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~ curiosità romane ~
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il ghetto di Roma
l'isola tiberina
il mezzogiorno a Roma

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La comunità ebraica di Roma è considerata la più antica al mondo, poiché se ne conosce l'esistenza sin dal tardo II secolo a.C., quando giungevano schiavi dalla Palestina, allora sotto il dominio romano.
Sia nei primi secoli che durante tutto il medioevo, gli ebrei romani non ebbero particolari difficoltà di convivenza con la locale popolazione cristiana; la loro principale attività era il commercio. Ma i tempi si fecero duri nel tardo Rinascimento quando la Chiesa di Roma, dopo lo scisma protestante, diede un grosso giro di vite nei confronti della popolazione non cristiana. Il neoeletto papa Paolo IV decise di rinchiudere l'intera comunità ebraica entro un'area molto ristretta, e impose severe leggi discriminatorie.
Il quartiere, conosciuto come il ghetto, comprendeva le poche strette vie situate fra piazza Giudea (oggi scomparsa) presso la chiesa di Santa Maria del Pianto, i resti del Portico d'Ottavia (cfr. I 22 Rioni, Sant'Angelo per i dettagli), e la riva del Tevere presso l'Isola Tiberina.

il ghetto in una pianta di G.B.Falda (1676), che mostra
le tre prime porte (
¡), quelle aperte da Sisto V (¡)
il Portico d'Ottavia (
à) e la chiesa di San Gregorio (ß);
ancora una porta fu aperta nel XIX secolo nel punto segnato
â
In seguito alla bolla di Paolo IV, intitolata Cum nimis absurdum (cioè "quando il troppo è inopportuno"), i circa 3000 membri della comunità ebraica furono costretti a risiedere all'interno del ghetto, menzionato nei testi dell'epoca come recinto degli Hebrei, la cui superficie totale era di circa 3 ettari.

vecchie case in via di Sant'Ambrogio: la via fu inclusa
nel perimetro del ghetto attorno al 1830
I residenti potevano lasciarlo solo durante il giorno; poi, dal tramonto all'alba successiva, i tre accessi al quartiere venivano serrati a mezzo di grosse porte, sorvegliate da guardie, la cui retribuzione era a carico della stessa comunità. In origine i portoni erano tre, ma pochi decenni dopo, quando papa Sisto V fece leggermente ampliare il ghetto dal lato del fiume, il loro numero crebbe a cinque. Oggi le porte non esistono più, ma sono ancora chiaramente visibili nelle antiche piante della città. Chiunque si fosse attardato e fosse rimasto chiuso fuori, se la sarebbe vista con l'implacabile giustizia papalina.


Inizialmente l'unica risorsa di acqua potabile del ghetto era una fontana situata in piazza Giudea, fuori dei confini del recinto, e dunque le condizioni igieniche all'interno erano spaventose. Una fontana più piccola venne poi edificata all'interno del recinto, solo molti anni dopo. Inoltre, essendo questo uno dei punti altimetricamente più bassi di Roma, il rischio di subire lo straripamento del vicino Tevere era un'altra costante minaccia.

Fuori del ghetto gli ebrei maschi dovevano indossare un pezzo di stoffa gialla sul berretto, mentre le donne dovevano portare uno scialle o un velo dello stesso colore, per essere facilmente identificabili.
Non era permesso loro di possedere beni immobili; le case dove abitavano venivano prese in affitto da proprietari non ebrei, che le affittavano ai membri della comunità a prezzi calmierati da una legge chiamata Ius Gazzagà. Di norma, il contratto di affitto passava in eredità ai discendenti del primo locatario, e quindi molti appartamenti venivano occupati dalle stesse famiglie per varie generazioni.
La popolazione ebraica, però, continuava a crescere rapidamente, anche perché gli ebrei di altre città dello Stato Pontificio venivano costretti ad emigrare a Roma: nella seconda metà del XVII secolo gli abitanti del ghetto erano divenuti circa 9000. Il recinto dovette essere leggermente allargato, e venne aggiunta una quarta porta.

le porte del ghetto non esistono più, ma uno dei cardini (a sinistra nella foto) è ancora visibile a via della Reginella


il minuscolo Tempietto del Carmelo, sotto il
balcone di Palazzo Costaguti, del XVI secolo
Leggi speciali, che assai spesso cambiavano col succedersi dei vari papi, limitavano le attività che i membri della comunità potevano ufficialmente svolgere; in alcuni periodi, l'unico lavoro permesso fu la vendita degli stracci.

Di sabato, gli ebrei erano costretti ad assistere alle cosiddette prediche coatte, il cui scopo era di convincerli a convertirsi al cristianesimo; questi sermoni si tenevano presso la piccola chiesa di S.Gregorio (ora dirimpetto alla grande sinagoga eretta nel 1904), e presso il minuscolo Tempietto del Carmelo di via S.Maria in Publicolis.

Solo all'interno del ghetto agli ebrei era consentito professare la propria religione: un edificio dell'enclave ospitava cinque scuole, una per ciascuna confessione ebraica a cui apparteneva la popolazione locale.

