LA STORIA
Monte Scuderi è una delle cime più alte dei monti Peloritani (1253m); esso domina il mar Ionio elevandosi su Itala ed Alì a Sud-Est e sulla sorgente della Santissima ad Ovest. Geologicamente si tratta di una mole di gneiss antico che posa su una base di micascisti paleozoici. In altre parole in basso è morbido e friabile, in alto è durissimo.
La vetta è perfettamente pianeggiata, e forma come una grande terrazza alla quale si accede per due porte, situate alle estremità Est ed Ovest. Dalla cima si assiste ad uno scenario vario ed incomparabile; dall’Etna a capo Peloro, in una suggestiva ondulazione di colli ricoperti di un manto di alberi "grigio verdi". Sulla cima del monte un tempo sorgeva l’abitato bizantino di Mico, distrutto dagli arabi. Nel mezzo del piano vi è un buco tortuoso, oscuro e profondo, non si sa se formato dalla natura e poi perfezionato dagli uomini che vi sono scesi attraverso i secoli spinti dal richiamo di trovare i tesori di cui narra la leggenda. Fra l’altro nel 1725, vi scesero dei minatori tedeschi alla ricerca di ricchi e preziosi minerali ivi giacenti come oro, argento, rame, ferro, piombo. Costoro notarono che nella grotta erano stati costruiti dei "pianerottoli" e, nel fondo, scoprirono un lago di acque. Il luogo in quel punto era ben largo e pareva proseguire oltre, ma i minatori, atterriti dallo strepitio e confusi dalla quantità delle acque, non andarono oltre.
Il monte tiene nelle sue falde una vena d’ acqua col nome di "Canalaci", perché abbondante e divisa in più canali. Si crede che quest’acqua così abbondante sgorghi da quel lago o fiume che il monte tiene racchiuso nelle sue viscere producendo, dove scorre, quantità di pioniche monuschisti, edera terrestre, ed altre singolarissime piante. Una spedizione effettuata un tempo da Universitari di Messina rivela che nei muri di un largo spazio, sito dentro la grotta e simile ad una grande sala, vi sono numerose scritte lasciate nel corso degli anni dai visitatori che si sono alternati nell’esplorazione. Fra tutte la più interessante è sicuramente quella in caratteri gotici "TEUFFECHEL", che significa "DIABOLICO", con incisa sotto la data "1727"; data dell’esplorazione effettuata dai tedeschi.
In antichità Monte Scuderi con Monte Franco e Pizzo del Poverello costituiva un tutt’uno; con un movimento tellurico verificatosi due millenni fa, questi monti si divisero. Notizie storiche di questa spaccatura sono state tramandate da vari scrittori, infiorate magari dalla leggenda che vuole il monte spaccato in occasione della morte di Gesù Cristo.
Un tempo il monte veniva denominato Saturno, quindi per un certo periodo, si pensa fu sede reale attirando continue guerre attorno a se ed a prova di ciò è la scoperta, di sotto allo scosceso del monte, di un "Antro" tutto ripieno di ossa umane di quantità incredibile, detto "catasfachio". La venuta di tanti minatori estranei che, nonostante i pericoli si calavano nel monte, fu spiegata, dagli abitanti con la presenza di un tesoro che rende oggi caratteristico il monte. Si troverebbe, inoltre, seppellito anche il corpo di Saturno custodito dalla figlia. E’ una leggenda che si tramanda di padre in figlio nei paesi attorno a Monte Scuderi e sicuramente ogni generazione l’ha arricchita di particolari e, vecchia com’è, è arrivata a noi con tutti gli attributi che una leggenda non può mancare di possedere.
