sia stata fantasia del giornalista o bugia raccontata per opportunità dai responsabili di Demetra, sta di fatto che in realtà, ci tengo a dirlo perché molti pensavano a me, nessuno è mai stato allontanato dall'Associazione Demetra. In diversi se ne sono andati, ma per loro volontà e tra questi c'ero anch'io che per oltre due anni fui segretario  e membro di Comitato dell'Associazione. Inoltre Pesenti non ha mai ricevuto minacce o insulti e tanto meno minacce all'incolumità fisica sua e di sua figlia, come avrebbe detto invece lei ai responsabili di Demetra in quell'occasione d'incontro. A quest'ultimo riguardo v'invito a consultare il testo integrale che inviai a Pesenti. 

Alex Pedrazzini affermava, mi auguro in buona fede o per lo meno anche lui solo per opportunità dettata dalle circostanze, che quanto fatto da questo personaggio non era onorevole. Bene, caro Alex, ti assicuro che il mio onore è integro e salvo e sarei disposto a presentarmi oggi di fronte a qualsiasi tribunale, umano o divino che dir si voglia, per esserne giudicato. Non so se potrebbero però dire altrettanto alcuni dei personaggi coinvolti in questa vicenda e siccome non ho il vezzo della manichea divisione del mondo in buoni e cattivi con quel "personaggi", sia ben inteso, non mi riferisco soltanto a coloro che avversarono il progetto Demetra.

Insomma, il DOS e in particolar modo la sua direttrice pensavano che con un paio di telefonate, un incontro e una lettera, qualche silenzio e qualche mezza verità, il tutto gestito in maniera dilettantesca, confusa (e la confusione generata dagli articoli di giornali in molti lettori testimonia bene della confusione dipartimentale) e oserei dire stucchevole, fossero sufficienti a "terminare" l'esperienza del Centro Demetra. Purtroppo si sbagliarono e si sbagliano ancora di grosso.

Comunque, per non smentire la propria fama, a distanza di pochi giorni da questa trionfale quanto effimera ripresa dell'idillio tra DOS e Demetra ecco riproposta l'intenzione iniziale di Pesenti che "ufficializzò" (vedremo in che forma) la chiusura del Centro Demetra per il 31.12.1999. 

Quindi, riassumendo, voleva chiuderlo a fine 1999, messa in difficoltà, ha s-mentito di fronte ai giornalisti, ha deciso per una chiusura al 30 di giugno dell'anno 2000 e quando si sono calmate un po' le acque sui giornali ha riproposto la chiusura per la fine del 1999. Pensino quello che vogliono i rappresentanti di Demetra, ma a me pare che siano stati presi in giro molto bene.

Solo un accenno ad un particolare di questo dietro front: Pesenti assicurò a Pedrazzini (Associazione Demetra) e Broggi (Fondazione Demetra), preoccupati per le conseguenze che avrebbe avuto il contrasto sorto tra DOS e Demetra sull'immagine del Centro e sulla possibilità di accogliere ancora bambini, che avrebbe dato disposizione a Sandrinelli perché scrivesse una lettera ai servizi preposti (assistenza sociale, UIR, servizi medicopsicologici, ecc.) per segnalare la regolare continuazione dell'attività del Centro Demetra fino a fine giugno 2000 e quindi la possibilità di continuare a collocarvi i bambini maltrattati. Nella realtà non diede mai questa disposizione e Sandrinelli si guardò bene dallo scrivere una simile cosa. Domanda puramente retorica: come mai?

Perfino i suoi funzionari (quelli onesti) si accorsero che c'erano cose che non quadravano in tutta la faccenda. Un esempio sopra tutti la presenza nel preventivo 2000 di una voce dedicata al finanziamento del Centro Demetra. Questa voce venne stralciata, prima della presentazione del preventivo, all'insaputa dello stesso funzionario responsabile della dossier Demetra che si trovò quindi un preventivo diverso da quello precedentemente discusso. Fu questo il modo in cui si seppe che il Centro Demetra di Rovio avrebbe chiuso il 30.12.1999 e questo indicò in maniera chiara che, rispetto alla decisione presa a fine agosto, l'On Pesenti non cambiò in realtà mai idea. 

Al Centro Demetra, con l'estate, di bambini da collocare non ne arrivarono più, eccezion fatta per uno probabilmente sfuggito alla "rete di controllo".

Quando le cose vanno bene, si sa e lo ripeto, sono tutti pronti a saltare sul carro dei vincenti, quando invece vanno male… sapete forse quanto e meglio di me come va a finire.

Con fine agosto 1999 non venne più rinnovato, per gravi motivi professionali , il contratto di lavoro con il Centro Demetra ad un'educatrice. Malconsigliata da qualcuno, cosciente del ruolo negativo avuto dalla neo-eletta Consigliera di Stato nel decorso dell'esperienza del Centro, decise di rivolgersi personalmente a lei per denunciare tutta una serie di torti di cui si sentiva vittima. Chiese un appuntamento e guarda caso lo ottenne. Presentò a Pesenti la situazione del Centro Demetra sparando a zero verso colei che, più di altri (Fondazione Demetra), era a suo giudizio responsabile del non rinnovo del suo contratto. Pesenti prese attentamente nota di tutto quanto le veniva riferito e ne fece "tesoro" prezioso. In sostanza utilizzò le informazioni di una delatrice, ottenute all'interno di  incontro che nessun capo dipartimento si sarebbe forse mai sognato di accettare, per "raffinare" la propria azione di "terminazione" del Centro Demetra. 

Sappiano ora tutte le strutture del Cantone quello che potrà succedere loro se un dipendente scontento si dovesse rivolgere in questi anni al DOS. Auguro loro di non avere qualche contenzioso aperto con l'On. Pesenti. Credo di poter affermare che la Consigliera di Stato abbia  inaugurato con questa vicenda un nuovo stile nell'impostare i rapporti istituzionali con le strutture a lei subordinate. Auguri quindi!

Questo fatto diede inizio verso la fine di agosto ad una serie d'intricatissime vicende che videro coinvolti il Centro Demetra, la sua équipe educativa, la Fondazione e l'Associazione Demetra, il DOS. Per farla in breve, anche se sarebbe una storia interessante da raccontare, Demetra, in ogni sua espressione, di fronte alla prospettiva della sua "terminazione", fece la manzoniana e poco dignitosa fine dei famosi polli di Renzo. I momenti di difficoltà riescono in taluni casi ad esaltare le qualità dell'individuo in altri a far esprimere la sua parte peggiore. Non mi spingo oltre. Dedico a Demetra (Fondazione e Centro in particolare) soltanto  una vignetta   che penso dica di più e meglio di quanto non potrebbero dire mille parole.

Ora, la prospettiva segnata dal nuovo corso impresso da Pesenti e collaboratori al sociale ticinese non prevede più un Centro ed un processo d'intervento specialistico per minori vittime di violenza in famiglia. L'emergenza maltrattamenti è finita: Pesenti è Consigliera di Stato, Sandrinelli continua ad essere, forse a fare, il Delegato e tante altre cose, Demetra è stata "terminata", l'ostinata e scomoda Daniela D'Ottavio-Del Priore ha avuto ciò che si meritava e qualche giuda penso stia ancora aspettando la sua ricompensa (son solo curioso di vedere quanto valgano oggi i trenta denari), mi auguro resti deluso. 

Tutto si è risolto nel migliore dei modi. Ora si torna a costruire illusioni, rappresentazioni mentali, e si lascia nuovamente e comodamente inalterata la realtà. Si va in televisione e alla radio a far credere all'opinione pubblica che in Ticino "si sono fatti e si continuano a fare passi da giganti". Avanti con la prevenzione, avanti con la punta dell'iceberg, avanti con i bla-bla.

Questa storiaccia avrebbe potuto terminare tranquillamente a questo punto. Pensavo di aver visto abbastanza ed invece il peggio, il liquame più putrido e nauseante doveva ancora essere sparso.

