Circolo PRC delle telecomunicazioni di Roma
- IL TELELAVORO -

indice :
| introduzione | globalizzazione ,remotizzazione e telelavoro | aspetti sociali e medico psicologici | conclusioni | proposte |

- INTRODUZIONE -

Attraverso analisi di temi legati alla applicazione della Democrazia nelle e mediante le telecomunicazioni, i comunisti del Circolo TLC di Roma, evidenziano come sia ancora grande il divario tra l'etica e la realtà. La filosofia e l'etica ci propongono come dovrebbe essere il mondo, mentre la realtà ci offre un utilizzo distorto della politica e della scienza con la conseguente aberrazione della finalità per le quali vengono impiegate le nuove tecnologie, asservite all'economia ed al Capitale. Riflettere su queste implicazioni può servire a facilitare il compito di quei compagni che nella politica vedono in prospettiva il bene del pianeta e non solo di una parte ristretta della specie umana. Questa ricerca, con tutti i suoi limiti culturali, informatici o politici, ci auguriamo possa rivelarsi utile al lavoro di altri gruppi. Siamo a disposizione per ulteriori analisi e/o compendi, al fine di affrontare a breve e pubblicamente questa delicata tematica.

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- GLOBALIZZAZIONE, REMOTIZZAZIONE E TELELAVORO -

Negli Stati Uniti durante i primi anni settanta emerge, in modo indifferibile, l'esigenza di deregolamentare le logiche concertative del Capitale e perciò della finanza, che oramai logore, hanno condotto quel Paese dentro una stagflazione interna con il conseguente crollo del sistema Bretton Wood, controllore di commercio e scambi internazionali. Gli accordi di Bretton Wood risalivano al luglio 1944 e fu in quella circostanza che nacquero la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale. Tale degenerazione finanziaria, sfociata in una crisi ineluttabile, determina il passaggio da un sistema globale, già ampiamente controllato dagli Stati Uniti, ad un altro genere di sistema globale, maggiormente decentralizzato, ma ora coordinato dal Mercato e dalle sue regole. Questa "osmosi finanziaria" si risulta con l'effetto di aver reso le condizioni economiche del Capitalismo più instabili e volubili ed è accompagnata, peraltro, da una retorica ingannevole che ha avuto in gestazione il termine diventato tanto invasivo e positivo nell'attuale dialettica economico-politica: globalizzazione. Questo neologismo, studiato ad arte per convincere tutto il mondo finanziario di una importante novità economica, si rivela invece nel suo disciogliersi un gioco di prestigio economico-propagandistico per realizzare una generale e necessaria messa a punto nel sistema della finanza internazionale. Già negli anni sessanta si assisteva ad uno dei fenomeni più importanti del mondo economico, che registrava però una sequela di ripercussioni negative sul piano politico e sul sociale ancora oggi non risolta ma, piuttosto, cronicizzata; la de-localizzazione della produzione. Questo fenomeno, ordito dalle forme organizzate del Capitale e ad esse funzionale, si generalizza rapidamente, dando vita ad una dispersione geografica dei sistemi produttivi e ad una loro frammentazione che incidono, altresì, sulla divisione del lavoro e sulle specializzazioni delle funzioni. Tutto ciò, va di pari passo con l'aumento di centralizzazione del potere delle grandi corporazioni. Quest'ultime detengono così il potere di dominare e di condizionare le realtà locali politicamente, economicamente e socialmente. Ma oggi, a tre anni dal duemila, qual'è il quadro economico che ci riservano i grandi gruppi di potere del Capitale internazionale e quali contraccolpi subiremo sul piano politico e sul piano sociale? E' bene evidente che il Capitalismo può subire rallentamenti temporali, ma non si arresta. Diversamente, cambia pelle ma non la sua natura. Lo scopriamo, perciò, intento ad eliminare ogni barriera spaziale e, come ha preconizzato Marx, ad "annichilire lo spazio attraverso il tempo". L'idea di ridurre costi e tempi degli spostamenti è sempre stata precipua per l'innovazione tecnologica ed oggi, le Telecomunicazioni prima e la rete informatica dopo, hanno ottenuto a riguardo risultati molto soddisfacenti ed in costante evoluzione. Il sistema di comunicazione di massa e la "rivoluzione informatica" hanno introdotto significativi cambiamenti nell'organizzazione della produzione e di conseguenza hanno ridefinito i consumi, i bisogni e le esigenze dell'uomo. Lo spazio scompare