PROGETTO DEMETRA

 

Premesse generali

 

Le richieste di accoglimento di un minore in un luogo diverso dalla famiglia d'origine (nucleare o estesa) sono sostanzialmente di due tipi:

-il primo tipo di richiesta è quello che parte direttamente dalla famiglia, la quale esprime l'impossibilità o la difficoltà da parte di uno o entrambi i genitori ad occuparsi dei figli per un problema contingente: ricovero in ospedale, grave lutto in famiglia, perdita del posto di lavoro, malattia, incarcerazione ecc.

-il secondo tipo di richiesta avviene per attuare un allontanamento dei minori dalla loro famiglia, senza che i genitori siano necessariamente d'accordo.

Il primo tipo di richiesta si riferisce a situazioni in cui i servizi valutano se i genitori abbiano bisogno, per un certo periodo di tempo, di essere "alleggeriti del peso dei figli" perché un insieme di concomitanze e fattori negativi impedisce loro l'assunzione del ruolo genitoriale. In questo caso i genitori vengono spinti (motivati) ad usufruire dell'aiuto dei servizi che è da intendersi anche come un intervento preventivo di tutela del minore. Per diverse famiglie in queste condizioni può essere sufficiente la garanzia di un aiuto domiciliare, altrimenti possono ricorrere temporaneamente al collocamento di uno o più figli presso un nido, una famiglia, un foyer o un istituto.

Il secondo tipo di richiesta concerne quelle situazioni in cui l'allontanamento dei minori viene ordinato dalla delegazione tutoria alfine di proteggere e tutelare un bambino abusato o sospettato tale. Possono rientrare in questa casistica anche situazioni del primo tipo che nel tempo portano alla luce problematiche familiari più gravi di quelle presentatesi al momento della richiesta di aiuto (richieste spontanee di istituzionalizzazione che si tramutano in stato di abbandono o che portano alla rivelazione da parte del minore di abusi subiti in famiglia o che inducono gli operatori della comunità, attraverso la relazione con il bambino e l'osservazione del rapporto genitori-figli, a sospettare una situazione di abuso).

La prima casistica esige maggiormente risposte di tipo assistenziale. Generalmente gli istituti o i nidi, in questo caso, offrono un servizio tipo "pronto soccorso sociale" con interventi di baby-sittering professionale, garantendo anche i sostegni psicologici ed educativi, mirati a favorire l'adattamento dei minori alla nuova situazione ambientale.

Per la seconda casistica sorge spontanea una domanda: "si deve pensare ad una tipologia particolare di struttura per il pronto intervento (attualmente non presente nella realtà ticinese) o qualunque risorsa e struttura di accoglienza, ivi compreso l'affido familiare o il ricovero ospedaliero, può rispondere alle esigenze e ai bisogni di un minore che necessita di un accoglimento di emergenza perché il permanere oltre in famiglia comprometterebbe ulteriormente il suo sviluppo psicofisico?"

Bisogna tener conto del fatto che l'ammissione di un minore in situazione di emergenza necessita, per forza di cose, di un inserimento non programmato il quale a sua volta comporta l'attivazione di un intervento che tenga conto dei seguenti punti:

a) il bambino non è preparato e a volte nemmeno informato dell'avvenuta o imminente separazione dai genitori. Ciò può divenire fonte di disorientamento.

b) gli operatori hanno scarne e sommarie informazioni sulla situazione, sulla storia e sulle abitudini del minore e della sua famiglia. Attivarsi per ottenere queste informazioni è uno dei primi passi da compiere.

c) l'accoglienza di questi bambini deve prevedere, oltre agli interventi assistenziali, con tutte le annesse connotazioni e valenze terapeutiche, anche interventi di protezione e tutela. Non sempre esistono o si possono creare le premesse per giungere ad un accoglimento accettato o quantomeno tollerato dai genitori.

d) gli operatori di un centro di pronta accoglienza si devono prendere carico, in parte e fin da subito, anche della famiglia di un eventuale minore accolto.

e) gli operatori, attivando gli strumenti che ritengono più opportuni, compiono un'osservazione e una ricostruzione della storia del minore, così da giungere a formulare nel più breve tempo possibile, e in collaborazione con gli altri operatori che si occupano del caso, un progetto per il suo futuro. A tal fine si deve tener presente che

-non si può separare definitivamente un bambino dalla sua famiglia se prima non si sono esplorate concretamente tutte le possibilità di risoluzione delle difficoltà che invalidano la famiglia nelle sue funzioni parentali.

-non si può però neanche mantenere quello stesso bambino troppo a lungo in una situazione di incertezza rispetto al suo futuro e al suo desiderio di appartenenza, in particolar modo quando è molto piccolo.

-nel caso dei bambini maltrattati/abusati, non ci si può affidare all'illusione che la semplice separazione fisica dalla famiglia e il loro accoglimento in un ambiente caldo e disponibile sul piano affettivo possano sciogliere i legami patologici che li vincolano agli aspetti più fallimentari del rapporto con i genitori: il senso di colpa, l'aver fatto il genitore dei propri genitori, l'esser stato l'amante del padre, o il difensore della madre, il parafulmine delle tensioni familiari, o il "telefono" tra i genitori. Per aiutarli nella risoluzione di questi problemi si rende necessaria una struttura presentante un particolare modello d'intervento educativo, che deve avere tra i suoi obiettivi anche quello di preparare il minore ad un suo eventuale ritorno in famiglia o a un'adozione/affido.