 

 

V Capitolo

 

Questi sono i fatti degli ultimi giorni: una famiglia, cui era stato tolto il figlio a causa dei gravi maltrattamenti subiti, si rivolge al deputato leghista Paolo Buzzi che in parlamento fa un interpellanza al governo riprendendo una serie di deliranti menzogne e calunnie, suggeritegli dalla famiglia stessa, contro l'operato del Centro Demetra e indirettamente della sua responsabile e della sua équipe educativa. Per chi non lo sapesse ancora sappia che il padre del bambino che ha contattato l'On. Buzzi altri  non era che un deputato della Lega dei ticinesi a livello di Consiglio comunale. Capito?

cliccate qui per consultare l'interpellanza dell'On. Buzzi

cliccate qui per ascoltare on-line la risposta dell'On. Pesenti all'interpellanza 

cliccate qui per scaricare il file audio della risposta dell'On Pesenti all'interpellanza

Guarda caso questa famiglia si era già rivolta all'allora Magistrata dei Minorenni per segnalare il suo malcontento per la decisione, presa dalla Delegazione tutoria del paese in cui viveva, di togliere loro il figlio. Non dirò molto di questa vicenda. Dirò soltanto che anche questa come altre è stata strumentalizzata (ma ce n'era ancora bisogno?), a dire il vero un po' malamente, per far fuori il Centro Demetra. Un esempio? L'On. Pesenti si è sentita in obbligo di rispondere immediatamente il giorno dopo l'interpellanza, senza aver raccolto alcuna informazione presso gli altri dipartimenti coinvolti dall'interpellanza (DIC e Interno), senza aver preso contatto con la direzione del Centro per avere ragguagli (la signora Pesenti ha sempre evitato come il fuoco i contatti con Demetra, sia essa Centro, Associazione o Fondazione), senza considerare le implicazioni giuridiche delle decisioni che andava ad annunciare, senza considerare le conseguenze del mucchio di sciocchezze che avrebbe detto in parlamento e ai media. Purtroppo, accecata da ormai troppi anni di odio, rancore e rabbia, non riesce proprio più a gestire nulla con un minimo di ordine e di coerenza.

Incredibile è in questa vicenda la posizione della Commissione Lav che ha monitorato (si fa per dire) tutta l'esperienza del Centro Demetra. Ha cancellato con un colpo di spugna due anni di sforzi e di lavoro condotto, malgrado tutto, con serietà e professionalità appoggiando la decisione del DOS di una chiusura anticipata del Centro Demetra quale gesto di sfiducia nei confronti del Centro in rapporto ai fatti contenuti nell'interpellanza. Come l'On. Buzzi anche i membri della Lav: hanno emesso una sentenza di condanna sulla base delle calunnie di un padre che aveva tutto l'interesse di calunniare e lo hanno fatto senza che una qualsiasi inchiesta avesse appurato la verità dei fatti. Semplicemente vergognoso!

Con questa storia la difesa dei minori vittime di maltrattamenti in famiglia subisce un processo involutivo terribile. Se già oggi è difficilissimo che le segnalazioni di maltrattamenti o abusi sessuali riescano ad avere un seguito - e lo sanno i non pochi insegnanti e  singoli cittadini che quando hanno denunciato una di queste situazioni si sono visti mettere immediatamente sul banco degli imputati passando immediatamente dalla posizione di chi aveva dovuto farsi coraggio per assumere le proprie responsabilità a quella di chi strammalediva il momento in cui gli era venuto in mente d'impicciarsi degli affari degli altri - adesso sarà quasi impossibile. Quale membro di delegazione tutoria, quale insegnante, quale cittadino, quale operatore sociale, avrà d'ora in avanti il coraggio di mettersi contro una famiglia (con i suoi parenti, i suoi amici, i suoi referenti politici, ecc.) per proteggere e salvare un bambino o una bambina dalla violenza che in essa si consuma?

On. Pesenti, si assuma anche questa di responsabilità  e con lei l'assumano tutti quei rappresentanti istituzionali che hanno fatto, fanno e faranno silenzio, abdicando alle proprie responsabilità, rinunciando all'azione che segna il progresso morale e civile di un paese, per nascondere dietro un muro di omertà la desolazione di cui si fanno implicitamente complici e garanti! Lei e coloro che si sono prestati a queste strumentalizzazioni avete inviato un pessimo messaggio alle famiglie dei bambini che hanno trovato in Demetra un rifugio, una possibilità di salvezza. Facile ora pensare come faranno a gara per dire che "ecco noi non centravamo niente, gliele hanno insegnate lì certe cose!" Un brutto messaggio perché toglierà anche a loro l'opportunità di farsi aiutare per guarire dalla violenza che le pervade, di capire, di riconquistare in maniera sana la propria funzione genitoriale.

Pubblico di seguito il testo dell'interpellanza virtuale pubblicata il 10 novembre u.s. nel mio sito web personale. Contengono una serie di domande a cui credo si dovrà dare, prima o poi, risposta:

"L'On. Buzzi (Lega dei ticinesi) ha presentato in data 7 novembre un'interpellanza in merito a presunti fatti accaduti presso il Centro Demetra di Rovio. Pubblico l'interpellanza così che tutti possano saggiare e valutare da sé i fatti cui fanno riferimenti i suoi contenuti. A questa interpellanza l'On. Pesenti ha risposto in termini che hanno soddisfatto l'interpellante: avvio di un'inchiesta amministrativa e chiusura anticipata, rispetto alla data del 30 giugno 2000, del Centro Demetra. Oggi leggo sui tre quotidiani la presa di posizione della Commissione Lav che appoggia, alla luce degli ultimi fatti, la decisione dei funzionari del DOS e della loro direttrice di chiudere il Centro  entro la fine di dicembre 1999. Leggo anche che l'avvio dell'inchiesta amministrativa annunciata l'altro ieri da Pesenti in Gran Consiglio è incerto a causa di non bene precisati problemi di natura giuridica.

A questo punto vorrei formulare io un'interpellanza, anche se soltanto a carattere virtuale, ma nella speranza che magari qualche volonteroso parlamentare se ne voglia fare interprete:

Interpellanza virtuale di Bruno D'Ottavio al Consiglio di Stato ticinese

  1. Perché a distanza di due giorni dall'annuncio dell'On. Pesenti dell'avvio di un'inchiesta amministrativa per appurare i fatti contenuti nell'interpellanza dell'On. Buzzi viene messa in dubbio la possibilità che una tale inchiesta venga avviata per motivi di tipo giuridico? 

  2. L'On. Pesenti, prima di dare annuncio di tale decisione, perché non ha valutato (ricordo che lei stessa è avvocato) le implicazioni di natura giuridica di una simile decisione?

  3. L'On. Pesenti e alcuni funzionari del Dipartimento delle opere sociali era già da tempo a conoscenza del fatto che qualcuno (il padre del bambino in questione) andasse dichiarando quanto fatto poi confluire nell'interpellanza dell'On. Buzzi. Perché l'On. Pesenti o i suoi funzionari non avvertirono la Fondazione e la Direzione del Centro Demetra di quanto vennero informati?

  4. Perché non avviarono subito un'inchiesta amministrativa e perché, essendo venuti a conoscenza di un'ipotesi di reato, non segnalarono immediatamente  la cosa all'autorità penale, procura pubblica e Magistratura dei Minorenni?

  5. Perché hanno atteso che la questione venisse affrontata in sede parlamentare e assumesse così carattere pubblico?

  6. Perché l'On Pesenti decise alla fine di agosto in una riunione con i propri funzionari che si sarebbe dovuto procedere alla chiusura del Centro Demetra di Rovio entro la fine di quest'anno prima ancora di aver preso coscienza dei contenuti di una serie di rapporti forniti da enti diversi? 

  7. Perché, interpellata dai giornalisti, che le chiedevano chiarimenti in tal senso, rispose che non era vero e che non aveva deciso alcuna chiusura? 

  8. Perché decise, in seguito ai colloqui avuti con i rappresentanti della Fondazione e dell'Associazione Demetra, per una chiusura del Centro per il 30 giugno 2000, dando  tempo ai suoi funzionari di elaborare un nuovo progetto che integrasse esperienza e competenze accumulate con il Centro Demetra? 

