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Hard Times
di Fabrizio Casu

     Garad si mosse velocemente in mezzo alla folla di persone che lo circondava, in quella affollata strada di una città di Arnoon. Il suo impermeabile nero di apriva largo. I suoi occhi scuri fissavano tutto ciò che passava davanti a lui con sguardo intenso e minaccioso. La sua mente vagava in altri pensieri che non riguardavano la strada che stava percorrendo. Il suo corpo si schiantò pesantemente contro un land speeder fermo in mezzo alla strada. Garad imprecò e si risvegliò dai suoi pensieri. Il proprietario del mezzo scese con passo pesante, la sua mole doveva essere poco sotto quella di un Wokie. Si fermò davanti a lui, che dall’alto del suo metro e ottantasette gli arrivava al petto.
    “Mi hai rovinato il mio nuovo land speeder…” mormorò cupo.
    Il suo alito era IDENTICO a quello di un Wokie. Era il caso di darsi una bella calmata e di evitare le risse inutili: “Mi sono distratto un attimo, ti chiedo scusa.”
    “Io adesso mi sentirò soddisfatto solo quando ti avrò spezzato una gamba.” Rispose il tipo.
    Era proprio in vena di picchiare. Forse si rendeva necessario un tentativo di comunicazione: “Senti amico, non voglio picchiare.”
    “Io sì!”
    Fine del tentativo.
    Garad fece un passo indietro ed attese. Il gigante alzò il suo grosso pugno e lo sferrò con tutta la forza di cui era dotato, Garad schivò di lato. Estrasse velocemente la sua arma e la puntò all’inguine del  tipo:
    “Se non la pianti tua moglie sarà molto scontenta stasera…”
    Il gigante deglutì pesantemente e si allontanò in silenzio verso la sua macchina. Garad rimise a posto il suo Blaster e riprese a camminare in mezzo alla folla, che, insensibile all’accaduto, continuava per la sua strada. Arrivò di punto in bianco al Johnny Rem. Il locale dove aveva appuntamento non aveva un gran bell’aspetto: abbastanza malridotto e di infimo rango. Davanti all’entrata giovinastri volgari e sbruffoni che maneggiavano armi più grosse di loro si raccontavano storielle di risse e sparatorie come se stessero parlando della propria colazione. Di sicuro il locale al suo interno conteneva tutti i generi di vizi e perversioni che quel pianeta poteva offrire. Era il caso di entrare.
    Garad si fece largo in mezzo ad una folla di persone impegnate a chiacchierare al e bere e arrivò dritto al bancone. Si sedette ad uno sgabello e osservò il barman, un alieno di cui non conosceva la specie che strofinava energicamente un bicchiere nel tentativo di pulirlo. Garad di fare uno sforzo enorme e di ricordare. Aveva poco più di vent’anni ma tutto ciò che era accaduto era svanito dalla sua mente come un sogno il mattino dopo una sbronza. Di era svegliato un anno fa in un vicolo, pesto e lacerato. Unica cosa che gli restava era una profonda cicatrice sulla nuca e una ben rara abilità con le armi. Le conosceva tutte e la sua mira aveva del sovrumano, per questo si guadagnava da vivere in ogni maniera. Il risveglio in quel vicolo poteva essere il primo passo verso la morte, poi una famiglia di passaggio lo aveva soccorso e portato via. Come unico ringraziamento lui era riuscito ad emettere qualche gemito (in realtà non era un ringraziamento, ma il dolore provocato da una costola rotta). I familiari lo avevano chiamato Garad, come il loro primo figlio, morto nella guerra che dilaniava la galassia. Poi lui aveva deciso di partire alla ricerca di sé stesso e in realtà aveva trovato solo guai.
    La voce del barista lo risvegliò dai suoi ricordi, lo guardò senza capire e poi parlò: “Mi chiamo Garad Shitzgul, sto cercando Nehelo.
    Il barista emise qualche suono sconosciuto, poi prese a parlare in un terrificante linguaggio: “Lui essendo molto occupato. Forse se tu passa più tardi tu lo trova.”
    Non azzeccava un verbo o un congiuntivo neanche a pagarlo! Garad scacciò i brividi e riprese a parlare: “Digli che sono qui e mi farà passare.”
    “Io provo, ma non promettessi niente.”
    Si allontanò passando per una porta alle spalle del bancone. Garad allungò un braccio e recuperò una bottiglia di liquore di Handar. Bevve un sorso e attese. Al suo fianco si sedette un vecchio, avrà avuto una sessantina di anni e sembrava dannatamente ricco, a giudicare dai suoi vestiti. Questi gli diede le spalle e cominciò a conversare con un ragazzo dai lunghi e folti capelli biondi. La chiacchierata si concluse con il passaggio di una busta dalle mani del giovane al vecchio. Forse c’era un lavoro in vista. Il barista giunse:
    “Prego, passate pure.”