Inserire immediatamente un bambino, che ha subito maltrattamenti e/o abusi sessuali, dalla sua famiglia in un'altra famiglia significa "caricare" eccessivamente, dal punto di vista emozionale/psicologico, la famiglia affidataria e bruciare la preziosa risorsa che essa rappresenta. Il rischio che si corre è il fallimento dell'affido (rinuncia della famiglia affidataria) e, di conseguenza, un ennesimo trauma per il bambino. Stesso discorso per l'adozione.

Anche il collocamento di un bambino traumatizzato in istituto non può essere considerato una soluzione. Essi accolgono infatti molti ospiti e hanno generalmente più operatori che ruotano attorno ai bambini, ciò che rende, in concomitanza con altri fattori quale ad es. la difficoltà a reperire personale preparato nell'ambito del maltrattamento e degli abusi sessuali su minori, più arduo riuscire a formulare progetti educativi individualizzati. Inoltre non sono organizzati come strutture di pronta accoglienza, anche se, in certi casi, viene loro richiesto di svolgere anche questa funzione. Collocare questi bambini in istituto può quindi comportare dei rischi, come quello di restarvi per molto tempo senza aver potuto godere di mirati interventi volti al risanamento delle ferite interiori. L’istituto, chiamato a rispondere ad altri generi di bisogni, non può profilarsi come una struttura educativa-terapeutica. L'esperienza insegna che il collocamento a lungo termine porta spesso alla progressiva assunzione, da parte del minore, di comportamenti sempre più devianti e, quale ulteriore conseguenza, a maggiori difficoltà nel reperire una famiglia disposta ad accoglierlo.

Altro rischio derivante da collocamenti in istituto concerne gli educatori. Questi possono infatti, se eccessivamente stimolati dalle dinamiche relazionali innescate dal bambino traumatizzato, e se (come spesso accade) privi di modelli di riferimento per impostare l'intervento educativo-terapeutico, struttare meccanismi di tipo difensivo, controproducenti sul piano educativo-relazione, o addirittura vere e proprie sindromi di burn out.

Al momento, in Ticino i minori vittime di maltrattamenti/abusi sessuali che necessitano d’immediata protezione vengono generalmente collocati o in una famiglia affidataria, senza aver potuto godere di mirati interventi educativi e di una preparazione graduale a questo inserimento, oppure vengono collocati negli istituti per minorenni.

Putroppo vi sono anche minori che pur necessitando di protezione (fisica e/o psicologica) vengono lasciati in situazione di grave pregiudizio familiare.

Processo generale d'intervento

 

Il modello d'intervento del Centro Demetra, è legato alle singole fasi dell'intero processo generale d'intervento. Come tutti i servizi e le risorse attivate, anche il Centro Demetra svolge funzioni sostanzialmente diverse a seconda della fase che il più generale processo d'intervento sta percorrendo. Il modello, adeguato alla realtà del Canton Ticino, prende esempio da quello seguito ormai da anni dal Centro per il bambino maltrattato e la cura della crisi familiare di Milano (in particolare dalle sue comunità di pronto intervento) e da quello a suo tempo seguito a Losanna dall'équipe coordinata dalla dr.ssa O. Masson. Il modello di lavoro relazionale condotto all'interno delle comunità del C.B.M s'ispira a quello proposto da Bruno Bettelheim presso la Orthogenic School di Chicago.

 

Processo d'intervento proposto

 

rilevazione

 

I servizi locali (scuole, asili, nidi, ospedali, servizi sociali o medico-psicologici, polizia, telefono sos-infanzia...) rilevano una situazione di sospetto o certo maltrattamento. Una delle assistenti sociali dell'équipe del Centro viene informata e prende contatto con il segnalante per approfondire la situazione e orientarlo circa il processo d'intervento.

 

coinvolgimento della famiglia

 

L’assistente sociale può contattare la famiglia provando a coinvolgere i genitori nel riconoscimento del maltrattamento e dei problemi familiari che l'hanno provocato. Da questo momento i genitori sono informati della possibilità di riferire la situazione alla Delegazione Tutoria. (Nel caso si sospetti che il minore sia vittima di abuso sessuale, può essere necessario

attendere prima di esplicitare questo sospetto ai genitori, così da evitare l'inquinamento delle prove e le pressioni esercitate al fine di ottenere una sua ritrattazione. Essendo l'abuso sessuale un reato penalmente perseguibile il Ministero pubblico deve essere informato o direttamente dalla Delegazione tutoria o dal segnalante. Si deve inoltre procedere ad un intervento di protezione del minore avendo quale riferimento, nell'eventualità che si decida un suo immediato allontanamento, l'inadeguatezza delle figure parentali a svolgere la loro funzione educativa. Avviata la protezione del minore e ritenuto che non sussista più il rischio d'inquinamento delle prove i genitori vengono informati del reato di abuso sessuale).

 

segnalazione

 

Dopo una prima valutazione sulla gravità della situazione, il caso viene quindi segnalato all’Autorità civile.