  9. Perché realizzare un nuovo e diverso progetto rispetto a quello rappresentato dal Centro Demetra? 

  10. Perché, malgrado gli accordi presi con Demetra e diversamente da quanto annunciato anche ai media, venne in seguito stralciato dal preventivo del DOS per l'anno 2000, con sorpresa stessa di alcuni funzionari, la voce riguardante il finanziamento del Centro Demetra, indicando quindi nuovamente quanto deciso a fine agosto e cioè la chiusura del Centro Demetra per il 31.12.1999?

  11. Perché adesso si annuncia ufficialmente, al Parlamento e all'opinione pubblica ticinese ma non a Demetra, la chiusura del Centro mettendola in relazione agli ipotetici  fatti contenuti nell'interpellanza parlamentare? 

  12. Riassumendo: prima si voleva chiudere il Centro Demetra alla fine del 1999 senza neppure considerare l'esito della sperimentazione, poi lo si voleva chiudere alla fine di giugno 2000 per integrarlo nel frattempo in un progetto più ampio (si parlava di allargamento della fascia d'età di accoglienza e della casistica) e si è scritto che il Ticino non necessita di una struttura specialistica perché "fortunatamente" i casi di maltrattamento rappresentano un numero esiguo, poi si è stralciata la sua voce contabile dal preventivo 2000, per cui risultava implicita la chiusura al 31.12.1999, adesso si annuncia la sua chiusura al mondo intero in relazione ai fatti, tutti da provare, contenuti nell'interpellanza di Buzzi. Domanda retorica: si può sapere il motivo di tanta confusione e, se sì, si può sapere il motivo esatto per cui si è deciso di affossare il progetto Demetra?

  13. Tornando alla questione dell'interpellanza, perché l'On. Pesenti risponde il giorno dopo la presentazione dell'interpellanza senza aver preventivamente preso alcun contatto con il Centro Demetra, senza aver quindi raccolto alcuna informazione presso la sua direzione?

  14. Perché l'On. Pesenti dichiara la presunzione dei fatti e poi annuncia la prematura chiusura del Centro Demetra, prima ancora che qualsiasi inchiesta abbia prodotto dei risultati?

  15. Perché la Commissione Lav, che ha monitorato l'esperienza durante i due anni di sperimentazione del Centro Demetra, sente il bisogno di appoggiare la decisione dell'On. Pesenti e dei funzionari del DOS e non attende invece che l'inchiesta annunciata, che non si può fare, abbia fatto piena luce sulla vicenda?

  16. Come mai viene data così tanta rilevanza ed importanza, quasi un'implicita autentificazione, a quanto denunciato da un padre a cui l'autorità civile e i servizi sociali preposti avevano tolto il figlio perché vittima di gravi maltrattamenti (al Centro Demetra arrivano soltanto minori accompagnati da un decreto di autorità che dichiari il loro stato di grave maltrattamento) e che ha  presumibilmente tutto l'interesse, per difendere la propria immagine pubblica di persona onorata e rispettabile, a coprire le proprie responsabilità inquinando la realtà dei fatti con la strumentalizzazione e la calunnia?

  17. E' vero che il Delegato ai problemi delle vittime di violenza era da tempo a conoscenza delle accuse mosse dalla famiglia cui si fa riferimento nell'interpellanza di Buzzi per cui riferì al responsabile della struttura in cui si troverebbe uno dei bambini sospettati delle violenze sessuali di fare attenzione al comportamento sessuale del bambino?

  18. Perché il Delegato non avvertì i responsabili di Demetra?

  19. Perché il Delegato non segnalò la questione, che contempla un'ipotesi di reato, alla Magistratura dei Minorenni ticinese o a quella del nuovo luogo di residenza della presunta vittima?

  20. Perché il Delegato da implicitamente credibilità all'idea che al Centro Demetra di Rovio si siano potute consumare delle violenze sessuali tra bambini e non promuove invece un'indagine che possa fare chiarezza?

  21. Come mai questa storia viene fuori a distanza di molti mesi dalla dimissione del bambino dal Centro e nel momento in cui si deve definire se chiudere o meno il Centro Demetra?

  22. E' vero che l'On. Pesenti ha sempre osteggiato l'idea della creazione di un Centro specialistico di pronta accoglienza per bambini che abbiano subito maltrattamenti familiari?

  23. E' vero che quando venne avviata la struttura del Centro Demetra si adoperò in tutti i modi per ostacolarne l'attività ed invalidarne l'esperienza sfruttando la posizione di privilegio e di potere derivanti dalla propria funzione di Magistrata dei Minorenni?

  24. E' vero che ha strumentalizzato ogni difficoltà interna ed esterna di un Centro che muoveva i suoi primi passi in circostanze ambientali non proprio favorevoli - come del resto capita ad ogni esperienza innovativa rispetto ad uno stato ed un equilibrio di rapporti istituzionali caratterizzati dalla conservazione di poteri, competenze, ambiti d'influenza, metodi di lavoro, ecc. - per perseguire il fine della sua "terminazione"?

  25. E' vero che a quest'azione non furono neppure estranei alcuni funzionari del Dipartimento delle opere sociali e, a partire dalla fine di agosto, anche alcune educatrici del Centro Demetra sollecitate da lei a redigere un rapporto contro l'esperienza del Centro Demetra e contro l'operato della sua responsabile?

  26. E' vero che l'On. Pesenti avrebbe sempre manifestato, per futili motivi personali, che nulla hanno a che fare con la questione Demetra, ostilità nei confronti della Direttrice del Centro Demetra, arrivando ad attribuirle, in sede pubblica e privata ed in maniera neppure troppo velata, atteggiamenti di fanatismo? 

  27. Perché l'On. Pesenti insiste a definire come fanatismo l'impegno, la dedizione e la competenza professionale di una persona come la direttrice del Centro Demetra?

  28. Come definirebbe l'On. Pesenti l'accanimento e l'ostilità, non solo sua, di cui sono stati fatti bersaglio il Centro Demetra e la sua responsabile, rea quest'ultima di aver portato avanti con determinazione un progetto da lei osteggiato?

  29. E' vero che l'On. Pesenti e alcuni funzionari del DOS, preposti a prendere decisioni sul futuro del Centro Demetra, non hanno mai letto e quindi non conoscono il progetto ed il metodo di lavoro elaborato a suo tempo dall'Associazione Demetra?

  30. E' vero che nell'ottobre del 1996 l'On. Pesenti, allora Magistrata dei Minorenni e considerata a livello ticinese uno dei massimi esperti di maltrattamento all'infanzia, combinò un'intervista televisiva al Quotidiano nel quale affossò l'idea della realizzazione del Centro di pronta accoglienza previsto nel progetto elaborato dall'Associazione Demetra, relativizzò il numero dei minori vittime di violenza domestica, dopo aver predicato per anni la necessità di far emergere la punta dell'iceberg, diede dei fanatici ai suoi promotori e tutto questo senza aver letto una sola riga del progetto Demetra, tanto che finì ad equivocare e a fare confusione tra il problema della pedofilia e quello dell'incesto?

  31. E' vero che uno degli alti funzionari del DOS coinvolto nella decisione di chiusura del Centro Demetra ha dimostrato, in occasione di un recente incontro con i responsabili di Demetra, di non essere neppure informato della casistica di cui il Centro Demetra si doveva occupare, stigmatizzando il fatto che non tutti i bambini arrivati al Centro erano vittime di abusi sessuali?

