2000: Laigueglia

    Di Laigueglia si potrebbero dire tante cose. Di sicuro, che è un posto  alla moda; molto più della modaiola Alassio lì vicina, perché quest’ultima si è mondanizzata a tal punto che non potete più neppure prendere il sole in santa pace, tanta è la gente affollata sulla spiaggia e il traffico per la città. Certo, la storia pesa, e così anche le tradizioni; ad Alassio la Biblioteca Inglese  vi ricorda che su quelle spiagge svernavano famosi figli d’Albione e i loro cugini d’oltreoceano, e il celebre muretto testimonia l’orgoglio di essere al centro delle cronache (rosa e no). Ma Laigueglia vi ghermisce in un battibaleno, tanto è piccola quanto raccolta sulla sua finissima spiaggia, dominata dai due campanili di San Matteo e illuminata da un sole che sembra non andarsene mai. L’ha capito anche  l'eccellente scrittore (pure lui un po’ mondano) Andrea G. Pinketts, che infatti ha scelto Laigueglia per chiudere gli occhi di Lazzaro Santandrea, e  ricordare  così, nell'assalto alle budella del suo alter ego, i budelli di questo antico borgo ligure.
 
 
 
Persino il coniuge Fantoni, famoso per la sua refrattarietà al  mare ma anche lieto di assecondarmi nella scelta del lido, si accomodò sull’ampia spiaggia dall’acqua bassissima, e per una volta tanto si prese   gioco delle acque. Purtroppo per noi, però, le meduse quell’anno ebbero l’onore delle cronache per il gran numero di esemplari che infestavano il Golfo di Alassio; cosicché per molti giorni neppure io mi avventuravo al largo, e preferivo non immergermi per evitare la sortita ignominiosa gridando, come i nostri vicini francesi d’ombrellone la meduse, la meduse!

 
Ma ogni litorale ha il suo principe  e il nostro l’avevamo trovato nella spiaggetta libera accanto al molo, dove i pescatori  preparavano, fin dalla prima mattina, alici sotto sale; e questo era il gatto che, evidentemente, fedele al suo padrone, respirava l’odore delle alici e la salsedine tutto il giorno, fino ad impeciarsi il pelo e a divenire lupo di mare a sua volta. Privo di creme solari, poteva resistere al sole del mezzogiorno come all’umidità del primo mattino, quando tornano le barche; e di sé faceva mostra senza proferire verso alcuno, neppure davanti ad una triglietta avanzata o ad un’alice che, caduta dal barattolo (sarà un caso che io e Marco non mangiamo più alici sotto sale?) il pescatore non si peritava di raccogliere dalla sabbia. 

Fiori appassiti

Consapevoli che Laigueglia è un piccolo borgo marinaro, e per dei provinciali come noi occorre prendere lezione dalla bella vita e dalla bella gente, decidemmo di dedicare un pomeriggio ed una sera alla famosa Sanremo,  convinti che avremmo potuto godere delle lussuose passeggiate e dell’atmosfera lussuosa del Parco Marsiglia. E poi, volete mettere una foto all’ingresso del Teatro Ariston, il palcoscenico più celebrato d’Italia? Fu arrovellando pensieri di tale fatta che percorremmo i pochi chilometri d’autostrada tra Laigueglia e la città dei fiori. Ma fin dal  casello di Sanremo scoprimmo che la realtà televisiva mente, e che se  le colline abbruttite dalle numerose serre trevano almeno una giustificazione economica, lo stato di degrado a cui era lasciata la città, la sua spiaggia, le sue vie, persino i suoi locali, destavano in noi sincero stupore. La città era spenta, senza molti turisti; trovammo agevolmente parcheggio in pieno centro, e constatammo la sporcizia delle strade e dei viali alberati; il lungomare era pressoché abbandonato; nel centro storico (la caratteristica Pigna) le case erano fatiscenti, per lo più abitate da extracomunitari se non del tutto abbandonate; infine il bar di Corso dell’Imperatrice, su cui si affacciano alcuni degli hotel più lussuosi, aveva tavoli e sedie arrugginite, e per farci portare due amari alle 10 di sera si dovette implorare il gestore, perché ormai era tardi e bisognava chiudere. Della Sanremo festaiola e gioiosa del festival nessuna traccia;  invisibile la città blasonata erede della Belle Epoque e di un turismo di élite nel dopoguerra. Persino la spiaggia appariva trascurata; presso il Lungomare delle Nazioni, dove avevano sbocco gli hotel più prestigiosi, si segnalava l’impressionante trascuratezza di pochi lettini abbandonati qua e là, con pochi,  sparuti bagnanti. Ci ritrovammo verso le 11 di sera nei pressi del Mercato, ad allungare il passo perché eravamo soli per vie poco illuminate, attraversate solo da un albanese che litigava ad alta con un presunto socio; fu così che decidemmo di rientrare nel piccolo, provinciale, raccolto borgo di Laigueglia, dove tirammo le tre di notte ai tavolini del  bar Galeone, dove il moijto è così buono perché il gestore coltiva la mentuccia nell’aiuoletta vicino al mare.

