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L'intervista a...


Nicola Tranfaglia
di Andrea Cognata

L'Italia è un paese che per tutti i suoi primi cinquant’anni di storia ha fatto del proprio passato un terreno di duro scontro politico e ideologico, rendendo difficoltoso ogni tentativo di accostarsi ad esso in maniera serena ed obbiettiva. Da qualche anno, tuttavia, si assiste proprio all’interno degli ambienti politici allo svilupparsi di una tendenza a rivolgersi a quel passato, e soprattutto alle origini della nostra repubblica, con un atteggiamento ben diverso. Gli opposti preconcetti paiono aver lasciato il posto ad un’esigenza di composizione dei contrasti e determinato un desiderio di creare o risvegliare un consenso comune verso i medesimi valori. Il discorso di insediamento alla presidenza della Camera dell’On. Luciano Violante, i nuovi toni assunti dai consueti dibattiti storico-politici che accompagnano tradizionalmente le manifestazioni per il 25 Aprile, e la stessa polemica legata alla possibile abolizione della XIII disposizione transitoria della nostra Costituzione, che proibisce agli eredi maschi della dinastia dei Savoia di rimettere piede in Italia, sembrano confermare questa tendenza. Non mancano tuttavia alcuni dubbi in questo senso.
La polemica mai sopita riguardo alle posizioni di Renzo De Felice e alla sua scuola storiografica, e quella sorta attorno ai rischi legati alla riforma dell’ insegnamento nelle superiori a partire dal prossimo anno scolastico, dimostrano come rimangano ancora forti punti di contrasto sul modo di accostarsi allo studio della nostra storia patria e in generale di quella del novecento. Su questi e su altri problemi abbiamo interpellato il prof. Nicola Tranfaglia, docente napoletano di Storia Contemporanea e Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ Università di Torino, autore di vari saggi Utet, Nuova Italia e Laterza sulla storia del secondo dopoguerra.

