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Memorandum historiae


Il Revisionismo
La storiografia revisionista sul fascismo italiano; questioni e polemiche
di Leonardo Sacchetti e Giambattista Scirè

"Ogni storico è un revisionista. Si, perché lo storico revisiona fonti e interpretazioni precedenti”.
Così, martedì 22 aprile, davanti a molti studenti (e quasi nessun professore), nell’Aula Magna di via S.Gallo del dipartimento di Storia di Firenze, si è presentato il prof. Santomassimo, docente all’università di Siena, invitato per l’occasione dagli “Studenti di Sinistra”. Non poteva esserci inizio migliore per calarsi nel vivo della discussione sul revisionismo italiano.
Anche perché la conferenza tenuta qualche giorno prima dal filosofo Losurdo ci aveva lasciato un po’ perplessi, visto e considerato il taglio dato dal relatore, il quale aveva impostato un parallelismo colonialismo-fascismo-nazismo, legittimo, ma che dava troppo per scontata la conoscenza del tema “revisionismo”. Forse sarebbe stato più giusto invertire l’ordine delle due conferenze, ma comunque va bene lo stesso.
Dicevamo dunque dell’impostazione data al discorso da Santomassimo, che ha posto il problema in un’ottica sia storiografica, legandola ai revisionismi internazionali, sia politica, riferendosi al clima di scontro in cui si sono generate queste correnti. Dopo una doverosa distinzione (colpevolmente tralasciata, in precedenza, da Losurdo) tra negazionismi (Faurisson, Irving), basati su teorie storiografiche male o per niente provate, e revisionismi, successivi agli anni ’60 (da Furet e la sua rilettura della Rivoluzione francese, ben diversa da quella di Lefebvre, a Taylor e le origini della seconda guerra mondiale, fino agli storici radicali americani e le responsabilità politiche statunitensi sulla guerra fredda), lo storico senese ha delineato le caratteristiche del revisionismo italiano, strettamente legato alla figura di Renzo De Felice. Secondo Santomassimo, il revisionismo del direttore della rivista “Storia Contemporanea” è prevalentemente indirizzato a smontare un’immagine politica e popolare della resistenza, legata ad una cosiddetta “vulgata storica antifascista”, la quale, secondo De Felice, aveva impedito una corretta rilettura del Ventennio. Nell’analizzare il lavoro revisionista di De Felice, Santomassimo ha evidenziato una sovrabbondanza dell’ utilizzo scientifico delle fonti fasciste, spesso ipertrofiche e, storiograficamente, pericolose, seppure indispensabili. In realtà un metodo storiografico portato all’eccesso da De Felice, ma pur sempre derivatogli dai consigli del suo maestro Cantimori.
Il successo delle idee defeliciane è tutto da ricercare, a detta di Santomassimo, non tanto nell’opera stessa dello storico, ma nella sapiente utilizzazione dei mass-media (legata e ai martellanti passaggi televisivi dell’epoca craxiana, e alleinterviste sui giornali). In quest’ ottica è da evidenziare la rarità, da parte di questa scuola storiogafica, di tentativi di sintesi sostituita dall’uso frequente di interviste atte a riassumere i risultati delle lunghe ricerche (sono note le interviste rilasciate da De Felice a Ledeen, a Ferrara e a Chessa).
Questo ci pone di fronte al problema delle eccessive semplificazioni prodotte in campo storiografico dall’intreccio tra storia e giornalismo, come è palese nei vari “duelli” tra storici, emersi dalle pagine dei giornali (esemplare è quello tra Tranfaglia - vedi nostra intervista - e Galli Della Loggia, secondo Santomassimo probabile successore di De Felice) e da quello, ancora più esplicito ma non uniforme, tra storia e politica. Di questi intrecci abbiamo provato a parlare anche nella nuova rubrica “L’Arcidiavolo”, presente in questo numero.
Tornando all’analisi della conferenza, a un certopunto Santomassimo definiva la storiografia di De Felice “più orecchiata che studiata”, notando inoltre come le distinzioni tra fascismo come totalitarismo di sinistra e nazismo, totalitarismo di destra, imposte dallo stesso, abbiano isolato ed estremizzato il revisionismo italiano rispetto ad ogni altra corrente storiografica.
Un’affermazione, ci sembra, un po’ forzata (visto che si può criticare tutto delle tesi di De Felice, tranne però negare i grandi benefici documentari), che comunque non inficia il contenuto globale dell’intervento di Santomassimo, che assume credibilità quando sciorina puntualmente le polemiche suscitate, una dietro l’altra, dalla pubblicazione dei volumi della biografia di Mussolini (ammettendo anche, ne va dato atto vista la raritàdelle autocritiche pubbliche, “la suscettibilità della storiografia antifascista in alcuni casi”), e soprattutto dalle interviste (la prima, quella del 1975, più moderata e ricca di spunti storiografici critici - come la caratterizzazione sociale del fascismo dei ceti medi -, mentre la seconda, del 1988, esasperata politicamente ed inserita nel contesto di una revisione costituzionale anche troppo evidente, e contrassegnata anche dall’eccessiva foga polem-ca contro il fenomeno della resistenza, quasi criminalizzata).
L’intervento di Santomassimo (dopo alcune affermazioni, quali “DeFelice ha monopolizzato l’accesso alle fonti sul fascismo” o “Le polemiche sono entrate nel merito dell’ opera a cui De Felice non ha mai risposto”, che ci stimolano non pochi interrogativi) si è concluso nell’ individuazione di un percorso, sia storico che politico, verso un completo riconoscimento, unitario, del “25 Aprile” come festa nazionale. Questo però, ci pare un difficile scoglio, se si analizzano i mesi successivi all’8 novembre ’43 solo come una guerra civile (vedi il saggio “Guerra civile.Sulla moralità della Resistenza” di Pavone) in cui, oltre allo scontro tra italiani, ben radicate erano sia una poliedrica spinta rivoluzionaria (probabilmente liberata dallo stesso 25 aprile), che una lotta contro l’invasore straniero. Dunque una complessità che (stando a questo tipo di interpretazione emersa dall’ intervento di Santomassimo) verrebbe persa, a tutto scapito della storiografia, schiacciata da una scelta politica, se si riducesse il “25 Aprile” solo a festa di liberazione dai tedeschi.
Vero è però, come ha detto lo stesso Santomassimo,risponendo ad un recente intervento di Galli Della Loggia, che “ogni sentimento nazionale si forma dopo un aspro scontro civile”. Così è successo in Francia, dove tutti festeggiano il 14 Luglio come festa nazionale e non la proclamazione della repubblica”. Ma in quest’ ottica, finiremmo per dimenticare l’importanza della ricorrenza del 25 Aprile,tutti “presi” a festeggiare lafesta nazionale di un ben più blando 25 luglio.
Viva Badoglio e viva la repubblica. O no? 1