o, come amano pronunciarsi gli addetti ai lavori, si de-materializza, grazie al continuo proliferare delle reti informatiche di interconnessione ed alla affermazione mondiale dei personal computer, infatti, si è giunti alla creazione del così detto Cyberspazio, un non-luogo ove il Capitale internazionale ha già affondato le proprie radici, rendendolo un teatro virtuale di importanti transazioni finanziarie e borsistiche decisamente speculative quanto virtuali. Questi movimenti, speculativi e virtuali, già superano di gran lunga quelli dell'economia reale. Economia virtuale quindi, o cybereconomia, che imponendosi porta con se la logica della deterritorializzazione, affermando il principio che potremmo recitare così: "economia virtuale in tempo reale". Un'economia, perciò, che si fonda sempre più su itinerari informatici di comunicazione e che ogni giorno movimenta, digitalmente, migliaia di miliardi di dollari via cavo o via satellite. Questa situazione inedita per i Governi mondiali, pone loro la pressante esigenza di disciplinare taluni flussi monetari, subordinandoli ad una severa regolamentazione che consenta un necessario controllo di registrazioni e transazioni finanziarie da parte dei livelli politici. I Governi di tutto il mondo non possono e non devono esimersi dall'approvare una risoluzione atta a garantire che le distese del cyberspazio non vengano abbandonate alle speculazioni parassitarie delle mafie (riciclaggio di denaro sporco proveniente da commercio di armi e droga) e che in "luoghi di non-Stato e non-diritto" queste trovino il loro paradiso fiscale virtuale. Soprattutto dovranno essere garantite le definizioni dei confini di Stato nel cyberspazio. Questa delicata situazione potrebbe essere, oltremodo, una fondamentale occasione per restituire strategicamente alla Politica il giusto primato sull'economia che, da quando l'alta finanza ha pervaso il mondo politico, ha ovunque contaminato e sempre determinato gli orientamenti e l'operato dei governi a palese appannaggio di grandi burattinai e di lobby più o meno occulte. Certo è che Mercato ed informatica costituiscono una dualità funzionalmente solvibile e minacciano una serie di sconvolgimenti nel pensiero e nel comportamento umano, a cominciare dalla ridefinizione del rapporto tra l'uomo e lo "spazio-tempo"; un rapporto che si è continuamente emancipato e che oggi è giunto ad un apogeo storico, che vede l'essere umano superato in viaggio dalla velocità delle sue conquiste tecnologiche. Questa realtà ingenera nell'uomo, una serie di interrogativi esistenziali che non investono solamente il terreno scientifico-tecnologico, ma l'intera sfera dello scibile umano, non ultime le scienze umane. Infatti, tale rivoluzione dell'informatica, così presente ai giorni nostri, immette nel tessuto sociale una serie di novità per l'uomo che prendono corpo nelle puntuali modificazioni delle dinamiche del lavoro, delle relazioni tra vita e lavoro ed in quelle sociali. Negli ambienti lavorativi stanno cambiando rapidamente le forme culturali a fronte di questo avanzamento continuo delle tecnologie elettroniche. Ed è proprio nel lavoro, cioè nel mondo di maggior coinvolgimento per l'essere umano, che si registrano significativi fermenti. Anche in Italia, grazie alla affermazione tecnologica, si riscontra, ora, un proliferare di aziende così dette "leggere", le quali si formano agilmente offrendo lavoro part-time, flessibile o telelavoro, giustamente retribuiti senza però, la garanzia di una costanza di rapporto. Ed ancora, in Italia è stato varato un progetto presentato dall'Istituto di Ricerca di CGIL, CISL, UIL e dalla Commissione Europea approvato e finanziato, che coinvolge anche realtà sindacali, scientifiche, aziendali e politiche di altri paesi e si propone la definizione di norme per i contratti di telelavoro, valide a livello comunitario relativamente a tipologie differenziate di telelavoratori. Riteniamo doverosa una puntualizzazione che riguarda questo nostro documento sul telelavoro: il nostro lavoro è libero da ogni forma pregiudiziale di analisi, fatta salva la convinzione (irrefutabile) che ogni traguardo tecnologico raggiunto dall'uomo può trovare diverse modalità attuative e che, purtroppo, non sempre quest'ultime sono risultate funzionali al benessere ed al progresso culturale dell'essere umano. Perciò lasciamo fuori dall'analisi (con non poco disagio) la perversità di un mondo che dedica le sue continue conquiste scientifiche