Indietro    LE PARABOLE    Avanti

(10 Novembre 1997 - D. Andrea FONTANA)

 

Il seminatore (Lc 8,4-8):

"Poiché una gran folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, disse con una parabola: "Il seminatore uscì a seminare la sua semente. Mentre seminava, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la divorarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e appena germogliata inaridì per mancanza di umidità. Un’altra cadde in mezzo alle spine e le spine, cresciute insieme con essa, la soffocarono. Un’altra cadde sulla terra buona, germogliò e fruttò cento volte tanto ". Detto questo, esclamò: "Chi ha orecchi per intendere, intenda! ".

Stasera prima cosa chiariremo, in generale, che cosa siano le parabole; sovente le addomestichiamo un po’, come spesso facciamo per altri passi della Parola di Dio, a volte con buone intenzioni, ma pur tuttavia senza tener conto del genere letterario e quindi, in definitiva, senza capire.

Seconda cosa daremo uno sguardo al Vangelo di Luca che ha ben quattordici parabole che non ci sono negli altri Vangeli.

Poi, dopo una pausa, nella seconda parte della serata vedremo due tra le parabole più famose per chiarire quanto detto prima e per avere il gusto di affrontare il testo.

[Quanto diremo è riportato nel mio libro "Le Parabole del Regno nei Vangeli", che mi è particolarmente caro per essere il primogenito (è uscito nel 1988) e per essere l’unico con ristampa.]

Cosa è una parabola?

La parabola è un racconto fittizio (=inventato), cioè che non è successo veramente, utilizzato da chi racconta in funzione di dialogo con chi ascolta, utilizzato cioè per provocare quelli che ascoltano.

Già nella definizione ci sono due livelli di significato: la storia raccontata (ad esempio "Il buon samaritano") che potrebbe anche essere successa, però che è solo in funzione del dialogo con l’ascoltatore; la parabola comincia con una domanda e finisce con un’altra domanda.

Quando chi ascolta prende posizione, ecco che scatta il secondo livello di comprensione : questo è il punto di contatto tra la storia e ciò che vivi e provi ogni giorno.

Nell’Antico Testamento c’è un esempio di parabola per eccellenza: 2 Sam 12,1-7 .

E’ il modello perfetto di parabola; c’è un antefatto: il re Davide, santo uomo, aveva qualche debolezza (le donne, ma poi si è convertito).

Ricordiamo la storia: vede Betsabea, la vuole, ma ella è sposata con Urìa, un suo soldato. Per liberarsi di Urìa lo manda in prima linea, dove questi muore; così si appropria di Betsabea, da cui nasce un figlio. Natam, il profeta, che stava sempre alle costole del re, arriva a corte e gli racconta una storia, una parabola.

"Il Signore mandò il profeta Natam a Davide e Natam andò da lui e gli disse: "Vi erano due uomini nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in gran numero; ma il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comprata e allevata; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia. Un ospite di passaggio arrivò all’uomo ricco e questi, risparmiando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso, per preparare una vivanda al viaggiatore che era capitato da lui portò via la pecora di quell’uomo povero e ne preparò una vivanda per l’ospite venuto da lui". Allora l’ira di Davide si scatenò contro quell’uomo e disse a Natan: "Per la vita del Signore, chi ha fatto questo merita la morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avuto pietà ". Allora Natan disse a Davide: "Tu sei quell’uomo! ".

C’è quindi una storia fittizia che grazie a qualcosa costringe l’ascoltatore a prendere coscienza della sua esistenza e delle sue contraddizioni; c’è una logica interna nella storia e c’è un punto di contatto con l’ascoltatore.

I particolari nella parabola non hanno importanza; ha importanza solo il punto di contatto con la vita dell’ascoltatore.

Non bisogna confondere la parabola con l’allegoria; quest’ultima è tutt’altra cosa: non è un racconto, o per lo meno non sempre.

Ad esempio il Vangelo di Giovanni non ha parabole (le hanno solo Matteo, Marco e Luca), però ha moltissime allegorie: io sono il pane della vita (Gv 6,35), io sono il buon pastore (Gv 10,11), io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo, ... voi siete i tralci (Gv 15,1-5)

L’allegoria fa sì che tutti i particolari abbiano un significato.

Ci sono tanti modi di portare avanti un discorso oltre che con parabole ed allegorie: il paragone, la similitudine (parabola più breve) e così via. Ad esempio Gesù dice:

"Voi siete la luce del mondo, il sale della terra."; queste sono similitudini.

