LA CINTA MURARIA Dott. Lino Lucchini Le
mura di Lonato furono costruite intorno alla metà del XIV secolo
contemporaneamente al castello visconteo, quando l’antico borgo che
si stringeva intorno alla primitiva Pieve di S. Zeno fu raso al suolo
ed abbandonato dopo il saccheggio della banda teutonica guidata
da Lodrisio Visconti avvenuto nel febbraio del 1339[1]. Il
Parolino[3]
così ricorda quegli eventi: La
nuova cinta muraria incorporò quella più antica della Cittadella. Di
ciò fanno chiaramente fede alcuni articoli degli Statuti
Criminali di Lonato del secolo XV, come l’art 100 sul
raddoppio delle pene per i delitti commessi in Cittadella. Altro
articolo degli Statuti, il 283, sul divieto di pascolo o di accesso
alle fosse, tiene ben distinte quelle della terra di Lonato da quelle
della sua Cittadella.[6] La
più antica descrizione della Rocca e delle mura si trova nell’Itinerario
di Marin Sanudo per la terra veneziana dell’anno 1483[7]dove
si legge: Il
Sanudo accompagna lo scritto con un piccolo disegno, il primo che ci
fornisce l’idea di come si presentava il castello appena costruito.
Molte
sono le rappresentazioni del castello e delle mura, risalenti ai
secoli scorsi, pubblicate in varie occasioni o conservate da
biblioteche o da privati.
Non ci sono pervenute descrizioni di combattimenti sostenuti presso le
mura. Unica eccezione la pagina, dichiarata gloriosa nella storia
della fortezza veneta, avvenuta nel novembre del 1705, in occasione
della guerra di successione spagnola, quando il Provveditore Ferigho
Contarini si oppose all’entrata nel Recinto richiesta dal principe
Eugenio di Savoia, generalissimo degli Imperiali.[8] E’
interessante leggere, a questo proposito, quanto il Provveditore di
Lonato ebbe a scrivere al Senato Veneto. La lettera, datata 8 dicembre
1705, è stata trascritta nel Libro degli Ordinamenti che va
dal 1705 al 1714, conservato nell’archivio storico del Comune: Proseguendo pur anche gli Alimani nella loro dimora in vicinanza di cotesta Fortezza, si risolsero martedì mattina alle hore dieci di spicar alcuni Reggimenti d’Infanteria et altri corpi di Cavalleria che in diversi battaglioni s’apostarono per tutti i lati di questa Fortezza ed alle dodici piantarono quattro pezzi di cannone grosso in faccia alla porta Brescia con spedir all’interno delle fosse quantità di Granatieri et altri corpi valenti di militie. Comparso pur alla porta medesima il general Vecelli mi fé addimandar per parlamentarmi. Io immediate salite le mura con il Maggior di Battaglia Giangix, accorsi a quella parte, dove mi espose a nome del signor Principe Eugenio che Sua Altezza haveva sin’hora havuti in considerazione tutti li luoghi della Serenissima Repubblica, ma vedendo adesso che i Francesi si sono lasciati entrar liberamente in Desenzano, egli pure pretendeva l’ingresso in Lonato, che per altro Sua Altezza s’impegnava d’haver tutta la considerazione per la mia persona e lasciarmi nel posto di prima. Io ad alta voce gli risposi che Desenzano niente serve d’esempio a Lonato che è Fortezza circondata da mura con cannone e pubblico Rappresentante...che ero molto tenuto a Sua Altezza per la consideratione che diceva di havere della mia persona, ma che non minor consideratione attendevo ancora per questa Fortezza, per la quale avevo le mie commissioni di far ogni difesa per custodirla sin’all’ultima effusione di sangue. Il che havaria veduto al loro primo sbarro, con che congedossi. Noi però al primo moto degli Alemanni, habbiamo immediatamente diretti molti moschettieri in faccia e per fianco a cannoni per offender i capi loro, a ciò non possino sbarrarli che la prima volta, per riparo, et ordinati alcuni con manare [mannaie] per tagliar immediatamente la saracinesca et impedir del tutto l’ingresso alli esteri; di poi si misero in ordine li granatieri ove occorrevano e con bellissimo ordine tanto nelle militie che nel Popolo tutto. Tutti presero l’armi, ben assistendo ogn’uno al suo posto. Io salito a cavallo