  32. Se anche solo parte di questo fosse vero è ancora pensabile che il progetto Demetra possa godere di quella serenità di valutazione e di giudizio necessaria quando si sia chiamati a considerare l'operato svolto e a definire la sua evoluzione futura?
  33. Se anche solo parte di questo fosse vero è pensabile che la riflessione in atto sulla presa a carico dei bambini vittime di violenza domestica possa svolgersi seriamente e sulla base di elementi oggettivi che non escludano pregiudizievolmente soluzioni quali il mantenimento di una struttura specialistica che si occupi dei bambini vittime di gravi maltrattamenti in famiglia?
  34. L'esito di questa e molte altre vicende che effetto avrà sulla protezione e cura di questi bambini? In termini più espliciti: se già oggi esistono molte resistenze e difficoltà a che un minore vittima di maltrattamenti venga allontanato dalla famiglia, come agiranno d'ora in avanti i servizi sociali, le delegazioni tutorie, gli operatori delle Unità d'intervento regionale, avendo avuto esempio di cosa potrebbe accadere, anche a loro, se un genitore influente decidesse di reagire con manipolazioni, strumentalizzazioni, calunnie, ad una loro decisione che abbia previsto l'allontanamento dalla famiglia del/la figlio/a?
  35. Dato che sono stati proposti strani quanto improbabili paralleli tra la recente vicenda del piccolo Raoul ed il contenuto nell'interpellanza dell'On. Buzzi (cfr. intervista a Pesenti fatta da Rete 1 della RTSI il 9.11.1999) ne propongo uno un po' più corretto e calzante. Non pensa il lodevole Consiglio di Stato che anche in Ticino stia avvenendo quanto capita negli Stati Uniti, che vengano cioè demonizzati e pesantemente sanzionati quelli che potrebbero essere nella realtà dei semplici giochi sessuali tra coetanei, con l'aggravante però che tale demonizzazione sembra ubbidisca da noi a fini che con l'intento della protezione dell'infanzia non hanno nulla a che fare? O si vuol forse dire che nella famiglia del signor X e al Centro Demetra i bambini non possano e non debbano avere alcuna curiosità sessuale nei confronti dei loro coetanei? Non è che nella realtà l'atteggiamento assunto dai vari attori di questa vicenda corrisponda ad una delle mille sfaccettature di certo perbenismo moralista che vorrebbe gli istituti educativi (famiglia compresa) conformi ad un ordine morale ed istituzionale esistente soltanto nelle loro teste? E se le cose stessero così perché questo perbenismo moralista si manifesta come i classici due pesi e due misure per cui se queste cose accadono al Centro Demetra si grida all'inchiesta amministrativa (che non può essere fatta) e se accadono invece altrove (e accadono perché è nella logica delle cose) si relativizza, com'è giusto che sia, e si collocano i fatti in un corretto ordine di cose, d'idee e di principi?
  36. E' al corrente il lodevole Consiglio di Stato che ovunque, nelle loro famiglie, nella mia, nelle famiglie di tutto il mondo, in tutti gli istituti sociali e anche al Centro Demetra, sono avvenuti, avvengono e avverranno episodi di curiosità sessuale, si sono consumati, si consumano e si consumeranno,  nelle forme più spontanee e naturali, esperienze sessuali connaturali e connaturate all'età dei bambini che li vivono?
  37. Ritiene possibile il lodevole Consiglio di Stato che un bambino di nove anni possa essere vittima di violenza sessuale, di "rapporti completi e  ripetuti" da parte di una bambina di sette anni e di una bambina di undici?
  38. Perché l'On. Pesenti strumentalizza questa vicenda per mettere anche in dubbio la "concentrazione" in un'unica struttura di bambini che abbiano subito maltrattamenti ("ghettizzare dei bambini" diceva nell'intervista citata del 1996 - anche se oggi dice che non si può parlare di ghetto [ma si decida poi a mantenere un minimo di coerenza!] - e lo considerava una violenza altrettanto e forse più grave di quella subita in famiglia), quando sappiamo benissimo che il comportamento di questi bambini non si modifica in ragione del loro sparpagliamento a due a due negli istituti sociali esistenti ma in ragione di una seria presa a carico specialistica di tipo educativo-terapeutica?"
 

Vorrei soffermarmi ancora un attimo sulla questione dell'inchiesta amministrativa annunciata da Pesenti, quando in realtà non avrebbe dovuto annunciarla perché non può svolgerla.

Riassumendo: Buzzi, imbeccato dai genitori del bambino presunta vittima di violenze sessuali al Centro Demetra da parte di altri bambini del centro, presenta, senza aver preventivamente chiesto niente a nessuno (o forse no? forse a qualcuno ha chiesto e gli sono state date informazioni fuorvianti?), un'interpellanza al Governo. Il rappresentante leghista esige immediatamente una risposta. L'On. Pesenti accoglie la ferma richiesta e si presenta in Parlamento sforzandosi di evidenziare come fino a prova del contrario non si possa dire che le cose contenute nell'interpellanza siano veramente accadute (l'ha ripetuto così tante volte per sembrare convincente che a Buzzi, nel risponderle, venne da dire che "fatti del genere non devono più accadere") e annuncia un'inchiesta. Pesenti ha saputo che i  genitori del bambino non intendono sporgere denuncia e avviare così un'inchiesta penale e dice che non si sente di sconsigliarli visto che è legittimo non voler causare ulteriore sofferenza al bambino. Detta da una Consigliera di Stato ed ex rappresentante della giustizia una simile affermazione fa venire i brividi: ma questa è una attribuzione di colpevolezza bella e buona! seguendo la logica implicita nel suo discorso, lei On. Pesenti ha sostanzialmente avvallato quanto contenuto nell'interpellanza di Buzzi e per evitare un'altra violenza a quel bambino impedisce di fatto ad altri bambini di essere sollevati dal peso dell'infamante accusa che devono portare sulle spalle e con loro lo impedisce anche alla responsabile e all'équipe educativa del Centro Demetra.

Inoltre non si capisce e non si spiega come fa una persona che ha lavorato nella Commissione di coordinamento permanente della Lav, che è stata tra coloro che hanno dato origine alla legge di applicazione cantonale della Lav e al suo regolamento, che è stata Magistrata dei minorenni, a dire che sconsiglia una famiglia di denunciare gli ipotetici aggressori di loro figlio? Provi a spiegare anche questa all'opinione pubblica perché io francamente non capisco.

Prima di terminare con una serie di domande che sorgono spontanee in seguito a quanto visto, sentito dire, sperimentato in questi anni, nei panni di segretario di Demetra, di operatore sociale e di comune cittadino, vorrei proporvi ancora il contenuto di una riflessione operata in sede di scambio epistolare con quello che una volta era un amico. Purtroppo in questa vicenda si sono persi anche gli amici. Pazienza! fa parte della vita e di una certa logica appartenente ad un determinato (dis)ordine di cose. Ciò che fa male è quando chi ti è stato amico/a diviene per circostanze avverse tuo nemico/a. Ad ognuno le sue responsabilità, certo, ma signora Pesenti spero proprio che la vita le chieda conto anche di questo e che cominci veramente a raccogliere quanto ha seminato!

Lo scritto, che data del 22 settembre 1999, è il frutto di un momento, buttato giù in fretta e furia mi sono poi accorto che conteneva in maniera sintetica molto di più di quanto non contenga questo stesso lunghissimo memoriale ed è per questo che lo ripropongo in forma pubblica omettendo evidentemente le parti personali.

"[...] Ricordati che i cambiamenti di cultura, i cambiamenti del punto di avvistamento dei problemi, generano sempre ed immancabilmente resistenze e reazioni contrarie. Quindi non stupirti se qualcuno se ne ha male e reagisce di conseguenza. Il Centro Demetra non è un ostello della gioventù o un luogo di ritiri spirituali. E' una struttura che si colloca, col suo progetto, come elemento di rottura rispetto a dannosi equilibri istituzionali (quelli interni alle famiglie maltrattanti in primis, ma non solo). Al Centro Demetra avvengono cose, vengono dette cose inenarrabili che riguardano bambini che hanno subito orrori e adulti che li hanno commessi. Va fatto ordine all'interno di una selva di relazioni malsane in cui molti mentono, altri nascondono, altri non possono dire, alcuni non vogliono sentire. Questo è un lavoro enorme, che coinvolge l'intelligenza della mente e l'intelligenza delle emozioni, è un lavoro molto ma molto delicato. Questo lavoro confligge con tutta una serie d'interessi, confligge con una mentalità, confligge con una morale nascosta, parallela e contraria a quella ufficiale, confligge con un piano d'intervento [in favore di questi bambini] deflagrato, per cui ognuno c'entra, ognuno deve dire la sua, ognuno è competente e potente di qualcosa, confligge con l'irrazionalità, con l'opinione elevata a conoscenza e l'approssimazione a metodo. [...] quello che voglio dirti è che lavorare in un progetto del genere e pensare di salvaguardare i rapporti di buon vicinato con tutto e tutti è semplicemente impossibile e pensare di poter fare il pompiere per andare a spegnere tutti i fuochi, dolosi o meno, che si accendono, anche."