Comunque, a seconda di come le si considerino, le parabole vanno da un minimo di 35 ad un massimo di 100, se si includono anche le similitudini e le allegorie.

A volte la distinzione tra i generi letterari è difficile; ad esempio (Lc 15,4-7) il buon pastore (che conta solo 99 pecore, ne manca una, va a cercarla, la trova e torna con essa) è una parabola, ma brevissima, per cui potrebbe quasi essere una similitudine.

Non è sempre importante distinguere i generi letterari, ma è importante cogliere il nocciolo della questione per capire il senso del brano.

I Padri della Chiesa (ed altri ancora prima di loro) hanno capito il funzionamento dei racconti; nella comunità primitiva le parabole stimolavano il confronto. La situazione era già cambiata rispetto ai primissimi tempi e quindi si sono interpretate le parabole.

Esaminiamo due passi paralleli: Mt 22,1-14 e Lc 14,16-24 . E’ la stessa parabola: il banchetto di nozze.

In Luca non c’è lo sterminio e non c’è l’invitato senza l’abito nuziale.

In Matteo il re, dopo essersi sdegnato, fa uccidere gli abitanti.

Ricordiamo che il Vangelo di Matteo è quello rivolto ai cristiani di origine ebrea, mentre quello di Luca è scritto per i cristiani di ambiente ellenistico.

Matteo si riferisce alla storia della salvezza.

In Luca ci sono come invitati anche i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi, cioè il Regno di Dio è aperto a tutti, anche ai pagani.

Nel 70 d. C. (il Vangelo di Matteo è scritto dopo il 70) c’è l’esperienza della distruzione della città di Gerusalemme da parte dei romani; è a questa distruzione che si riferisce Matteo.

L’entrare nella salvezza non è semplice, bisogna vestirsi in modo opportuno.

Gli evangelisti già rileggono le parabole di Gesù, le interpretano e le allegorizzano. L’esempio più clamoroso è quello letto all’inizio della serata: la parabola del seminatore, che è una delle poche presenti in tutti e tre i sinottici.

Se leggiamo quella di Marco notiamo che il racconto della parabola è fatto alle folle; notiamo che c’è chi dice che Gesù sia fuori di sé, chi lo dice posseduto da Beelzebùl, chi da uno spirito immondo e Gesù fa una affermazione (chi è mia madre?) di incoraggiamento ai suoi discepoli che sono frastornati.

Come il seme, nonostante le difficoltà del terreno, produce fino all’inverosimile, così il regno di Dio andrà avanti.

La risonanza è quella, ma il discorso prosegue in privato; Gesù spiega al parabola ai discepoli e la spiega come una allegoria, dando significato a tutti i particolari. Qui è la comunità primitiva che sta interpretando la parabola; in particolare la parola "preoccupazioni" (Lc 8,14) fa capire che ci si riferisce alla situazione attuale, del tempo della interpretazione.

Abbiamo detto che , a seconda di come le si conteggino, le parabole vanno da 35 a 100.

Qual è il contenuto delle parabole?

Tema privilegiato di tutte le parabole, magari sottointeso, è il Regno di Dio; in qualcuna dice esplicitamente: Il Regno i Dio è..., in altre non lo dice esplicitamente, ma è sottointeso.

Il Regno di Dio entra con le parabole nei discorsi; esso viene attraverso un inizio umile e semplice, come il passaggio di Gesù sulla terra, e, come la semente, come il granellino di senape, come il lievito, nonostante la piccolezza dell’inizio, cresce, anche se l’uomo (l’agricoltore) non fa nulla (dorme) o anche se addirittura qualcuno (il nemico) lo ostacola.

Il mondo intero è il campo d’azione: il mare della rete gettata. In questo mondo assieme alla bontà c’è la cattiveria (ogni sorta di pesci, la zizzania); sull’ultima spiaggia ci metteremo con Dio a selezionare i pesci buoni da quelli cattivi.

I mietitori saranno gli angeli (sono esseri buoni e quindi ci comprenderanno).

Anche la storia umana presenta la tenerezza di Dio: il buon samaritano, il padre misericordioso.

Il recupero di ciò che era perduto caratterizza il Regno di Dio (la dracma e la pecorella smarrita).

Altre parabole annunziano l’ingresso dei pagani nel Regno di Dio: gli invitati alle nozze, le dieci vergini, i talenti o le mine.