ad una sola porzione di popolazione e non a tutta. Definire il telelavoro, considerandone gli aspetti già esistenti e quelli futuribili, richiede capacità di sintesi ma anche intuizioni proiettive. Il telelavoro è una tipologia di lavoro: si configura per quei lavoratori che svolgono un'attività produttiva enucleata dal contesto fisico della propria sede di lavoro. Ma chi sono realmente le "telefigure"? Le applicazioni che si possono ottenere da questa innovazione lavorativa sono molteplici, come si può ben immaginare. Basti pensare alle varie attività con contenuto comunicativo ben definito: realizzazione di programmi, estrazione o aggiornamento di dati in archivi, rapporti telefonici con la clientela o con filiali ... Molto più limitato l'uso del telelavoro, invece, per quelle attività che si occupano delle organizzazioni delle risorse, coloro che prendono microdecisioni e sono situati in livelli intermedi della struttura aziendale: coloro che hanno il compito di dirigere, affidare direttive, verificare i risultati ottenuti, gestire le attività comunicative dell'azienda, come le segretarie ... Quindi il lavoratore, avvalendosi di un collegamento telematico con l'azienda, opera presso la sua abitazione (telelavoro a domicilio), ma può anche essere telelavoratore mobile fornito di PC portatile, modem-fax e telefonino cellulare (working-out) o, ancora, operare presso centri attrezzati, vicini alla propria abitazione, cioè centri satellite e palazzi intelligenti (telelavoro remotizzato). Nel caso specifico di telelavoro a domicilio, il lavoratore utilizza una postazione installata ergonomicamente dall'azienda e che dispone di un computer, una stampante e fax connessi tramite modem ad una linea telefonica. Con queste apparecchiature, egli può interagire costantemente con la sede del suo ufficio fornendo la prestazione lavorativa. Lavoro a distanza, quindi; questa modalità di offrire-fornire la prestazione lavorativa, è stata fino ad oggi auspicata ed adottata da Società condizionate da crisi aziendali, che imponevano loro l'immediata riduzione di taluni costi. In effetti, il "ritorno" aziendale in termini di profitto è sostanziale, perchè, a fronte di un investimento iniziale che si aggira intorno ai dieci milioni (tale è il costo stimato per l'installazione di una postazione in dotazione o comodato d'uso nell'abitazione del lavoratore), la Società ottiene grandi risparmi logistici in termini di spazio, flessibilità, costi del lavoro e soprattutto un aumento della produttività del dipendente quantificabile tra il 15 ed il 30 per cento, rispetto ai colleghi in ufficio. Paesi come la Francia, gli Stati Uniti, l'Australia, il Canada, hanno già siglato accordi di sperimentazione del telelavoro tra azienda e sindacato, seppur mancanti ancora di quei fattori poco considerati come la tutela del lavoratore e gli effetti del telelavoro sulla persona, da intendere ancora come "essere umano". In Italia sono sei finora le imprese che si sono avvicinate alla contrattazione sul telelavoro: la DUN&BRADSTREET, l'ITALTEL, la DIGITAL EQUIPMENT, la SARITEL, la SEAT e la TELECOM ITALIA. Il caso Telecom, ad esempio, che nell'ambito del suo progetto di "remotizzazione" del lavoro ha proposto l'adozione del telelavoro, ci insegna come questa azienda si sia oltretutto avvalsa di un passaggio d'orario lavorativo da pieno a parziale, posto come pregiudiziale al dipendente telelavoratore, con tutto ciò che ne consegue a livello retributivo e contributivo. Non è tutto. La proposta-accordo prevede che l'orario di lavoro venga stabilito dall'azienda e che la scelta di "telelavorare" non sia reversibile prima di anni tre. Esistono molti rischi da dover eludere nell'adozione di questa pratica lavorativa. Tra i primi, senz'altro, quello che riguarda l'inquadramento giuridico. Chi si presta all'attività di telelavoro è un lavoratore dipendente o autonomo? Nel nostro diritto esistono almeno cinque inquadramenti giuridici per il telelavoro: tre da lavoro autonomo e due da lavoro dipendente. Inoltre è bene rammentare, a tal riguardo, anche l'art.4 dello Statuto dei lavoratori che, seppur risalente agli anni settanta, nel primo comma recita il divieto assoluto "...dell'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori". Le confederazioni sindacali, che già dal 1994 si sono occupate di telelavoro, hanno stipulato i contratti con talune aziende dovendo necessariamente tener conto di quanto impone questo articolo dello Statuto