La Polada - Associazione Storico Archeologico Naturalistica

 

LA CINTA MURARIA

Dott. Lino Lucchini

Le mura di Lonato furono costruite intorno alla metà del XIV secolo contemporaneamente al castello visconteo, quando l’antico borgo che si stringeva intorno alla primitiva Pieve di S. Zeno fu raso al suolo ed abbandonato dopo il saccheggio della banda teutonica guidata da Lodrisio Visconti avvenuto nel febbraio del 1339[1].
I lonatesi superstiti si rifugiarono allora nell’altro borgo che si stava formando da tempo remoto intorno alla Cittadella.
I Visconti, che si sentirono chiaramente colpevoli delle tante disgrazie subite dai fedeli sudditi accordarono loro immediatamente l’esenzione totale da ogni taglia o gabella. Per speciale concessione, inoltre, fu loro concessa giurisdizione separata da Brescia con appositi Statuti. Qui nominarono, inoltre, un loro Vicario.
Naturalmente sentirono la necessità di munire la nuova Lonato di un forte castello o rocca e di cingerlo da possenti mura.
Poiché le braccia dei superstiti non erano sufficienti per la realizzazione della grandiosa opera, che avrebbe poi dato nuovo volto alla rinata città lonatese, anche tutti i maschi abili di Calcinato furono chiamati, con apposito arbitrato[2] del 27 ottobre 1379, a prestare la loro opera.

Il Parolino[3] così ricorda quegli eventi:
Non potendo Azzone Visconti, prevenuto dalla morte, edificar Lonato, fu ciò eseguito da successori dell’Ill.ma et Ecc.ma sua Casa a cui sono obbligatissimi i lonatesi, facendolo fabbricar sopra un Colle ove di presente si trova, lontano quasi un miglio dall’antica Terra, distribuendolo in bellissime contrade con le sue spaziose strade e cingendolo di mura co’ suoi Baloardi[4] all’usanza di quel tempo e con le sue profonde fosse all’intorno, con tre porte cioè quella del Corlo, quella del borgo Clio e la Cremonese, qual è ora chiusa[5].

La nuova cinta muraria incorporò quella più antica della Cittadella. Di questo fatto il Parolino ha dato una versione errata, asserendo che essa fu costruita contemporaneamente al Castello con le sue contradelle e strade cinte di mura, fosse e baluardi con due porte, una che guarda verso la strada che porta alla piazza...e l’altra, fatta per soccorso, detta la Milanesa, ora otturata, mentre era preesistente.

Di ciò fanno chiaramente fede alcuni articoli degli Statuti Criminali di Lonato del secolo XV, come l’art 100 sul raddoppio delle pene per i delitti commessi in Cittadella. Altro articolo degli Statuti, il 283, sul divieto di pascolo o di accesso alle fosse, tiene ben distinte quelle della terra di Lonato da quelle della sua Cittadella.[6]

 La più antica descrizione della Rocca e delle mura si trova nell’Itinerario di Marin Sanudo per la terra veneziana dell’anno 1483[7]dove si legge:
Lonà è uno castello sopra uno colletto di monte... tutto murado di mure di cuogoli debellissime...A’ una cittadella arente il castello, murada, ma trista, con alcune caxe...

Il Sanudo accompagna lo scritto con un piccolo disegno, il primo che ci fornisce l’idea di come si presentava il castello appena costruito.

        Molte sono le rappresentazioni del castello e delle mura, risalenti ai secoli scorsi, pubblicate in varie occasioni o conservate da biblioteche o da privati. Non ci sono pervenute descrizioni di combattimenti sostenuti presso le mura. Unica eccezione la pagina, dichiarata gloriosa nella storia della fortezza veneta, avvenuta nel novembre del 1705, in occasione della guerra di successione spagnola, quando il Provveditore Ferigho Contarini si oppose all’entrata nel Recinto richiesta dal principe Eugenio di Savoia, generalissimo degli Imperiali.[8]

E’ interessante leggere, a questo proposito, quanto il Provveditore di Lonato ebbe a scrivere al Senato Veneto. La lettera, datata 8 dicembre 1705, è stata trascritta nel Libro degli Ordinamenti che va dal 1705 al 1714, conservato nell’archivio storico del Comune:

