1: Lo smascheramento dei manichini
Ecco come iniziò: d'un tratto, senza riguardi, si smascherò il meccanismo dei manichini azionati dalla molla della nostalgia. Era proprio quella molla a rendere avvenimenti ordinari e dozzinali (la "vita"...) simili a una dolce sorte e a fare di incontri banali una variopinta e straordinaria avventura.
Ed ecco, si scoprì che tutte le storie delle "sconfitte" e degli "anni perduti", tutte le storie dei "cuori ormai per sempre infranti" ... tutto ciò era semplicemente tratto da un antiquato romanzo sentimentale, ordinario e molto ridicolo, in cui piccole figure di signori impettiti in bombetta e di flessuose dame dal vitino di vespa cercavano di muoversi come se fosse stata data loro la carica. Cercavano di avvicinarsi gli uni alle altre ed in questo consisteva l'avvenimento principale della loro vita. Le figurette si protendevano a vista d'occhio (quella tensione del punto-vita e del volto era detta "tristezza" oppure "delusione").
Avvenne quindi una strana cosa: le variegate faccende della vita, che fino a quel momento erano state trattate come un destino, iniziarono a richiamare alla mente la carne, quella cruda dei mattatoi, colma d'inquietudine e di smisurate passioni.
Quelle "sorti fatali" e "colorate", quelle avventure e quegli incontri erano ad un tratto come cose mai pronte, insipide, dal vago odore dolciastro e persistente: come pasta troppo fermentata, come colla appiccicosa. Persino gli uomini adesso sembravano fatti dell'appiccicosa pasta della nostalgia e così lasciavano che le loro passioni, come una pasta, lievitassero.
Tra le dita, proprio come una merce scadente, si disgregava il lungo e sempre triste avvenimento chiamato "vita".
In quel tempo dalle insegne pubblicitarie e dai lampioni della città scomparvero l'opprimente colore viola, il rosso fraise che coinvolge in incomprensibili ed imprevedibili avventure nelle vie deserte e persino il solenne giallo limone, fantastico come i cubi e come i nordici mari d'acciaio, il colore della rinuncia.
Nella mela blu della città notturna fece la sua apparizione il neon, rosso e azzurrino.
Quel rosso e quell'azzurro erano freddi come acciaio. E il freddo acciaio iniziò a regnare nella città.
Ebbe così inizio la nuova leggenda della città.
La nostalgia è il materiale appiccicoso delle cose della vita.
E, come dalla vita, si decise di escludere da tutta la produzione le materie appiccicose, dissolute e piene di voglie morbide e vaghe.
Erano state sostituite da grandi gocce di grigio concentrato, di pesi e stati d'animo diversi. C'era il grigio leggero e malinconico del calcestruzzo e il forte grigio meccanico del ferro, l'acciaio elastico e la fantasiosa lamiera, che desidera ormai solo quello che c'è, infine il vetro, sgraziata goccia di una grande, incolore lacrima ormai fredda.
Da quelle pesanti gocce di grigio si potevano estrarre solamente lastre concentrate di cose dure e determinate come il destino.
In questo mondo il malinconico rame rappresentava l'immancabile goccia di banalità e di sentimento.
Ma della nuova vita faceva parte anche la porcellana, tonda e sorridente, anche se aveva ancora in sé una traccia di goffaggine.
La materia informe e noiosa del mondo entrava nel più perfetto stadio della sua vita: l'epoca delle forme artificiali, decisiva per il suo destino. Ciò infatti equivaleva ad una vita responsabile, non piùanonima, di una monotonia straordinariamente emozionante, libera ormai dalla sregolatezza di ulteriori metamorfosi.
3: L'arrivo di nuovi manichini
Allora anche nelle persone fu scoperta l'anima dei materiali:
Un'anima di goffa porcellana.
Un'anima di carta e legno.
Un'anima di ferro. Un'anima di lamiera.
Ed intanto nelle vie della città uscivano le bambole delle vetrine, diversi tipi di bambola. Ecco una testa di donna con una goccia di tristezza di porcellana, o con una goccia di dissolutezza, il tutto come su richiesta; più avanti una bambola con una mezza malinconia, da non prendersi troppo sul serio: essa stessa non del tutto sicura di sé, incerta tra l'indossare la maschera della felicità e il recitare la scena della tristezza nel suo abito rosa chiaro. Oh, anche quegli straccetti di stoffa, rosa-calce, oppure celesti, appartengono a tutta quell'intricata faccenda che è la vita ...
