Nicola Tranfaglia
L'Italia è un paese che per tutti i suoi primi cinquant’anni di storia ha fatto del proprio passato un terreno di
duro scontro politico e ideologico, rendendo difficoltoso ogni tentativo di accostarsi ad esso in maniera
serena ed obbiettiva. Da qualche anno, tuttavia, si assiste proprio all’interno degli ambienti politici allo
svilupparsi di una tendenza a rivolgersi a quel passato, e soprattutto alle origini della nostra repubblica, con
un atteggiamento ben diverso. Gli opposti preconcetti paiono aver lasciato il posto ad un’esigenza di
composizione dei contrasti e determinato un desiderio di creare o risvegliare un consenso comune verso i
medesimi valori. Il discorso di insediamento alla presidenza della Camera dell’On. Luciano Violante, i nuovi
toni assunti dai consueti dibattiti storico-politici che accompagnano tradizionalmente le manifestazioni per
il 25 Aprile, e la stessa polemica legata alla possibile abolizione della XIII disposizione transitoria della
nostra Costituzione, che proibisce agli eredi maschi della dinastia dei Savoia di rimettere piede in Italia,
sembrano confermare questa tendenza. Non mancano tuttavia alcuni dubbi in questo senso.
La polemica mai sopita riguardo alle posizioni di Renzo De Felice e alla sua scuola storiografica, e quella sorta attorno
ai rischi legati alla riforma dell’ insegnamento nelle superiori a partire dal prossimo anno scolastico,
dimostrano come rimangano ancora forti punti di contrasto sul modo di accostarsi allo studio della nostra
storia patria e in generale di quella del novecento. Su questi e su altri problemi abbiamo interpellato il prof.
Nicola Tranfaglia, docente napoletano di Storia Contemporanea e Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’
Università di Torino, autore di vari saggi Utet, Nuova Italia e Laterza sulla storia del secondo dopoguerra.
A mio parere con la caduta del muro di Berlino, ma soprattutto dell’impero sovietico e, come conseguenza
di quel crollo, con la fine della guerra fredda, ci sono stati senza dubbio dei cambiamenti, primo fra tutti la
fine, almeno in parte, della guerra di religione tra i tifosi del comunismo e i tifosi del capitalismo occidentale.
Ciò ha sicuramente favorito un maggiore distacco rispetto alla nostra storia nazionale e ha determinato un
duplice bisogno. Da una parte si è cercato di vedere quanto si poteva cogliere all’interno della nostra storia
di ciò che ne era sempre stato emarginato, dall’altra si è resa evidente, di fronte al procedere della
transizione italiana, l’esigenza di trovare valori comuni
, attraverso un processo di revisione dei precedenti
giudizi storici. Purtroppo, in questo paese, il compito di questa revisione storica è stato assunto dai politici
molto più che dagli storici, e ciò anche a causa del differente modo di formulare i giudizi, ha prodotto delle
grandi approssimazioni piuttosto che delle nuove visioni storiche.
Lo storico cerca di ricostruire un fenomeno e di comprenderne le motivazioni, i politici invece si
preoccupano di usare la storia per raggiungere determinati obbiettivi, anche validi, ma che comunque
restano di breve momento. Quindi l’analisi del passato ai politici è utile in quanto, in primo luogo, li mette in
condizione di evitare quegli errori che si sono già evidenziati nel passato, e inoltre fornisce loro delle
esperienze per affrontare problemi che tendono, nonostante tutto, a riprodursi.
Certamente. Anzi, per restare agli avvenimenti degli ultimi tempi, se i nostri politici utilizzassero meglio la
storia si renderebbero conto, ad esempio, che le riforme della costituzione possono essere utili ma non
risolvono da sole una crisi politica. Ciò non è mai successo nella storia, eppure, sentendo parlare alcuni
politici, a volte si ha l’impressione che molti di loro pensino che cambiando una norma della costituzione si
possa risolvere qualsiasi problema.