Proseguendo pur anche gli Alimani nella loro dimora in vicinanza di cotesta Fortezza, si risolsero martedì mattina alle hore dieci di spicar alcuni Reggimenti d’Infanteria et altri corpi di Cavalleria che in diversi battaglioni s’apostarono per tutti i lati di questa Fortezza ed alle dodici piantarono quattro pezzi di cannone grosso in faccia alla porta Brescia con spedir all’interno delle fosse quantità di Granatieri et altri corpi valenti di militie. Comparso pur alla porta medesima il general Vecelli mi fé addimandar per parlamentarmi. Io immediate salite le mura con il Maggior di Battaglia Giangix, accorsi a quella parte, dove mi espose a nome del signor Principe Eugenio che Sua Altezza haveva sin’hora havuti in considerazione tutti li luoghi della Serenissima Repubblica, ma vedendo adesso che i Francesi si sono lasciati entrar liberamente in Desenzano, egli pure pretendeva l’ingresso in Lonato, che per altro Sua Altezza s’impegnava d’haver tutta la considerazione per la mia persona e lasciarmi nel posto di prima. Io ad alta voce gli risposi che Desenzano niente serve d’esempio a Lonato che è Fortezza circondata da mura con cannone e pubblico Rappresentante...che ero molto tenuto a Sua Altezza per la consideratione che diceva di havere della mia persona, ma che non minor consideratione attendevo ancora per questa Fortezza, per la quale avevo le mie commissioni di far ogni difesa per custodirla sin’all’ultima effusione di sangue. Il che havaria veduto al loro primo sbarro, con che congedossi.

Noi però al primo moto degli Alemanni, habbiamo immediatamente diretti molti moschettieri in faccia e per fianco a cannoni per offender i capi loro, a ciò non possino sbarrarli che la prima volta, per riparo, et ordinati alcuni con manare [mannaie] per tagliar immediatamente la saracinesca et impedir del tutto l’ingresso alli esteri; di poi si misero in ordine li granatieri ove occorrevano e con bellissimo ordine tanto nelle militie che nel Popolo tutto. Tutti presero l’armi, ben assistendo ogn’uno al suo posto.

Io salito a cavallo su la Piazza incoraggiavo la militia et il Popolo e co’ carri facevo ultimar le barricate alle strade, assistito dalli Reggenti della Comunità pure tutti a cavallo, da una squadra di Capelletti e da due Compagnie d’Oltramarini.

Quando il general Vecel mi fa di nuovo addimandar io vi accorro immediatamante. Egli mi riferisce a nome di S. Altezza che se io avevo qualche considerazione per il Castello, S. Altezza s’impegnava a lasciarlo intatto purché gli permettessi l’ingresso nella Città che assolutamente gli occorre. Di che ne attendeva la precisa risposta. Io le risposi che la medesima consideratione e le medesime commissioni havevo per la Città e per il Castello e che la risposta da portar a S. Altezza già l’avevo data al sig. general la prima volta, mentre siamo prontissimi a difender ambidue sin’all’ultima stilla di sangue, non restando a loro che principiare. Mi rispose, e bene dunque, s’è inteso e mostrò di partire risoluto. Noi pure risolutissimi di sacrificarci per il servizio dell’Adorato Nostro Principe, ci mettemmo in ordine per la più valida e risoluta difesa. Si riparò nel Castello e nelle Chiese le robbe migliori dei sudditi, se ne riempì la Cittadella stessa e già allestite le donzelle per entrare nelle Capuzzine a maggior loro salvezza, non s’attendeva che il primo sbarro, quando per la terza volta mi fa addimandar il generale suddetto e mi dice che Sua Altezza non vuol cominciare la guerra con la Repubblica et che perciò si rifiuta....et havuto avviso che li Alemanni levavano il loro cannone che era dirizzato in faccia alla Porta Brescia, facendo pure levar le sue Truppe appostate in faccia al Recinto, noi pure facciamo metter piede a terra alla nostra Cavalleria e posar l’armi all’Infanteria.

Dopo questi eventi, per circa due secoli la storia non passò più sotto le nostre mura.