Oltre alle discriminazioni, gli abitanti del ghetto dovevano sottostare a diverse tradizioni e rituali umilianti. Per esempio, durante le feste del Carnevale Romano, un certo numero di ebrei anziani veniva fatto correre lungo l'arteria centrale della città, mentre la folla li beffeggiava e lanciava ogni sorta di rifiuti; questa tradizione fu poi trasformata nella corsa dei cavalli barberi.

vicolo Costaguti, quasi una galleria,
mette in collegamento un cortile interno

Roma non era l'unica città dove in quegli anni le comunità ebraiche erano sottoposte a discriminazioni: leggi simili a queste furono promulgate anche altrove in Italia (Venezia, Bologna, Ferrara, ecc.); già nel medioevo erano state attuate campagne di espulsione in paesi quali la Spagna, la Francia, l'Inghilterra.
Inoltre non tutti i papi e gli esponenti del potere pontificio si mostrarono duri con gli ebrei. Il vescovo e governatore generale di Roma Annibale Rucellai proibì qualsiasi maltrattamento emanando in data 15 gennaio 1595 il bando sottostante (cliccare sull'illustrazione per l'ingrandimento), il cui testo recitava:

BANDO
Che non si debbano molestare, né dar fastidio alli Hebrei.

Volendosi provedere alli scandali, & inconvenienti che sogliono nascere dalle molestie, e beffe, che s'intende darsi giornalmente à gli Hebrei. Per questo Il molto Illo, & Rever.mo Mons. Anibale Ruccellai, Vescovo di Carcassone, & dell'Alma Città di Rome, & suo distretto General Governatore, & Vicecamerlengo, per ordine espresso de la Santità di N.S. per il presente Bando ordina, prohibisce, & commanda, che nessuna persona, di qualsivoglia stato, grado, conditione, & preminentia, ardisca, ne presuma in modo alcuno diretto, o indiretto, dar fastidio o impedimento di nessuna sorte ad alcun'hebreo, maschio, o femina, putti, o putte, ne schrnirli, toccarli, o offenderli in qual si sia modo, in parole, o fatti di giorno, ne di notte, occultamente, ne palesemente, sotto pena à gl'huomini Christiani di tre tratti di corda, & alle donne, e putti della frusta, & di più alla pena, alle quali sarebbono tenuti, se havessero offeso un Christiano, dichiarando, che li padroni di casa saranno tenuti per li loro servitori, li padri per li figliuoli, e maestri per li discepoli, & se ne farà essecutione rigorosa, reserbandosi esso Mons. Reverendiss. Governatore l'arbitrio d'aumentar e minuir le pene secondo la qualità del fatto, e delle persone, & ognuno si guardi di non contravenire.

Per quanto possa apparire un bando severo, l'ultima riga ci dice che i ricchi e i nobili avrebbero potuto facilmente evitare la sentenza. Inoltre quando veniva eletto un nuovo papa, l'atteggiamento della Chiesa di Roma verso gli ebrei poteva mutare facilmente, a volte in modo radicale.


un lato di via del Portico d'Ottavia è ancora oggi
costituito da una fila di case antiche (secoli XV-XVI)
Quando nel 1798 Roma cadde sotto l'assedio dell'armata napoleonica, l'amministrazione francese aprì le porte del ghetto. Ma quando nel 1815 fu restaurata l'autorità papale, le porte furono nuovamente chiuse. L'unica concessione fatta da papa Leone XII poco dopo il 1830 fu di decretare un'ulteriore espansione del confine del ghetto, comprendendovi via di Sant'Ambrogio e via della Reginella (nell'angolo in alto a sinistra nell'illustrazione d'apertura); a quest'ultima strada si provvide ad applicare un nuovo portone. Nel 1870, anno in cui il governo papale cadde, gli ingressi dell'odioso recinto vennero definitivamente abbattuti. Solo allora gli ebrei romani furono liberi di lasciare il quartiere, e vennero restituiti loro gli stessi diritti civili della popolazione cristiana.

Molti membri della comunità non vivono più qui, ma molti altri vi risiedono ancora oggi, sebbene tutti considerino il ghetto come un comune punto di incontro in occasioni speciali e festività religiose.


frammento di età romana
su una casa del XV secolo
Qualche ristorante in zona mantiene viva la cucina giudaico-romanesca, una tradizione vecchia di secoli che fonde tipici piatti ebraici con ricette romane, fra cui i famosi carciofi fritti alla giudìa. I cosiddetti "fagottari", clienti che usavano portare il proprio pasto in un fagotto, e quindi ordinavano solo il vino, non si incontrano più; questa abitudine è ormai scomparsa.

Nel ghetto anche la lingua subiva l'influenza della cultura di origine degli abitanti: il dialetto giudaico-romanesco, che una volta veniva parlato dai membri della comunità, non era troppo dissimile da quello classico romanesco, ma molte parole avevano un'origine ebraica.

l'androne di un palazzo
privato del XVI secolo
Oggi il giudaico-romanesco non è più parlato.


la sinagoga
Attorno al 1900, appena pochi anni dopo l'apertura del ghetto, alcune delle case originali del quartiere furono demolite, o pesantemente modificate, ma i vicoli superstiti di questa zona ancora conservano un'atmosfera magica, una miscela molto particolare di storia, architettura e tradizione.



l'isola tiberina il mezzogiorno a Roma
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