 

indagine

 

L’assistente sociale, su incarico della Delegazione tutoria o del pretore, svolge una prima indagine sociale mentre la polizia, qualora si rilevasse necessario, su mandato del procuratore pubblico, raccoglie prove per incriminare l'abusante/il maltrattante.

La Magistratura per i minorenni si occupa invece dell'interrogatorio del minore. A questo proposito è auspicabile che il bambino venga sentito in un ambiente rassicurante e rispondente ai suoi bisogni. Dev’essergli inoltre garantita la presenza di una persone di sua fiducia. Durante l’interrogatorio della vittima è importante che chi pone le domande sia

formato in psicologia infantile, di regola dovrebbe essere uno/a psicologo/a, un/a pedagogista o uno/a psicoterapeuta.

Quando la pre-indagine indagine sociale svela una situazione di grave violenza all'interno della famiglia, l’Autorità civile dev'essere sollecitata affinché possano essere ordinate le necessarie misure a protezione del bambino, come previsto dal Codice civile svizzero (ad es. allontanamento provvisorio del minore).

 

valutazione

 

L'autorità competente, in caso di collocamento del minore presso il Centro prescrive una diagnosi circa le cause del maltrattamento e sulle possibilità di recupero della famiglia. L'assistente sociale e i terapeuti collaboratori del Centro, assieme agli educatori, sono incaricati della valutazione. La valutazione può risolversi in una prognosi positiva o negativa.

 

 

In caso di:

 

PROGNOSI POSITIVA DELLA FAMIGLIA

 

I genitori mostrano buone possibilità di recupero della loro relazione con i figli.

Trattamento:

-terapia familiare

-terapia individuale, se necessario

-sostegno assistenziale

-la relazione genitori-figli viene sostenuta in vista del rientro del bambino in famiglia

 

In caso di:

 

PROGNOSI NEGATIVA

 

-psicoterapia del bambino dal momento che esce dal Centro (garantita dal terapeuta del Centro o da un privato o dal servizio medico-psicologico).

-adozione, affido o accoglimento in istituto, se dodicenne o tredicenne eventualmente accoglimento in un foyer della Pro J. o di Comunità F. per un trattamento residenziale, in relazione ai bisogni psicologici del minore. Per tutte le situazioni di maltrattamento (psicologico e/o fisico) e di grave trascuratezza, si procede, come detto, ad una valutazione circa la ricuperabilità della famiglia. Da parte del terapeuta infantile del Centro va inoltre operato un approfondimento clinico di tipo psicodiagnostico. Questo approfondimento (psicodiagnosi), oltre ad illustrare lo stato di sofferenza psicologico in cui si trova il bambino, viene utilizzato anche dagli operatori del Centro quale riferimento in grado di far meglio comprendere le dinamiche intrapsichiche e i comportamenti posti in atto dal minore. Per le situazioni di sospetto abuso sessuale tale approfondimento, che nei paesi anglosassoni chiamano validation (psicodiagnosi) ovvero la convalida del sospetto abuso sessuale attraverso l'esame psicologico del bambino condotto sulla base di precise indicazioni metodologiche, spiega quali siano gli elementi di prova psicologica dell'avvenuto abuso sessuale e serve quindi anche per l’istruzione del processo penale.

Per quanto concerne la relazione finale della valutazione familiare redatta dai terapeuti (relazione che viene letta ai genitori), essa si deve necessariamente basare anche sulla relazione redatta dal/la direttore/trice del Centro. Si devono quindi svolgere regolari incontri fra i terapeuti, l'assistente sociale, il/la direttore/trice del Centro e l'educatore/trice di riferimento del bambino.

Nel caso di prognosi positiva, si stende una prima relazione che, nel descrivere le radici della crisi e l'evoluzione delle relazioni familiari, sottolinea anche quegli elementi di cambiamento che sostengono la prognosi e, su questa base, individua una specifica proposta di programma adeguata alla situazione della famiglia. In questi casi, spesso il punto centrale del programma prevede il riavvicinamento graduale tra genitori e figli, o il reinserimento di questi ultimi in famiglia. Il concetto stesso di prognosi positiva implica, infatti, che la famiglia sta riacquistando la capacità di occuparsi adeguatamente dei figli. Nella sostanza, ciò significa che tra i coniugi si va formando una certa "alleanza genitoriale" e un rapporto di reciproca fiducia, condizione indispensabile per affrontare adeguatamente i problemi dei figli. Le prognosi positive sono seguite da una terapia familiare. I tempi necessari al reinserimento dei bambini in famiglia variano, però, in ragione della diversa previsione di durata del trattamento terapeutico. Nei casi in cui si prevedano tempi lunghi per il recupero della famiglia (due o tre anni di trattamento), in condizioni di rischio, che consigliano di prolungare l'allontanamento del bambino, si pone il problema di collocarlo in una sistemazione che non sia solo protettiva, ma che ne assicuri anche un sano sviluppo psicofisico. Una soluzione non sempre facile ma che può offrire ottimi risultati, se attuata in modo corretto, è quella di provvedere a un affido familiare. Si può però parlare di prognosi positiva, anche laddove il conflitto o le difficoltà familiari si risolvano con la decisione di separazione coniugale, raggiunta in maniera non eccessivamente traumatica per i figli. In questi casi l'avvio di un lavoro terapeutico è finalizzato alla verifica delle risorse di uno dei genitori a occuparsi dei figli e alla capacità di entrambi di collaborare, preservando agli occhi dei figli una buona immagine dell'ex partner.

