Vampiri al Cinema  

 


Le locandine
dal
1922 al 1958

Le locandine
dal
1960 al 1979

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I SIGNORI DELLA NOTTE


La mia ombra mi chiama?
Che m'importa della mia ombra!
Mi corra pure dietro!
Io - le scapperò via


Nietzsche
Così parlò Zaratustra, IV "L'ombra"

 

Anche i vampiri sanno amare


Signori della Notte tornano dunque ad attraversare gli schermi cinematografici, Non è facile parlare di questo filone. Da quali precedenti storici partire: dal libro Dracula di Bram Stoker del 1897, dal film Nosferatu, una sinfonia dell'orrore di Murnau del 1922 o, a ritroso, dal recente Vampires di Carpenter? Intersecare questi livelli e rimbalzare da uno all'altro: interpretazione di uno stesso archetipo - le opere invitano al gioco sottile del confronto fondato su rapporti di quantità e/o di qualità che ne accertino analogie e differenze.

Il vampiro non è solo un personaggio, è una maschera: né vivente, né cadavere, (che nella lingua rumena vale "non-morto", "non-finito", "non-consumato") è un'entità inafferrabile alla logica dell'esclusione (vero/falso, vivo/morto) e come tale tanto più inquietante in questi tempi di crisi della Ragione. La sua mostruosità non è solo orrore e brutalità: la suzione del sangue rimanda per facile analogia a quella estenuante dell'erotismo ai suoi diversi stadi di sviluppo, fino a quella che i francesi chiamano appunto la "petit mort" che si rinnova ogni volta nell'uomo. La costante, sia nel vampiro letterario di Bram Stoker che in quelli cinematografici come Nosferatu di Murnau (1922), Dracula di Tod Browning (1930) o Dracula di Terence Fisher (1958), Dracula di John Badham (1979), Nosferatu di Herzog (1979), Dracula di Bram Stocker di Francis Ford Coppola (1992), Intervista con il vampiro di Neil Jordan (1994) è (pensate!) una certa delicatezza, o quanto meno un'educazione raffinata: Dracula sotto qualsiasi pseudonimo si celi, rimane un conte! La sua "morte" o rovina avviene sempre quando si innamora della sua vittima, dunque per eccesso di sentimento. (Anche se vi sono significative eccezioni, vedi Dal tramonto all'alba di Robert Rodriguez, 1996; n.d.r.).

Il vampiro è il diverso, vive di notte, tempo della confusione e dell'incertezza, quando tutto è sfumato nel buio e i contorni degli oggetti non sono più definiti e l'ordine sociale sembra annullarsi temporaneamente. Pur essendo isolato, un escluso, fa in continuazione progetti per conquistare il mondo.

Fin dalla prima apparizione del volto cereo di Nosferatu, Murnau volle creare la sensazione orrorifica di un'atmosfera spirituale, con elementi che pur non essendo pienamente espressionisti, certamente si avvalgono delle tecniche e delle atmosfere care a quel movimento. La paurosa avventura, in cui si intrecciano demonicamente immagini di topi, di navi appestate. di cripte oscure e di neri carri tirati da veloci cavalli, si sottrae per principio ad ogni interpretazione naturalistica. Murnau ne sottolinea il carattere irreale, ricorrendo a visioni stilisticamente perfette, e raggiunge l'effetto di un terrore che la natura non è in grado di trasmettere.

Il vampiro, creatura delle tenebre e del male, prelude a rivolgimenti burrascosi, alla liberazione degli istinti repressi, al sorgere di una nuova era preannunciata dallo svuotamento delle leggi morali e degli ordinamenti istituzionali. L'anarchia come premessa ad un nuovo riassetto. La storia ha dimostrato, che "contraddizione", "utopia", "negazione" non riescono a coesistere e che l'ultima (la negazione) vince alla fine ma non appartiene, di per sé, né al capitale né al lavoro. Per negare il cinema bisogna saperne organizzare la morte, e ciò può avvenire soltanto attraversandolo in tutto il suo spettro. Un modo di produzione non può essere negato dall'esterno; dentro la dimensione globale dell'apparato, un modo di produzione è negato nella misura in cui viene superato in un altro modo di produzione. Non ci si può sottrarre all'immaginario collettivo; sarebbe solo illudersi di poter produrre in un deserto. "La fine della produzione", alla Baudrillard? In un sistema simbolico dominato dall'"iperrealtà del codice e della simulazione", in un sistema nel quale la realtà è naufragata, dice Baudrillard, "l'unica strategia è catastrofica, e niente affatto dialettica". Dove A è uguale ad A e, ineluttabilmente, due più due è uguale a quattro, è necessario "spingere le cose al limite, dove del tutto naturalmente esse si capovolgono e si sfasciano", dove, in altri termini, alla morte è possibile opporre niente altro che la morte: la morte del cinema e, infine, la morte simbolica - la morte del vampiro che viaggia verso l'amore, alla fine sempre più simile ad un testardo robot, o ad un epifenomeno del paesaggio.

Tutto il film di Murnau contraddiceva la sua stessa morale: "L'amore e la luce disperdono fantasmi e terrori". Murnau creava l'atmosfera di spavento e di orrore con movimenti diretti nettamente verso la mdp: la forma terrificante del vampiro avanzava, con lentezza esasperante, dall'estrema profondità di un piano verso un altro, dove diventava improvvisamente gigantesca. Murnau aveva compreso tutta la potenza visuale che emana da concatenamento di piani, dosando l'avvicinarsi del vampiro col mostrare per qualche secondo l'effetto prodotto dalla sua vista sul giovane atterrito. La visione cinematografica per Murnau non era mai il risultato del solo sforzo di stilizzazione decorativa: altra è la fonte della sua fredda armonia compositiva. Egli ha creato, così, alcune immagini più sconvolgenti, più lucidamente aggressive dello schermo.

Nel suo Nosferatu la natura partecipava al dramma: con un raffinato montaggio, la corsa delle onde lasciava prevedere l'avvicinarsi del vampiro, l'imminenza del destino che avrebbe colpito la città. Su tutto il paesaggio - colline fosche, fitte foreste, cieli dalle nuvole frastagliate annuncianti la tempesta - scendeva la nozione del superumano, malgrado fosse poi un paesaggio straordinariamente, iperrealmente naturale. Era la grandiosa messa in scena di tutto l'artificio cinematografico da parte di un regista. Carpenter è il degno erede, è l'ultimo vero regista dei generi, insofferente all'abuso degli effetti speciali e al montaggio su computer. Continua a fare cinema con gli ingredienti più tradizionali ed è l'unico che sappia dirigere come si faceva una volta: un mito popolare (i vampiri) e tutta la storia del cinema dell'horror. E' necessario a questo punto esplicitarlo? - profondamente nietzschiano. Remake: "Le stesse cose ritornano".

Memmo Giovannini
Tempi Moderni
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