dei lavoratori. Il controllo tramite il terminale non sembrerebbe ammissibile a livello giuridico a meno che, non si scinda il controllo sulla privacy da quello sull'adempimento della prestazione. Quindi, ci troviamo in una posizione di contrarietà a fronte di un controllo da parte dell'azienda sul lavoratore tramite l'uso di software di rete (ad esempio la verifica sulle connessioni effettuate e quindi sul lavoro che si sta svolgendo). E' piuttosto evidente che tale innovazione risulta essere tanto inedita, per ciò che riguarda il mondo del lavoro e le sue regole, quanto rivoluzionaria per le possibili ripercussioni sulla sfera privata e sociale del lavoratore. Infatti, pur essendo avviate varie forme di telelavoro, in Italia si lamenta, appunto, un vuoto normativo-legislativo specificamente alla questione. E' quantomeno intuibile come il telelavoro, per affermarsi in modo efficace, abbia bisogno di una decisa virata culturale nella maniera di intendere il rapporto lavorativo da parte delle aziende. Quest'ultime devono stravolgere, ribaltandola, la concezione palesemente datata di misurare l'efficienza-efficacia del lavoratore correlandole unicamente alla somma di ore che egli presenzia la scrivania in ufficio. La funzione di controllo delle aziende dovrà perciò spostarsi dal controllo di presenza continua del lavoratore al suo posto, alla valutazione del suo prodotto lavorativo. Ovvero, l'ufficio (o servizio che sia) va ripensato in una nuova ottica, cioè in quella di una emancipazione lavorativo-relazionale più aderente alle realtà sociali, occupazionali e non; solo allora potrà prender corso, in gran parte degli ambiti lavorativi mondiali, quella "palingenesi culturale" così tanto attesa (dai lavoratori) quanto indispensabile. Il telelavoro, perciò, a nostro avviso può essere una pratica lavorativa ulteriormente reazionaria, oppure essere un paradigma rivoluzionario per il mondo del lavoro. Quindi, affermazioni come quella fatta dal sociologo prof. De Masi, fondatore e presidente della S.I.T. (Società Italiana Telelavoro), il quale spera che in Italia non ci sia mai una legge riguardo il telelavoro, ed auspica invece una mera contrattazione tra le parti, a nostro avviso possono condizionare distortivamente una informazione già ampiamente veicolata nel nostro Paese e che risulta unicamente funzionale agli interessi delle aziende e del Capitale. Nessuno si è fatto portavoce, in maniera visibile, del pensiero di telelavoratori sclerotizzati da anni di questa attività. A conferma di queste nostre preoccupazioni, oggi, sull'utilità del telelavoro si può leggere ed ascoltare una serie di motivazioni che risultano essere inoppugnabili per come vengono proposte. Gli Stati Uniti, per esempio, che sono maestri dell'informazione ingannevole, ci narrano che a Los Angeles hanno predetto quanto segue: il manto stradale di quella città godrà di maggior durata grazie all'adozione del telelavoro. Questa tattica informativa caratterizzata, oltremodo, dai toni sensazionalistici della propaganda americana, è vero, ci preoccupa; nessuno di noi è mosso da ostilità preconcetta nei riguardi del telelavoro, ma piuttosto vogliamo capirne ogni aspetto ed ogni possibile ripercussione sull'individuo e pertanto ci rifiutiamo di metabolizzare il telelavoro a "stelle e striscie" in maniera acritica. Ci rifiutiamo, cioè, di intendere il telelavoro nel modo proposto da talune immagini pubblicitarie per le quali è un'innovazione nel mondo lavorativo che consente di offrire la propria prestazione comodamente in casa, oppure digitando la tastiera distesi sul proprio giardino; che decongestiona il traffico; che protrae la durata dei manti stradali; che riduce l'inquinamento ed il pendolarismo. Tra queste false preoccupazioni ambientalistiche anche noi riconosciamo degli indizi con una possibile valenza positiva (ma non taumaturgica). La nostra analisi, invece, si muove dall'idea troppo spesso e volutamente confinata di individuo-lavoratore; e si articola su un percorso dissimile da quelli conosciuti. La rivoluzione tecnologica è già in atto. L'informatica esercita un grande potere illusionista. E' un potere totalmente asservito ai grandi Capitali che lo sfruttano, diffondendo un'intensa campagna ideologica per imporre alle masse gli orientamenti fondamentali della pianificazione monopolistica. Le costanti conquiste dell'informatica e successivamente della telematica, sono diventate strumento delle aziende per poter subordinare