La diagnosi sulle dinamiche che hanno portato al maltrattamento può, tuttavia, concludersi anche con una prognosi negativa, che viene formulata quando la famiglia di origine non è ritenuta idonea ad occuparsi dei figli. Si tratta, essenzialmente, di situazioni di due tipi: quella rilevabile già durante la fase diagnostica, in cui non si è attivato nella famiglia alcun cambiamento di segno positivo e quella in cui la diagnosi e, di conseguenza la prognosi, si è nei fatti dimostrata sbagliata, per cui episodi di violenza o d'incapacità genitoriale riappaiono mentre è in corso il graduale reinserimento del bambino in famiglia.

I casi di prognosi negativa implicano la necessità di predisporre per i minori soluzioni alternative alla famiglia d'origine.

Fare una diagnosi, in un contesto come quello del pronto intervento, non significa unicamente eseguire una fotografia dei conflitti interni del bambino per determinarne il quadro clinico. Si tratta invece di realizzare anche una registrazione dinamica del cambiamento, in cui si fanno coincidere i tempi della diagnosi con quelli dell'accoglimento, allo scopo di evitare ai minori il triste pellegrinaggio da una soluzione provvisoria ad un'altra. L'esito della valutazione (diagnosi) indica quale soluzione si ritenga essere maggiormente idonea per il bene del bambino (rientro in famiglia, affido a termine, foyer, famiglia adottiva).

Se è importante avviare un processo d'intervento a cui il Centro Demetra e i vari servizi interessati possano fare riferimento, altrettanto importante si rivela essere la presenza di un soggetto che vi rivesta il ruolo di coordinatore, affinché non si perda il senso di processualità e di temporalità dei singoli interventi e non si corra, ad esempio, il rischio che la struttura di accoglienza dia un'interpretazione diversa, della fase specifica che l'intervento sta attraversando, da quella degli altri servizi. Un esempio abbastanza frequente di questo genere di disfunzione si verifica quando, pur essendo il processo ancora fermo alla fase di valutazione, la struttura che accoglie il minore si comporta con i genitori in modo tale da mostrare di ritenerli irrecuperabili.

 

Caratteristiche e modello d'intervento del Centro

 

Il Centro di pronta accoglienza (primo tassello di un auspicabile quanto necessario Centro per la protezione del bambino) interviene nei casi di abuso sessuale, di grave trascuratezza, di maltrattamento fisico o maltrattamento psicologico, commessi dai familiari (conviventi compresi) su bambini fino a tredici anni per i quali sia disposto un allontanamento familiare. I casi sono inviati al Centro dalle Delegazioni tutorie o dal Pretore. L'inclusione di soggetti in età adolescenziale è evitata poiché portatori di esigenze pedagogiche/psicologiche troppo differenti se riferite a quelle di bambini/e di età inferiore (una variazione rilevante delle esigenze si registra del resto già nella fascia di età compresa tra 0 e 13 anni). Compatibilmente con le risorse presenti nel Centro potranno essere ospitati anche bambini portatori di handicap. Il Centro Demetra può accogliere anche bambini vittime di eventi accidentali particolarmente traumatizzanti (violenza assistita, perdita improvvisa dei genitori, ... ).

L’équipe del Centro Demetra può fornire delle consulenze alle scuole o ad altri operatori. In futuro l’équipe del Centro potrebbe venir incaricata di svolgere delle valutazioni familiari e/o delle psicodiagnosi anche per le situazioni di minori maltrattati maggiori di anni 13 anni che vengono collocati presso altre strutture. Questo almeno fino a quando non venga realizzato un centro di pronta accoglienza anche per questa fascia d’età.

Il Centro può accogliere circa dieci ospiti . Durante la fase iniziale di rodaggio è auspicabile la presenza di un numero di ospiti minore.

Il Centro Demetra è una struttura educativo-terapeutica di tipo residenziale in grado di offrire un’accoglienza temporanea che può durare da alcuni giorni fino ad un massimo di sei mesi. Qualora però sussistessero necessità di ordine clinico e/o pedadogico il tempo di permanenza potrebbe essere prolungato.

Il Centro deve rimanere aperto 365 giorni all'anno, 24 ore su 24. E’ preferibile una sede in prossimità dei grossi centri urbani del cantone poiché maggiormente dotati di servizi e più facilmente raggiungibili dai genitori oltre che dai collaboratori esterni al Centro. Per quanto riguarda il tipo di edificio che può ospitare il Centro, gli esempi ideali sono rappresentati da un ex scuola materna, da un grande appartamento realizzato, se necessario, dalla fusione di due appartamenti oppure da un prefabbricato costruito ex novo. E' comunque importanteche la struttura sia spaziosa, luminosa, disponga di uno spazio aperto e sia possibilmente su un piano solo (ciò permetterebbe anche al bambino piccolo di raggiungere tutte le stanze) e che abbia dei dispostivi di sicurezza alfine di garantire la necessaria protezione ai bambini e al personale.

