"Chi salva una vita, salva il mondo intero", con queste parole si chiude Schindler's list (la lista di Schindler) il
film che Steven Spielberg, ha dedicato alla storia di Oscar Schindler, un "giusto" che salvò dalla morte
centinaia di ebrei. Steven Spielberg, autore di film conosciutissimi e di "cassetta" ci offre in più di tre ore di
buon cinema una testimonianza toccante che ha quasi il valore di un documento storico. Non è un caso che
Schindler's list sia stato il primo, e sino ad ora l'unico, film trasmesso senza alcuna interruzione da una
televisione statunitense, condizione esclusiva che Spielberg ha imposto per la vendita dei diritti televisivi in
tutto il mondo. Il film assume una valenza importante anche rispetto al numero di persone che lo hanno visto,
soltanto in Italia la trasmissione televisiva del 5 maggio si candida ad essere il programma televisivo, dati
auditel, più seguito dell'intera stagione, riuscendo per la prima volta a sconfiggere persino la nazionale di
calcio.
E' indubbio che un film che in tutto il mondo è stato visto da milioni di persone che ha per tema quello
importante della "shoah" è un documento, quasi un humus collettivo, formativo delle coscienze riguardo a
questo argomento. Da un punto di vista cinematografico è da rilevare oltre alle splendide interpretazioni di
Ralph Fiennes, nel ruolo del comandante nazista, di Liam Neeson, Oskar Schindler, e Ben Kingsley, l'uso
magistrale del bianco e nero che riesce, non distraendo lo spettatore in alcun gioco cromatico, a mantenere
altissimo l'interesse per più di tre ore. Unica eccezione di colore un cappotto rosso, che come il sangue
versato, scorre attraverso la corsa di una bimba sino alla pozza di una fossa comune. Non va però
dimenticato che il film non presenta, cinematograficamente parlando, alcun guizzo di novità: è un'opera
degnissima, con un altissimo contenuto morale, che ha l'intento di essere un manuale emotivo di storia della
"shoah".
Tentativo di essere un documento storico aveva tutta l'intenzione di esserlo anche la Tregua di Francesco Rosi, tratto dall'omonimo libro di Primo Levi, che racconta il ritorno a casa dopo la prigionia,
attraverso un viaggio che ha il valore iniziatico di un ritorno alla vita, con tutte le angosce
e le paure della vita normale dopo la morte del campo di concentramento. "E' un racconto straordinario (..) come percorso da una ventata di libertà. Ma quando finalmente arriva in Italia, Levi capisce che tutti gli ultimi suoi (..) vagabondaggi
ai margini della civiltà sono stati una tregua affettuosamente e capricciosamente concessagli dal destino."
(dalla nota d'apertura dell'edizione dei tascabili Ei-naudi del libro). Il film, in concorso in questa edizione di
Cannes quasi esclusivamente per permettere a John Turturro di competere alla palma d'oro come migliore
attore, ha però il limite di essere più una descrizione di ciò che accade, senza scavare a fondo nel ritorno alla
vita e nelle sofferenze di un uomo che rinasce con alle spalle la distruzione e la morte dello sterminio nazista.
Una serie di ricordi inalienabili, come dimostrerà la stessa vicenda personale di Primo Levi.
Altri cineasti italiani si sono cimentati col tema della prigionia e dello sterminio sistematico, non solo degli ebrei, messo in
atto dal regime nazista: due di questi, Gillo Pontecorvo e Carlo Lizzani, hanno prodotto rispettivamente, Kapò
e L'oro di Roma. Kapò si inserisce nel filone dei film sui campi di sterminio, e mostra il riscatto morale di
un'adolescente ebrea che dopo essere venuta a compromessi coi suoi stessi aguzzini, aiuta i suoi compagni
di sventura fino all'olocausto finale.
L'oro di Roma è invece ambientato nella capitale prima della deportazione degli ebrei del ghetto, e mostra le
vessazioni che gli occupanti fascisti e nazisti impongono alla comunità ebraica. Un film meno crudo e
direttamente violento, ma che può servire a ricordare di come italiani si siano macchiati dei peggiori crimini e
che lo sterminio e le leggi razziali non furono soltanto una questione tedesca.
La finzione scenica, come quella letteraria non è l'oggetto della storia, ma il suo valore di testimonianza, di valore esemplare, proprio perché finzione sono indiscutibili ecco perché i film che fin qui ho presentato, hanno il merito di essere
esempi perché nessuno dimentichi.
"Ero stato catturato dalla Milizia fascista il 13 dicembre 1943. Avevo ventiquattro anni, poco senno, nessuna
esperienza e una decisa propensione, favorita dal regime di segregazione a cui da quattro anni le leggi
razziali mi avevano ridotto, a vivere in un mondo scarsamente reale……"
Primo Levi, incipit di “Se questo è
un uomo”