l'intera loro attività sul piano tecnico, economico e sociale ai rigidi imperativi del Profitto. Perciò, quando ci vogliono far credere che l'informatica è una scienza che favorisce la socializzazione, a noi piace affermare una nostra convinzione apparentemente paradossale: a tre anni dall'inizio del terzo millennio nell'era delle tele-comunicazioni, cresce preoccupantemente l'incomunicabilità tra gli individui. Questo fondamentale elemento di riflessione (verificabile grazie alle numerose indagini sociologiche) non mette in discussione la bontà delle imprescindibili innovazioni tecnologiche, ma piuttosto le loro strumentali ed esiziali utilizzazioni. Il punto di vista marxista su tale tematica è illuminante: esso abiura energicamente l'idea di considerare un errore l'impiego della tecnologia, in quanto la tecnologia ha rilevanza umana ed influsso sull'intera società. Inoltre pone in evidenza il nesso vitale tra cambiamento tecnico, struttura del potere, vita familiare del lavoratore, relazioni interne della famiglia, mercato del lavoro e sistema politico. Questo senso del nesso tra i vari aspetti del processo vitale non può mai venire meno in un'ottica di analisi marxista. Ogni modificazione nell'attività di lavoro prodotta da un cambiamento (innovazione) tecnico, corrisponde ad un mutamento di atteggiamento del lavoratore verso il proprio lavoro, i colleghi ed i suoi responsabili; tutto questo si accompagna, naturalmente, ad ulteriori implicazioni sociali. Noi riteniamo, con forte convinzione, che ogni grande traguardo tecnologico raggiunto dall'uomo, si attesta in un punto di una ipotetica scala valori, unicamente determinato dal contesto socio-politico dove va a configurarsi. Parimenti, per l'introduzione del telelavoro nell'organizzazione lavorativa siamo convinti che, al di là di ogni consenso che riscuote tale neologismo, occorra principalmente che siano i lavoratori a volerlo e che il suo avvento si traduca in un sensibile miglioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro, affinchè si possa favorire l'obiettivo di un rapido ed armonico sviluppo dell'economia nazionale. Di converso, ci troveremo (come già accade) di fronte a forme inique di telelavoro che prevedono contratti interinali e quindi la crescita di società che "vendono-affittano telelavoratori", i quali, dipendendo da una apposita ditta, ma lavorando per molte altre, vedono invalidata ogni forma di contratto collettivo di lavoro e perciò di tutela sindacale. A nostro parere, non deve essere assolutamente trascurata la tendenza strategica del Mercato (la cui regia, come detto, è del grande Capitale) a modellare il lavoratore del duemila coartandolo ad una caratterizzazione autonoma. Tale "autonomia", così puntualmente espressa dall'Avvocato G. Agnelli e prontamente echeggiata dal sistema informativo, altro non è che un forte monito ai lavoratori, affinchè si facciano carico della nuova dottrina della flessibilità. L'arte dell'arrangiarsi, quindi. Infatti, la tendenza all'eliminazione del posto fisso, verso la quale si agisce da tempo, porta dunque ad una coatta assunzione di responsabilità da parte del lavoratore che, per non trovarsi fuori dal mondo del lavoro, dovrà ubbidire al nuovo assioma: - organizzati nella tua autonomia flessibile -. Il rischio che stiamo correndo è quello di scoprire un mondo del lavoro dal quale emergono figure di lavoratori (o telelavoratori) integrati in una dimensione di "cottimo tecnologico" che risulterebbe drammatico per i sistemi sociali di tutto il Pianeta. La scomparsa di distinzione spaziale e quindi la coincidenza dell'abitazione con l'ufficio, non necessariamente vengono vissuti in modo positivo o proficuo dal lavoratore. Piuttosto, egli, subisce il conflitto tra la casa-dimora e la casa-ufficio e (come testimoniano alcuni telelavoratori intervistati) il suo orario di lavoro tende ad "elasticizzarsi" sempre più, ad allungarsi, affinchè tutte queste piccole "ditte in salotto" aumentino la loro produttività lontano da indiscrete organizzazioni sindacali e da pericolose relazioni collettive. Questa finalità padronale, oltretutto, può risultare micidiale qualora il telelavoro cresca in regime di deregolamentazione, in quanto in assenza di regole e mancando di confini geografici, lo spazio diventerà inequivocabilmente il nuovo proscenio dello sfruttamento della mano d'opera più economica, ovunque essa si trovi dislocata sul pianeta. Una attrazione irresistibile per le aziende.