Un Centro di pronta accoglienza, come già detto, si assume la responsabilità di proteggere il minore da una situazione familiare compromessa e dannosa per la sua sana crescita. Contemporaneamente si deve attivare per garantire il diritto di quel bambino ad essere educato ed allevato dai genitori naturali. Tutt'altro che semplice quindi si prefigura il compito degli operatori del Centro, che devono conciliare l'intervento di protezione del bambino, da adulti incapaci di assumere responsabilmente i propri doveri genitoriali e resi ancor più fragili per l'avvenuto allontanamento del figlio, con l'intervento di affiancamento e sostegno finalizzato a rinforzare ed incrementare le potenzialità di relazione positiva tra genitori e bambini, evitando, anche nelle piccole cose, ogni possibile sostituzione, sopraffazione o scivolamento in ruoli e funzioni dei genitori.

Bambini e genitori anche quando non lo esprimono verbalmente, hanno bisogno di informazioni e informare correttamente è il mezzo più efficace per allentare tensioni, ansie e paure di grandi e piccole. Genitori e figli vengono quindi informati dagli educatori del fatto che ciò che si sta facendo è un lavoro per capire cosa è successo, per parlare di cosa non funziona e per promuovere un cambiamento. Informare significa anche esplicitare ai genitori con chiarezza e semplicità ciò che costituirà l'oggetto della valutazione circa la loro idoneità: costanza nelle visite ai figli, puntualità, interessamento spontaneo o a seguito di sollecito quando ritenuto necessario per il figlio, qualità dell'attaccamento emotivo

e affettivo; di conseguenza, intensità del contatto, qualità e significatività della relazione, capacità di non coinvolgere i figli dove c'è conflitto di coppia e riuscita degli interventi mirati ad una deresponsabilizzazione dei bambini rispetto ai conflitti stessi, ecc. .

 

Il modello d'intervento attuato dagli operatori del Centro è suddiviso in fasi presentanti loro priorità. Se ne dà una breve sintesi descrittiva. Altri aspetti caratterizzanti il modello d'intervento vengono trattati in modo più esteso e particolareggiato in occasione dell'elaborazione, per ogni minore ospitato, del progetto educativo individualizzato (PEI).

Nella fase di accoglimento risulta essere di primaria importanza la costituzione di una privilegiata quanto significativa relazione con il bambino. L'educatore/trice che lo accoglie trascorre con lui la maggior parte del tempo , assumendo un atteggiamento empatico e di ascolto ed impegnandosi in una relazione di maternage volta a soddisfare principalmente i suoi bisogni. In questa fase i dialoghi con il bambino sono primariamente finalizzati alla comprensione dei suoi stati d'animo e delle sue dinamiche intrapsichiche.

Il bambino partecipa solo ai momenti principali della vita comunitaria e non si reca a scuola o all'asilo fintanto che non si è sufficientemente ambientato nella nuova situazione.

Egli viene informato appena possibile (comunque già nel corso del primo giorno) dei motivi che hanno portato le autorità a decretarne l'allontanamento dalla famiglia; ciò avviene attraverso la lettura del decreto di allontanamento e la spiegazione di cosa è successo ai suoi genitori. Viene inoltre rassicurato del fatto che altre persone si stanno occupano dei genitori e, se fosse il caso, che ha fatto bene a parlare di quello che avveniva a casa.

Per aiutarlo a comprendere meglio la nuova situazione in cui si trova, l'educatore/trice di riferimento gli legge e gli commenta una storia (tratta da un libro illustrato) che ha come protagonista immaginario un bambino che, come lui, arriva in un Centro di pronta accoglienza per la prima volta. La storia presenta un percorso ideale che lui e la sua famiglia potrebbero fare.

Successivamente il bambino impara a conoscere, con l'aiuto dell'educatore e con l'ausilio di materiale didattico, quali siano i suoi diritti (Carta dei diritti del bambino).

Nel periodo di accoglimento l'educatore/trice osserva con attenzione i comportamenti del bambino prendendo nota di quelli anche apparentemente più insignificanti; trascrive i racconti che il bambino fa della sua esperienza familiare, i ricordi anche confusi che emergono, gli incubi, le paure che manifesta; raccoglie i disegni e le relative interpretazioni date dal bambino, ecc. . Durante questa fase il bambino impara a conoscere le regole comunitarie e le persone che, al di fuori del Centro, si occupano della sua situazione (l'assistente sociale che ha preso in carico il suo caso, il magistrato per i minorenni, ...)

-nella fase di valutazione il Centro, oltre a svolgere la funzione di protezione del minore (che viene attuata attraverso le opportune misure di assistenza e sostegno psicologico) esegue, sulla base di osservazioni, una propria diagnosi che concorrerà, unitamente alle relazioni elaborate dagli altri servizi che si occupano del caso, a definire una prognosi sulla risolvibilità delle difficoltà e dei problemi e sulla ricuperabilità della famiglia d'origine. Si tratta di una fase in cui il giudizio sulla famiglia è sospeso e la struttura di accoglienza è impegnata nella protezione del minore e nella osservazione finalizzata alla raccolta di elementi diagnostici. Il Centro svolge un compito di supplenza delle funzioni familiari.

