1997: Fano e l'agriterrorismo


Bozzetto
Il mare
Agriterrorismo
Recanati e Carignano
 
 

Quella terra che fu di Gioacchino Rossini, di Giulio  Perticari e di Terenzio Mamiani è una serie di colline le quali, nient'altro che terraiole, all'improvviso declinano al mare; nel giro di pochi chilometri si fanno a pugni la salsiccia ed il fritto misto, e le rocche che impervie si levano sulla strada non sembrano conoscere che la terraferma, chiuse su se stesse e quasi inaccessibili al visitatore. Il vento, stranissimo a dirsi, si leva a giorno fatto, per calar la sera;  di mattina ti schianta un'afa implacabile, che non sai se ascrivere all'estate maligna o a queste colline, dove talvolta scoppia un fortunale altrettanto implacabile quando il mare, che appena scorgi da lontano, si crogiola al sole. A prima vista queste colline si muovono così dolci e miti, che sembrano appena sbozzate dalla terra col pollice di Dio; poi le percorri e ti appaiono interminabili, e dopo un'ora che sei sulla strada ti gira la testa, senza più raccapezzarti sui punti cardinali, e capisci come  i signori si chiudessero nelle rocche ed indugiassero a bere vino e a mangiare la cacciagione, che altro non si poteva fare. Oggi invece  si muovono trattori ed aratri giorno e notte per raccogliere cereali e barbabietole e girare la terra,  argillosa e scandalosamente povera e tanto più vulnerabile perché quasi completamente disboscata.

Scendi al mare, che come le colline si srotola  all'infinito; un mare basso e senza la cristallina profondità di altre spiagge,  ma ugualmente mare, con i divertenti ammenicoli che ogni mare porta con sé; fino a divenire preziosissimo amico nelle giornate di caldo torrido, opponendo un vento generoso che si alza alle dieci di mattina e cala alla sera, tanto che a mezzogiorno la sua esuberanza ti insegue fin dentro le orecchie ed i polmoni, e i primi giorni non sai che pensare, temendo che troppo vento ti possa fare male, magari sconvolgere la tua digestione, o la vista, o anche arrecare qualche malanno; poi ci fai l'abitudine, e anzi lo cerchi quando sei sulla collina, e la calura agostana ti intorpida le gambe.

Da Fano a Senigallia la spaggia cambia e muta più volte, senza perdere continuità: sabbia e sassi a Fano, arenaria purissima a Torrette, lido sassoso a Marotta, di nuovo sabbioso a Senigallia; quasi nel mezzo scorre il Metauro, il cui nome evoca, al guidatore appena uscito dall'autostrada, i libri di scuola e un incerto ricordo, che si concreta quando sulla guida turistica si legge che qui ci fu una battaglia tra Cartaginesi e Romani, che vinsero uno scontro sanguinoso. Desta stupore che il fiume, così tranquillo e quasi disseccato, dia nome a quel vinello beverino, buono ma traditore, che ogni ristorante e trattoria ti servono:  bianchello come le sabbie di arenaria che talvolta nascondono buche inaspettate, anch'esse traditrici. Sulla spiaggia puoi leggere comodo e indisturbato, poichè ti appartengono spazi a volontà;  non trovi tamerici ed agavi, non c'è roccia che infranga le onde, ma queste si rincorrono ugualmente, con l'incessante sciabordio che dalla strada non senti, ma solo sulla spiaggia: a confermare che ogni cosa qui appare in se stessa chiusa e non perfetta, ma perfettibile quel tanto che basta  a destarti nostalgia della collina ogni volta che scendi al mare, e del mare quando sei sulle colline; e tra l'una e l'altra scorre l'Adriatica col suo allegro sventolar di trattorie, turisti, camper stranieri, ad ogni incrocio foriera di nuove terre, nuove scoperte, nuove parole.
 

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Il mare
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Recanati e Carignano
 
 


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