LA LEGGENDA
"Un certo re Saturno, figlio di Urano della Fenicia prosapia degli atlantidi, diede il nome al luogo elevato e turrito su cui vi fu di casa. Era un gran vecchio dalla barba bianca, ma gagliardo ancora, che usava paludamenti d’oro e d’argento ed amava le ricche cose che egli aveva riunite nella sua vita, tanto che quando le guardava non mancava di affondarvi le mani. Un giorno sentendo le forze sfuggirgli ed avvicinarsi il gran giorno in cui doveva render conto della sua vita terrena, non potendo accettare l’idea che il suo tesoro andasse disperso, sapiente com’era in opere di magia, pensò di lasciarvi a custodia eterna la figlia. Una giovinetta bella, con gli occhi pieni di tristezza, vestita con sfarzo ed eleganza, costretta per virtù ed incantesimo ad essere, per l’eternità, la vigile custode di un’immensa ricchezza."
Sembra che il tesoro sia formato da tre mucchi enormi di monete: uno d’oro, uno d’argento ed il terzo di rame. Fanno parte di esso una chioccia e ventuno pulcini d’oro che corrono qua e là come fossero veri, pigolando e saltellando, tanto da rendere impossibile la loro cattura.
La leggenda non specifica quali altri oggetti fanno corona al nucleo principale del tesoro ma si dice che si trovano ceste preziose, collane, bracciali che da sole basterebbero a sanare tutti i guai della nostra isola.
Queste le condizioni per venire in possesso del tesoro:
Le operazioni debbono essere completate prima che l’alba si annunzi sull’Aspromonte…
Appena terminata la colazione i cercatori possono penetrare nella grotta in fondo alla quale incontreranno un gran serpente che li attorciglierà uno dopo l’altro leccandoli sul viso. Essi non dovranno avere paura, né provare disgusto, né invocare mentalmente i santi perché basta mostrar timore per annullare il lavoro fatto ed essere dispersi nelle lontane contrade. Superata la prova apparirà le bella custode del tesoro ed allora il sacerdote dovrà leggere speciali liturgie per spezzare l’incantesimo, solo allora, se le formule lette sono quelle adatte, i cercatori vedranno i mucchi del tesoro da cui sono divisi da "una grande acqua" impossibile da attraversare. Occorrono altri esorcismi prima di poter trovare una barchetta su cui potrà però prendere posto un solo cercatore alla volta. Intanto il monte tremerà tra scoppi ed ululati lontani ed il fondo della grotta diventerà rosso ed il lago invaso da onde gigantesche. Superata anche questa prova, appena tutti i cercatori avranno raggiunto l’altra riva verranno assaliti da un cavallo enorme e inferocito che girerà attorno al tesoro per impedire di accostarsi ad esso. Tutti dovranno allora restare uniti senza avere paura contando "tredici volte tredici". Solo allora la bella custode sarà liberata dall’incantesimo ed il fondo della grotta si aprirà rendendo possibile raggiungere il tesoro, la testata del torrente Itala e di scendere a valle.
Si racconta inoltre che alcuni abitanti di Alì superiore, in compagnia di un prete chiamato Rau, verso il 1800 si recarono sul Monte Scuderi risoluti di diventare ricchi. La salita ripidissima non li affaticò nonostante la corsa vertiginosa che erano costretti a fare per raggiungere la cima secondo il patto. Superate le prove preparatorie scesero nella grotta del tesoro. In fondo apparve una giovinetta bella, di una bellezza fresca ma dall’occhio malinconico, vestita sfarzosamente. Essa accorse con garbo tutta quella gente e con dolcissima voce chiese loro cosa volessero. I denari, risposero in coro ed il prete iniziò a leggere le speciali liturgie. Man mano che leggeva, la giovinetta faceva vedere i mucchi preziosi. Mentre essi credevano ormai di essere riusciti nell’impresa, la giovinetta sparì ed un cavallo enorme avanzò dal fondo della caverna tirando calci. I poveri cercatori di Alì diventarono terrei dallo spavento ma resistettero meno uno, più debole, che invocò l’aiuto della vergine. Una forza invisibile e misteriosa li sollevò in alto, fuori dalla grotta e li lanciò lontano. Alcuni si ritrovarono sulle coste della Calabria ed altri sulla cima dell’Etna.
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