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- ASPETTI SOCIALI E MEDICO-PSICOLOGICI DEL LAVORATORE -

Ci concediamo volentieri alcune osservazioni di carattere medico-psicologico stimolateci da una rivista specializzata e relative all'attività di un telelavoratore ma che sono, peraltro, estendibili a coloro i quali operano quotidianamente con un sistema videoterminale. Gli studi e le ricerche mediche e psicologiche dedicati all'individuazione dei fattori di nocività (ed alla loro eziologia), connessi all'utilizzazione reiterata del videoterminale, dagli anni settanta in poi si sono significativamente moltiplicati in Italia ed all'estero. Riguardo gli aspetti psicologici dello stress da lavoro al videoterminale, occorre fare una importante puntualizzazione e cioè che il rischio psicologico si relaziona al tipo di mansione a cui gli operatori sono addetti (analisti-programmatori o videoterminalisti, etc...). Le cause e gli effetti dello stress variano in funzione dell'attività che si svolge al terminale. Per esempio un lavoratore con alto livello di qualificazione professionale (analista, programmatore, progettista,etc...) corre il rischio, durante la sua attività, di non avvertire l'insorgere del "sovraccarico mentale"; ed il suo coinvolgimento con la macchina "umanizzata" lo porta ad una tale dedizione che talvolta lo depriva della percezione del tempo. La "fatica mentale" non avvertita, dopo un dato tempo però "esplode", portando esiti di improvvisi e inaspettati "crolli psicologici". Un altro rischio, molto insidioso dal punto di vista psicologico, è dato dalla necessità, che tali operatori acquisiscono, di adattare il modo di ragionare umano a quello artificiale e logico del computer, esportando quest'ultimo fuori dal lavoro nei rapporti sociali. Può accadere, cioè, che la "logica della procedura" diventi, per loro, la forma ottimale di analisi dei problemi; ma trovando nei rapporti interpersonali e sociopolitici irrazionalità e contraddizioni li vivranno in maniera fastidiosa e svilupperanno perciò la tendenza a rifiutare le confuse informazioni provenienti dalla realtà, per sentirsi a proprio agio solo nell'universo coerente dei simboli formalizzati. Ora di fronte a questa drammatica possibilità, i nostri pensieri - soventemente tacciati di vetero-comunismo - non possono esimersi dall'agitare lo spettro di un moderno controllo sociale, ugualmente efficace e mascherato dalla pulita eleganza della tecnologia. Diversi, ma più evidenti, sono i rischi per il lavoratore esecutivo al terminale video, per il quale la comunicazione con il sistema-macchina consiste nella monotona applicazione ripetitiva di procedure, la cui architettura è stata progettata da altri e dei quali non si conosce il significato. La comunicazione uomo-macchina è qualitativamente povera, richiede conoscenze professionali limitate e si esaurisce nell'eseguire con diligenza e correttamente l'immissione dei dati nel terminale. Questo provoca la sensazione di esclusione dalla comprensione del ciclo produttivo, una scarsa identificazione nel proprio lavoro ed una graduale caduta della motivazione. La macchina, inoltre, esercita una forte pressione temporale (che impedisce di procedere ai propri ritmi), che, associata alla limitata interazione, genera nel lavoratore una perdita di controllo del suo impegno mentale, necessariamente demandato al terminale. In questo contesto impersonale e virtuale si può verificare una stressante "compressione" della sfera emotiva. Se io ho un capo, lo posso contestare, posso spiegargli come ho ragionato per fare una cosa; con la macchina (videoterminale) no, la cosa finisce lì, non puoi discutere e questo agisce sulla salute mentale dell'operatore. Si produce una forte componente di stress ed insoddisfazione verso il proprio lavoro. Ed ancora l'isolamento, la riduzione delle opportunità di dialogare durante il lavoro, incidono notevolmente sulla sensazione di benessere psicofisico fino a provocare frustrazione e fenomeni d'alienazione. Queste macchine portano ad un completo individualismo ed isolamento. E' bene, infine, ribadire anche le complicazioni non psicologiche per coloro che lavorano costantemente con un videoterminale: possiamo sintetizzarle ricordando l'azione sull'individuo delle radiazioni ionizzanti, l'influenza delle radiazioni elettromagnetiche, le condizioni climatiche, le costrizioni di natura posturale, il carico e i disturbi della funzione visiva. Patologie come l'astenopia, causata da un prolungato tempo di permanenza dinanzi un videoterminale, sono superficialmente presi in considerazione a livello contrattuale. Ed è bene ricordare che, dal 1 gennaio 1997, è finalmente in vigore la legge 626 di concertazione europea, la quale, enuncia una serie di misure obbligatorie, ad onere dei datori di lavoro, da adottare a tutela dei lavoratori. Purtroppo l'Italia, a differenza degli altri paesi della Comunità Europea, si è distinta per aver totalmente eliminato la parte della legge riguardante il lavoro al video-terminale. Questa manovra, a nostro avviso estremamente grave, elude un aspetto fondamentale ed altresì necessario, per la sicurezza dei lavoratori soggetti all'inarrestabile sviluppo tecnologico.