Il Regno opera una discriminazione tra coloro che si sono fidati di Dio e coloro che non si fidano di Dio, confidando solo nelle proprie forze e nelle proprie ricchezze, come il ricco stolto (Lc 12,16-20).

Il Regno di Dio manifesta una preferenza per gli ultimi: il pubblicano, i servi inutili.

Ci sono le immagini suggestive che Gesù utilizza per indicare il Regno di Dio che si compie, per annunciare che già nella nostra vita agisce e lo sarà ancora di più dopo e sarà gioia, banchetto, frutto, felicità piena e comunione con Lui.

Questo in generale sulle parabole; passando a Luca ricordiamo che ci sono 14 parabole proprie, cioè non condivise con gli altri evangelisti, 8 condivise con Matteo e 4 condivise con Marco e Matteo.

Le parabole di Luca mettono in luce la misericordia di Dio (il padre misericordioso, la dracma perduta, etc.) ed influiscono anche su situazioni particolari, come ad esempio le beatitudini.

In Luca il "guai a voi ricchi" è il riflesso di una divisione nella sua comunità tra ricchi e poveri, come tra il povero Lazzaro ed il ricco epulone.

Così anche per il ricco che si siede e pensa se può finire di costruire la torre.

Altro elemento caratteristico di Luca è il perdono; pensiamo alla peccatrice in casa di Simone il fariseo, al capitolo settimo: "Le sono perdonati i suoi peccati."

Il perdono è presente anche sulla croce: ai crocifissori ed al buon ladrone.

Altra differenza tra gli evangelisti è che mentre Marco e Matteo (nel cui capitolo tredici ce ne sono ben sette assieme) concentrano le parabole in alcune parti del loro Vangelo, Luca preferisce spargerle lungo tutto l’itinerario di Gesù. Tutte le volte che Gesù racconta una parabola, Luca gli mette una premessa, un contesto.

Ad esempio al capitolo 15 (capitolo cruciale con tre parabole: la dracma perduta, la pecora perduta ed il figlio perduto) leggiamo che si avvicinarono tutti i pubblicani ed i farisei; Gesù racconta per rispondere alla situazione in cui si trova.

 

Luca lega gli episodi singoli alle parabole; c’è un filo conduttore:

1. la misericordia di Dio che spinge l’uomo ad abbandonarsi a Lui;

2. il contrasto tra la ricchezza che non paga e la povertà di questo mondo (il ricco insensato, il fico sterile, Lazzaro, l’amministratore abile);

3. per entrare nel Regno di Dio, il banchetto, bisogna essere forti, attenti come il servo fedele, come i due litiganti che si devono mettere d’accordo per la strada (Lc 12,58);

4. il Regno di Dio, pur essendo aperto ai peccatori, ha bisogno di un atteggiamento di lotta, di ricerca, di attenzione (vignaioli assassini).

Sono questi i punti essenziali delle parabole di Luca.

Esaminiamo ora due esempi di parabole di Luca.

Il buon samaritano (Lc 10,25-37).

Per capire bene la parabola però dobbiamo fare un passo indietro e vedere l’antefatto, come per la storia di Davide: Gesù nel passo precedente (Lc 10,1-20) ha mandato in giro per il mondo i 72 discepoli ad annunciare il Regno di Dio; ancora prima aveva mandato i dodici (Lc 9,1-6).

Ma i dodici non bastavano?

A parte il numero in sé ricordiamo che 12 ci ricorda il numero delle tribù di Israele (il primo messaggio evangelico è riservato ad Israele), mentre 72 ci ricorda tutti i popoli della terra, elencati dopo il diluvio universale in Gen 10,1-32 (il messaggio evangelico finale viene esteso a tutti i popoli della terra).

Il capitolo comincia dunque con una apertura universale.

Torniamo dunque alla parabola:

Un dottore della Legge interroga Gesù (significa che i dottori sono proprio quelli che non hanno capito nulla del messaggio di Gesù) su cosa fare per ereditare la vita eterna; Gesù a sua volta chiede al dottore cosa vi sia scritto nella Legge e la risposta è un unico comandamento di amore che unisce Dio e gli uomini:" Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso."

Per Luca il comandamento è unico.

Gesù ha portato una novità sconvolgente: "Fa questo e vivrai" dice al dottore.

