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Un occhio in facoltà


Tragicommedia seria di uno studente di Storia a Lingue
di Emanuele Rossi

Scena prima: le aspirazioni
Un volenteroso studente del Corso di Laurea in Storia, convinto dell’estrema utilità di sapere due lingue – come fare, altrimenti, a sapersi destreggiare tra l’edizione Feltrinelli dei resoconti delle sedute del Cominform, rigidamente in russo o in inglese, o riuscire a fare un buon paragone tra il PCI e il Partito Comunista Francese senza cono-scere, appunto, il francese – accetta con piacere (sic) di fare ben un esame in più di Lettere e due in più di Filosofia, come prevede la nostra facoltà, per sentirsi in grado di affrontare impavidamente qualsiasi testo o documento. Il protagonista, sotto le sembianze del sottoscritto, privo di quella conoscenza dell’inglese che non siano le tre o quattro frasi “universali” thank you, I don’t understand o gimme five, convinto di poter fare un discreto salto di qualità, si presenta, animato dalle migliori intenzioni, all’ incontro di presentazione del corso.
Scena seconda: l’approccio
Essendo il corso destinato a tutti gli annualisti d’inglese della Facoltà, l’aula di presentazione ribolle di italianisti, latinisti, musicofili, filosofi e così via continuando, dando vita ad un bel calderone di competenze e interessi diversi. Il passaggio di un questionario avente lo scopo di far conoscere al docente il grado di preparazione e di conoscenza della lingua e letteratura inglese degli studenti, evidenziando un ventaglio di risposte refrattario ad ogni sintesi, rassicura il Nostro sullo stile propedeutico e “istituzionale” che il suddetto insegnamento verrà ad assumere, nonostante che il titolo, un pochettino ambiguo e incomprensibile, lasci adito a molte preoccupazioni.
Scena terza: lo smarrimento
Ed eccoci alla rivelazione: l’insegnamento destinato agli annualisti non ha nessuna pietà dell’ignoranza dei malcapitati italianisti, latinisti ecc. ecc., e va diritto per la sua strada; la letteratura generale è lasciata allo studio personale, di grandi classici nemmeno l’ombra, gli autori trattati sono specifici e sconosciuti ai più. Il povero studentello di Storia, spaesato e scoraggiato, è costretto a tornare a casa con la coda tra le gambe, rimane nell’incertezza del suo futuro universitario…e si va ad informare al Centro Linguistico di Ateneo.

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A parte la “tragica” veridicità di un ironico canovaccio di questo tipo, il problema non è da poco: come sono strutturati ora gli insegnamenti di lingue e letterature straniere nella nostra facoltà per gli annualisti – tra cui evidentemente gli studenti di Storia - non funzionano granché; schematizzando, di una lingua già conosciuta si fa un ripasso, di una che si vuole imparare ex-novo non se ne fa di niente. Non si vuole qui generalizzare e bollare tutti gli insegnanti in questione come incompetenti – ci mancherebbe altro - ma sottolineare l’inadeguatezza dell’organizzazione didattica della Facoltà sul nodo degli insegnamenti delle lingue straniere. Gli strumenti che questi corsi dovrebbero fornire allo studente sono la possibilità di imparare a leggere, tradurre e anche parlare una nuova lingua, e la capacità di sapersi destreggiare tra autori, testi e correnti letterarie di una certa cultura straniera. Allo stato attuale questi scopi sono disattesi, perché non sono previsti corsi di carattere istituzionale e di “livello zero” né per la letteratura né per la lingua.
Alla luce della riuscita e largamente apprezzata esperienza in voga nel nostro Dipartimento per la Storia contemporanea, penso che sarebbe ottimale, per l’insegnamento di ogni lingua, che i corsi di laurea organizzassero la didattica in modo da assicurare corsi che affrontino i “grandi problemi della storia della letteratura” - magari alternando questo compito tra più professori per evitare di costringere un docente entro programmi non certo entusiasmanti - permettendo così allo studente di orientarsi in un campo di studi a lui sconosciuto e lasciandogli la possibilità di scegliere il settore da approfondire, anche personalmente, in base ai propri interessi.
Per l’apprendimento della lingua è un vero peccato non usufruire dei mezzi del Centro Linguistico di Ateneo, l’unica struttura – forse – capace di avviare uno studente all’apprendimento di una lingua senza che questo sia costretto a frequentare costosissime scuole straniere. Nella nostra facoltà è il Corso di Laurea in Filosofia che usufruisce della struttura del Centro, anche se solamente per la verifica delle conoscenze linguistiche e non per l’insegnamento (funziona così: se passi il test al livello preintermedio sei a posto, altrimenti o ti segui i normali corsi di Lingua e Letteratura – e siamo daccapo - o ti arrangi e riprovi successivamente il test. Mah!). Questa attuazione, per i “filosofi”, di prove solo linguistiche alternative ai corsi di Lingue e Letteratura fa ben sperare, per il futuro, che sia data adeguata importanza e considerazione alla conoscenza “parlata” di una lingua anche per noi “storici”, senza con ciò che dobbiamo rinunciare alla dimensione letteraria di una cultura straniera; in questo senso sembrano andare anche le intenzioni del ministero che, in un D.M. del marzo ’96, nell’ambito delle modifiche da apportare agli ordinamenti didattici, prevede il conseguimento della laurea in Storia dopo l’ inserimento nel piano di studi di un esame di Lingua e Letteratura e due prove che attestino la conoscenza di due lingue straniere. Con queste osservazioni non voglio dare l’impressione di avere le soluzioni in tasca – non credo che i nostri professori si adoperino in malafede per renderci grama la vita – ma solo porre l’attenzione su una difficoltà sentita da molti, almeno a Storia, e lanciare stralci di proposte a chi è preposto alla organizzazione e alla programmazione dell’attività didattica.

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