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Autonomia e governo della scuola

Il processo di trasformazione del governo della scuola in Italia ha subito con l’avvento del centro sinistra una brusca accelerazione nell’ottica del decentramento amministrativo e del concentramento del potere nelle mani del capo di istituto. In tal modo è stato abbandonato il disegno di sganciare il sistema scolastico dalla dipendenza al ministero per realizzare una autentica  autonomia. Per meglio esprimere, cioè, a livello nazionale,  la ricchezza degli orientamenti culturali e ideali esistenti nel Paese e per realizzare, a livello locale, un modo più adeguato per rispondere all’articolazione della domanda formativa emergente dalla società in trasformazione.

Almeno così appare da una lettura contestuale degli atti legislativi e amministrativi approvati, o in corso di approvazione o progettati. C’è in primo luogo la Legge 59/97, la cosiddetta legge Bassanini che nell’articolo 21, nell’applicare i principi del decentramento amministrativo alla scuola, definisce le condizioni necessarie perché le scuole godano di autonomia e le  competenze ad esse attribuite. C’è un progetto di legge sugli Organi collegiali di scuola su cui si sta cimentando la VII Commissione della Camera dei Deputati. Ci sono Decreti legislativi o regolamenti (i primi hanno valore di legge e sono approvati dal governo, i secondi sono atti del Ministro che può variarli a piacimento) che il governo è delegato a emanare per l’attuazione del suddetto articolo 21.

L’autonomia come si viene configurando in questi atti si riduce, in buona sostanza, al trasferimento di competenze e funzioni alle singole scuole e le avvia a diventare aziende autogestite affidate alla direzione  di un capo di istituto.

La più grave incongruenza, quella che giustifica il dubbio sulla reale volontà di realizzare un’autentica autonomia del sistema scolastico, emerge dalla   sfasatura tra la definizione dei poteri e delle competenze attribuite alle scuole e la designazione degli organi chiamati ad esercitarle. Dei provvedimenti attuativi solo il Decreto legislativo, che disciplina la qualifica dirigenziale dei capi d’istituto e ne definisce i poteri, è stato definitivamente approvato! Questo decreto, letto nel quadro della nuova normativa concernente i dirigenti della Pubblica Amministrazione definita dalla stessa legge Bassanini, che tra l’altro li autorizza a usare il potere del privato datore di lavoro per raggiungere gli obiettivi loro affidati, consente di affermare che la nuova figura del Capo di istituto, diventato dirigente scolastico, è incompatibile con una gestione democratica della scuola e con la libertà di insegnamento. Dichiarato responsabile in merito agli esiti dell’azione formativa della scuola ha, oltre che compiti di gestione delle risorse finanziarie e strumentali,  compiti di direzione delle risorse umane e professionali. Si colloca quindi in una posizione di sovraordinazione gerarchica rispetto ai docenti che vengono così a perdere quella condizione di personale dipendente dello Stato, ma non subordinato, unica garanzia per una effettiva  libertà di insegnamento.  Per di più il nuovo Dirigente scolastico è titolare delle relazioni sindacali  diventando anche formalmente controparte nei confronti del personale docenti a cui invece i Decreti delegati del 1974 lo assimilavano pur nella distinzione delle funzioni docente e dirigente.

Se si aggiunge che sugli esiti dell’azione formativa della sua scuola sarà valutato da un nucleo di valutazione a livello regionale presieduto da un dirigente a sua volta dipendente dal ministero, ci si rende conto che questo decreto legislativo non promuove l’autonomia delle scuole, ma il rafforzamento della gerarchizzazione e del centralismo ministeriale.

Ad evitare la gerarchizzazione potrebbe servire un riassetto degli Organi collegiali delle scuole che riequilibrino i poteri del dirigente scolastico attribuendone altri ai rappresentanti degli  insegnanti, degli studenti e, nelle scuole dell’obbligo, dei genitori. Ma il disegno di legge sull’argomento non solo non è in dirittura d’arrivo, perché il testo messo  a punto da un Comitato ristretto della VII Commissione della Camera è rifiutato sia da Rifondazione Comunista sia da Forza Italia, ma non va neppure in questa direzione.

