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Kant - ragione pratica |
Due cose mi riempiono l'animo di un'ammirazione e di una venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me. |
CRITICA DELLA RAGIONE PRATICA
La ragione applicata al
comportamento e' la VOLONTA', Il COMPORTAMENTO che si struttura in base
all'esperienza (uguale a posteriori, condizionato dall'esperienza) e' basato
sull' IMPERATIVO IPOTETICO. A livello di eteronomia (cioè quando la ragione NON
e' AUTONOMA, non obbedisce a se stessa ma ad altri) i nostri comandi assumono
tale carattere di necessità ("se voglio essere sano DEVO prendere questa
medicina", se non voglio scottarmi e' necessario che tenga la mano lontana
dal fuoco). L'attività umana nell'ambito dell'imperativo ipotetico viene
studiata dall'ANTROPOLOGIA PRAGMATICA. IMPERATIVO
CATEGORICO come esito della ragione pura
pratica Mentre l'imperativo
ipotetico e' legato a condizioni materiali di eseguibilità' (= non e' ne'
assoluto ne' categorico ne' puro), l'imperativo
categorico è, oltre che necessario,
anche incondizionato e universale. Una
volta posto come legge universale, l'imperativo categorico e' necessario, non ha
oggetto, si pone a priori (come io devo),
non e' condizionato dall'esperienza. La volontà è la ragione fattasi pratica: in quanto propria di ogni
individuo e' capace di costituirsi legiferatrice universale: la forma
della ragione applicata al comportamento (= ragion pratica) è , a livello di eteronomia
"io voglio", mentre a
livello di autonomia è io devo (=
forma dell'imperativo categorico). La legge
morale (della quale la libertà è ratio essendi) è ciò in cui consiste l'imperativo
categorico. In che cosa consiste? Nella virtù? Nella felicità? Non può
ridursi al perseguimento della felicità (il fare per altro sarebbe indice di
imperativo ipotetico, non categorico) bensì nella realizzazione da parte
dell'uomo della finalità che gli è propria. L'imperativo categorico, essendo
pura forma, non è immediatamente esemplificabile. Lo sono però le massime del comportamento individuale (in cui si concretizza
attraverso un giudizio sintetico a priori, l'imperativo categorico): quella che
esemplifica l’universalità' è la
massima per cui la tua azione per tua
volontà diventa legge universale per tutti. La massima che esemplifica l' incondizionalita'
è quella per cui la tua azione è fatta
in modo da trattare l'umanità (sia nella propria persona che nel prossimo)
sempre come fine mai come mezzo. |
Il problema morale e il mondo intelligibile come libertà.
tavola dei MOTIVI ETICI teorizzati dai filosofi (Fondaz. della Metafisica dei Costumi BA88-96; Cr. Rag. Pratica A69-71) | |||
SOGGETTIVI | OGGETTIVI | ||
esterni | interni | interni | esterni |
dell'educazione (Montaigne) | del sentimento fisico (Epicuro) | della perfezione (Stoici, Wolff) | della volontà di Dio (moralisti teologi, Crusius) |
del governo civile (Mandeville) | del sentimento morale (Hutcheson) |
Kant ha riassunto le posizioni etiche dei filosofi a lui precedenti, evidenziando come i motivi alla base delle varie morali non riuscissero a preservare l'incondizionatezza della legge morale. I motivi soggettivi (p.e. l'educazione, la società, il sentimento) erano mutevoli, quelli oggettivi (la perfezione divina, la volontà divina) subordinano la volontà dell'uomo a quella divina: in tutti i casi la morale cessa di essere libera e disinteressata.