C'era tra loro anche una maschera incerta e sperduta di rosa e verde marcio (la maschera che fu di Toulouse-Lautrec, presentata ora di nuovo da Pascin) ed il volto a forma di pera delle donne di Picasso, dai tondi occhi pigri. Tutti quei busti, che si chinavano verso destra o a sinistra, esibivano i loro capelli ondulati come un avvenimento inconsueto e particolarmente importante: una ciocca ogni tre o quattro centimetri, che non lasciava spazio al caso o al capriccio. Il mare di lamiera di capelli andava in alto e in basso, con un ritmo cadenzato e immutabile come il destino.
In quelle bambole persino la malinconia era calcata in linee compatte ed equilibrate: nelle sopracciglia accuratamente disegnate con l'henné nero, nelle labbra tracciate a compasso con una matita marca "Kameleon", nelle due simmetriche chiazze rosa sulle guance.
Ma oltre quella rigida decorazione fatta di linee e superfici non filtrava neppure un atomo della dissoluta materia del corpo e addirittura in quei contorni compatti, oltre al corpo, si trovava anche la cosiddetta "anima", che si era interamente trasformata in rigido ornamento. Solo una goccia di essa si muoveva ancora: la goccia nera, grigia o castana degli occhi.
Allora la pesante goccia degli occhi iniziò ad esibire tutte le sfumature del prezioso materiale della malinconia.
4: Capitolo sui manichini: continuazione.
La carta è rigida e piatta, non offre prospettive. La carta è triste come le persone che non possono più fare niente per la propria vita: come latte bianco-celeste, come una stoffa di percalle a grandi fiori rosa.
Il legno invece è triste come possono esserlo solo le persone goffe; persone noiose, che non riescono a vivere di nulla: di aria blu e della sola vita.
Li si vede per strada e dietro la vetrina del fotografo. Dopo il matrimonio ordinano delle fotografie: dieci o dodici copie di ciascuna, come ricordo per sé e per tutti i parenti.
Loro lo sanno: la vita va fatta, tutto ciò che ne fa parte va fatto, nell'ordine prescritto e al momento opportuno (è la vita stessa ad insegnare quando il momento arriva, basta semplicemente rimettersi ad essa).
Ma fare tutto non è mai possibile: rimane sempre ancora la morte.
L'anima di ferro è un'anima di rotaie felici che corrono parallele, un'anima di macchine limpide e concentrate, splendide nel loro doloroso moto di viti e molle. Le persone la cui anima è di ferro attraversano il morbido ed incerto paesaggio della vita senza immischiarsi nelle opprimenti questioni del destino.
Coloro che sono simili invece alla lamiera ripetono questa frase: "Che tutto sia proprio com'è". La lamiera grigia è esperta.
Le persone dall'anima di porcellana poi sono continuamente stupite e sorridenti nella loro goffaggine.
Sono soprattutto le donne a rivelarsi prossime alla porcellana e alla carta. Gli uomini invece sono in qualche modo affini al ferro e alla lamiera, oppure al legno goffo e ottuso.
6: Le collane. Intermezzo lirico
Nelle vie i manichini di porcellana si rivestivano di un multicolore piumaggio di collane. Sopra ai torniti coni dei loro seni si gonfiava un fragore rotondo, si sentiva il chiassoso fruscio del legno, del vetro e dell'acciaio.
Quello strepito metallico si fermava nelle pieghe del malinconico colore bruno della stoffa, sul nero contemplativo del velluto e sulle stoffe pensierose tipo terracotta.
Intanto dalle vie e dalle vetrine le collane rosse erano scomparse, strappate via da cento braccia vive, calde, sensuali. Non c'erano nemmeno le perle silenti come un giorno d'acciaio, sussurranti la malinconia di mari grigi.
Le nuove collane di vetro e d'acciaio sono fredde: come un oggetto estraneo, come la vita, quando ormai si desidera proprio quello che c'è.
Le donne si immergevano nello strepito metallico, come una volta Leda si lasciava sprofondare nelle carezzevoli piume del cigno, come le donne cieche, carnose e brutali di Max Ernst si avviluppano nelle piume di lamiera di uccelli ciechi e monumentali come idee.