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- CONCLUSIONI -

E' indubitabile che in questo scenario, ove s'andrà a collocare la nuova modalità lavorativa del telelavoro, il ruolo agìto dalle Organizzazioni Sindacali risulta essere fondamentale. Tra i tanti compiti che dovrà osservare il Sindacato, questi dovrà fare in modo che non sussista alcuna possibilità attuativa di forme di contrattazione privata tra azienda e lavoratore; affinchè non si legittimi il concetto di telelavoratore a noleggio e ancora per far si che il telelavoro venga inteso come una eventuale risorsa tecnologica tesa a generare occupazione e non ad aumentare le drammatiche percentuali della disoccupazione. Il Sindacato, inoltre, dovrà adoperarsi per far rispettare alle aziende tutto ciò che verrà contrattualizzato sul telelavoro, con uno sguardo privilegiato alla donna, che nella condizione di madre-lavoratrice (produzione e ri-produzione) può trovare in questo tipo di lavoro invece di un accomodamento della sua condizione lavorativa, una riaffermazione della concezione sessista del lavoro stesso. La donna, che per anni ha rivendicato la sua emancipazione e la sua posizione di uguaglianza nella società, si trova, con il telelavoro, in una condizione di ritorno alle pareti domestiche, di minore socializzazione al di fuori della propria vita familiare e quindi, di arretratezza individuale; cioè uno sfruttamento più "emancipato ed innovativo" subìto intimamente tra le mura domestiche. Ma ancor più delle Organizzazioni Sindacali, potrà influire sull'affermazione del telelavoro, l'azione dei parlamentari, i quali sono tenuti a compensare un vuoto legislativo che attualmente non favorisce certo l'introduzione trasparente di forme di telelavoro nei contratti collettivi di lavoro

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- PROPOSTE -

La nostra proposta come Circolo TLC del PRC si articola su più livelli. Siamo in giusta sintonia con la proposta, già rivendicata da ampie parti della sinistra, di lavorare ad un codice di regolamentazione del telelavoro per ciò che concerne tutti gli aspetti possibili ed imprescindibili di questa attività lavorativa, rispettando però, ossessivamente, un precipuo punto di veduta: i bisogni individuali e sociali dell'essere umano che, naturalmente, diventano i bisogni collettivi dei lavoratori. Tra questo pensiero e la messa in atto contrattuale, individuiamo alcuni punti rilevanti:

- Volontarietà di telelavorare -

E' importante che ci sia volontà, da parte di chi dovrà telelavorare, ad accettare questo tipo di attività e, allo stesso tempo, il diritto innegabile di poter ritornare al suo posto originario nell'ambito aziendale qualora questa soluzione non risulti gradita al lavoratore o non risponda alle sue aspettative; per impedire qualsiasi forma di ricatto, da parte delle aziende, che porterebbe il lavoratore ad una perdita dei diritti sindacali acquisiti nel tempo.

- Tutela della salute -

Nella pratica quotidiana il lavoratore, soggetto a ritmi stressanti e a continue pressioni da parte di aziende, che ritengono qualità del servizio e flessibilità più importanti della salute stessa dei propri dipendenti, dimentica poi quali sono i suoi insindacabili diritti, a discapito della qualità della sua vita. Chi telelavora, incorre maggiormente in questa problematica, in quanto, non subendo alcun tipo di controllo superiore diretto, viene a mancare di una giusta regolarizzazione dell'orario massimo di video-lavoro. Da evitare assolutamente l'esempio di alcune aziende che, mancando di una seria regolamentazione per ciò che riguarda la retribuzione, come ad esempio il calcolo sul lavoro effettivamente svolto, costringono i propri dipendenti, seppur non in modo esplicito, a fenomeni di iperattività, trasformando così il lavoratore dipendente in lavoratore a cottimo.

- Tutela della privacy -

A fronte di problemi riguardanti il controllo sul lavoratore, costretto ad operare fuori dai soliti siti aziendali, si propone un riscontro dell'operato svolto, interpellandolo, in determinati momenti della giornata prestabiliti, tramite mezzi di comunicazione classici (telefono, fax, etc...), in rispetto ai principi fondamentali sanciti dall'art.4 dello Statuto dei lavoratori.

- Segretezza -

Il problema della segretezza delle informazioni è un qualcosa dal quale tanto le aziende quanto i lavoratori, devono assolutamente tutelarsi. Con la remotizzazione del lavoro fuori dai soliti siti aziendali, viene ad aumentare il rischio delle facili intercettazioni dei dati che transitano nelle reti di comunicazione. Chi si trova a svolgere lavori che richiedono la visione di archivi a consultazione privata (vedi dati anagrafici, informazioni personali,...), incorre in particolar modo in questo tipo di problematiche. Le moderne tecnologie del settore propongono sistemi di cryptaggio, ovvero modifica casuale, dei dati che transitano in rete, rendendo così, i dati stessi, non intelligibili a personale non autorizzato (sistemi già in uso presso i servizi bancari). Per la tutela delle informazioni inoltre, è importante fornire, chi telelavora, di passwords personalizzate (parole chiave, badges magnetici,...), affinchè sia l'azienda che il lavoratore stesso si facciano garanti della sicurezza sui dati archiviati.