Difendere i diritti dei bambini a chiacchiere, credo lo si sia visto molto bene in questi anni, sono capaci tutti. Riempirsi e sciacquarsi la bocca  con enunciazioni quali "bisogna che si affermi una nuova cultura dell'infanzia e del suo rispetto", andare a scaldare le sedie nei salottini radiotelevisivi o nelle assemblee pubbliche, raccogliere il plauso, l'ammirazione e la riverenza della platea, sono operazioni che fanno bene al narciso che c'è in noi ma lasciano il cosiddetto tempo che trovano là dove i problemi sussistono. Quando c'è da difendere i diritti dei bambini con i fatti ecco la metamorfosi. Il plauso muta in indifferenza se non addirittura in feroce critica, l'ammirazione in odio, la riverenza in disprezzo ed inizia una battaglia all'interno della quale i vuoti o le debolezze istituzionali vengono immediatamente  sfruttate dal "nemico" per seminare la confusione ed il panico utile a distrarre e a sollevare dalle proprie pesanti responsabilità. Perché sia chiaro, se c'è chi opera in difesa dell'infanzia c'è anche chi opera contro l'infanzia, per affermare il diritto di possesso e di prevaricazione, anche violenta, degli adulti. Agire concretamente per difendere l'infanzia maltrattata vuol dire sporcarsi le mani e anche le braccia e Demetra ha suo malgrado dimostrato come gli schizzi di putrido liquame possano arrivare anche e facilmente in pieno volto. Questo è forse uno dei motivi per cui si preferisce  fare la coda tra gli "esperti" davanti agli studi televisivi o radiofonici e, se destino ha voluto che si scegliesse una professione sociale, il motivo per cui si preferisce un comodo, ma d'altra parte comprensibile visto quanto successo recentemente con Demetra,  immobilismo e silenzio.

Ancora qualche domanda per terminare

  1. L'ho già chiesto ma fa bene ripetere. Come mai fino a pochissimi anni fa, fino a quando non è arrivata Demetra con un progetto e delle idee chiare sul da farsi per aiutare i bambini vittime di violenza, Tonella, Pesenti, Sandrinelli andavano in giro a sensibilizzare l'opinione pubblica dicendo che il fenomeno era preoccupante e bisognava intervenire rompendo il muro del silenzio ed oggi si dice invece che in realtà i casi sono pochi (è stato scritto nero su bianco)?

  2. Come mai è stata istituita la figura del Delegato che ha promosso una serie (per nulla impressionante) d'iniziative nell'ambito della formazione e dell'informazione specificatamente rivolte ai problemi delle violenze su minori per un problema che si ridurrebbe a pochi casi all'anno?

  3. Come mai è stata avviata una campagna d'informazione/formazione nelle scuole del cantone durata anni e specificamente rivolta ai problemi delle violenze sui minori se oggi si dice che tali violenze si riducono a poca cosa?

  4. Come mai colei che è apparsa per anni in televisione, alla radio, sui giornali, cavalcando il problema dei maltrattamenti sui bambini, ora che è divenuta Consigliera di Stato affossa, con dei ridicoli pretesti, uno dei più seri ed importanti progetti di protezione e di aiuto alle piccole vittime di tali violenze?

  5. Come mai l'impegno finanziario del Cantone si riduce proprio in questo campo e nel momento in cui arriva al potere chi ha fondato su di esso il proprio successo politico?

  6. Come mai si continua a far credere all'opinione pubblica che si può fare tutto senza spendere mai alcunché? Maghi o ciarlatani?

  7. Come mai l'Associazione Demetra ed il Centro Demetra sono stati sottoposti per anni ad una serie impressionante di pratiche vessatorie chiamate "valutazione"? e ogni altra invenzione viene immediatamente ancorata all legge prima ancora che abbia dimostrato di funzionare?

  8. Come mai la Commissione Lav, incaricata da Martinelli di tutta una serie di verifiche da effettuare sul Centro Demetra e sul modello d'intervento attuatovi, ha prodotto soltanto una manciata di critiche e i classici quattro numeri che dicono quanti bambini sono stati accolti? 

  9. Come mai i contatti con il Centro per svolgere il lavoro di "monitoraggio" del lavoro svolto è stato affidato ad un membro della commissione Lav che è anche presidente di ASPI, associazione che, nella sua espressione verticista e cantonticinese, ha sempre assunto un atteggiamento di freddezza e di malcelata contrarietà a Demetra? E come mai è stato scelto pur non avendo alcuna preparazione in ambito sociale, psicologico, pedagogico, educativo o psicoterapeutico? Come mai, fresco di nomina in Commissione Lav, in assenza della minima competenza ed esperienza circa la casistica trattata dal Centro Demetra, addirittura senza sapere che esistesse da anni un progetto, scritto nero su bianco, riguardante il Centro Demetra, è stato chiamato ad occuparsi di una questione tanto delicata e complessa?

  10. Come mai il rapporto della Commissione Lav, fornito in luglio al Consigliere di Stato, arrivati ormai a novembre, è stato trattato con la massima segretezza per cui non si è saputo fino a ieri cosa contenesse? E' un rapporto di una commissione civile o è un rapporto dell'intelligence militare? 

  11. E' vero che il rapporto della Commissione Lav consta di cinque striminzite paginette, rimpolpate con un po' d'inutili cifre e alcune opinioni (sembra, guarda caso, per lo più negative) prese al volo qua e là ? E' vero che non contiene alcun apprezzamento dell'esperienza, alcuna seria analisi e valutazione del lavoro svolto, da delle indicazioni che ben rappresentano quanto ho già scritto circa l'opinione e l'approssimazione elevate a metodo e in questo caso anche e purtroppo a dato di fatto indiscutibile che sposa in pieno il Pesenti-"pensiero"?

  12. Come mai il Dipartimento delle opere sociali (dipartimento "socialista") è riuscito a concepire un trattamento contrattuale così vergognoso  come quello imposto al personale del Centro che è stato occupato per oltre due anni nella forma di precariato, prima pagato ad ore, poi con contratto a termine di pochi mesi, poi con un contratto a termine di un anno e quindi ancora con un contratto a termine di pochi mesi, concependo in fine addirittura un contratto su chiamata? Ad ognuno le sue responsabilità: come mai degli enti privati si sono prestati senza quasi batter ciglio a questa forma di sfruttamento?

Approfitto dell'occasione per rispondere ancora a coloro che, mentre pugnalavano alle spalle la responsabile del Centro Demetra, mi accusavano e accusano di essere il responsabile di tutto quanto è successo. Per costoro sarebbe stato ciò che ho scritto nel mio sito web (ho denunciato i modi arroganti e prepotenti della signora Pesenti e la pochezza della sua preparazione politica e professionale) ad aver prodotto la caduta in disgrazia della signora D'Ottavio-Del Priore e in certo qual modo del Centro Demetra. Ero preparato ad una simile evenienza. Dico che sarebbe bene che ognuno imparasse ad assumersi le proprie responsabilità (vedi vignetta), a riconoscere e a discriminare correttamente tra le proprie responsabilità e quelle di altri operando attribuzioni corrette, ma soprattutto a non invertire i termini dei nessi causali per cui gli effetti divengono cause e le cause effetti. Quando Pesenti dava pubblicamente dei fanatici (è andata in TV e non al bar con un gruppo di amici) ai rappresentanti di Demetra, quando operava dietro le quinte per far fallire il Centro, quando alcuni funzionari del DOS ce la mettevano tutta per porre ostacoli ad ogni passo, io non avevo ancora scritto una virgola nel mio sito web e semplicemente perché non esisteva ancora. E' vero invece, l'ho scritto nella mia lettera di dimissioni da segretario dell'associazione Demetra date circa un anno e mezzo fa (giungo 1998), che nell'Associazione prima e nella Fondazione Demetra adesso ci sono persone che non vogliono e probabilmente non sanno assumersi alcuna responsabilità e neppure di fronte all'evidenza più evidente. Ma questa è un'altra storia.