Ora le donne dalla fredda anima di porcellana si lasciavano carezzare da metalli freddi e dal vetro duro e silente.
Cosa sono mai le vellutate perle carnose, monotone come la vita stessa, quando si possono avere gioielli di un vetro colmo di possibilità, di un vetro che può essere sia la dolce lastra di una finestra, sia una collana? Cosa sono mai le opprimenti lacrime di smeraldi e rubini dalla vita a noi ignota, ricolme dei fardelli e delle tristezze della terra?
Il venti febbraio del 1932 i giornali riportarono la notizia della chiusura della più grande miniera di diamanti del mondo, nella località di Kemberley, in Canada, in seguito alla sfavorevole congiuntura sul mercato.
In tal modo divenne evidente che i diamanti non erano necessari, come non lo erano le lacrime vellutate delle perle, gli smeraldi e i rubini, che conducono una vita molto complessa, indipendente da noi.
Intanto le collane sintetiche riempivano le vetrine dei negozi. Le collane sintetiche possono essere fatte secondo la nostalgia di ognuno dei vari giorni della vita.
Fino a quel momento i frutti non erano stati capiti. In essi si vedeva la polpa, la materia capricciosa, schiumosa e delicata (come tornite da polpa di frutto erano le donne di Renoir, dipinte con la rossa carnagione delle mele).
Ma le mele hanno invece anche un'anima nascosta. Anche le arance, spazi sferici, non sono ciò per cui noi le prendiamo, e neppure i limoni, creature fatte di freddo e di liquido cristallino.
In sostanza i frutti sferici non sono simili a se stessi, alla materia che è sempre letteralmente se stessa, alla sua brutale lascivia e alle sue vaghe voglie.
E proprio adesso si scoprì che al corpo dei frutti erano più adatti lo smalto brillante e la densa vernice lucida di quanto non lo fosse la materia morbida e appiccicaticcia. I frutti di vernice e smalto esibivano l'anima del frutto, una dolce rotondità.
Così finirono per risultare inutili i frutti carnosi, dal corpo colmo d'inquietudine.
Dalle insegne dei negozi, accanto ai frutti, figure umane osservano con tonde gocce di smalto celeste. Sorridevano con l'azzurra tinta del cielo dei pomeriggi di luglio, nei quali persino il cielo è fatto di smalto duro e freddo.
Così, freddi e scintillanti, entrarono nella vita i frutti di smalto.
Allora risultò che fino a quel momento non si era riusciti a capire neppure l'anima delle fredde creature di vetro e porcellana.
I bicchieri e i piatti vengono introdotti nella compagnia degli uomini cinque volte al giorno, nel corso della loro vita e del suo grigio svolgimento.
Negli intervalli restano nelle credenze, sui portapiatti e sulle mensole, aspettando il quarto d'ora in cui le persone hanno bisogno della loro anima fredda, della dolcezza e pienezza del loro contorno arrotondato.
Ora non si sapeva più se quel contorno - con una goccia di equilibrio nell'attesa - fosse la linea della porcellana trasparente nell'aria o non invece la stessa infinita aria azzurrina, solidificatasi in una bianca rotondità.
Nelle linee delle stoviglie per un attimo si è fermato il grande spazio, che scuotendo da sé la fredda polvere della propria grandezza e rotondità procede oltre, pietroso e tragico, gravido di nuove possibilità.
Forse è questa l'importanza delle umili stoviglie e il loro destino nel mondo.
Questa scoperta fu effettuata appunto al tempo in cui nasceva la leggenda degli "avvenimenti geometrici della vita".
Visti da lontano, i monti sono simili a tristi melagrane e prugne. Sono una contrada solitaria e solenne.
Da vicino sono cumuli di goffa terra, ricoperti dal banale verde degli alberi.
Disordinatamente, come le erbacce sui monti, crescono gli alberi. Formando angoli acuti, colmi di nostalgia e di insoddisfazione, la verticale del ceppo lancia da sé pesanti barocchi ammassi di rami e foglie, cumuli di verde e di colore. Gli alberi rivestiti di verde colmano tutto lo spazio di una carnosa, lasciva inquietudine.
Intanto, per mille anni, i fiumi scorrono immutabili e i mari ondeggiano ritmicamente. I mari e i fiumi non proliferano come le erbacce, non traboccano come l'argilla o la nostalgia, ondeggiante come la massa di un albero verde.
