Il Museo Archeologico Prenestino
Piano Primo
Sala I - Il culto della Fortuna. |
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Il culto di Fortuna in origine era legato alla fecondità, ma Fortuna già in tempi molto antichi si presentava come una divinità vaticinante. Nella sala si può ammirare una colossale statua in marmo bigio, in cui in passato si è voluto riconoscere l'immagine della dea. La statua, considerata un originale tardo-ellenistico e datata alla fine del Il sec. a.C., secondo le più recenti interpretazioni costituirebbe una raffigurazione di Iside. È priva delle parti nude, eseguite probabilmente a parte in marmo bianco e poi applicate, come dimostra l'incavo visibile sulla spalla sinistra per l'inserimento del braccio. La figura veste un chitone cinto in vita, che aderisce alle forme del corpo come schiacciato dal vento, e un himation entrambi sono increspati da pieghe fitte e sottili. Vi è poi un gruppo scultoreo con due figure femminili acefale poste su una portantina (fercula). In esse si riconosce il duplice aspetto del culto che, come le Fortune di Anzio, ebbe una doppia immagine: matronale quella d~ destra, con la corporatura più robusta e il chitone altocinto; giovane amazzone quella di sinistra, con il chitone che lascia libera la spalla destra ed il seno scoperto. Una testa femminile, di proporzioni maggiori del vero, rinvenuta nel riempimento del pozzo da cui si estraevano le sorti, sulla terrazza degli "emicicli", apparteneva probabilmente alla statua di Fortuna seduta, con Giove e Giunone fanciulli, posta a fianco di esso. Infine una statua che raffigura la dea Statua Femminile acefala. |
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Sala II - Statuaria ellenistica. |
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Un'intensa attività artistica di impronta ellenistica investì Praeneste negli ultimi decenni del Il sec. a.C. Ciò fu dovuto all'attività dei numerosi mercanti che avevano accumulato ingenti fortune esercitando il commercio, soprattutto di schiavi, con i mercati orientali. A Delo, infatti, vi sono numerose testimonianze epigrafiche della presenza di negotiàtores prenestini. Le ingenti risorse economiche garantite da questi commerci furono indispensabili per la ristrutturazione urbanistica della città e la costruzione del santuario secondo le forme architettoniche ancor oggi visibili. Molti artisti greci furono così spinti a stabilirsi nel Lazio e ad eseguire in loco le loro opere. Tre statue femminili acefale, in marmo greco, rappresentano probabilmente ricche matrone prenestine; vestono un leggero chitone increspato sul quale è indossato un pesante mantello che ricade lungo il corpo con lunghe estremità a punta. Un altro originale ellenistico è la pregevole statuetta femminile in marmo greco; anch'essa acefala, veste il chitone e l'himation che formano un ricco panneggio, movimentato da morbide pieghe che assecondano le forme del corpo. La testa femminile velata richiama i modelli classici; l'ovale armonioso del volto con i tratti poco marcati, il morbido chiaroscuro che anima l'espressione del viso, la pettinatura con i capelli in ciocche ordinate sulla fronte, sono tutti elementi che si rifanno alla statuaria ideale ellenistica. La figura femminile seduta, di dimensioni minori del vero, è una copia rielaborata di una delle nove muse di Filisco di Rodi (Il sec. a.C.). |
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Sala III - Statuaria iconica |
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La ritrattistica individuale repubblicana, basata sulla raffigurazione veristica della persona, presenta un torte richiamo agli esemplari del mondo greco. lì rapporto con la tradizione artistica greca è evidenziato in alcune teste prenestine. Una delle teste raffigura un uomo maturo, dall'aspetto fiero, con pochi capelli appena incisi, zigomi che spiccano sulle guance scavate; questi tratti, uniti alla pesante arcata sopraccigliare e alle rughe ai lati degli occhi, gli conferiscono un aspetto austero ed energico. Una statua acefala raffigura un personaggio togato stante sulla gamba destra e con la sinistra leggermente flessa. La mano destra trattiene la toga che scende fino al ginocchio, mentre la sinistra sollevata probabilmente reggeva il rotulus, tipico attributo di queste statue. Una statua raffigurante un vigoroso corpo maschile appartiene alla serie delle statue in nudità eroica, cioè quelle che avevano la testa del personaggio ritratto, di solito il committente, inserita su un corpo ideale: un dio o un eroe. È databile alla prima età imperiale. Di età antonina è un'altra statua raffigurante un uomo nudo, coperto solo da un mantello che, fermato sulla spalla sinistra con una bulla, cade lungo il fianco. Molto bella è la statua loricata; la corazza è riccamente ornata da un