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Un vecchio amico
di Federica Proni

    Vex esce di casa, una grande costruzione dalle forme arrotondate posta al centro di un esteso giardino, e si incammina verso il centro della città.
    Sulla via principale sale su un vagone della linea di trasporti, talmente sviluppata su tutto il pianeta da ridurre al minimo  il bisogno di mezzi privati.
    Appoggiata al vetro della vettura ampia e luminosa osserva la città in cui vive.
    Per più di duecento anni il suo sistema, Hatorra, è rimasto isolato dal resto della galassia acquistando un’autonomia e un’ ”abitudine” all’isolamento che non si è persa nonostante l’apertura avvenuta ormai 100 anni prima. La gente di Hatorra è abituata alle proprie case e sono pochi coloro i quali sentono il desiderio di allontanarsi.
    Ian e Ran, i suoi genitori, hanno viaggiato molto e i loro racconti su strane città  con palazzi così alti da toccare il cielo, o addirittura costruite sulle nuvole, di pianeti con un solo satellite, di popoli senza alcun potere mentale e dalle strane fattezze fisiche affascinavano lei e Lunin da bambini.
 


   Guarda la sua città, piena di verde, con strade ampie e palazzi bassi, così ordinata e diversa da Boonta; pensa alla diversità che ha incontrato nei suoi viaggi per raggiungere il fratello in esilio; che ironia, doveva ringraziare l’Impero se aveva maturato una mentalità più aperta.
    Ora aveva fatto l’abitudine a città formate da case ammucchiate una sopra l’altra, a forme di vita strane, ad ascoltare migliaia di linguaggi differenti, ma durante i primi viaggi ne era rimasta profondamente turbata, non credeva che l’universo fosse così grande e complesso.
    Molte delle sue idee sulla vita e il modo in cui viverla erano cambiate, aveva preso decisioni importanti che ogni giorno venivano messe in discussione ma che non potevano essere cambiate.
    Si scosse dai suoi pensieri, il trasporto sta scendendo dalle colline e si vede la città dall’alto: appare come un manto verde punteggiato da case bianche in cui si staglia alta, liscia e terribile una torre nera dall’architettura totalmente estranea alla città.
    Vex rimane ipnotizzata nel guardarla, così strana e differente, nonostante ciò così bella, il simbolo del potere imperiale, la sua meta

.
    Il Sistema di Hatorra, di cui Saracass è il terzo pianeta, non è ricco né strategicamente importante, per questo l’Impero lo ha conquistato appena 3 anni fa, nell’anno 703 del calendario Saraccassiano, ovvero nel terzo anno della settima Epoca: detta “Epoca dell’Impero” nei documenti ufficiali e “Epoca del Dominio” nel gergo comune (nella lingua di Saracass la parola Dominio sottintende da parte di una presenza straniera, essendo un popolo rimasto a lungo isolato e in pace).
    La mentalità pacifica e isolata dei Saraccassiani ha portato il governo del sistema ad un accordo con l’Impero: l’ ”Accordo di Mescher” che prevede insediamenti Imperiali su Saracas, su Gabb (pianeta sede di miniere) e su 3 delle 5 stazioni orbitanti, e il mantenimento del Consiglio (sebbene senza nessun potere effettivo).
    Questo accordo, che li rende effettivamente colonia imperiale, ha evitato la guerra, in poche parole la libertà in cambio del risparmio di vite e distruzioni, inevitabili in una rivolta, (in cui peraltro i sarcassiani avrebbero capitolato velocemente vista la quasi assenza di armi nel sistema).
    Le famiglie più ricche e potenti ( Trelune, Verdeni, Della Pietra, Esploratore e Creatori), che hanno uno o più familiari nel Consiglio, pubblicamente sostengono l’Impero per mantenere una certa libertà d’azione, in realtà stanno organizzando il popolo per una rivolta in caso la Ribellione metta in crisi l’Impero.
    Gl’Imperiali sospettano questo doppio gioco ma è risaputo che non tutti sono sudditi fedeli e qualche ricco regalo, o l’illusione di essere padroni assoluti gli fa chiudere un occhio su alcuni strani movimenti. Inoltre gli Imperiali di stanza ad Hatorra sono solo di passaggio, essendo un sistema minore offre poche possibilità di fare carriera, quindi i più tendono a procurarsi una vita tranquilla aspettando il trasferimento.
    Vex, come rappresentante di una delle 5 famiglie, si sta dirigendo ad un colloquio di rutine con l’attuale capitano della postazione Imperiale: Conar Fabrin.

    Ormai ha percorso quei corridoi centinaia di volte, la conoscono bene, sono addirittura gentili con lei. Muoversi in quegli spazi neri, lisci e squadrati le fa sempre un effetto strano. Tutto sembra così pulito e sicuro, una corazza pura quanto quella delle guardie; ma in realtà sta andando a “corrompere” il Capitano, a portargli la sua dose di sicurezza nel proprio potere, ad assicurargli che tutti gli sono devoti, mentre in realtà lo disprezzano.
    Com’è strano fingersi alleati dei propri nemici, si meraviglia della facilità con cui riesce a farlo, ma ancora di più della facilità con cui ci cascano.
    “Non hanno alcun onore.” Pensa mentre stringe la mano a Fabrin sfoggiando il suoi sorriso più ammaliante “e forse neanch’io”.
 
 


       

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