- Isolamento -

Un rischio che viene a manifestarsi per il lavoratore, con l'introduzione di forme di telelavoro, riguarda accertate problematiche derivanti dall'esclusione e dalla mancanza di contatti sociali. Il totale distaccamento dall'ambito aziendale è assolutamente controproducente per il carattere formativo di chi lavora (progresso senza crescita individuale). Anche nell'ambito familiare, siamo davvero pronti ad abbandonare le nostre abitudini lavorative, i colleghi, i rapporti con i superiori, che tanto fanno parte ormai della nostra vita quotidiana? Questa emarginazione e perdita di professionalità, non si identifica naturalmente in modo omogeneo per tutte le categorie di lavoratori. Ci sono infatti figure professionali, che già suddividono il proprio lavoro tra quello svolto in azienda e quello da realizzare in casa. Sono le cosiddette categorie forti, composte da professionisti i quali svolgono lavori che non prevedono contatti sociali nell'ambito aziendale e quindi non sentono gravare particolarmente su di loro il problema dell'isolamento. Il problema colpisce però maggiormente quella categoria di lavoratori che si trova ad operare in settori dove si richiede un livello di comunicazione e di interscambio professionale tale, da non consentire un totale distacco dal proprio raggio aziendale. Il ritorno periodico nel proprio centro lavorativo può essere una soluzione al problema dell'isolamento. Nel caso poi del telelavoro a domicilio, come giustificano le aziende l'assurdo costo di mantenere un doppio posto di lavoro (la postazione domiciliare ed il sito aziendale)? Considerando che nella maggior parte degli accordi contrattuali è previsto il rientro periodico del lavoratore in sede. A nostro parere una delle soluzioni al problema dell'emarginazione individuale (telelavoratore a domicilio), può essere lo sviluppo di appositi telecentri, palazzi intelligenti, ovvero luoghi decentrati, attrezzati all'uso del telelavoro. Oltre a risolvere problemi di isolamento e crescita professionale, si potrebbe aiutare anche l'occupazione, specie nelle aree più depresse, con il potenziamento delle reti di comunicazione e con la costruzione degli stessi centri telematici. Ricordiamo, che la Provincia di Reggio Emilia ed il Comune di Castronovo Monti, hanno da poco tempo creato un telecentro attrezzato alla sperimentazione del telelavoro, mettendolo a disposizione di aziende interessate, ad un costo irrisorio.

- Telelavoro fuori confine -

L'aumento dei costi lavorativi nazionali, l'esistenza di Paesi con costi di mano d'opera più economici e flessibili, la praticità di possedere tecnologie e reti di comunicazione molto sviluppate, hanno fatto in modo che le aziende possano vedere, nel telelavoro remotizzato a notevole distanza (India, Filippine, Corea, Cina,...), una fonte di nuovi e smisurati guadagni. Il rischio di concorrenza a livello mondiale e di perdita occupazionale, nonchè di sfruttamento lavorativo nei Paesi già di per sé sottosviluppati, è elevato. Oggi, è possibile far eseguire lavori di data entry, ossia immissione dei dati in archivi privati (per società assicuratrici o compagnie aeree), ad esempio, in una qualsiasi remota parte del mondo, con un uso della mano d'opera al minor costo. Non è un caso isolato l'esempio della Swiss-Air, la compagnia aerea svizzera, che già da tempo remotizza parte del suo lavoro in India, tramite l'uso di reti telematiche. Lo sfruttamento di queste riserve di mano d'opera giovane, meno costosa e più flessibile, le differenze di fusi orari che permettono di produrre anche 24 ore su 24, hanno indotto molte aziende a riesaminare i loro processi produttivi e a cercare all'estero, quello che il proprio Paese, con i suoi "alti" costi strutturali, non può dar loro. Pertanto ribadiamo l'assoluta necessità di una chiara ridefinizione sul piano etico, del confine giuridico, nonchè geografico, dell'azienda, per evitare l'uso, solitamente smodato, delle innovazioni tecnologiche.

Il Circolo TLC del PRC ed il partito stesso, nelle figure referenti, dovranno pertanto essere determinati e determinanti nei vari dibattiti parlamentari e non, che animeranno il telelavoro, affinchè questo particolare rapporto di lavoro debba contribuire ad una emancipazione delle condizioni lavorative e di vita dell'essere umano interessato, favorendo tralaltro una corretta occupazione per la quale i comunisti tutti si battono. Ci appare oltretutto inderogabile anche una profonda, corretta ed esaustiva campagna di controinforma-azione democratica, diversificata tra i vari mezzi di comunicazione e diretta a tutte le componenti sociali, affinchè ogni cittadino possa essere consapevole di eventuali vantaggi o svantaggi derivabili dall'adozione di questa fondamentale pratica lavorativa dell'immediato futuro.


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