L’io, oltre che soggetto di conoscenza, è anche soggetto di moralità: ossia si sente sottoposto alla legge del dovere, che è incondizionata (imperativo categorico), tale cioè che per essa l'autocoscienza si afferma come indipendente da ogni condizione empirica. Il dovere infatti non impone nessun fine determinato (tutti i fini determinati sono particolari e relativi a certe situazioni empiriche, di fatto), il dovere impone soltanto che ogni fine sia voluto nella forma della razionalità, cioè in quanto rientrante in un ordine universale; e che qualsivoglia azione non sia valutata per il risultato, ma per il motivo che l'ha guidata (il dovere per il dovere: la volontà buona è il solo fine assoluto). L'uomo, quale soggetto di dovere, quale persona, avverte sé come l'essere senza il quale nulla avrebbe valore al mondo, e vede nelle cose mezzi per la realizzazione della sua spiritualità. |
Critica della ragione pratica | |
facoltà | facoltà di desiderare (BUONO) | |
principio a priori | imperativo categorico della ragione | |
ambito di applicazione | Libertà (mondo noumenico) |
Ora l'imperativo categorico e l’assoluta dignità della persona umana sarebbero parole vane, se l'uomo fosse solo un essere naturale, cosa tra cose, soggetto alla necessità meccanica che domina nel mondo dell'esperienza fisica. Del resto, già nella conoscenza, il fatto che l’io sia esso, con la sua attività sintetica a priori a creare il mondo della natura e della scienza, sta a dimostrare che esso non è oggetto dell’esperienza, ma ne costituisce come il limite superiore: l’attività “formativa" della ragione pura teoretica può esser considerata come indizio d’una “cosa in sé”, d’una “realtà noumenica” ben più significativa di quell'oscura «cosa in sé», da cui provengono le impressioni sensoriali, limite inferiore del mondo dell’esperienza. Ma nella ragion pura pratica, nella volontà buona l’io è attività che decisamente si svincola da ogni dipendenza dalla realtà fisica; l'uomo avverte sé come autonomo, come libero, libero nella legge che è espressione della sua stessa natura razionale. La libertà è il presupposto necessario del dovere: debbo, dunque posso. La volontà morale è pertanto il tipo della cosa in sé, che agisce fuori della concatenazione meccanicistica propria della natura. In essa il mondo intelligibile ci si rivela come il mondo della il libertà, come un “regno di fini”, ossia comunione di spiriti nell'amore disinteressato del Bene. |
"Critica" irrazionale del razionale kantiano PAPINI 1906 importa nel clima italiano il pragmatismo e lo innesta nel futurismo. In un testo divulgativo di successo inteso come "saggio di filosofia futurista" demolisce tutti i filosofi sistematici proprio a partire da Kant. Ecco in sostanza le sue critiche alla morale kantiana: 1) la volontà buona (der gute Wille) razionale e universale nasce da una spinta che a sua volta Kant appoggia su qualcosa di non razionale, vale a dire sul sentimento (di derivazione rousseauiana) dal quale si costruisce il postulato dell'eguaglianza che a sua volta si lega all'altruismo (tutti hanno i nostri stessi bisogni e diritti). La morale, che voleva essere la voce della Vernunft-, ragione diventa la serva del Gefühl-sentimento. 2) la libertà - che manca nel mondo dei fenomeni guidato da ferrea necessità - viene recuperata a livello dell'anima, vale a dire a livello del noumeno, fuori dal tempo. Ma a tale livello la giustificazione della libertà no è più (come invece doveva essere in partenza)libertà razionalmente dimostrata. Essa diviene solo sentimentalmente dimostrata. "Voleva fare una morale scientifica e ne ha fatta una sentimentale; voleva farla universale e non s'è accorto che la disuguaglianza umana lo rende inconcepibile; voleva farla indipendente e l'ha fatta schiava dell'istinto; la voleva dominatrice ed ha finito per renderla ingenua" (PAPINI 1906,18). Alla fine dell'operazione papiniana però, salta fuori un autore che si appella ad un suo sistema: a partire dall'utilitarismo e dall'importanza basilare data al sentimento si approda all'irrazionalismo, all'irrisione del pacifismo. Da questo humus nasce 13 anni dopo il programma mussoliniano di Sansepolcro e l'ideologia fascista. |
"Attraverso il dolore, la sventura e la sconfitta,
sulle orme dell'antica filosofia stoica e alla scuola dell'unica eroica
filosofia moderna, ho imparato a superare la paura e il dolore; ho imparato
ad essere felice"
Bartolomeo Vanzetti, lettera alla sorella, cit. in Ferraris 2004 |
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