         Al tempo della prima battaglia combattuta a Lonato il 28 maggio 1796 da Napoleone Bonaparte, il Cenedella[9]racconta l’episodio avvenuto alla porta Milanesa, murata ma con alcune fessure:

         ...Si riteneva quasi cessato il combattimento, quando tre tedeschi  sparsi per la piazza si incontrarono con certo Giacomo Dunquel detto il Todeschino già sbirro di S. Marco sul mercato. Questi disse loro che se volevano potevano spaventare i francesi e mettere in scompiglio tutta la loro armata senza esser veduti. Accolsero il progetto e con lo stesso Dunquel andarono agli spalti della Rocca, alla così detta porta Milanesa che era un’antichissima porta dalla quale si vede l’arcata chiusa e murata da qualche secolo. Quivi i tedeschi videro da alcuni fori come si poteva mettere lo scompiglio nei Repubblicani che tutt’altro pensavano. Portava allora il Dunquel una scala. Saliva uno di questi tedeschi e da uno dei fori sparò un colpo, mentre gli altri due suoi compagni gli davano i loro fucili già caricati e ne sparava varii altri. Con questo artificio tre soli Austriaci mettevano un terribile scompiglio nel campo francese.

         Quando, nel 1827, alle mura venne praticato lo squarcio per la costruzione della nuova strada per Brescia (corso Garibaldi e via Roma), vennero alla luce, racconta il Cenedella[10], due scheletri ai piedi dell’affresco della Madonna del Cochino così chiamata dalla tradizione popolare. Si pensò allora che fossero i resti di due bricconi che in quel luogo furono fucilati durante di 16 giorni del giugno 1509, quando il re Lodovico [Luigi] XII soggiornò in Lonato. Il termine cochino venne dato a quella Madonna derivandola dall’antiquato francesismo, sinonimo di farabutto, canaglia[11].             

         Le mura, dopo che venne a mancare la loro importanza quale mezzo di difesa e anche il castello visconteo venne sdemanializzato e venduto ai privati, nei primi anni del 1800, furono oggetto di lunghe dispute intorno alla loro demolizione o conservazione. Ce ne riferisce, con una cronaca ancora inedita, ma di grande interesse per la freschezza del racconto, un lonatese che fu testimone del tempo: Orazio Tessadri, nelle sue Memorie[12].

         Va letto, a distanza di quasi due secoli, quanto egli scrive nel libro secondo:

...Erano degli anni che varie persone di Lonato vedevano di mall’occhio conservate le pubbliche mura. Il sig. Vittorio Barzoni, zio di mia moglie,[13]credeva così il paese fosse poco ventilato e non troppo sano. Il sig. Pietro Federico Gerardi[14]sperava che atterrando le mura la seta della propria sua filanda resterebbe più bella e lucida. Il sig. Consigliere Felice Mozzini[15] sperava di veder l’atterrazione sperando di veder Lonato assai più vasto in pochi anni come fosse una novella città nascente d’America che in poco tempo viene incominciata e portata a termine. Cosa che sarebbe certamente praticata (al dir d’esso) nel nostro paese pure, quando non fossero impediti dalle tiranniche pubbliche mura che circonscrivevano l’antico Recinto. Il paese di Lonato si può dire puramente agricolo, senza commercio, senza fabbriche, senza stabilimenti, senza risorse e quello che è peggio, senza denari. Chi adunque doveva o poteva dilatare mirabilmente il fabbricato? I signori no perché in proporzione delle loro famiglie, delle loro sostanze e dei loro bisogni tutti sono provveduti sufficientemente. Conviene che il sig. Mozzini avesse dei dati che Olandesi, Genovesi, Persiani, Chinesi o Giapponesi volessero trasferire le loro famiglie ad ingrossare il troppo stretto paese. Poiché in quanto agli attuali abitanti si potrebbe credere che non ne sentano né la necessità né la voglia; tanto più che il paese è assai poco popolato e pochissime sono le case che abbiano il secondo piano decente da potervi dimorare e se taluni dei fabbricati ha dei comodi in alto sono abbandonati a contenere dei grani  o altri consimili prodotti. Il sig. Mozzini forse cercava di far credere ciò che esso pure non credeva, intento come ha sempre fatto ad abbellire con pompose promesse la vista dei poveri semplici e perché forse anche i torrioni, i merli, i forti ricordavano i tempi andati. Egli si ricordava le prediche fatte in piazza, il tirannico veneto governo da esso tanto detestato,le fucilazioni fatte eseguire nella fossa ora gioco del pallone; e cento e mille altre cose simili che  è assai meglio tacerle. Il sig. Angelo Apollonio credeva che le mura fossero di ostacolo alle notturne recondite passeggiate. Il sig. Capitano Brasa[16]sentiva assai dispiacere di non godere l’amena vista del lago e della vicina strada postale stando a casa. Il sig. Filippo Gallina che aveva militato nei disciolti reggimenti italici sperava che in un torbido,in un parapiglia, in un trambusto che vagheggiava o dal Piemonte o dalla Francia o anche dalla Romagna, potesse meglio pescare nel torbido. Infatti tutti gli avvocati, gli ex militari e pensionati di Napoleone o d’altre Potenze desideravano la distruzione delle mura, mentre i pacifici possidenti ne amavano la conservazione, se non altro per difendere le loro case da notturne invasioni. ...E’ da credersi che la massima di atterrare le pubbliche mura abbia origine da’ male intenzionati per viste politiche e non mai per mancanza d’ingegno o di esperienza.