Il mare vive secondo il numero sette: il mare vive nei duri, grigi bacini della terra. Ed è pieno di tutto.
E secondo la cifra del mare grigio e il ritmico sgomento dei fiumi vive il mare di cemento delle vie, vive il paesaggio di cemento dei muri. I muri sono piante i cui ceppi e rami hanno piani verticali ed elastici piani orizzontali.
Formando un angolo dolce, quasi in consonanza con la vita, il paesaggio cresce in verticale ed in orizzontale, forte, pieno, saturo dell'equilibrio degli angoli retti. Una grigia pianta di muri e finestre riempie di avvenimenti il piatto campo dei giorni.
In questo paesaggio i destini umani combaciano come i duri angoli di un enorme poliedro, sovrapponendosi, compenetrandosi e separandosi irreversibilmente, irrevocabilmente, ad intervalli di tempo regolari. Come onde di mari grigi e di limpidi fiumi.
In questo paesaggio non c'è spazio per le mani e i cuori che non sono utili a nessuno.
Qui c'è sempre qualcosa da fare dell'inutile cuore e delle due superflue mani.
10: Ma alla periferia della vita ...
In alcuni luoghi, alla periferia della vita, si potevano ancora notare spazi alti uno, due e persino tre piani. Di sera quello spazio si elevava solo all'altezza delle vetrine illuminate: si chiudeva come i negozi, alle sette, proprio all'inizio della soffocante notte blu.
Si palesava poi ancora una volta nell'oscurità di cobalto, zampillando intorno ai fiori di vetro giallo delle lanterne. Allora era un piccolo disco piatto, un'opportunità fatale ... Aveva la tenerezza di un'opprimente malinconia, allettava con vedute remote di cose ormai perdute per sempre o lontane, che avrebbero sempre potuto verificarsi ancora.
Poi, durante il giorno luminoso, si tornava per l'ennesima volta ad affermare che i fiori di vetro della notte non erano altro che antiquate lanterne a gas, ma si continuava ad attendere eccezionali incontri. Qui la vita trascorreva in questo modo.
Intanto, nel centro del mondo, tutto seguiva l'orgoglioso ritmo della monotonia. La città classica cresceva come uno splendido albero di piani verticali e orizzontali.
Il mondo si era colmato fino all'orlo di grigia freddezza, come di una materia preziosa. La vita si svolgeva senza le rossastre erbacce della passione, troppo rigogliose, senza l'ottusa e lattiginosa vegetazione della nostalgia. Di questa vita non si poteva concepire modello più appropriato del rettangolo.
Persino esperienze come la nostalgia, la stanchezza e la dura rinuncia seguivano il modello di grigie figure geometriche: dell'ellisse, del cerchio e del quadrato.
La nostalgia è tesa verso qualcosa e si chiude nel suo dolce arco ellittico; la stanchezza è assorta nella propria materia e per questo è colma di monotonia densa ed immobile, come un cerchio; la rinuncia è dura e sembra essere definitiva, come un quadrato.
Dal mondo era scomparso il movimento incontrollato e grezzo: perché spostare cose e gambe, se in ogni luogo si trovava tutto ciò che vi poteva essere? La via era grigia e gialla come il cielo. Poi di nuovo, come il cielo, color del cobalto. L'uomo aspettava e l'oggetto grigio aspettava. Un sole giallo stava sospeso da un lato e dall'altro.
Poi, quando tutto era ormai finito, l'anima del mondo si manifestava, per esempio, in un fatto come questo: ogni giorno, come se nel frattempo non fosse accaduto nulla, un certo numero di gambe si allineava per le strade, messe in moto da una domanda d'antica data: "Come vivere?" Come se nel frattempo non fosse accaduto nulla ...
Così fu scoperta l'anima del mondo: l'immobilità.
12: La paccottiglia sommerge il mondo
...Infine fecero la loro comparsa in commercio i prodotti sintetici e a buon mercato. Come accade di solito con le cose meno importanti, anche questi umili prodotti furono il primo segno di alcuni cambiamenti.
Sommersero i mercati come i rossi petali degli ippocastani appassiti ricoprono i marciapiedi, come la nostalgia molesta e nauseante sommerge la vita della gente noiosa.