-nella fase di trattamento di una famiglia per la quale sia stata pronosticata un'evoluzione positiva della crisi, il Centro che accoglie il minore, in attesa che si verifichino le condizioni per il suo reinserimento in casa, svolge una funzione di affiancamento della famiglia ritenuta ricuperabile. Nel caso che i genitori necessitino di un trattamento terapeutico protratto, in assenza del figlio (questi non rientra in famiglia) ma in vista del suo riaccoglimento, l’équipoe educativa e l'assistente sociale responsabile individuano una nuova collocazione provvisoria più adatta ai bisogni del minore.

-chiamato a intervenire nella fase volta alla costruzione di alternative per il minore la cui famiglia sia ritenuta irrecuperabile, il Centro si assume il compito di agevolare la sostituzione definitiva della famiglia. Il bambino viene accompagnato dagli educatori nel difficile e sofferto processo di elaborazione del lutto per la perdita dei genitori e posto in grado d'investire affettivamente nei genitori adottivi (soluzione ideale) o nei genitori affidatari. Se ciò non fosse possibile verrà inserito presso un’altra struttura residenziale.

 

Ogni fase dell'intervento è percorsa da obiettivi psicopedagogici. Tra i più importanti:

 

Il primo obiettivo dell’équipe educativa, in ordine di tempo, è quello di aiutare il bambino, già traumatizzato dal maltrattamento subito, a superare il disorientamento e ad inserirsi in un ambiente sconosciuto (nel limite del possibile, affinché il bambino possa mantenere comunque un legame con la sua realtà abituale gli viene garantita la continuità della frequenza scolastica nella sede in cui è iscritto altrimenti viene inserito nella pluriclasse del Centro).

Il secondo obiettivo consiste nell'individuazione di un educatore (educatore/trice di riferimento) che possa rappresentare la risposta ai bisogni di sicurezza e di contenimento delle angosce manifestati dal minore.

Il terzo obiettivo, che esige un maggior lasso di tempo, consiste nel sostenere il bambino nel processo di elaborazione di quanto è successo. Il bambino viene sostenuto e orientato dagli educatori nel processo di comprensione di tutto quanto accade a lui e intorno a lui: l'affidamento ad altre persone, l'entrata nella sua vita di personaggi sconosciuti e dai contorni assai vaghi (l'assistente sociale, i terapeuti...)

Il quarto obiettivo è un obiettivo permanente. Fa riferimento alla prescrizione di osservare il bambino.

Il quinto obiettivo è l'educazione dei genitori. Le visite costituiscono a questo riguardo uno dei momenti privilegiati per educare i genitori a relazionare in modo corretto (rispettoso dei bisogni del bambino) nei confronti del proprio figlio.

Il sesto obiettivo è la preparazione del minore al processo penale e riguarda in genere la vittima di abusi sessuali. Gli educatori s'impegnano a ridurre, per quanto possibile, gli effetti negativi che potrebbe avere sul minore la sua partecipazione attiva al procedimento penale (il momento più delicato è notoriamente costituito dalla testimonianza) .

Il settimo obiettivo concerne l'attenzione che gli educatori devono sempre e comunque mantenere verso il più generale rapporto educativo col minore, volto a garantirgli un corretto attraversamento (sviluppo) delle varie fasi evolutive.

 

 

Collaborazione con i servizi presenti sul territorio

 

E' prevista una collaborazione in particolar modo con le U.I.R (Unità d’intervento regionali), i servizi psicosociali, medico-psicologici e con i consultori familiari. Sussistono però importanti motivazioni di ordine teorico e pratico che giustificano la necessità di svolgere presso il Centro sia le sedute di valutazione sulla famiglia che le psicodiagnosi. Per quanto concerne le psicoterapie individuali dei bambini queste, salvo eccezioni, non verranno effettuate durante il periodo di permanenza dei minori nel Centro, in quanto il modello di Centro proposto prevede di lavorare all'elaborazione del trauma del bambino in un contesto educativo-terapeutico (questa è una delle novità rispetto alle altre strutture per minori presenti sul territorio). Esistono comunque a questo riguardo altre motivazioni di ordine psicologico che in questa sede, per motivi di tempo e di spazio, non è possibile presentare. Le psicoterapie potranno essere avviate, laddove necessario, quando il minore lascerà il Centro Demetra.

Per quanto concerne le valutazioni familiari e le psiodiagnosi è necessario che si possa far riferimento a terapeuti (psicoterapeuti familiari per le valutazioni familiari e psicoterapeuti o psicologici clinici con buona formazione nell’ambito della clinica infantile ed esperienza nell’utilizzo dei test proiettivi per le psicodiangosi) che conoscano bene questi strumenti, adeguatamente formati nell’ambito della problematica del maltrattamento infantile, disposti a recarsi presso il Centro per svolgere le sedute, in grado di partecipare alle molteplici riunioni d’équipe, di lavorare entro i tempi previsti e con la disponibilità a farsi supervisionare ad es. da colleghi del CBM. Per evitare un lavoro dispersivo è importante che questi collaboratori possano dare garanzie di continuità nella collaborazione e che ci si possa limitare a pochi collaboratori.