  • Prof. Tranfaglia, ritiene che si possa parlare effettivamente di un cambiamento di tendenza nel modo di rapportarsi alla nostra storia repubblicana? e se si, da quando far cominciare tale mutamento?
    A mio parere con la caduta del muro di Berlino, ma soprattutto dell’impero sovietico e, come conseguenza di quel crollo, con la fine della guerra fredda, ci sono stati senza dubbio dei cambiamenti, primo fra tutti la fine, almeno in parte, della guerra di religione tra i tifosi del comunismo e i tifosi del capitalismo occidentale. Ciò ha sicuramente favorito un maggiore distacco rispetto alla nostra storia nazionale e ha determinato un duplice bisogno. Da una parte si è cercato di vedere quanto si poteva cogliere all’interno della nostra storia di ciò che ne era sempre stato emarginato, dall’altra si è resa evidente, di fronte al procedere della transizione italiana, l’esigenza di trovare valori comuni , attraverso un processo di revisione dei precedenti giudizi storici. Purtroppo, in questo paese, il compito di questa revisione storica è stato assunto dai politici molto più che dagli storici, e ciò anche a causa del differente modo di formulare i giudizi, ha prodotto delle grandi approssimazioni piuttosto che delle nuove visioni storiche.
  • Potrebbe illustrarci in che modo si manifesta tale differenza di interpretazione tra storici e politici?
    Lo storico cerca di ricostruire un fenomeno e di comprenderne le motivazioni, i politici invece si preoccupano di usare la storia per raggiungere determinati obbiettivi, anche validi, ma che comunque restano di breve momento. Quindi l’analisi del passato ai politici è utile in quanto, in primo luogo, li mette in condizione di evitare quegli errori che si sono già evidenziati nel passato, e inoltre fornisce loro delle esperienze per affrontare problemi che tendono, nonostante tutto, a riprodursi.
  • Nel raggiungimento di simili obbiettivi è possibile per lo storico venire in soccorso della politica?
    Certamente. Anzi, per restare agli avvenimenti degli ultimi tempi, se i nostri politici utilizzassero meglio la storia si renderebbero conto, ad esempio, che le riforme della costituzione possono essere utili ma non risolvono da sole una crisi politica. Ciò non è mai successo nella storia, eppure, sentendo parlare alcuni politici, a volte si ha l’impressione che molti di loro pensino che cambiando una norma della costituzione si possa risolvere qualsiasi problema.
  • Nonostante questo ruolo di guida di cui sarebbe investita l’analisi storica, è anche vero, però, che i risultati delle ricerche di alcuni studiosi, legate principalmente al dibattito revisionista su Antifascismo e Resistenza, hanno fornito, e forniscono tuttora, non pochi elementi di conflitto alla politica. Qual è la sua posizione al riguardo?
    Vede, Revisionismo è un termine molto generico. In senso proprio, ossia come attitudine dello storico a rivedere sempre i propri giudizi, è un fenomeno tutt’altro che nuovo e che accompagna il processo storico fin dalle sue origini. È evidente che quando si scoprono nuove fonti, ma anche quando si passa da una generazione all’altra, non si possono non avere dei mutamenti nei giudizi. Esiste però un’accezione più ristretta di revisionismo che si intende legata ad una contestazione su giudizi dati specificatamente su alcuni temi e in modo particolare sul fascismo, ad esempio, rivalutandone gli aspetti positivi o addirittura presentandolo come una versione positiva della storia. In questo senso, ad esempio, mettere sullo stesso piano le ragioni e le motivazioni dei combattenti di Salò con quelle dei partigiani è un’operazione che naturalmente piace molto agli eredi del fascismo e soprattutto di Salò, ma che sul piano storico, a mio parere non sta in piedi. Coloro che combatterono per Salò, sebbene mossi da motivazioni genuine, lottarono per l’Europa di Hitler, mentre coloro che si batterono per la Resistenza lo fecero contro quel progetto.
  • Eppure lo stesso Presidente della Camera, On. Luciano Violante, nel suo discorso di insediamento, ha suggerito di analizare con più serenità la posizione dei giovani di Salò.
    In realtà bisogna distinguere nettamente tra ciò che ha effettivamente detto Violante e come i mezzi di comunicazione hanno parlato del suo discorso. La necessità, presente nel discorso integrale del Presidente della Camera, di mettere in luce le motivazioni di quei giovani che, avendo un’immagine idealistica e non realistica del fascismo, andarono a combattere per Salò, ritenendo di perseguire valori positivi, è stata sostenuta dagli storici italiani di qualsiasi tendenza da molto tempo. Diversa però è stata la lettura che se ne è voluto dare da parte della stampa.
  • I giornali quindi contribuirebbero ad esasperare l’attuale dibattito storico-politico piuttosto che a chiarirlo e divulgarlo. Secondo lei da dove nascerebbe questa tendenza?
    Ritengo che in Italia, grosso modo da quando si è affermata la televisione commerciale, i giornali hanno preso come esempio, nelle loro modalità di espressione, proprio lo strumento televisivo. Anzi rispetto ad esso hanno ritenuto di dover puntare in maniera maggiore alla sorpresa, allo scoop, allo scandalo per compensare il diverso bacino di diffusione. Il risultato è stato una deformazione generale dei fatti, legata proprio alla necessità di raggiungere effetti equiparabili a quelli della televisione. Questo modo di procedere ha stimolato polemiche dove a volte non c’erano, le ha esasperate laddove invece erano molto più contenute, e ha spesso impedito di dare un’informazione completa a vantaggio dei contrasti che si volevano creare. In genere tutto ciò, su un publico preparato sortisce un effetto molto relativo, ma su un pubblico come quello italiano, che è assai poco preparato riguardo alla propria storia contemporanea, provoca delle conseguenze disastrose.
  • A dimostrare però che il dibattito relativo alla rianalisi della storia del recente passato della nostra Repubblica è tutt’altro che sereno, intervengono anche le polemiche suscitate dalla riforma della scuola secondaria appena approvata e che, a partire da Settembre, porterà gli studenti a dedicare l’ultimo anno del loro corso di studi alla storia del Novecento. Sempre più forti si fanno infatti, tra storici, politici ed editorialisti, le preoccupazioni di indottrinamento ministeriale, mentre si alzano anche minacce di dare alle fiamme i manuali incriminati di faziosità. Lei cosa ne pensa?
    A mio parere in Italia esiste un’opinione pubblica conservatrice, potentemente rappresentata nei grandi giornali, come ad esempio il Corriere della Sera, e che riemerge ogni qual volta si tenta di cambiare qualcosa in senso innovativo. Quindi molte delle critiche che vengono a questa riforma non nascono dalla preoccupazione di una sua corretta attuazione, o dalla paura di un indottrinamento ministeriale, bensì dal semplice desiderio di opporsi a qualsiasi cambiamento. D’altra parte, per convincersi dell’esistenza di una simile tendenza, basta considerare come i vari tentativi di riformare la scuola secondaria, per quasi un cinquantennio, si siano arenati proprio a causa di tali resistenze, sebbene di volta in volta diversamente mascherate.
  • Se ne deduce un suo giudizio positivo riguardo alla proposta del Ministro Berlinguer.
    Sostanzialmente si, anche se resta un grande punto interrogativo sui suoi possibili esiti. Questi potranno essere positivi soltanto se si avvierà un grande progetto di rimotivazione e riqualificazione degli insegnanti. Gli attuali docenti delle scuole sono spesso stanchi, frustrati e mancano di una preparazione adatta ad insegnare la storia del novecento. In questo senso l’unico sistema per garantire la riuscita di questo progetto dovrà necessariamente passare atraverso un più forte coinvolgimento e una maggiore motivazione del corpo docente.
  • A suo giudizio non si corre il rischio che questa riforma, complice anche la scarsa preparazione degli insegnanti, oltre che questo risveglio dell’attenzione per la Storia d’Italia del XX secolo, porti a sottovalutare, anche se solo per motivi di tempo, la parte dei programmi scolastici dedicata allo studio di aree tradizionalmente poco affrontate, come, ad esempio, Sud America e Asia?
    Sinceramente non credo. La proposta del Ministro riguarda il Novecento in generale e non solamente quello italiano. Del resto dipenderà dagli insegnanti e dalla loro preparazione portare a compimento l’intero programma di studi. Comunque a mio parere è impossibile insegnare il Novecento in una versione nazionalista, dal momento che esso è storia del mondo.
  • Per concludere vorremmo chiederle alcuni consigli per gli studenti che hanno deciso di intraprendere la carriera di storico.
    I miei consigli sono, in primo luogo, prepararsi a vivere in un mondo sempre più piccolo e quindi a conoscere altre lingue oltre l’italiano; quindi utilizzare in maniera flessibile le conoscenze fornite da un simile corso di laurea. In fondo il nostro compito come insegnanti è quello di formare dei veri e propri umanisti in grado di applicare le proprie conoscenze nei diversi campi del lavoro, tenendo presente che il numero di quelli che potranno dedicarsi alla ricerca è molto piccolo e quello di coloro che potranno insegnare non è più grande come in passato.

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