A questi prodotti accadeva una strana cosa: si raddoppiavano e si moltiplicavano all'infinito, come fecondandosi a vicenda. Già al mondo ce n'era una quantità eccessiva, tuttavia essi continuavano a moltiplicarsi, sempre più simili tra loro, su ordinazione con estro o con semplicità secondo lo stampo.
Non si riusciva più a trattenere la produzione sfrenata e selvaggia della paccottiglia. Tutti i prodotti sul mercato avevano lo stesso prezzo: a dieci grosze ogni pezzo di qualsiasi merce, ogni pezzo 10 grosze.
Ecco cosa si poteva avere: stringhe nere e marroni, dieci grosze al paio; dieci fazzoletti da naso (vera batista) per un solo z³ oty; tavolinetti per i cactus; basi per il ferro da stiro, in fil di ferro intrecciato; dispositivi per annodare rapidamente e con sicurezza le cravatte, per infilare velocemente l'ago, per fare l'ondulazione (un'ondulazione completa in cinque minuti), ma soprattutto tanghi: "Rebecca", "Il tuo amore", "Le rose d'autunno", "Tu dici che mi ami" ... a soli 10 grosze.
Questa merce veniva distribuita con una tale serietà amara, con un tale fervente pathos che la paccottiglia sembrava giocare un ruolo unico ed insostituibile nella vita. Il mondo semplicemente si reggeva su scarponi neri e marroni, strettamente allacciati.
Sotto i letti delle persone appena morte c'erano scarpe che ancora quasi camminavano: scarpe nere, scarpe marroni.
13: I percalli si gonfiano ...
Intanto nei negozi di abbigliamento si accumulavano piani di stoffe di percalle a buon mercato, poco spessi, a grandi fiorami o a strisce. Quelle fantasie erano solitamente di colori volgari e al tempo stesso fiabeschi: rosso viburno, viola, verde erba; turchino, rosso dalia, rosso aranciato...
Erano stoffe rigide ed asciutte, senza midollo. A volte facevano sgraziati tentativi di cambiare, di rendersi simili alla morbida seta o al velluto, ma persino la loro lucentezza era rigida e piatta, senza vita.
Gli cheviot però erano ancor più rigidi: si spezzavano in angoli acuti, semplicemente si frantumavano in superfici angolose. Nessun colore resisteva sui rigidi fili della stoffa fino a renderla elastica con una dolce scioltezza o con la fredda pensosità del colore. Qualsiasi colore saltava via da quegli cheviot come calce asciutta, da qui proveniva il loro aspetto triste ed inespressivo.
Adesso il velluto spesso, la seta ondosa e il tenero panno erano completamente fuori moda. Poi scomparvero i colori come il flessuoso marrone autunnale, il rosso corallo, freddo e fantastico, il dolce grigio-acciaio.
Nei negozi di tessuti entravano a frotte le bambole di porcellana provenienti dalle strade. Chiassose e fruscianti si spingevano, comperando con un'inaudita fretta tutti i percalli a fiori, tutti gli cheviot a strisce.
Il mondo venne sommerso dalla paccottiglia, da prodotti di seconda mano, forme secondarie degli oggetti freddi e compressi; erano maschere contorte che, strappatesi dal loro modello, avevano deciso di condurre una vita indipendente, leggera, senz'alcun obbligo.
Così la vita intera venne sommersa dalla paccottiglia, caricatura del mondo di piani verticali ed orizzontali che sapeva essere dolce come il grigio di ottobre, patetico e solenne come una partenza o come un avvenimento unico in tutta la vita.
Ma nel lontano Brasile, a Giava e a Sumatra, venivano spinti nel mare di cobalto milioni di chilogrammi di caffè (nel 1932: tre milioni e novecentomila chilogrammi).
Per chilometri e chilometri di campi bruni sovrastati da un piccolo disco di rame si induriscono i grigi corpuscoli ovali del caffè. In essi è racchiuso un liquido vellutato, amaro come un grigio giorno di ottobre, sempre saturo dell'odore di città straniere in cui si veda, come per la prima volta, la gente che cammina.
Il caffè si beve nelle sere grigie dalle luci gialle, o in quelle in cui qualcosa, ancora una volta, è finito.