gorgoneion, grifi in posizione araldica, racemi, fiori e volute vegetali; sulla spalla sinistra è poggiato il mantello che i militari portavano sulla corazza; è del I sec. d.C. Anche le statue femminili si ispirano a modelli ideali. È forse una divinità in trono la figura femminile seduta, con tunica e mantello ripiegato sul grembo e databile alla prima età imperiale. Un gruppo di basi ricorda eminenti cittadini di Praeneste onorati con la dedica di una statua: A.Muniùs Evaristus, patrono della città, P Aelius Apollinaris Aplenìus, che ebbe una statua togata nel Foro, M Aurelius Iuliùs Eupraepes, membro dell'ordine equestre, Publicia Similis sacerdotessa della Mater Matula, D. Velius Trophimus, e Cn. Voesìus Aper i quali promossero dei giochi gladiatori, e T Caesiùs Primùs |
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Sala IV - La Triade Capitolina. |
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Il gruppo scultoreo in cui sono raffigurate le più importanti divinità dello stato romano, Giove, Giunone e Minerva, fu recuperato rocambolescamente nel 1994 dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Artistico. L'opera, trafugata da scava-tori clandestini in una località del territorio di Guidonia, stava per essere venduta ad un collezionista americano per cinquanta miliardi, ma fu abbandonata dai trafficanti ormai braccati dai Carabinieri vicino al confine svizzero. Si tratta dell'unica copia finora conosciuta della Triade Capitolina in cui gli dèi sono conservati nella quasi totale interezza. La scultura, in marmo lunense, raffigura le tre divinità sedute su un unico sedile con i loro soliti attributi: al centro Giove con lo scettro (mancante) nella mano sinistra e il fascio di fulmini nella destra; alla sua sinistra Giunone che regge patera e scettro; a destra Minerva che teneva l'asta e l'elmo nelle mani. Tre piccole vittorie alate e acefale incoronavano le divinità. Ai loro piedi sono raffigurati gli animali sacri, rispettivamente l'aquila, il pavone e la civetta. |
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Fotografia della Triade Capitolina |
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Sala V - Età augustea. |
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Il passaggio dalla Repubblica all'Impero portò dei mutamenti anche in campo artistico. Le immagini dovevano propagandare i contenuti del nuovo corso: pace, sicurezza e prosperità dell'impero; i monumenti presenti in questa sala ne sono un esempio evidente. Il rilievo Grimani, attraverso l'immagine idilliaca e il riferimento alla maternità, è un esempio tipico di questo clima di prosperità. Si tratta di una lastra di marmo bianco a grana fine con una cinghialessa che allatta i suoi piccoli. Insieme ad altri due celebri rilievi conservati al Kunstliistorisches Museum di Vienna e ad un quarto frammento oggi a Budapest, la lastra faceva parte della decorazione di una fontana. I fori praticati in corrispondenza della bocca della femmina del cinghiale e del terzo cucciolo da sinistra per far uscire l'acqua confermano la funzione del rilievo. Anche i rilievi viennesi, raffiguranti una pecora e una leonessa con i loro cuccioli, rappresentano una scena di maternità. Secondo un'ipotesi dell'archeologo Filippo Coarelli la fontana faceva parte di un monumento onorario di Verrio Fiacco, che si trovava nel Foro della città e aveva inciso sopra il celebre calendario stilato dal poeta prenestino. Le cornucopie e la ghirlanda sull'altare del divo Augusto ripropongono l'idea di fecondità e abbondanza. Il culto pubblico dell'imperatore divinizzato fu praticato a lungo, per più di un secolo dopo la sua morte. Di Augusto è anche la testa colossale sulla parete della sala; il volto, leggermente rivolto a destra, raffigura l'imperatore in età giovanile. Alla Pax e alla Securitas augustea sono anche dedicati i due altari gemelli dedicati dai decurioni e dal popolo prenestino, riconoscenti per la stabilità ritrovata dopo il massacro sillano. Di stile molto raffinato è la base di candelabro marmoreo sulla quale trovano scolpiti Dioniso, una menade ed un satiro, circondati da motivi ornamentali. |
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Sala VI - Età imperiale. |