Ad evitare il ministerialismo potrebbe servire la definizione dell’autonomia del sistema scolastico nazionale nel suo complesso prevista nel comma primo del suddetto articolo 21 alla quale dovrebbe provvedere il Decreto legislativo sugli organi collegiali nazionali e periferici che il governo è delegato ad emanare, ma di cui non è pronta neppure una bozza.

In verità questa mancata approvazione della proposta di Legge sugli organi collegiali di istituto e del decreto legislativo sugli organi collegiali periferici e nazionali, rende impossibile definire con certezza l’articolazione dei poteri ai diversi livelli del sistema scolastico. Restano, a livello nazionale, non definiti i limiti del potere del Ministero, destinato a perdere gli oneri della gestione, ma a mantenere il potere di indirizzo e di controllo senza che siano ridefiniti il ruolo e la rappresentanza del Consiglio nazionale della P.I. A livello locale, con particolari e gravi conseguenze sulla vita quotidiana delle scuole, resta sbilanciato il rapporto tra dirigente scolastico e corpo docente che risulta emarginato insieme alle altre componenti scolastiche. Ne deriverà per le scuole uno stato endemico di conflittualità che nessuna gestione autoritaria o paternalistica dei nuovi Dirigenti riuscirà ad evitare.

Lo conferma la bozza di Regolamento - divulgata dal Ministero alla fine di marzo e offerta per una finta consultazione ai collegi docenti - che, interpretando in modo estensivo la delega contenuta nell’art. 21, definisce in modo minuzioso le ampie competenze in campo didattico, organizzativo, amministrativo trasferite alle scuole, chiamate enfaticamente istituzioni scolastiche, anch’esso senza designare i soggetti destinati ad esercitarle. Tra le altre facoltà c’è anche la possibilità di inserirsi in reti di scuole, pubbliche e  private, nei cui organismi direttivi possono essere chiamati esperti e responsabili di strutture  del territorio -  magari le parrocchie e le imprese - interessati ai problemi della formazione. Si anticipa con ciò quel sistema integrato, pubblico privato, previsto nella proposta di legge sulla parità attualmente in discussione alla VII Commissione del Senato e che tanta opposizione ha suscitato.

Non è stato, invece, presentato il Regolamento, con il quale si procederà al dimensionamento delle scuole perché raggiungano la dimensione prevista dalla Bassanini per diventare sedi di gestione autonoma. Si sa solo che si continuerà a procedere attraverso tagli di classi, accorpamenti di sedi e creazione di istituti comprensivi di scuole di diverso ordine e grado, nella prospettiva aperta dalle ultime due finanziarie che hanno già notevolmente ridotto il bilancio della P. I.

A questa prospettiva efficientistica si ispira la proposta di legge sulla parità, di cui si è detto, che prevede per le scuole la facoltà di individuare forme di autofinanziamento in contraddizione con quanto previsto dal comma 8 del suddetto articolo 21 che stabilisce nell’assegnazione ordinaria e perequativa dello stato la loro fonte di finanziamento.

Ben altre contraddizione conflittualità si verificheranno nel mondo della formazione se, nel processo di revisione costituzionale in corso, sarà definitivamente varato l’articolo 58 recentemente approvato dalla Camera dei Deputati in prima lettura nella forma proposta dalla bicamerale. Questo non solo trasferisce alle Regioni la gestione amministrativa delle scuole, ma conferisce loro anche potestà legislativa su tutte le materie che non concernono le disposizioni generali riservate all’attività legislativa del Parlamento.

Mentre verrà meno l’uguaglianza dell’offerta formativa a livello nazionale con la differenziazione delle scuole padane da quelle siciliane e di quelle venete da quelle napoletane, si aprirà un lunga fase di assestamento per definire il confine tra le competenze statali e quelle regionali che renderà ancora più difficile quella riforma del sistema scolastico che ormai tutti auspicano e considerano irrinunciabile.

Marcello Vigli

Comitato Scuola e Costituzione

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