Ma né i neri del Brasile e della California, né i bianchi delle fabbriche europee bevono caffè. In tutto il mondo, tra i mari d'acciaio del nord e le acque di cobalto del sud, il caffè lo bevono solo alcune migliaia di eletti. A quale scopo, dunque, chilometri e chilometri di un arbusto che potrebbe essere inutile, proprio come una persona?
Ma il caffè non è come l'importuna e invadente gramigna. Il caffè è fatto di milioni di duri e regolari ovali di aroma, di figure dolcemente ellissoidali.
Queste gocce ovali non possono essere trattate alla stregua di una comune erbaccia: perciò le si fa trattare con dolcezza dalle mani esauste dei neri per poi donarle al mare di cobalto.
Il caffè si deve mantenere al mondo.
15: Capitolo successivo della decadenza: si cercano avventure ...
D'un tratto cominciò di nuovo: si iniziò ad andare a caccia di avventure per le vie della città Si cercavano incontri insensati, che di nuovo erano straordinariamente importanti: di nuovo si desiderava di esistere solo per qualcuno, si attendevano delle sorti inconsuete; tutto il banale, carnoso "colore della vita" doveva fare ritorno.
Allora venne riabilitato quel genere di persone che all'epoca dell'eroico grigiore erano state ritenute, per così dire, superate: le persone occupate in un'incessante ricerca della felicità quelle la cui vita era "infranta" e quelle che "non sanno vivere senza gli altri", neanche per la durata di una sera.
(Nella loro vita l'esperienza non era servita proprio a niente. Le delusioni - che esistono proprio per smascherare la "felicità" - non avevano adempiuto alla propria funzione).
Nella vita di quelle persone c'era un'unica cosa che fermentava come pasta corrotta e cattiva, fino a farle divenire simili a una gramigna velenosa, invadente e fastidiosa che getti da sé, irriverentemente e davanti a tutti, come steli troppo sviluppati, i rampicanti delle loro storie, le foglie appiccicose delle loro "vicissitudini".
Quelle persone erano tornate di moda.
Ed ecco che ad un tratto i rigidi signori in nero con la bombetta e le flessuose signore dalla vita tristemente allungata tornavano a sedersi ai tavoli vicino alle pareti. Si attendeva di nuovo il giorno in cui "tutto sarebbe ancora potuto accadere".
Qua e là per il mondo si aggiravano ancora il grigio, la ferma determinazione, il destino di rinuncia, ma ora quelle cose si limitavano a destare tenerezza con la loro goffaggine, tra voglie appiccicose e lievitanti come pasta.
Al loro posto era entrata nuovamente a fare parte della vita tutta l'inutile zavorra di gesti vani e arrotondati che imitavano i grigi, eroici gesti della vita.
Ma quelle situazioni e quei movimenti erano spensierati, leggeri come palloncini colorati: simili avvenimenti non si possono neppure prendere in considerazione, benché siano simili alla strana avventura della vita.
Tutto ciò che era accaduto allora derivava dal fatto che la vita era divenuta tanto perfetta ed immobile, tanto definitiva.
Si era visto che le persone non riuscivano a sopportare a lungo l'eroica monotonia. Troppo tragico era il grigio ornamento dei giorni privi di attesa e ricordi.
Troppo concluso era tutto, troppo pianificato: al mondo non c'era più nulla da fare. Le cose grezze tornarono a divenire necessarie.
Da qualche parte le materie prime attendevano: erano pesanti, succose, corrosive.
Nei bronzei paesi tropicali. Nella sabbia ardente della California. Nelle montagne dei grigi Urali e della Scandinavia, dalle fitte nebbie che fioriscono come gemme, ricoprendo ogni cosa di petali di velo grigio.
In qualche luogo attendevano destini colorati, insensati, ma straordinariamente importanti.
Là dove la terra misera e piatta non riusciva a donare tanta creatività attendevano invece l'argilla appiccicosa, la sabbia ascetica, l'incolore ghiaia. E benché inespressivi e privi di qualsiasi possibilità, anche quei materiali erano come un avvenimento.
Cose sconosciute attendevano nascoste e di nuovo, come la prima volta, promettevano tutto. E si fece ritorno alla "vita".
D'un tratto sulla piazza fiorirono le acacie, per poi riempire tutte le vie del triste profumo delle cose possibili che non erano avvenute.
Era appunto giugno, uno dei tre mesi i cui appiccicosi odori portano alla perdizione le nostre mani e i nostri cuori. Le foglie erano carnose e molto verdi. Il corpo verde delle foglie colmava tutte le finestre e tutti i giorni.
