RENE DESCARTES

L'esigenza di abbandonare le vie battute dalle filosofie precedenti e di svincolare la conoscenza della natura dai presupposti metafisici e teologici indusse anche Cartesio a porsi il problema del metodo.
Cartesio, così come
Galileo, ritiene che tutti i fenomeni fisici, per poter essere conosciuti debbano essere tradotti e traducibili in termini matematici. Egli però non afferma, come Galileo, la necessità di una quantificazione dei dati, nè quindi della loro espressione numerica, così come non considera le leggi enunciabili in termini di equazioni o rapporti numerici. Egli parla della matematica guardando alla geometria, come strumento per rappresentare la materia, definita da lui, in termini appunto geometrici, come res extensa. Ma, e forse questo è l'aspetto più importante, la geometria, considerata al tempo la scienza deduttiva per antonomasia, fornisce a Cartesio il metodo deduttivo attraverso cui ricostruire, partendo da pochi principi e verità evidenti, la struttura del mondo.
Il pensiero di Cartesio, nonostante la sua importanza filosofica, non si diffonderà in istituzioni di ricerca nè darà luogo a una scienza cumulativa capace di sviluppo. Il suo carattere deduttivo, il legame stabilito tra scienza e filosofia, il presentarsi come un "sistema", in cui non risulta facile separare il metodo dalle assunzioni di principio, gli impediranno di inserirsi organicamente nel processo di elaborazione della scienza moderna.
Dalla convinzione dell'eccellenza del metodo deduttivo e dalla possibilità di estenderlo a ogni campo del sapere Cartesio fissa
4 regole grazie alla cui rigorosa applicazione, l'indagine assume un valore di maggiore aderenza al vero.
A partire quindi da poche e semplici nozioni, Cartesio si propone di dedurre l'organizzazione e la struttura che l'universo deve necessariamente avere.
La filosofia cartesiana è dualisticaCartesio attua infatti una netta separazione, distinguendo due tipi di
sostanza : una sostanza pensante (res cogitans) e una sostanza estesa (res extensa). Quest'ultima è identificata con la materia che, essendo estensione, occupa l'intero universo; Cartesio, dunque, non ammette il vuoto.
Alla res extensa è connaturato il movimento, sebbene non faccia parte della sua natura, ma sia stato dato da Dio all'atto della creazione.
Cartesio definisce il movimento come il trasporto d'una parte della materia, o d'un corpo dalla vicinanza di quelli che lo toccano immediatamente, e che noi consideriamo come in riposo, alla vicinanza di alcuni altri.
Le leggi del movimento affermano che:

L'urto ha un ruolo fondamentale nella filosofia di Cartesio, dal momento che è la sola causa ammessa per la trasmissione del movimento: nessun corpo può agire se non entra in contatto con esso.
E' facile notare come questa impostazione, derivante dal metodo deduttivo, escluda radicalmente ogni
finalismo.
Con questo Cartesio non vuole escludere una finalità dell'universo che, anzi, essendo creato da Dio, deve esservi; ma nella fisica occorre analizzare solamente le cause efficienti, cioè quelle che producono i vari fenomeni, e non le cause finali.
Di conseguenza l'universo viene interpretato e spiegato in modo rigorosamente ed esclusivamente meccanicistico.
Cartesio, nei Princìpi, propone un modello della formazione dell'universo dedotto direttamente dalle definizioni di res extensa e di movimento.
Le parti di materia, urtandosi a vicenda, avrebbero dato origine a tre diversi tipi di elementi, diversi per dimensioni e velocità:

L'urto continuo genera dei movimenti a vortice, si sono così formati molti vortici intorno a molti centri, con le parti più pesanti nella zona centrale. Sempre a causa del movimento e degli urti può avvenire che, di due vortici contigui, l'uno sia assorbito dall'altro; così deve essere avvenuto per i pianeti, catturati nel vortice del Sole, e per i satelliti: ad esempio, la Luna attratta dalla Terra

La teoria dei vortici avrà larga diffusione e sostenitori autorevoli, come l'olandese Christian Huygens (1629-1695), e rappresenterà anche uno dei maggiori ostacoli per la diffusione della teoria gravitazionale di Newton, tanto che quest'ultimo dedicherà l'intero secondo libro dei Principi matematici della filosofia naturale alla confutazione della teoria cartesiana.

Come già detto in precedenza e come ribadito in quest'ultima parte, la fisica cartesiana è regolata da un rigido meccanicismo; lo stesso meccanicismo regola gli esseri viventi e il loro comportamento: a un essere che è in grado di sentire e di muoversi non c'è alcun bisogno di attribuire un'anima, solo le funzioni razionali rimandano a un principio immateriale, la res cogitans.
Gli animali non hanno anima, sono macchine complesse e ben organizzate, ma interamente riconducibili a meccanismi regolati esclusivamente dalle leggi del movimento (sono "quegli" automi che affascinavano tanto gli uomini del '700); solo l'uomo ha l'anima, nettamente distinta dal corpo che, invece, può essere spiegato allo stesso modo delle macchine, un corpo inteso quindi come
"macchina-uomo".
L'anima è puro pensiero e non ha nulla a che vedere con la vita. L'immortalità di essa, fuori discussione, è garantita dalla sua inestensione e dalla sua semplicità.

Ma, nel campo dellla vita pratica, escluso ogni rapporto del pensiero con l'esteso, come è possibile spiegare che ogni azione fisica presuppone un atto di volontà e che ogni pensiero, in definitiva, è destato da sensazioni corporee?
Cartesio individua un punto di raccordo tra le due sostanze dell'uomo nella ghiandola pineale; l'anima, pur essendo unita a tutto il corpo, ha nell'ipofisi il punto di incontro con ciò che avviene nel corpo.

Questa ghiandola può essere mossa dall'anima, in modo tale che i movimenti si trasmettano ai muscoli o ad altra parte del corpo, può essere mossa dal corpo, in modo tale che l'anima formi delle idee corrispondenti alle sensazioni.

 

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