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La recensione


Revisioniamo il revisionismo
di Martin Rance



N.Tranfaglia, Un passato scomodo-Fascismo e postfascismo, Laterza, Roma-Bari,1996, £ 20.000


Anche se uscito ormai da più di un anno, ci è sembrato opportuno riproporre questo libro perchè tratta il tema principale di questo numero (il revisionismo) con una impostazione che vuole essere, come dichiara l’autore nella premessa (intitolata non a caso Le ragioni di questo libro), a metà tra la conversazione con i giovani e una rassegna di interpretazioni giudicate importanti e significative, esigenza nata “dal desiderio di porre su basi più chiare e solide di quelle offerte dalla polemica sui giornali e in televisione il dibattito tra gli storici sul problema del fascismo e della guerra civile in Italia tra il ‘43 e il ’45”.
Il libro vuole essere anche una risposta alle tesi sostenute da Renzo De Felice nel libro-intervista Il rosso e il nero, che per Tranfaglia non sono assolutamente condivisibili e che tacciano tutta la storiografia italiana che dissente dalle sue posizioni di “baracca resistenziale”.
In un primo momento il saggio analizza il significato del fascismo nella storia italiana, riassumendo le posizioni che via via l’autore ha assunto nel dibattito storiografico sul fascismo. Pur comprendendo l’esigenza della brevità per la premessa di carattere storico e il taglio divulgativo del saggio, questa parte ci sembra alquanto lacunosa, con una trattazione che dà per scontati episodi che, al lettore non completamente addentro alla storia di questo periodo, potrebbero risultare sconosciuti; tuttavia offre alcun interessanti spunti di riflessione a chi è già abituato a riflettere sugli avvenimenti di quegli anni.
Il bilancio che Tranfaglia trae a conclusione di questa prima parte è che l’esperienza fascista ha rappresentato un forte handicap che la Repubblica si è trovata a dover affrontare nel 1946 per colmare il gap che la separava sulla strada della modernizzazione da altri paesi europei a noi vicini per storia come Francia e Gran Bretagna.
Nella seconda parte si analizzano i ritardi degli storici italiani nell’affrontare due temi-cardine della nostra storia tra le due guerre: il fascismo e il comunismo. La premessa al capitolo serve ad inquadrare la condizione degli intellettuali negli ultimi anni della dittatura fascista e a sottolineare l’importanza della politica culturale di Togliatti e del PCI “partito nuovo”, che aveva portato ad uno strano paradosso, per il quale gli intellettuali di sinistra sarebbero diventati artefici di una cultura d’elite, mentre quelli vicini alla DC, occupando di fatto la RAI, avrebbero “inventato” la cultura di massa: in questo paradosso sta una delle ragioni che spiega nello stesso tempo la lunga egemonia culturale della sinistra e l’altrettanto lunga egemonia politica del partito cattolico.
Per quanto riguarda il modo in cui è stato affrontato lo stalinismo Tranfaglia parte dagli anni sessanta accusando gli storici italiani di quel periodo di non essere mai riusciti a superare la difficoltà e la reticenza nel trattare la storia del comunismo italiano e quindi i problemi che nascono dalla rivoluzione bolscevica, sfociata nella dittatura staliniana. Negli anni settanta, pur crescendo il numero di lavori dedicati a questo tema, non si è ancora andati a fondo dal punto di vista interpretativo: non si è riusciti o non si voluto cogliere le implicazioni del fatto che gli avvenimenti del periodo staliniano non erano dovuti alla follia sanguinaria di Stalin, ma alla mancanza di democrazia connaturata nell’URSS.
Per quanto riguarda gli studi sul fascismo l’accusa per gli storici di sinistra è quella di aver sempre agito di rimessa rispetto a revisionisti come De Felice e i suoi allievi.
Si passa poi a verificare la possibilità di comparare i tre “fascismi europei”: per Tranfaglia ci sono elementi di affinità di non secondaria importanza (il ruolo del capo carismatico, l’abolizione delle libertà politiche e civili, il nazionalismo): un’unica categoria di “fascismo europeo” è quindi utilizzabile,a patto che naturalmente si tenga conto delle naturali differenze derivanti dai singoli casi nazionali.
Tranfaglia nega inveca la possibilità di comparare fascismo europeo e dittatura staliniana: sono fallaci tutti quei tentativi che tengono conto solo di singoli aspetti e non del significato complessivo dei due tipi di regime.
La terza parte, sicuramente la più interessante, ripropone la polemica più scottante esistente in Italia sul revisionismo: il “problema De Felice”. Il lavoro dello storico reatino viene diviso in due parti: gli studi analitici, in cui il lungo lavoro documentario sfocia in tesi contorte, spesso ambivalenti o poco chiare, che consentono diverse interpretazioni, e i libri-intervista, nei quali espone tesi drastiche e non motivate, rimandando il lettore agli studi analitici, che però hanno il difetto di cui sopra, o addirittura non offrono i riferimenti citati, o contrastano con le tesi dei libri-intervista. Tranfaglia quindi analizza le contraddizioni del lavoro di Renzo De Felice in modo sintetico, ma chiaro e abbastanza esauriente, offrendo interessanti spunti di discussione e riuscendo ad interessare il lettore al problema.
In sintesi un libro che, soprattutto per il basso costo, che non va certo a discapito della qualità del lavoro (di quanti libri abbiamo rimpianto invece l’ingente somma spesa!), val la pena comprare e leggere per cominciare ad oriantarsi in un dibattito che ancora per molto occuperà la storiografia italiana.

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