Ad ogni modo però tanto si disse e tanto si fece che il Comune aderì ad un’asta che sotto il pretesto di riattare e di accomodare il crollante, il sig. Angelo Apollonio col nome di Domenico Inganni atterrò e distrusse la maggior parte di sì annosi e splendidissimi manufatti, vendendo moltissimi materiali e facendosi ben pagare dal Comune. O tempora! O mores!

         Si chiudeva così l’anno 1826. Le due porte del Corlo e Clio che avevano appositi locali per i militari di guardia, erano state demolite già nel 1817.

 


[1] MURATORI, Annali d’Italia – Vol. VIII, pag. 166. A. S. C. L. , Pergamene, segnatura n. 170.
[2]
Ibidem, pergamena segnatura m. 169.
[3] A. PAROLINO, Succinta informazione dello stato della Terra di Lonato avanti e dopo le sue rovine, manoscritto della metà 1600, inedito, conservato in copia presso l’Archivio Parrocchiale di Lonato.
[4] I bastioni più noti, spesso nominati in documenti dell’epoca, erano quelli di Pedegallo e di Montemario. L’unico ancora oggi conservato è quello vicino alla chiesa di S. Antonio.
Cfr. anche J. A. CENEDELLA, Memorie storiche lonatesi, manoscritto Queriniana, dattiloscritto presso Scuola Media Statale Tarello, p. 200, secondo il quale i Torrioni erano undici, distrutti nel 1817. I Torrioni di Corlo e Clio vennero sostituiti con Piloni con cancelli in ferro nel 1827, quando fu eseguito lo squarcio delle mura per dare accesso al nuovo viale alberato per Brescia.
[5] Fu chiusa dal Governo Veneto, per ragioni di sicurezza, con decisione del Senato 3 settembre 1486, quando Lonato fu dichiarato Fortezza.  Cfr. anche L. A. CENEDELLA, ibidem, p. 334.
[6] L. LUCCHINI – G.GANDINI, Lonato, gli Statuti criminali del secolo XV,  Lonato, 1999.
[7] M. SANUTO, Padova, Tipografia del Seminario, 1847, p. 66.
[8] L. LUCCHINI, Lonato, fortezza veneta. Gli ultimi giorni di gloria, Numero Unico Fiera 1977.
[9] J. A. CENEDELLA, op. cit., p. 787.
[10] J. A. CENEDELLA, op. cit., pp. 273-274.
[11] L. LUCCHINI, La Madonna del Cochino, numero Unico Fiera 1982.
[12] O. TESSADRI, Memorie, manoscritto in tre libri presso la Biblioteca dott. Gianfranco Papa, copia dattiloscritta presso di me.
[13] Il grande nemico di Napoleone, autore di libri rimasti famosi, pensionato del Governo Britannico per la sua opera di pubblicista svolta per anni da Malta.
[14] Figlio di quel Gerardi Gio. Battista che venne assassinato in piazza, vicino alla fontana ora al Lonatino, il giorno delle Palme 1797, commemorato dal Barzoni con aulico discorso.
[15] Capo dei giacobini, inviato da Brescia, mentre il nostro Tessadri era dichiaratamente un Gogo.
[16] Il settimo firmatario del Giuramento del 17 marzo 1797, alla base della nascita della Repubblica Bresciana. Abitava al n. 4 di via Barzoni.

 

 
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