CONCLUSIONI
I limiti metodologici della presente analisi ed il suo carattere descrittivo, oltre alla sua incompiutezza, non consentono, come è ovvio, generalizzazioni, né per quanto riguarda l'interpretazione dei dati relativi agli esiti (non troppo difformi, peraltro, dai risultati di valutazioni dal disegno sperimentale prodotte in letteratura - Bond, 1992-1997), né per quanto concerne l'elaborazione collettiva di quanto emerge dalle risposte ai questionari.
La complessità di un'esperienza di inserimento lavorativo, nella nostra opinione, tende a farne una questione individuale, per quanto l'estrapolazione di significati più generali potrebbe consentire di elaborare strategie tali da garantire ulteriori sviluppi a questi programmi. Il tema del lavoro, infatti, di centrale importanza per tutti, in particolare nell'attuale incertezza economica e sociale, riveste una ben nota importanza per il trattamento delle persone utenti dei servizi di salute mentale, in modo particolare affette da disturbi gravi: "La riabilitazione lavorativa, calibrata secondo le capacità del singolo paziente, dovrebbe costituire la pietra angolare per il trattamento del paziente cronico nel territorio" (Lamb, 1982). D'altra parte sono altrettanto ben note le antinomie cui il tema del rapporto tra lavoro e salute dà luogo, a partire dalle concezioni filosofiche, tra il disprezzo del lavoro come asservimento dell'uomo alla necessità e causa di pena e sfruttamento e la sua glorificazione come sorgente di tutti i valori, occasione di compiuta realizzazione di sé. A nostro parere, proprio gli operatori dell'organizzazione psichiatrica dipartimentale godono di una prospettiva privilegiata, attraverso il quotidiano confronto con la loro utenza, su questi nodi problematici. In effetti, i servizi impegnati nella nuova assistenza psichiatrica, quelli che operano in continuità di ispirazione e intenzioni con lo sforzo di autentico superamento del manicomio, danno vita, da alcuni anni, pur fra divergenze e contraddizioni, ad un incremento dell'interesse per le pratiche riabilitative politico-sociali (Burti, 1996) nella comunità (Bisacco, 1994, Bondioli, 1995, Pariante 1996). Inoltre, oggi il parametro "lavoro", accanto al parametro "casa", ricopre una posizione centrale nella prassi dei servizi di salute mentale e soprattutto nelle attività di riabilitazione psicosociale, le quali, per loro natura, hanno come unico punto di riferimento la complessità delle esperienze esistenziali del singolo paziente, la spesso terribile routìne di esperienze inter- ed intrapersonali centrate sulla sua malattia, irrigidite, interrotte nella loro continuità, in una impossibilità ed inattuabilità del corso vitale e della "presa" sul mondo circostante. È evidente a chiunque abbia esperienza di contatto con pazienti psichiatrici che, dal punto di vista dell'utente, le questioni importanti sono l'avere un luogo dignitoso in cui vivere, un lavoro, denaro, amicizie, ruoli sociali significativi, l'opportunità di poter stare in mezzo agli altri in maniera gratificante, anche per essere utile. Per questo motivo, riteniamo che la riabilitazione psichiatrica, se autenticamente vuole corrispondere a tali questioni, senza riproporre l'esclusione del paziente e le mistificazioni della psichiatria, possa svolgere la propria azione solo attraverso la contrattazione condotta con la disponibilità dell'utente e la comunità cui egli appartiene, e quindi sul territorio.
Si possono compiere alcune osservazioni sui dati qui presentati, a titolo di commento.
È parso all'intera équipe che la qualità degli esiti emersi dall'esperienza finora condotta confermi l'adeguatezza dello strumento "inserimento lavorativo" a rispecchiare e realizzare gli obiettivi per i quali è stato inizialmente proposto ai singoli utenti ed ai loro famigliari, i quali innanzi tutto tendono a considerarlo allo stesso tempo una fonte di reddito, una risorsa terapeutica ed una occasione per stabilire nuove relazioni , ed in secondo luogo, con curiosità, provano ad assumere nei suoi confronti una attitudine critica, sfruttando l'occasione di entrare in un rapporto dialettico e costruttivo con il Servizio: ci sembra infatti che si stia riuscendo ad evitare il rischio di scivolare in posizioni paternalistiche o assistenzialistiche. L'inserimento lavorativo sembra essere più efficace allorché si riesce a realizzare l'equilibrio tra le esigenze di approfondire la valutazione iniziale del caso e di consentire la partecipazione attiva dell'utente, le quali richiedono tempo, e la rapidità dell'avvio dell'esperienza. Rispetto all'esito lavorativo, piccole realtà produttive e alcune Cooperative Sociali sembrano garantire i risultati migliori; ma gli elementi qualificanti, da questo punto di vista, come da quello più generale degli esiti sulla competenza sociale dell'utente, sono senz'altro rappresentati dal "clima" che si realizza presso la sede lavorativa, per lo più grazie soprattutto alla qualità del rapporto con il supervisore, e dalla reale importanza che l'utente assume per l'ambiente che lo accoglie, in termini umani come in termini "produttivi", in parole semplici, anche se ridotte a slogan, dall'essere "la persona giusta al posto giusto". Infine, sembrano trovare conferma alcuni suggerimenti tratti dall'esame della letteratura e relativi ai fattori promuoventi l'efficacia degli inserimenti lavorativi, già citati nell'elencazione delle caratteristiche che abbiamo voluto attribuire al nostro programma.
Vorremmo sottolineare, in conclusione, alcune tra le questioni aperte dalla discussione, al nostro interno, dei dati qui raccolti:
RIASSUNTO
Presso il Dipartimento di Salute Mentale dell'Azienda Sanitaria Locale 17 di Savigliano (CN) è in corso da quattro anni una ricerca programmata di inserimenti lavorativi per utenti affetti da disturbi psichici gravi (spettro schizofrenico, spettro bipolare e disturbi di personalità). Tale ricerca si configura come un intervento originale di riabilitazione lavorativa, ispirato ai principi più diffusamente proposti dalla letteratura specifica e strutturato in accordo al sistema graduato di riabilitazione elaborato da Ciompi et al., con aspetti comuni ai programmi di Supported Employment e di Transitional Employment.
Gli autori si propongono di valutare l'efficacia di questo modello di trattamento attraverso l'analisi dei dati relativi ad una casistica di n. 25 pazienti. Questi dati, raccolti su una scheda standard, con l'ausilio dei comuni strumenti di valutazione clinica, di questionari strutturati e di questionari ad hoc, sono stati suddivisi in due categorie: dati di assessment iniziale e dati relativi agli esiti, valutati alla fine di periodi di follow - up di durata variabile (1 anno, 2 anni, 4 anni). Gli esiti sono stati misurati in base ai seguenti parametri: condizione lavorativa, stato clinico e funzionale, rapporto con i Servizi Psichiatrici, condizioni di vita, soddisfazione degli utenti, delle famiglie e degli operatori, eventi indesiderati.
La discussione conclusiva concerne alcune associazioni ipotizzabili tra caratteristiche dei pazienti e del progetto terapeutico e gli esiti evidenziati.
Bibliografia