Ègrazie agli Studenti di Sinistra se per questa prima parte del 1997 si sono svolti nell’Aula Magna del nostro
Dipartimento delle conferenze su un tema molto caldo del dibattito storiografico, colpevolmente trascurato o
solo trattato marginalmente dai docenti del nostro Corso di Laurea da quando Collotti è andato in pensione:
la lettura del fascismo italiano e del nazismo, motivo di contrasto tra i cosiddetti revisionisti e gli
antirevisionisti.
Badate bene, non è stata un’iniziativa estemporanea, bensì un ciclo di conferenze articolato in quattro
incontri tra la metà di Aprile e quella di Maggio, con relatori come Losurdo, Santomassimo, Turi e Collotti,
cioè storici competenti e non politici arroganti come altre liste politiche (leggi Azione Universitaria e affini)
sono solite fare.
Non vogliamo qui entrare nel merito degli argomenti trattati nelle conferenze (o di eventuali limiti
organizzativi; ad esempio per stimolare il dibattito poteva essere invitato uno storico revisionista), da cui
peraltro abbiamo tratto spunto per un articolo sul Revisionismo, perché pensiamo che il dato statistico debba
farci riflettere tutti, studenti e professori: quattro conferenze su temi storiografici, cioè tutta l’attività didattico-
culturale extracorsi all’interno del dipartimento di questa prima parte del 1997, è stata frutto dell’iniziativa degli
studenti, e, in questo caso, degli Studenti di Sinistra.
Altro dato statistico molto significativo: l’Aula Magna
piena di studenti “non certo grigi…”, ma nemmeno sordi vista l’attenzione dimostrata sia con la presenza che
con le richieste di chiarimento. Questa constatazione cosa vuol significare? Vogliamo ribadire che è urgente
riportare il dibattito all’interno dell’Università, che sono i professori a dover individuare e organizzare le
conferenze ed i dibattiti, che loro, anzi anche loro, dall’alto della loro posizione devono assumersi l’onere di
integrare il percorso di studi degli studenti e vitalizzare la vita culturale del Dipartimento (siamo a Storia!).
In questo numero parliamo anche di Gramsci, affrontiamo il pensatore sardo da un certo punto di vista, quello
del suo rapporto con la Storia; ci sembra opportuno quindi concludere con una citazione dai Quaderni del
Carcere tratta da una nota del primo quaderno intitolata Delle università italiane: “Perché non esercitano nel
paese quell’influsso di regolatrici della vita culturale che esercitano in altri paesi? Uno dei motivi deve
ricercarsi in ciò che nelle università il contatto tra insegnanti e studenti non è organizzato (...) Un maggiore
contatto esiste tra i singoli insegnanti e singoli studenti che vogliono specializzarsi su una determinata
disciplina: questo contatto si forma, per lo più, casualmente ed ha una importanza enorme per la continuità
accademica e per la fortuna delle varie discipline. Si forma, per esempio, per cause religiose, politiche, di
amicizia famigliare. Uno studente diventa assiduo di un professore, che lo incontra in biblioteca, lo invita a
casa, gli consiglia libri da leggere e ricerche da tentare […]. Questo costume, salvo casi sporadici di camorra,
è benefico, perché integra la funzione dell’università. Dovrebbe da fatto personale, di iniziativa personale,
diventare funzione organica”. Mi sembra che l’invito di Gramsci, mirato anche a mettere in luce la validità
della forma seminariale delle lezioni, sia quanto mai attuale.