su la Piazza incoraggiavo la militia et il Popolo e co’ carri facevo ultimar le barricate alle strade, assistito dalli Reggenti della Comunità pure tutti a cavallo, da una squadra di Capelletti e da due Compagnie d’Oltramarini. Quando il general Vecel mi fa di nuovo addimandar io vi accorro immediatamante. Egli mi riferisce a nome di S. Altezza che se io avevo qualche considerazione per il Castello, S. Altezza s’impegnava a lasciarlo intatto purché gli permettessi l’ingresso nella Città che assolutamente gli occorre. Di che ne attendeva la precisa risposta. Io le risposi che la medesima consideratione e le medesime commissioni havevo per la Città e per il Castello e che la risposta da portar a S. Altezza già l’avevo data al sig. general la prima volta, mentre siamo prontissimi a difender ambidue sin’all’ultima stilla di sangue, non restando a loro che principiare. Mi rispose, e bene dunque, s’è inteso e mostrò di partire risoluto. Noi pure risolutissimi di sacrificarci per il servizio dell’Adorato Nostro Principe, ci mettemmo in ordine per la più valida e risoluta difesa. Si riparò nel Castello e nelle Chiese le robbe migliori dei sudditi, se ne riempì la Cittadella stessa e già allestite le donzelle per entrare nelle Capuzzine a maggior loro salvezza, non s’attendeva che il primo sbarro, quando per la terza volta mi fa addimandar il generale suddetto e mi dice che Sua Altezza non vuol cominciare la guerra con la Repubblica et che perciò si rifiuta....et havuto avviso che li Alemanni levavano il loro cannone che era dirizzato in faccia alla Porta Brescia, facendo pure levar le sue Truppe appostate in faccia al Recinto, noi pure facciamo metter piede a terra alla nostra Cavalleria e posar l’armi all’Infanteria. Dopo
questi eventi, per circa due secoli la storia non passò più sotto le
nostre mura.
Al tempo della prima
battaglia combattuta a Lonato il 28 maggio 1796 da Napoleone Bonaparte,
il Cenedella[9]racconta
l’episodio avvenuto alla porta Milanesa, murata ma con alcune
fessure:
...Si riteneva quasi cessato il combattimento, quando tre
tedeschi sparsi per la
piazza si incontrarono con certo Giacomo Dunquel detto il Todeschino
già sbirro di S. Marco sul mercato. Questi disse loro che se volevano
potevano spaventare i francesi e mettere in scompiglio tutta la loro
armata senza esser veduti. Accolsero il progetto e con lo stesso
Dunquel andarono agli spalti della Rocca, alla così detta porta
Milanesa che era un’antichissima porta dalla quale si vede
l’arcata chiusa e murata da qualche secolo. Quivi i tedeschi videro
da alcuni fori come si poteva mettere lo scompiglio nei Repubblicani
che tutt’altro pensavano. Portava allora il Dunquel una scala.
Saliva uno di questi tedeschi e da uno dei fori sparò un colpo,
mentre gli altri due suoi compagni gli davano i loro fucili già
caricati e ne sparava varii altri. Con questo artificio tre soli
Austriaci mettevano un terribile scompiglio nel campo francese.
Quando, nel 1827, alle mura
venne praticato lo squarcio per la costruzione della nuova strada per
Brescia (corso Garibaldi e via Roma), vennero alla luce, racconta il
Cenedella[10], due scheletri ai piedi
dell’affresco della Madonna del Cochino così chiamata dalla
tradizione popolare. Si pensò allora che fossero i resti di due bricconi
che in quel luogo furono fucilati durante di 16 giorni del giugno
1509, quando il re Lodovico [Luigi] XII soggiornò in Lonato. Il
termine cochino venne dato a quella Madonna derivandola
dall’antiquato francesismo, sinonimo di farabutto, canaglia[11].
Le mura, dopo che venne a
mancare la loro importanza quale mezzo di difesa e anche il castello
visconteo venne sdemanializzato e venduto ai privati, nei primi anni
del 1800, furono oggetto di lunghe dispute intorno alla loro
demolizione o conservazione. Ce ne riferisce, con una cronaca ancora
inedita, ma di grande interesse per la freschezza del racconto, un
lonatese che fu testimone del tempo: Orazio Tessadri, nelle sue Memorie[12].