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Alcune sculture dell'età imperiale si rifanno alla tradizione ellenistica greca, come la statua del satiro in riposo, copia della celebre opera di Prassitele, scultore molto apprezzato dai Romani che riprodussero le sue opere in molte copie. Diverso da questo genere invece il rilievo raffigurante il trionfo partico di Traiano, celebrato postumo nel 117 d.C. a Selinunte in Cilicia. La scena è delimitata da un bordo formato da una fila di perle e astragali e un fregio di acanto abitato da animali in corsa. Nella processione trionfale Traiano avanza su un carro trainato da quattro cavalli, preceduto da un palafreniere, mentre un giovane gli pone sul capo una corona gemmata; sullo sfondo a destra vi sono otto littori ed un trofeo. L'opera, mancante della parte destra della scena, era posta su un monumento onorario, probabilmente una base o un altare dedicato all'imperatore dal locale collegio degli Augustali. La composizione sembra anticipare i modi dell'arte tardoantica. Intorno alla metà dell sec. d.C. si data il ritratto di un fanciullo dal volto paffuto e tondo, con la fronte prominente, il naso piccolo e la bocca socchiusa. lì busto ritratto femminile raffigura una donna dai tratti fortemente caratterizzati da una complessa acconciatura. I capelli sono articolati sulla fronte in cinque file di riccioli e sono raccolti sulla nuca in un nodo di piccole trecce, dal quale scende un boccolo; è della fine dell' inizi del Il sec. d.C., periodo in cui i ritratti femminili mostrano complesse acconciature. Della stessa epoca è una testa ritratto di fanciullo con la tipica pettinatura a calotta con i capelli lisci separati in lunghe ciocche, secondo la moda maschile di età traianea. A una statua colossale apparteneva, infine, la grande testa raffigurante Faustina maggiore, moglie di Antonino Pio. Da questa sala si accede ad una sala polifunzionale destinata a conferenze, incontri culturali, dibattiti, proiezioni di film. |
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Sala VII - I documenti epigrafici. |
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Preneste, dopo Roma, è forse la città che ha restituito il più grande numero di iscrizioni che sono importantissime per la storia della città, in quanto permettono di ricostruire gli eventi politici, la vita religiosa, le attività commerciali e la vita sociale. Tra le testimonianze più antiche è la dedica delle Aere(tinae) Matro(nae) cioè le matrone di Eretum, città sabina (prima metà del Il sec. a.C.). Il cippo di C. Magulnius Scato e C. Saufeiùs Flaccus ricorda la consacrazione di un santuario; un'altra iscrizione ricorda la costruzione di una culina (una cucina utilizzata per pubblici banchetti) da parte di due questori della gens Saufeia. Al centro della sala, su un basamento a più ripiani, sono presenti molte dediche dei collegia professionali prenestini, che documentano l'esistenza di fabbri ferrai, banchieri, tagliatori di legno o di pietra, portatori di lettiga, macellai, fabbricanti di corone, tintori, suonatori di flauto. Esse sono incise su basi dove era fissato il dono offerto alla divinità. Interessante è la dedica alla Pietas Fortuna Primigenia' posta da un certo Fortunatus, Verna, cioè schiavo nato in casa, e dalla liberta Aurelia Restituta; lo scopo era propiziare il ritorno incolume dell'imperatore Marco Aurelio e Commodo, probabilmente nella spedizione contro i Quadi e i Marcomanni. Funerarie sono le are di Telegenia Nobilis, di Marcus Bettiùs Costantius e l'altare dedicato da Aulus Curtius Crispinus Arruntianus all'amico medico Publius Aelius Pius, interessante quest'ultima per la raffigurazione degli strumenti della professione medica. Interessante anche l'iscrizione di Lucius Urvineius Philomuso che fu ritrovata nel giardino della casa natale di Giovanni Pierluigi da Palestrina. |
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Sala VIII - Altri culti a Praeneste. |
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A Praeneste il culto principale fu naturalmente quello di Fortuna, ma non mancano le testimonianze di altri culti. Un cippo, della prima metà del Il sec. d.C., testimonia il culto di Iuno Palostcara, una divinità forse connessa con le sorti prenestine. Della stessa epoca è un altro cippo in calcare con dedica a Ercole da parte del pretore Tampio Tarentino. Una dedica a Giove Ottimo Massimo è documentata su un'ara in marmo e su una lastra in calcare. A questo dio è anche offerto da un certo Pamphilus, servo di una Valeria, un vaso in calcare. Nella vetrina al centro della sala: una testa di Atena che apparteneva ad una statua raffigurante la dea con elmo attico; una testa barbata di Serapide che raffigura il dio di origine egiziana; una statuetta di Mitra tauroctono che rappresenta la divinità secondo l'iconografia più diffusa tra il lì e il III sec. d.C., cioè Mitra in costume orientale, col ginocchio poggiato sul toro, gli conficca il pugnale nel fianco, mentre uno scorpione morde i testicoli dell'animale e un serpente striscia verso la ferita. Una statuetta raffigura Cibele secondo l'iconografia classica, cioè seduta in trono e affiancata da due leoni. Completano la sala un sarcofago con giudizio di Paride e uno attico con thiasos-dionisiaco, un altare dedicato alla Magna Matere un rilievo con scena di battaglia di età augustea. |
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