Che casino!

Ogni vacanza  merita la sua gita, e dove si poteva andare quest’anno se non a Montecarlo? Vicino com’è a Laigueglia, sarebbe un peccato non sfruttare l’occasione di un viaggio con il pullman dell’agenzia, che ti risolve il problema del parcheggio (impossibile a Montecarlo se non vuoi spendere una fortuna) e del viaggio (sono sempre due ore di macchina in cui puoi beatamente dormire). E mentre tutti i compagni coscienziosamente visitavano la rocca, io e Marco sgattaiolavamo, insieme ad una coppia di tedeschi, nella città moderna e sul porto, per venerare la pista cittadina e spiare i movimenti allo Yacht Club.
Quella sera si teneva lo splendido spettacolo dei fuochi artificiali organizzati dal Brasile; la gente si accalcava a frotte sul porto e nei giardini vicini al Casino per vedere i giochi pirotecnici riflessi nelle acque del mare; in compenso, Marco dovette fare a meno del suo inseparabile marsupio perché, fedeli al detto che all’estero rubano più che in Italia, qualcuno pensò bene di sottrarglielo con destrezza al bar (ovviamente il bar dirimpetto allo Yacht Club) e quindi non potemmo neppure prenderci la rivincita al tavolo verde

La Sgambata

È tradizione a Laigueglia, ogni estate, organizzare una marcia non competitiva (così almeno si legge sul manifesto) il cui ricavato è destinato allAvis e alla Croce Rossa del paese.
Nel 2000 si teneva la 17esima edizione della corsa, e naturalmente io e Marco non potevamo mancare, anche se cominciai a nutrire qualche dubbio sull’effettivo significato di sgambata quando io e il mio affezionato compagno, privi di qualsiasi allenamento per un percorso anche pur minimamente impegnativo, ci ritrovammo circondati da scarpe da trekking, borracce termiche, braccia con cronometri all’ultimo grido e rilevatori di battito cardiaco. Alla dovemmo riconoscere he la sgambata era davvero erta, e che fummo tra i pochi a non fare neppure un tratto di corsa, complici anche le calzature assolutamente non indicate per Marco (che indossava sandali da mare). In compenso al via si presentò una grande folla di partecipanti, tra cui aveva preso posto anche qualche esponente della fauna locale e non (la capra andava benissimo per i  sentieri pietrosi dell’entroterra); ma tutta questa fiumana di gente, appena si salì verso Andora per dirigerci a Colla Micheri  (il paese restaurato e valorizzato dal’etnologo norvegese Thor Heyerdahl) scomparve dietro la curva per disperdersi sulla spiaggia o ritornare al paese. Fatto sta che l’iscrizione alla corsa dava diritto all’entrata gratuita, per  una sera, alla famosa discoteca sul mare dove le albe si susseguivano a ritmo di musica latina  e moijto; ed evidentemente era quella la sgambata che la maggior parte della gente aveva in mente.
Tuttavia arrivammo indenni al traguardo, con venti minuti di anticipo sul tempo massimo; e in discoteca non ci siamo neppure andati.

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