Credo dovrebbe essere ormai piuttosto chiaro a tutti a questo punto che dietro alla perbenista ed ipocrita facciata dell'impegno sociale in favore dei bambini che soffrono si siano sovente mossi in questi anni le intenzioni, le azioni, i sentimenti, le passioni e i pensieri più bassi e meschini. A coloro che hanno nutrito, alimentato, coltivato tali sentimenti non mi resta che dedicare una canzone prima di congedarmi.


Dedicato a tutti coloro che in questi anni hanno fatto della sofferenza dei bambini un mezzo per la loro carriera sociale, politica e professionale. Dedicato a coloro che hanno ucciso l'impegno, la competenza e la creatività di chi voleva soltanto aiutare concretamente le piccole vittime di  violenza domestica convinti che "tutto ciò che avrebbero avuto il coraggio, la forza e la determinazione d'intraprendere, per aiutare i bambini vittime di violenze, avrebbe contribuito a porre le future generazioni al riparo dalle nefaste, dolorose e costose conseguenze che tali violenze altrimenti generano"


Conclusioni

Ho scritto molto [non tutto] e vi ringrazio se avete avuto la pazienza e forse anche il coraggio di scorrere le pagine fino a questo punto. Il mio atto, cioè scrivere questo memoriale, ritengo fosse del tutto dovuto a chi per anni ha malevolmente, perché geloso, perché invidioso, perché sentiva minacciato il suo piccolo potere o anche solo sminuita la sua piccola persona, sabotato l'impegno, la volontà e la creatività di coloro che hanno creduto in un valido e serio progetto quale quello di Demetra. E' un atto dovuto anche nei confronti di coloro che non hanno capito e non capiscono che cosa sia successo in questi anni in Ticino nel teatrino, sul palcoscenico e dietro le quinte, dell'impegno in favore dell'infanzia maltrattata. Penso e spero di aver dato, anche se solo in parte, un'idea di quali e quante cose si siano intrecciate intorno alla sfortunata vicenda di Demetra e soprattutto intorno alle sfortunate vite dei bambini e delle bambine della cui protezione e cura Demetra si è concretamente occupata.

Qualcuno ha detto che Demetra ha dovuto assumersi il compito ingrato ma prezioso di fare da rompighiaccio. Forse ha ragione. Si è rotto il silenzio che fino a pochi anni fa contraddistingueva la sorte di tanti bambini e bambine vittime di violenza nelle proprie famiglie. Ora si è cominciato a scalfire il durissimo granito rappresentato dalla cultura che garantiva quel silenzio, una cultura che ha attraversato ed attraversa trasversalmente ogni dimensione, istituzionale e non, della nostra società. Purtroppo l'impressione che ne traggo è che l'epilogo di questa vicenda farà fare, e lo dico anche e soprattutto alla luce delle scelte che sembra essere intenzionato a fare in quest'ambito il DOS, diversi passi indietro rispetto al cammino fatto, grazie anche a Demetra, sino ad oggi. L'impressione è che gli apparati si stiano ricompattando intorno ad una visione ed interpretazione della presa a carico, della protezione e della cura dei bambini, ma anche della cura della famiglia, che ha come preoccupazione-prima, al di là delle solite affermazioni di rito, non la condizione ed i bisogni delle piccole vittime di violenza e delle loro famiglie ma bensì la soddisfazione di proprie precise esigenze, legate per lo più a determinate caratteristiche della propria organizzazione, del proprio funzionamento, al bisogno di ubbidire ad una determinata razionalità economica (mi riferisco a certo economicismo risparmista, per intenderci) e al bisogno di soddisfacimento di aspettative ed ambizioni personali che con il bene del bambino o della sua famiglia non hanno proprio nulla a che fare e a che vedere. Per questi bambini, spero che i fatti mi smentiscano.

Qualcuno mi diceva non molto tempo fa, assistendo a quanto stava avvenendo intorno al Centro Demetra e  riferendosi in particolare alla presa a carico della grave casistica di cui si occupava, che il Ticino rappresenta un vero e proprio terzo mondo. Alla luce di quanto visto non gli posso purtroppo dar torto. Penso quindi che l'impegno per il prossimo futuro dovrà riguardare necessariamente la formazione e l'informazione (quello che è stato fatto finora è del tutto insufficiente). Mi auguro che coloro che continueranno malgrado tutto ad impegnarsi in questo ambito concentrino i loro sforzi soprattutto in questo campo, organizzando corsi specialistici per operatori, istituendo borse di studio per mandare operatori ed operatrici sociali a formarsi all'estero, organizzando giornate di studio, seminari e congressi, informando la popolazione in maniera seria, smettendola quindi di andare a ripetere le solite banalità, le solite frasi trite e ritrite, la solita aria fritta e strafritta che gira ormai da anni: "il fenomeno non aumenta, se ne parla soltanto di più", "bisogna affermare una cultura del rispetto del bambino", "la vittima di ieri diventa l'aggressore di oggi" - affermazione che non mi sembra abbia poi giovato molto al discorso di progresso e crescita culturale visto che la maggioranza del popolo ticinese non si avvede della contraddizione quando si commuove e s'indegna oggi per la piccola vittima di violenza e domani, divenuto adulto, ne chiede invece a viva forza la forca o il carcere a vita -, "bisogna far emergere la punta dell'iceberg", ecc. Sono ben altri i problemi che devono essere affrontati e discussi e credo che la vicenda di Demetra lo abbia ampiamente dimostrato.

Volendo concludere, è d'obbligo appuntare ancora un paio di note in merito a questo memoriale. Dei suoi contenuti, dell'idea e della volontà di redigerlo e di pubblicarlo, dev'essere chiaro a tutti che sono io in prima persona pieno ed unico responsabile. Esso è rimasto segreto (in forma crittografata) sino al giorno della sua pubblicazione. Molti sapevano della sua esistenza ma nessuno, eccetto un legale, è stato messo a conoscenza del suo contenuto sino al giorno in cui l'ho pubblicato. Con esso e con la mia persona non hanno nulla a che fare l'Associazione Demetra, la Fondazione Demetra, il Centro Demetra. Con esso non ha nulla a che fare mia moglie Daniela che del resto, è bene dirlo, non ha condiviso la mia intenzione di scriverlo e tanto meno quella di renderlo pubblico.

Purtroppo, On. Pesenti, per un D'Ottavio, ogni promessa è debito!

 

Bruno D'Ottavio
Pedagogista
ex segretario dell'Associazione Demetra

 

Chi è Bruno D'Ottavio in breve:

Nato e cresciuto nella Svizzera tedesca, frequenta le scuole dell'obbligo in Italia. Nel 1974 arriva in Ticino, dove frequenta la Scuola di apprendista di commercio lavorando nel ramo dei trasporti e delle spedizioni internazionali. Dopo il diploma lavora un anno come dichiarante doganale e passa quindi a lavorare sui cantieri come vetraio posatore, poi come operaio di fabbrica in diverse industrie del Cantone. Partecipa all'esperienza della casa di accoglienza "Comunità Betania", struttura che accolse sull'arco di sei anni (1983-1989) giovani e meno giovani con problemi di varia natura (alcolismo, tossicodipendenza, disadattamento, ecc.). Nel 1989, sposa Daniela Del Priore e riprende gli studi, prima la maturità e quindi gli studi universitari in pedagogia a Verona. Ha lavorato diversi anni in qualità di supplente educatore-vegliatore presso la Casa della Giovane di Lugano e poco più di un anno come operatore sociale presso il Servizio Tossicodipendenze di Comunità familiare a Bellinzona. A livello di volontariato ha lavorato sodo per tre anni al progetto Demetra, è stato segretario dell'associazione per due. Attualmente lavora al 50% in un Istituto sociale e si occupa di handicap. Il tempo rimanente lo dedica a terminare la formazione in corso (pedagogia) e ad apprendere varie cose nuove come autodidatta e come allievo. Sostanzialemente sano di costituzione e di salute mentale è però affetto da una grave patologia conosciuta come sindrome di Robin Hood, per cui detesta in forma cronica l'arroganza, la prepotenza, gli abusi di potere e la viltà; ha il vizio di difendere i deboli, non importa se contro i potenti o contro chi si crede tale. Malgrado abbia un pensiero politico e faccia Politica, non è iscritto ad alcun movimento o partito politico.