Si aggiunsero poi i tigli, che sanno di tutto: anonima è la storia di quelle fioriture.
Così ebbe ancora una volta inizio l'epoca degli eventi grandi ed importanti, degli avvenimenti tristi e fatali, dall'importanza del resto incomprensibile. Si tratta di "incontri fatali" e "amori infelici": triste felicità, irraggiungibile, ma pur sempre "felicità". E di nuovo fioriscono le acacie.
Simili avvenimenti conducono in regioni da cui non è così facile tornare, dove tutte le possibilità giacciono in grandi mucchi, come foglie e fiori sullo stesso ramo: dove le lanterne sono "fiori di cristallo" o "frutti di vetro" e la grigia pelle della sera è come la celeste atmosfera delle città straniere.
In quelle regioni c'è una felicità ignota. Là si rimane impigliati nelle persone e non è più possibile vivere né senza di loro, né con loro.
Arrivarono poi i mesi in cui il sole è giallo-grigio e le foglie hanno il colore del rame.
Nelle vie pallide indugiava un odore amaro di marmellate in cottura e di foglie.
Era un odore che ricordava stranamente destini regolati e vite ordinate.
Poi iniziò una serie di conversazioni senza fine, incomprensibili come "la vita stessa".
Quelle conversazioni si rivolgevano alle foglie autunnali, che per poter ingiallire avevano bisogno di piogge grigie e di dolci nebbie silenti: per oggetto avevano le dolci piogge grigie e le prolungate nebbie di velluto, che avviluppavano le foglie ancora verdeggianti ma già fragili, fino a quando non si raggrinzivano per la tristezza delle nebbie grigie.
Allora si fece attenzione anche a questioni insolite, fino ad ora trascurate. Al fatto per esempio che le stesse foglie, ancora verdi nella nebbia grigia, nella luce cromata del mezzodì fossero rosso-ruggine, o a quello che nel mare plumbeo del cielo i muri grigi si facessero bianchi di silenzio, e che fossero lievi come scatole di carta vaporosa con rettangoli di celluloide nei giorni in cui il cielo è azzurro, come semplici imitazioni di muri di cemento.
Ma quelle conversazioni prendevano inequivocabilmente il posto di questioni delicate e assai importanti, che invece avrebbero dovuto essere risolte, senza esitazioni, proprio adesso: dichiarazioni d'amore, chiarimenti, incomprensibili felicità e la sempre irrisolta questione: "come vivere?"
In realtà non si faceva nulla, anche se sembrava di fare molto: tutto ciò che si può avere nella vita.
E ad un tratto le persone si sentono responsabili della vita: accade loro qualcosa di simile a ciò che è accaduto alle foglie, che emanano adesso un odore compatto, che sembra responsabile.
Così ha inizio ancora una volta: dalla vita arrivano cose e destini. Si spandono nelle minuzie di situazioni diverse, nell'aspettativa e nella delusione, acquisiscono un senso inaspettato e rotondità.
Così fu riabilitata la vita, la dolce paccottiglia che da sempre inizia con un "cuore infranto" e che finisce con la ferma determinazione di "vivere", detta, secondo una terminologia antiquata e molto abusata, "rassegnazione".
Le patate profumano con i loro rigidi fiorellini.
I campi di patate lilla e bianchi hanno un profumo dolce e un po' grezzo, come la creta. Sono fatti come di un rigido percalle a fiorellini minuscoli, un po' distratti.
Ed è bene che sia così che i campi di patate lilla e bianchi abbiano l'odore della noia del percalle, che gli avvenimenti e le materie prime siano turgidi di noia.
In tutto il mondo l'appiccicoso materiale della noia rimane in attesa; attende il proprio destino. Come un rame fantastico, come un ferro denso, come la normale e letterale materia che è la creta, con cui si può plasmare un uomo.
L'appiccicosa materia prima della vita attende il proprio destino: c'è ancora qualcosa da fare al mondo.
Bisogna solo intraprendere la vita: essa si trova ovunque a grandi mucchi e aumenta.
Aumenta come la luna crescente, si alimenta delle linfe di erbacce fermentanti, che non si sa da dove vengano: dall'aria azzurrina? Dagli incontri banali? Dai giorni e dalle cose perdute?