Ma il dottore non si accontenta e chiede l’elenco minuzioso di chi sia da considerare prossimo, in modo tale da poter consultare l’elenco quando incontra qualcuno e sapere così se deve aiutarlo o meno. Gesù allora, invece dell’elenco, risponde alla domanda raccontando la parabola.

La conosciamo bene e non stiamo tanto a soffermarci su di essa.

Sia un sacerdote che un levita (come se fosse un diacono) non aiutano il viandante, depredato e lasciato sulla strada mezzo morto dai briganti, ma passano oltre; questa insistenza sul passare oltre ci ricorda che è Israele che passa oltre; Dio li ha fatti passare oltre il mar Rosso nell’Esodo, ma ora loro si sono dimenticati di Dio. Passa allora un samaritano (straniero ed eretico) che ebbe compassione. La parabola finisce con un’altra domanda: "Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo?".

Gesù ci invita a giudicare la storia, il racconto; bisogna cogliere la logica che c’è dentro: non è un elenco di possibili prossimi come voleva il dottore della Legge, ma ti interroga: "Di chi tu ti fai prossimo?".

Il dottore viene incastrato come Davide: " Va e anche tu fa lo stesso".

Cosa voleva dire Gesù?

Primo significato, che già i padri della Chiesa hanno dato: Gesù è lui il buon samaritano, come per i due di Emmaus che, incontrato Gesù che camminava con loro, lo hanno riconosciuto dallo spezzare il pane. Gesù si è preso cura di noi, si è preso compassione dei nostri mali (il peccato) e ci salva, pagando anche per noi.

I Padri della Chiesa sono caduti nella allegoria:

· il viandante è Adamo che è stato spogliato di tutti i doni che Dio gli aveva dato,

· il sacerdote è la Legge che non basta,

· l’olio versato sulle ferite è la misericordia,

· il vino versato sulle ferite è la tenerezza,

· la locanda dove l’uomo viene curato è la Chiesa,

· i due denari dati all’albergatore sono i due sacramenti (battesimo e cresima),

· il ritorno promesso all’albergatore è la fine dei tempi.

Senza esagerare come hanno fatto i Padri della Chiesa è senz’altro Gesù il buon samaritano; non dice di amare solo il prossimo, ma di amare lo straniero, il primo che ci capita di incontrare per la strada.

Pensiamo solo come si possa benissimo attualizzare la parabola riferendola alla realtà di oggi.

Passiamo all’altra parabola; Lc 15,11-32 .

Mentre per l’altra i Padri della Chiesa pur allegorizzando ne hanno centrato il significato, per quest’ultima noi allegorizzandola ne abbiamo stravolto il significato già nel titolo: Il figlio prodigo.

Ecco il bambino che deve pentirsi, deve andare a confessarsi e poi si comunica.

Non abbiamo capito proprio niente! Certo è giusto nella vita pentirsi, confessarsi e poi comunicarsi, ma tutto questo qua nella parabola non c’entra per nulla.

Perché l’uomo ha due figli?

Ci siamo dimenticati di quello rimasto a casa?

Qual è il personaggio centrale della parabola?

Il padre è il personaggio sempre presente nella parabola, anche quando il figlio è lontano.

La parabola non comincia con "C’era un figlio .. ", ma con "Un uomo aveva due figli".

E’ lui che corre incontro al figlio visto da lontano.

Siamo talmente abituati a stravolgere la parabola che anche nella canzone cantiamo:

"Corri incontro al Padre". Il figlio non corre; è il padre che corre.

Il figlio non è pentito di quello che ha fatto, ha solo fame; tanta fame da pensare di mangiare le carrube per i porci, ma non ha nemmeno quelle da mangiare.

Anche l’altro figlio non è che si comporti meglio; dice:

"Io ti servo da tanti anni e non ha mai trasgredito un tuo comando".

Di nuovo è il padre che piglia l’iniziativa, li tratta entrambi allo stesso modo andando sempre lui da loro. I fratelli non si riconciliano tra loro.

Gesù sta parlando di suo Padre, di questa paternità che Israele (il primogenito) non ha mai capito; il secondogenito rappresenta i pagani che sono venuti perché hanno fame (fame di Dio), ma non hanno capito nulla neppure loro della misericordia di Dio.

Il Regno di Dio è per tutti ed è a portata di mano.

Il padre dà l’anello al dito e calzari ai piedi (i servi andavano scalzi).

Il vitello grasso fa pensare ad Isaia.

Non è dunque la parabola del figlio prodigo, ma quella della paternità che non è capita né dai giudei, né dai pagani.

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