Va letto, a distanza di
quasi due secoli, quanto egli scrive nel libro secondo: ...Erano
degli anni che varie persone di Lonato vedevano di mall’occhio
conservate le pubbliche mura. Il sig. Vittorio Barzoni, zio di mia
moglie,[13]credeva
così il paese fosse poco ventilato e non troppo sano. Il sig. Pietro
Federico Gerardi[14]sperava
che atterrando le mura la seta della propria sua filanda resterebbe più
bella e lucida. Il sig. Consigliere Felice Mozzini[15]
sperava di veder l’atterrazione sperando di veder Lonato assai più
vasto in pochi anni come fosse una novella città nascente d’America
che in poco tempo viene incominciata e portata a termine. Cosa che
sarebbe certamente praticata (al dir d’esso) nel nostro paese pure,
quando non fossero impediti dalle tiranniche pubbliche mura che
circonscrivevano l’antico Recinto. Il paese di Lonato si può dire
puramente agricolo, senza commercio, senza fabbriche, senza
stabilimenti, senza risorse e quello che è peggio, senza denari. Chi
adunque doveva o poteva dilatare mirabilmente il fabbricato? I signori
no perché in proporzione delle loro famiglie, delle loro sostanze e
dei loro bisogni tutti sono provveduti sufficientemente. Conviene che
il sig. Mozzini avesse dei dati che Olandesi, Genovesi, Persiani,
Chinesi o Giapponesi volessero trasferire le loro famiglie ad
ingrossare il troppo stretto paese. Poiché in quanto agli attuali
abitanti si potrebbe credere che non ne sentano né la necessità né
la voglia; tanto più che il paese è assai poco popolato e pochissime
sono le case che abbiano il secondo piano decente da potervi dimorare
e se taluni dei fabbricati ha dei comodi in alto sono abbandonati a
contenere dei grani o
altri consimili prodotti. Il sig. Mozzini forse cercava di far credere
ciò che esso pure non credeva, intento come ha sempre fatto ad
abbellire con pompose promesse la vista dei poveri semplici e perché
forse anche i torrioni, i merli, i forti ricordavano i tempi andati.
Egli si ricordava le prediche fatte in piazza, il tirannico veneto
governo da esso tanto detestato,le fucilazioni fatte eseguire nella
fossa ora gioco del pallone; e cento e mille altre cose simili che
è assai meglio tacerle. Il sig. Angelo Apollonio credeva che
le mura fossero di ostacolo alle notturne recondite passeggiate. Il
sig. Capitano Brasa[16]sentiva
assai dispiacere di non godere l’amena vista del lago e della vicina
strada postale stando a casa. Il sig. Filippo Gallina che aveva
militato nei disciolti reggimenti italici sperava che in un torbido,in
un parapiglia, in un trambusto che vagheggiava o dal Piemonte o dalla
Francia o anche dalla Romagna, potesse meglio pescare nel torbido.
Infatti tutti gli avvocati, gli ex militari e pensionati di Napoleone
o d’altre Potenze desideravano la distruzione delle mura, mentre i
pacifici possidenti ne amavano la conservazione, se non altro per
difendere le loro case da notturne invasioni. ...E’ da credersi che
la massima di atterrare le pubbliche mura abbia origine da’ male
intenzionati per viste politiche e non mai per mancanza d’ingegno o
di esperienza. Ad
ogni modo però tanto si disse e tanto si fece che il Comune aderì ad
un’asta che sotto il pretesto di riattare e di accomodare il
crollante, il sig. Angelo Apollonio col nome di Domenico Inganni
atterrò e distrusse la maggior parte di sì annosi e splendidissimi
manufatti, vendendo moltissimi materiali e facendosi ben pagare dal
Comune. O tempora! O mores!
Si chiudeva così l’anno
1826. Le due porte del Corlo e Clio che avevano appositi locali per i
militari di guardia, erano state demolite già nel 1817.
[1]
MURATORI, Annali d’Italia – Vol. VIII, pag. 166. A.
S. C. L. , Pergamene, segnatura n. 170.
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