Alcune, scrivono sui giornali, lunghe cento metri, dotate di luce,
sistemi di ventilazione e, addirittura, bagni. Delle vere e proprie case. Da queste gallerie, il 17 aprile scorso,
le famigerate “teste di cuoio” peruviane, specializzate in spettacolari azioni anti-guerriglia, hanno fatto
irruzione dentro l’ambasciata giapponese in Perù, concludendo, alla loro maniera, il più lungo sequestro
politico di massa della storia.
Il gruppo di guerriglieri del Movimento Rivoluzionario Tupac-Amaru ha tentato di sfidare il governo peruviano sul suo terreno più forte, quello militare, e ha perso.
«Il ritorno della guerriglia nell’ America-latina!».
L’ M.R.T.A. ci ha ricordato come la scelta violenta, in un paese piegato da politiche economiche e sociali
che non creano emarginati ma esclusi, sia ancora, a tre anni dal duemila, praticabile. Questo non può
bastarci per giustificare un’azione come quella intrapresa dal commando guidato da Néstor Cerpa Cartolini,
ma certo deve servirci per comprendere quello che, oggi, gruppi come l’ M.R.T.A. incarnano.
Il gruppo dei Tupac-Amaru non era, fino a qualche mese fa, ben radicato nella società peruviana: solo in
alcune zone andine, il Movimento era riuscito ad imporsi come centro di resistenza al governo, battendo la
concorrenza del feroce movimento di Sendero Luminoso, ridotto a gruppo terroristico e criminale dopo
l’arresto del suo fondatore, Abimael Guzman. Lo scarso supporto sociale può spiegare il motivo di una
scelta tanto estrema, come quella dell’assalto all’ambasciata giapponese: solo un’azione così eclatante
poteva richiamare l’attenzione sulle condizioni delle carceri peruviane, in cui sono rinchiusi i quattrocento
attivisti tupac-amaru di cui il commando sequestratore richiedeva il rilascio. Condizioni carcerarie che
sono lo specchio di un tessuto sociale ormai collassato e che nessuna autorità governativa tenta di
ricostruire.
Quattro mesi di trattative sono servite a Fujimori per sfiancare il circo mondiale dei mass-media. Se non a spegnere le telecamere, il presidente peruviano è riuscito a relegare i servizi sugli sviluppi del sequestro nelle ultime pagine dei giornali, fuori dai notiziari della sera di mezzo mondo. Dopo aver
raggiunto questo primo risultato, il “golpista-democratico” presidente del Perù (che ha riscritto la
Costituzione del suo paese a sua immagine e somiglianza) si è preoccupato solo di archiviare il più
rapidamente possibile questa annosa questione. A quel punto, i progetti di incursione nell’ambasciata
hanno del tutto esautorato qualsiasi trattativa politica. «Questa soluzione rende giustizia al popolo peruviano!» - ma l’azione orchestrata da Fujimori non ha fatto altro che rendere evidente un dato di
fatto, e cioè di come le forze militari possano essere efficenti nell’irrompere violentemente nelle case o nel
proteggere punti economicamente strategici (come succede per le centrali idroelettriche del Chiapas, per
le raffinerie della costa peruviana, per i gasdotti del deserto algerino), ma non possano risolvere il dramma
di società dilaniate da crisi economiche, legate a volontà poli-tiche.
Con l’esecuzione dei guerriglieri tupac-amaru, con la liberazione delle influenti personalità sequestrate (tutte salve ed incolumi, tranne il giudice peruviano Carlos Giusti, strenue oppositore di Fujimori (sic!)), il dramma sociale dell’ America-latina
ripiomberà nel dimenticatoio, permettendo a tutti i Fujimori del subcontinente di proseguire impunemente
sulla strada presegnata dal neo-liberismo.
La stampa peruviana sostiene che l’83 % della popolazione,
dopo il blitz dell’ ambasciata, è compatta nello schierarsi al fianco del presidente. Chissà se in quell’83 % ci
sono le migliaia di peruviani che vivono nelle baraccopoli del paese, senza lavoro e senza assistenza?
Certo è che per chi non ha corrente eletttrica nella propria casa, nè servizi igienici, nè, spesso e volentieri,
la casa stessa, quei cinque lunghi e attrezzatissimi tunnel sotto la residenza giapponese a Lima, devono
essere parsi l’ennesimo tentativo di riscatto sociale, naufragato nel sangue dei ribelli dell’M.R.T.A..