 

Appendice

Le vicende che ho esposto nel memoriale si arrestano grossomodo alla fine del 1999, quando cioè il Centro cantonale di pronta accoglienza per minori vittime di violenza fu materialmente chiuso. Da quel giorno accaddero però ancora una serie di fatti che credo, a mo' di epilogo, valga ancora la pena di raccontare. Evidentemente mi limiterò ai più rilevanti. Lascerò quindi perdere il modo inglorioso e finanche indecoroso con cui si è sciolta la Fondazione Demetra e cioè nella più totale indifferenza della maggioranza di coloro che ne facevano parte e nella delusione della minoranza che al suo interno sperava di ottenere qualche soddisfazione dal DOS - anche un misero ossicino da rosicchiare andava bene, pur di non dover subire la ferita narcisistica di una sconfitta - in ragione forse dello spirito servo con cui aveva affrontato le "trattative" sulla "terminazione" dell'esperienza del Centro e in cambio del killeraggio morale e professionale agito, con incredibile freddezza e squallido cinismo, contro la responsabile del Centro e contro chi aveva tentato sino alla fine d'impedire quella "terminazione".
Lascerò perdere la povera e disastrata Associazione Demetra, finita ad essere ostaggio in mano ad un gruppetto d'inefficienti "funzionari" del sistema burocratico, amministrativo, sociale ticinese, la cui unica preoccupazione è stata, e a quanto pare rimane, quella di riverire sino al grottesco, anzi oltrepassandolo, coloro che avevano deciso per la peggior morte del Centro Demetra. Delusi però anch'essi, perché oltre a non essere riusciti a produrre assolutamente nulla in due anni di chiacchiere - non hanno prodotto alcun progetto (neppure quello striminzito di aggiornare il sito Internet dell'associazione, ormai da anni ridotto, per usare le parole di Pedrazzini, ad un'inguardabile vetrina di pasticceria piena di mosche morte), hanno lasciato crollare il numero dei soci da quasi 300 ad una manciata di unità, hanno alimentato in continuazione il loro astio nei confronti di chi aveva lavorato sodo e per anni in favore dell'associazione e della realizzazione del Centro, hanno avuto come ultima delle loro preoccupazioni la situazione dei bambini vittime di violenza e i problemi legati alla loro protezione - dicevo delusi perché neppure loro hanno ottenuto qualcosa dal DOS.
Lascerò perdere il fatto che oggi so esattamente quanto valgono i trenta denari versati a coloro che hanno lavorato sodo dall'interno del Centro Demetra per delegittimare, dietro buon consiglio ed invito di Pesenti, l'esperienza del Centro e la sua direzione.
Lascerò perdere il fatto che si stia tentando di perpetuare dall'interno del DOS, con l'evidente fine mafioso di metterci a tacere, la persecuzione contro i miei interessi e quelli di mia moglie. Nel caso operando strumentalmente, attraverso atti di tipo amministrativo - fatti e compiuti nel più totale arbitrio da parte dei servi più fedeli dell'apparato - per ostacolare l'attività privata che, con sacrificio, impegno e tra molte difficoltà, stiamo tentando di realizzare nell'ambito dell'aiuto educativo e sociale.
Lascerò perdere tutto questo per concentrarmi nel poco spazio che intendo ancora occupare per dirvi che cos'è successo: dell'intervento cantonale in favore dei minori vittime di violenza, dell'inchiesta sui due poveri bambini del Centro accusati di abusi sessuali su un loro compagno e dell'atteggiamento assunto dai media in questa triste vicenda.


Intervento cantonale in favore dei minori vittime di violenza

Il problema, dopo l'azzeramento del progetto Demetra, è divenuto di più semplice soluzione: il DOS per il tramite dei suoi funzionari di punta (Sandrinelli e Denti) hanno sancito che il numero di questi bambini è meno elevato di quello che si pensava. Prova ne è che con la chiusura del Centro Demetra non si sono praticamente quasi più avute segnalazioni in tal senso. Ergo: il problema non sussiste e non è necessaria una struttura specialistica che se ne occupi. I servizi sociali e sociosanitari conoscono evidentemente un'altra realtà ma restano in silenzio perché hanno grosse responsabilità nella cattiva gestione e funzionamento della protezione dei minori e perché sono divenuti anch'essi complici e se non complici comunque silenziosamente riverenti nei confronti del demenziale dictat politico che vuole che i minori restino, quasi fino all'estremo, nella loro famiglia, perché, come dice Pesenti, "la peggior famiglia è comunque migliore del miglior istituto ed un allontanamento" - non importa se per metter in salvo un bambino da inaudite violenze giornalmente subite, non importa se temporaneamente, per permettere ad una famiglia in crisi di farsi un esame di coscienza e di vedere se riesce ad avere in sé ancora delle risorse positive da rimettere in gioco, magari con l'aiuto di qualcuno, nel sistema di relazioni affettive sin lì compromesso e franato negli assurdi atti di perversione e di violenza subiti dai suoi membri più deboli, non importa se per investire e mobilitare energie positive, liberanti, terapeutiche, che vadano al di là della ridicola consultazione mensile offerta in regime ambulatoriale o semi ambulatoriale dai servizi (i più sfigati fanno l'oretta di terapia e poi vengono rimessi a disposizione dei loro seviziatori; i più fortunati tornano a casa solo il week-end, così i seviziatori sono costretti a concentrare la loro azione in soli due giorni).
Comunque, l'ho già scritto, vale sempre il sistema dello specchietto per le allodole e quindi il DOS ha partorito, dopo 9 mesi dalla chiusura del Centro Demetra, il P.A.O. (denominazione e prodotto tipico degli apparati burocratici amministrativi e dei suoi funzionari che chiamano ogni cosa con una sigla, nel caso, di "Pronta Accoglienza e Osservazione")- una violenza peggiore di quella subita".
Il P.A.O. è una sorta di contenitore istituzionale atto a "raccogliere" in urgenza qualsiasi situazione o caso umano riguardante minorenni da 4 a 16 anni che non si sa bene dove collocare o di cui non si sa bene cosa fare. Al P.A.O. è stato immediatamente detto a chiare lettere che non avrebbero dovuto fare alcun intervento di tipo educativo-terapeutico (questa era una delle caratteristiche del Centro Demetra invise ai nostri efficientissimi servizi medicopsicologici che hanno l'esclusiva dell'intervento nei processi di guarigione psicologica dei bambini) ed il suo bravo responsabile non perde occasione per ribadire il prezioso concetto inculcatogli dalla forza delle direttive dipartimentali.
Quindi questa struttura non ha nulla, assolutamente nulla, a che fare con il progetto proposto con il Centro di Rovio. Ma gli è che ai rappresentanti più in vista della nostra politica sociale piace giocare - come al solito - in maniera ambigua e quando possono o le circostanze lo richiedono danno da intendere, anche se non è vero, che il P.A.O. è la struttura che ha preso il posto del Centro Demetra e che in quanto tale ne fa le veci.
Gli stessi, poi, se interpellati sui motivi della chiusura del Centro o sul senso di chiuderne uno per aprirne un altro "simile" si trincerano dietro ai no comment e alle espressioni curiose delle loro incredibili facce di tolla. E guardate che non sono alieni, sono gli stessi che oggi vanno ripetendo sino alla nausea, di canale televisivo in canale televisivo, di radio in radio, di giornale in giornale, che "in Ticino sono stati fatti passi da giganti" e che è importante impegnarsi soprattutto nella prevenzione. Privi ormai di ogni pudore, garantiti da un sistema di connivenze e di silenzi sul cialtronismo che ha sempre caratterizzato la loro azione, si ergono ora addirittura a coraggiosi paladini e protettori dell'infanzia sofferente; finendo poi, penso per eccesso di narcisismo e di protagonismo, a dire le colossali stupidaggini che si sono sentite di recente in occasione di una trasmissione televisiva: "Nei processi che vedono coinvolti minori vittime di violenze dovrebbe valere il principio 'in dubbio pro vittima'". Mah??!!!
Invece di attaccare la giustizia nei suoi dogmi (sic!) questi signori sarebbe ora si occupassero dei servizi di cui sono responsabili e soprattutto dei loro macroscopici disfunzionamenti e sarebbe ora che la smettessero di accumulare cariche, ruoli e funzioni in dosi industriali, per cui finiscono, poi (forse), a fare di tutto e comunque tutto male. Questo farà bene alla loro vanità ma non ai problemi che richiedono con urgenza delle soluzioni (concrete ed efficaci, se possibile).