Altri enti o autorità pubbliche, con cui si potranno/dovranno intessere relazioni sono: le Delegazioni tutorie comunali, le U.I.R, il Delegato per i problemi della violenza e la prevenzione dei maltrattamenti, i Tutori cantonali e comunali, gli ispettori scolastici, il Dip. Opere Sociali (servizio sociale cantonale, medico-psicologico, psicosociale, l’ufficio dei giovani, della maternità e dell’infanzia, l’ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento sociale), il Dip. Istituzioni (Autorità di vigilanza sulle tutele e curatele, Ministero pubblico, Magistratura per i minorenni, Preture), il Dip. Istruzione e Cultura (ufficio dell’insegnamento primario, ...) il C.B.M., gli istituti per minorenni, i foyers Fond. Pro Juventute, il foyer Casa Pictor, le sedi scolastiche (eventualmente il servizio di sostegno pedagogico), gli asili, i nidi, l'ass. famiglie affidatarie, la polizia cantonale e comunale, gli assistenti sociali comunali, ... .

 

 

Figure professionali

 

Si dà per premesso il fatto che la descrizione dei ruoli professionali è incompleta, non sufficientemente dettagliata o addirittura assente. Le figure e i ruoli professionali, come del resto i compiti del Comitato esecutivo/Consiglio di Fondazione, i compiti del direttore/trice del Centro Demetra e dei collaboratori/trici, il regolamento interno, le modalità di assunzione del personale, il finanziamento, (...), dovranno infatti essere ancora discussi ed elaborati di comune accordo.

Il Centro si avvarrà delle seguenti figure professionali:

- direttore/trice del Centro Demetra. Laurea in pedagogia o in scienze dell’educazione (in via subordinata laurea in psicologia) preferibilmente ad orientamento clinico con adeguata formazione nella problematica del maltrattamento infantile e degli abusi sessuali su minori. E’ richiesta anche una buona conoscenza del contesto sociale ticinese ed esperienza di lavoro con il modello proposto.

Il/la direttore/trice, a cui sono affidati la responsabilità pedagogica e terapeutica dell’intervento, assume il ruolo di coordinamento e di conduzione nell'ambito del Centro.

Inoltre:

Seleziona il personale educativo ed insegnante, il/la segretario/a, il personale ausiliario, il/la tirocinante ed eventuali volontari.

Seleziona i collaboratori esterni (supervisore, terapeuti, ..).

Forma il personale educativo.

Partecipa regolarmente agli incontri con i membri del Comitato esecutivo/Consiglio di Fondazione, dove si studiano le problematiche generali riguardante il Centro Demetra e si decidono le soluzioni da adottare o le decisioni da prendere.

Decide le ammissioni e le dimissioni degli ospiti.

Organizza la documentazione necessaria per un corretto intervento educativo-terapeutico e si procura inoltre gli atti necessari presso gli enti collocanti.

Fornisce al/la contabile le pezze giustificative delle spese, nonché i formulari con l'elenco delle presenze del personale, delle ore supplementari, notturne e festive da esso svolte, ... . Pianifica le vacanze dei suoi collaboratori e collaboratrici ed eventuali sostituzioni; partecipa all'allestimento dei preventivi e dei consuntivi annuali in collaborazione con uno o più rappresentanti del Comitato esecutivo/Consiglio di Fondazione e il/la contabile.

Cura, assieme ai suoi collaboratori/trici, i contatti con gli enti invianti, le autorità, le famiglie, la scuola, l'équipe d’intervento, ecc. . In particolare deve occuparsi di accompagnare personalmente le famiglie affidatarie o adottive nella delicata fase caratterizzata dalla graduale conoscenza del minore loro affidato.

Il direttore/la direttrice rappresenta il Centro Demetra nei contatti con l’esterno.

- educatori/trici devono essere assunti, in linea di massima, a tempo pieno per evitare un'eccessiva rotazione del personale. Viene richiesto loro il diploma di educatore specializzato o la laurea in pedagogia/psicologia ed una minima esperienza professionale, eventualmente anche solo a livello di stage. E' auspicabile che i/le candidati/e non siano troppo giovani. Alcuni degli ulteriori requisiti richiesti: possedere delle buone conoscenze della problematica della violenza sui minori o avere la disponibilità a formarsi nell’ambito, avere delle conoscenze in psicodinamica ed essere disponibili a lavorare in équipe e a turni (il Centro deve garantire sempre la presenza di almeno due educatori/trici di giorno).

- docente di scuola elementare. Patente di maestro/a, preferibilmente non alla prima esperienza professionale, disponibilità a formarsi nell’ambito del maltrattamento, partecipazione alle riunioni dell’équipe educativa e alla supervisione. Qualora dovesse rivestire anche il ruolo di educatore/trice sono richiesti anche i requisiti previsti per questo ruolo.

- segretario/a.

- governante a tempo pieno con funzione di cuoca. La presenza di questa figura si giustifica in quanto, rispetto ad un Centro per adolescenti dove gli ospiti si occupano personalmente dei loro bucati e dei pasti, in una struttura per bambini vi è necessità di una persona che si occupi di lavare e stirare i vestiti, la biancheria da letto, cucinare, ... .

- personale di pulizia. Anche in questo caso, a differenza di un Centro per adolescenti, dove i ragazzi sono responsabili della pulizia della loro stanza nonché dei locali comuni, si richiede una donna delle pulizie, che supplisca inoltre la cuoca o la governante durante le rispettive ferie.

- contabile a tempo parziale. I suoi compiti sono la tenuta della contabilità, l'elaborazione di preventivi, consuntivi, bilanci, conteggi di vario genere, la preparazione dei salari e delle eventuali documentazioni finanziarie richieste da enti sussidianti o da compagnie di assicurazioni, ... .