    Garad aggirò il bancone e si lasciò alle spalle quella dannata musichetta che riempiva l’aria, mischiandosi alle voci confuse della gente. Proseguì per un piccolo corridoio e si fermò davanti ad una porta. Questa si aprì di botto e lui si trovò davanti a Nehelo. Era stato colui che gli procurò i suoi primi lavori e che tuttora se ne occupava. Era un grassone di 120 Chili, la sua razza era sconosciuta a Garad, sapeva solo che aveva la pelle verdognola e due lunghi baffetti che cadevano spioventi verso il terreno. Le sue mani erano squamose e del resto Nehelo era sempre sudaticcio. Gli sorrise con la tipica espressione “Ogni giorno nasce un pollo” e allargò le braccia: “Garad! Ragazzo, entra pure! Che ci fai qui! Credevo fossi là su Sargath per quel lavoro!
    Garad si sedette su di una scomodissima sedia e iniziò a parlare:
    “Nehelo quello non è un lavoro…È UN SUICIDIO!” urlò irato.
    “Ma come? Non ti piaceva lavorare per la Ribellione? Mi hai sempre detto che non c’erano problemi!” rispose lui assumendo una espressione corrucciata.  (o almeno Garad pensava fosse tale).
    “Io lavoro per chiunque, Impero, Ribelle, Vattelapesca, basta che mi si paghi! Ma tu non mi puoi mandare da delle persone che come piano hanno in mente di suicidarsi!”
    “Che vuoi dire?” chiese Nehelo aggrottando gli occhi.
    “Io arrivo lì e il capo spedizione mi dice ‘Si tratta di una missione importante: andiamo ad ammazzare l’Imperatore!’ Io penso che fosse gente veramente a posto e dico: ‘Va bene. Qual è il piano?’ e sai cosa mi risponde? ‘Entriamo nel Palazzo Imperiale apriamo il fuoco e li facciamo secchi tutti quanti!’ Ma ti rendi conto?”
    Nehelo sorrise divertito e rispose: “Mi dispiace, veramente. Ma sai quali sono i rischi del mestiere, no?”
    “Non mi interessano, vorrei essere pagato.” Nehelo alla parola “pagare” prese uno sguardo da cucciolo e iniziò a piagnucolare:
    “Mi dispiace, ma è periodo di magra…io non so cosa dirti…e poi non hai portato a termine il tuo incarico. Quindi…”
Garad uscì a grandi passi:
    “Sei un ladro Nehelo! E ti pentirai di questo!” urlò fuori di sé.
    “Se hai bisogno di lavoro io sono qui” rispose lui dalla stanza.
    “Impiccati!” ribatté il giovane.
    Si avviò fuori dal locale senza dare peso a chiunque incontrasse o vedesse. Era impegnato a rimuginare una vendetta, anche qualcosa di poco del genere di un carico di sterco Jackuliano da scaricare nell’ufficio di quel maledetto.
    Si diresse per prendere il primo volo per Bogart (noto per la temperatura calda e per le possibilità di plastica, non solo facciale, da poter fare). Aveva bisogno di una dannata vacanza. Urlò pesantemente contro qualcuno. Era troppo!
    Estrasse la sua arma e sollevò per il bavero chi l’aveva colpito, gliela puntò alla tempia ed esclamò:
    “Hai cinque secondi per chiedermi scusa!”
riconobbe subito di chi si trattava: era il vecchio del bar. Stava ansimando ed era madido di sudore, respirò a fondo e lo aiutò ad rialzarsi: “Mi scusi, è una giornata schifosa e ho un po’ i nervi scossi.”
    Il vecchio sorrise nervoso: “Mi scusi lei, sono di fretta e non guardo dove vado. Sono veramente desolato.”
    Raccolsero le cose del vecchio e poi Garad esclamò: “Bene, arrivederci…”
    Si incamminò, ma il vecchio lo fermò: “Aspetti, ha dimenticato questo.” Gli disse porgendogli un dischetto.
    “Si sbaglia, non è mio…” Rispose Garad.
    “Invece è proprio suo” ripeté il vecchio con voce penetrante.
    Garad lo prese, in caso poteva rivenderlo, se ne avesse avuto bisogno. Il vecchio balzò in piedi e se ne andò di corsa. Il giovane riprese il suo cammino pensando al da farsi: era senza soldi e aveva bisogno di un posto dove dormire. Improvvisamente la folla cominciò a diradarsi e a spostarsi dal suo cammino. Lui si voltò e si trovò davanti ad un gruppo di cinque Guardie Imperiali. Tutte e cinque avevano i loro fucili puntati su di lui. Alzò le mani ed esclamò: “Ehi, ci deve essere un errore!”
    Una delle cinque Guardie si avvicinò lentamente a lui e lo colpì con il calcio dell’arma al mento, mandandolo lungo disteso a terra. Poi gli fu sopra, poggiandogli un ginocchio sul petto, lo frugò un poco, gettò via la sua arma e poi sollevò trionfalmente una cosa:
    “Ho trovato il Data Disk! È lui!”
    Garad sgranò gli occhi e cercò di dire qualcosa, ma un secondo colpo lo raggiunse alla bocca dello stomaco:
    “Sei in arresto, lurido feccioso. L’imputazione è di crimine contro l’Impero!”
    Garad gemette, mentre gli Imperiali lo sollevavano. Sarebbe stata una giornata dura.
 
 


 



 
 
 
 
 
 

       

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