Vede, Revisionismo è un termine molto generico. In senso proprio, ossia come attitudine dello storico a
rivedere sempre i propri giudizi, è un fenomeno tutt’altro che nuovo e che accompagna il processo storico
fin dalle sue origini. È evidente che quando si scoprono nuove fonti, ma anche quando si passa da una
generazione all’altra, non si possono non avere dei mutamenti nei giudizi. Esiste però un’accezione più
ristretta di revisionismo che si intende legata ad una contestazione su giudizi dati specificatamente su
alcuni temi e in modo particolare sul fascismo, ad esempio, rivalutandone gli aspetti positivi o addirittura
presentandolo come una versione positiva della storia. In questo senso, ad esempio, mettere sullo stesso
piano le ragioni e le motivazioni dei combattenti di Salò con quelle dei partigiani è un’operazione che
naturalmente piace molto agli eredi del fascismo e soprattutto di Salò, ma che sul piano storico, a mio
parere non sta in piedi. Coloro che combatterono per Salò, sebbene mossi da motivazioni genuine,
lottarono per l’Europa di Hitler, mentre coloro che si batterono per la Resistenza lo fecero contro quel
progetto.
In realtà bisogna distinguere nettamente tra ciò che ha effettivamente detto Violante e come i mezzi di
comunicazione hanno parlato del suo discorso. La necessità, presente nel discorso integrale del Presidente
della Camera, di mettere in luce le motivazioni di quei giovani che, avendo un’immagine idealistica e non
realistica del fascismo, andarono a combattere per Salò, ritenendo di perseguire valori positivi, è stata
sostenuta dagli storici italiani di qualsiasi tendenza da molto tempo. Diversa però è stata la lettura che se
ne è voluto dare da parte della stampa.
Ritengo che in Italia, grosso modo da quando si è affermata la televisione commerciale, i giornali hanno
preso come esempio, nelle loro modalità di espressione, proprio lo strumento televisivo. Anzi rispetto ad
esso hanno ritenuto di dover puntare in maniera maggiore alla sorpresa, allo scoop, allo scandalo per
compensare il diverso bacino di diffusione. Il risultato è stato una deformazione generale dei fatti, legata
proprio alla necessità di raggiungere effetti equiparabili a quelli della televisione. Questo modo di procedere
ha stimolato polemiche dove a volte non c’erano, le ha esasperate laddove invece erano molto più
contenute, e ha spesso impedito di dare un’informazione completa a vantaggio dei contrasti che si volevano
creare. In genere tutto ciò, su un publico preparato sortisce un effetto molto relativo, ma su un pubblico
come quello italiano, che è assai poco preparato riguardo alla propria storia contemporanea, provoca delle
conseguenze disastrose.
A mio parere in Italia esiste un’opinione pubblica conservatrice, potentemente rappresentata nei grandi
giornali, come ad esempio il Corriere della Sera, e che riemerge ogni qual volta si tenta di cambiare
qualcosa in senso innovativo. Quindi molte delle critiche che vengono a questa riforma non nascono dalla
preoccupazione di una sua corretta attuazione, o dalla paura di un indottrinamento ministeriale, bensì dal
semplice desiderio di opporsi a qualsiasi cambiamento. D’altra parte, per convincersi dell’esistenza di una
simile tendenza, basta considerare come i vari tentativi di riformare la scuola secondaria, per quasi un
cinquantennio, si siano arenati proprio a causa di tali resistenze, sebbene di volta in volta diversamente
mascherate.
Sostanzialmente si, anche se resta un grande punto interrogativo sui suoi possibili esiti. Questi potranno
essere positivi soltanto se si avvierà un grande progetto di rimotivazione e riqualificazione degli insegnanti.
Gli attuali docenti delle scuole sono spesso stanchi, frustrati e mancano di una preparazione adatta ad
insegnare la storia del novecento. In questo senso l’unico sistema per garantire la riuscita di questo
progetto dovrà necessariamente passare atraverso un più forte coinvolgimento e una maggiore
motivazione del corpo docente.
Sinceramente non credo. La proposta del Ministro riguarda il Novecento in generale e non solamente quello
italiano. Del resto dipenderà dagli insegnanti e dalla loro preparazione portare a compimento l’intero
programma di studi. Comunque a mio parere è impossibile insegnare il Novecento in una versione
nazionalista, dal momento che esso è storia del mondo.
I miei consigli sono, in primo luogo, prepararsi a vivere in un mondo sempre più piccolo e quindi a
conoscere altre lingue oltre l’italiano; quindi utilizzare in maniera flessibile le conoscenze fornite da un
simile corso di laurea. In fondo il nostro compito come insegnanti è quello di formare dei veri e propri
umanisti in grado di applicare le proprie conoscenze nei diversi campi del lavoro, tenendo presente che il
numero di quelli che potranno dedicarsi alla ricerca è molto piccolo e quello di coloro che potranno
insegnare non è più grande come in passato.