- supervisore/a per l’équipe educativa con una adeguata formazione in psicologia dell’età evolutiva ed in clinica infantile. Il/la supervisore/a deve avere delle buone conoscenze teoriche ed esperienza professionale nell’ambito del maltrattamento infantile.

- tirocinante che si occupi d'intrattenere e seguire i bambini durante le riunioni di supervisione e che funga da aiuto-educatore/trice per tutta una serie di compiti. Il/la tirocinante dovrebbe aver già concluso la sua formazione o perlomeno essere inserito in un percorso di studio. Sono quindi sconsigliati gli stage performativi.

- obiettori di coscienza o volontari.

 

 

Alcuni dati concernenti la diffusione dell'abuso sessuale sui minori

 

Risulta molto difficile quantificare con esattezza la diffusione degli atti di violenza sessuale commessi contro bambini. Si può tentare una valutazione approssimativa sulla scorta di dati, tra loro a volte contraddittori, che si basano: sulle analisi effettuate in retrospettiva, sui rapporti clinici redatti da psicoterapeuti e/o psicoanalisti, sulle statistiche dei servizi sociali e autorità giudiziarie, o ancora, sui dati raccolti dalle diverse linee telefoniche di aiuto per minori o per donne in difficoltà.

Secondo M. R. Brassard e L. E. Mc Neill un certo numero di ampie analisi retrospettive indicano che tra il 20% e il 38% di tutte le donne ha avuto un rapporto sessuale infantile con un adulto di sesso maschile. Molte di queste ricerche includono anche vittime di sesso maschile con cifre che si aggirano tra il 2.5% e l'8.7%.

Ernesto Caffo scrive:

"In altre ricerche svolte sulla popolazione adulta americana (Finkelhor, 1984) si rileva che il 6% della popolazione maschile e il 15% di quella femminile ha avuto, prima del compimento del sedicesimo anno di età, un'esperienza di abuso sessuale con una persona di età superiore di almeno cinque anni a quella del soggetto preso in esame".

Andrea Vassalli elenca i dati di numerose statistiche e conclude affermando che "secondo l'insieme delle indagini più recenti (...) dal 10 al 30 per cento delle femmine e dal 2 al 9 per cento dei maschi sarebbero vittima di aggressioni sessuali prima dei diciotto anni".

Gli Autori del Rapporto Federale sui maltrattamenti ai bambini in Svizzera, riportando i dati della ricerca Badgley (1984), condotta in Canada, citano che 4 donne su 10 e 1 uomo su 4 hanno subito abusi sessuali durante l'infanzia. Per la Svizzera si parla di 1 donna su 4 e di 1 un uomo su 7, dati che, se confrontati con i casi di cui si è a conoscenza perché denunciati presso l'autorità competente, la cosiddetta punta dell'iceberg, fanno pensare ad una realtà sommersa di notevoli proporzioni.

Il dottor Tonella, pediatra, per mezzo di un questionario anonimo già conosciuto in America (Stein e Lewis) e adattato alla realtà svizzera da M. Vannotti, ha chiesto alle mamme dei suoi pazienti se avessero subito abusi sessuali nell'infanzia o nell'adolescenza. Al rilevamento (1994) parteciparono le mamme recatesi nel suo studio durante l'arco di una settimana. Tutte le interpellate compilarono il questionario. Risultato: su 114 donne 15 dichiararono di aver subito degli abusi sessuali.

I risultati del recente studio condotto tra 1500 studenti delle facoltà di psicologia, medicina ed economia, da due psicologi zurighesi, R. Gloor e T. Pfister, indicano che una ragazza su tre e un ragazzo su dieci sono state vittime di molestie sessuali prima dei 14 anni. Tenendo conto anche degli abusi che non implicano contatti fisici, come ad esempio l'esibizionismo, la percentuale aumenta ad una bambina su due e un bambino su tre. Inoltre il 6% delle donne e il 2% degli uomini interrogati hanno detto di aver subito uno stupro o un tentativo di stupro durante l'infanzia.

Un altro studio condotto nella Svizzera romanda (Ginevra) da Halpérin, Bouvier, Jaffé, Mounoud, Pawlak, Laederach, Astié, Rey, su ragazzi/e di età compresa tra i 13 e i 16 anni, ha dato i seguenti risultati: il 12% dei maschi e il 31% delle femmine hanno affermato di essere stati costretti da un adulto, almeno una volta nella loro vita, a partecipare ad atti sessuali; il 42% aveva meno di 12 anni. Complessivamente sono stati interpellati 1129 soggetti.

N.B.

A scopo informativo ed orientativo è stata effettuata una generica raccolta di dati concernenti la problematica dei maltrattamenti e abusi sessuali nel Canton Ticino. Finora sono stati interpellati: Tutore Ufficiale, Autorità di Vigilanza sulle tutele, Magistratura dei minorenni, Ufficio d'attività sociali, Tribunale penale cantonale, Associazione famiglie affidatarie, Servizio sociale di Lugano e sei dei cinque istituti sociali per i minorenni: Von Mentlen, Vanoni, Torriani, Casa San Felice, Casa S. Elisabetta.

 

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