Inchiesta sui due poveri bambini del Centro accusati di abusi sessuali su un loro compagno

Inchiesta in realtà non c'è stata. La magistrata dei minorenni, Silvia Torricelli, ha tenuto inspiegabilmente per oltre un anno il dossier sulla sua scrivania in qualche cassetto. L'inchiesta poteva concludersi in pochi giorni e senza l'audizione dei bambini coinvolti in questa storiaccia dall'infamia e dalla volontà d'infamare l'operato del Centro da parte di alcuni adulti. Così sembrerebbe indicare la legge, che non punisce atti sessuali tra minorenni se la differenza di età è inferiore ai tre anni. Eppure la pseudo-inchiesta (se si sono voluti appurare dei fatti ci si spieghi come mai nessuno del personale del Centro Demetra sia mai stato interpellato o interrogato) è andata avanti per mesi e, cosa ancor più strana, con la magistrata che di mese in mese ripeteva che da lì a poco sarebbe uscita con un comunicato. Centrano forse i contatti, i legami, rigorosamente di tipo istituzionale, s'intende, esistenti ad esempio tra il Sandrinelli (Delegato e segretario della Commissione LAV, la stessa commissione che aveva sfiduciato il Centro in ragione dei fatti legati alla denuncia per abusi sessuali e la stessa commissione in cui, guarda caso, siede anche la magistrata dei minorenni; la stessa commissione il cui presidente, guarda un po', è anche grande amico e ammiratore di Pesenti) e Torricelli?
C'entra forse il fatto che vi sono importanti ruoli e rapporti istituzionali da tutelare - magari anche in cambio di qualche favore, chessò, ad esempio, il superamento di certe resistenze manifestate in sede governativa alle richieste di potenziamento degli effettivi fatte dalla magistratura dei minorenni (è solo un'ipotesi, mi raccomando!) - che un esito negativo della sentenza (assoluzione, non luogo a procedere, decreto di abbandono) avrebbe in qualche modo compromesso?
E' certo che personalmente l'attendevo in gloria la conclusione di quest'inchiesta - pensavo potesse avvenire in due o tre mesi al massimo -, non fosse altro che per vedere almeno riabilitato il buon nome e l'operato del Centro Demetra e del suo personale e comunque per denunciare l'atto di vera e propria vile ruffianeria operato dalla commissione LAV, che con un comunicato stampa sfiduciava, alla fine del 1999, in assenza di qualsivoglia accertamento dei fatti, il Centro Demetra ed il suo operato, appoggiando per contro la decisione di chiusura voluta da Pesenti.
Invece niente! I mesi sono trascorsi, ora gli anni e di quell'inchiesta non si sa ancora nulla.
Solo con il gennaio del 2001 l'ex giornalista del Giornale del Popolo, Aldo Bertagni, rompendo l'omertà mediatica calata su tutta la vicenda Demetra e sulla più generale questione dei minori vittime di violenza, divenuta ormai scomoda perché parlarne penso volesse dire evocare automaticamente il fantasma di Demetra e tutte le sozzure che hanno accompagnato la sua difficile esistenza terrena, decide d'interpellare la Magistrata per chiedere che fine avesse fatto quell'inchiesta. Sorpresa delle sorprese: l'inchiesta sarebbe stata conclusa alla fine del 2000 e il suo esito consegnato, ma guarda un po', nelle mani di Pesenti. "Mi dica che cosa ha stabilito l'inchiesta", chiede Bertagni. "E' topo secret" risponde la Magistrata.
L'indipendenza tra politica, partiti, giustizia, interessi personali, istituzionali, è in Ticino quanto di più ridicolo si possa affermare. Questo credo sia soltanto uno dei molti esempi che si potrebbero fare (prima che ti "sparino" addosso).
Ora staremo vedere se due atti parlamentari pendenti davanti al Governo riusciranno a dare qualche spiegazione di questi stranissimi fatti. Sono comunque pessimista. Visto poi che il DOS ha dato in mano proprio a Sandrinelli (il colmo!) il compito di rispondere ai molti quesiti posti in quegli atti - quando proprio gli atti stessi chiedevano fosse garantita un'inchiesta indipendente da coloro che sono coinvolti in pieno e con pesanti responsabilità in questa brutta vicenda - credo di avere motivi più che fondati per esserlo.
Anche se finora abbiamo visto soltanto che è scaduto il termine entro cui il Governo era tenuto rispondere e di risposte neppure l'ombra, staremo comunque a vedere!


L'atteggiamento dei mass media

Beh! potrei dire che è stato semplicemente poco professionale, in alcuni frangenti addirittura vergognoso. Hanno fatto da efficiente grancassa quando si è trattato di gettare ombre e dubbi, generando morbosa inquietudine in alcuni (sprovveduti) e godereccia soddisfazione in altri (i soliti noti che non stiamo a ricordare); quando si è trattato invece di fare o di chiedere chiarezza, la latitanza è stata massima. Spicca tra le altre quella della RTSI (servizio pubblico, ma fatemi il piacere! Al servizio degli interessi dei soliti potenti e prepotenti, questo piuttosto direi!).
Singolare poi l'episodio che mi ha visto quasi litigare con il giornalista del Corriere del Ticino, Carlo Manzoni, che non voleva pubblicare una mia lettera in cui denunciavo, esprimendo il massimo del "politically correct" permesso dalle circostanze, l'agire contraddittorio del DOS (segnalavo anche il fatto che contrariamente a quanto affermato da Pesenti, la sua decisione di chiusura del Centro risaliva ad una comunicazione data ai suoi funzionari nell'agosto del 1999). Alla fine l'ha pubblicata, dicendomi che Pesenti aveva rinunciato alla replica e che comunque era stato informato di alcune cose sul mio conto (chissà cosa gli avranno detto? :)
Da allora tutte le mie lettere al Corriere, su argomenti che con Demetra o col DOS non avevano nulla a che fare, sono state regolarmente cestinate.
L'impressione generale che ne colgo è che vi sia un disinteresse piuttosto generalizzato, da parte dei media e quindi anche da parte dell'opinione pubblica (ciò che non si vede o non si sente non esiste!), ad occuparsi del problema dell'aiuto ai minori vittime di violenza in termini critici, tali da mettere in pericolo quel rapporto di tacita piaggeria e sudditanza esistente tra politica, giustizia, amministrazione pubblica ed informazione. Sulle storie sporche del Ticino vengono scritti fiumi d'inchiostro soltanto quando non è più possibile, per una serie di ragioni varie, fare altrimenti: perché sono arrivati dei veri e propri "siluri" dall'estero, da Berna o da Zurigo (vedi caso Cuomo-Verda: avrei sfidato chiunque, qui in Ticino, giornalista o meno, ad andare in Magistratura o anche solo dai media a denunciare quei fatti che hanno poi portato allo scandalo o meglio agli scandali dell'estate scorsa; lo avrebbero fatto letteralmente a pezzi!) oppure perché sono stati lesi degli interessi troppo importanti di cerchie di persone ancor più importanti (i bambini violentati non sono evidentemente tra queste!), che fanno venire meno ad un certo punto il mantenimento dei delicati equilibri su cui si regge l'ammucchiata - trasversale ai partiti, alla giustizia, ai rappresentanti politici, al mondo finanziario e imprenditoriale, ai sindacati, ecc., ecc., - delle tante schifezze cantonali nascoste dietro i rassicuranti "tout va bien" e "vogliamoci bene purché ognuno tenga i propri scheletri nell'armadio, senza andare a scomodare quelli degli altri" e che fanno scattare allora e solo allora le intense campagne giornalistiche di denuncia e controdenuncia che possono durare senza cedimenti anche per anni (Thermoselect, Cardiocentro, Centovallina, ecc., ecc., ecc.).

Bene! Qui mi fermo, al tempo e ai posteri l'arduo giudizio.


Sigirino, 22 marzo 2001

 

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