Capitolo X - Riflessioni

È comune a tutti fare riflessioni quando ci si avvia verso la Fine.

Talvolta le nostre azioni non sono dettate da un bisogno o da un interesse quanto piuttosto dal rispetto di una abitudine ormai presa. E proprio quella sera si consumava un rito ormai piuttosto antico: guardare alla tv la partita della nazionale di calcio, ben pochi si sottraggono a questa tradizione, anche chi ignora generalmente questo sport. Così per non violare il costume anche Stefania e il nostro amico decisero di guardare assieme quella sera la partita a casa di lei, quella sera casualmente vuota. I genitori di Stefania infatti erano quasi stati buttati fuori di casa da lei, per quanto non fosse un’impresa così ardua. Per un attimo torniamo indietro di qualche ora, quando i nostri amici stavano ancora passeggiando per le vie del centro, discutendo un po’ di tutto, tra l’altro della patente: lei lo finalmente convinto a compiere il grande passo, ovvero cominciare le pratiche per avere quel foglio di carta. Nel frattempo si era procurato anche i soliti libretti con tutte le domande e tutte le risposte, e proprio su queste sorse una curiosa discussione sull’evidenza:

- Allora “Si deve regolare la velocità in base... alla cilindrata dei veicolo”. - lesse il nostro amico sul libro e senza nemmeno pensarci aggiunse - mi sembra ragionevole -

- Come? Ti sembra ragionevole? Secondo te se uno ha un 3000 può andare, anzi deve, oltre 200 all’ora? - le domandò piuttosto stupita. Il nostro amico pensò per un attimo, poi ribatté:

- Ah, volevano dire che non si possono superare i limiti nemmeno con un’auto in grado di farlo? Davvero? Questo mi sembrava del tutto scontato: è un po’ l’acqua calda. Io credevo che se una persona possiede, per esempio una cinquecento, non può andare troppo veloce, altrimenti rovina l’auto, ovvero deve regolare la velocità del veicolo in base alla cilindrata... per non rovinare la macchina. -

- Ma come si fa a fare un ragionamento così contorto. E poi la soluzione dice che è falsa, quindi non hai ragione: se vuoi passare l’esame devi dare la risposta corretta, anche quando per te è sbagliata. Infatti io ti consiglio di impararti le risposte giuste alle varie domande, senza pretendere di capirci troppo. -

La discussione proseguì su altri temi finché non arrivarono alla pizzeria dove avevano ordinato le pizze che ritirarono e portarono a casa.

Nel frattempo Rosa aveva apparecchiato la tavola, seguendo solo in parte le indicazioni di Stefania e se ne stava giusto andando quando i nostri amici arrivarono. La salutarono e poi videro il suo lavoro non proprio adatto a vedere la partita. Infatti il televisore da quel punto quasi non si vedeva, anche se si poteva sentire perfettamente; nella stanza l’illuminazione era lasciata a due lampade alogene, tenute quasi al minimo, forse per risparmiare, così che sembrava di trovarsi in un crepuscolo. Sul tavolo ovviamente non mancavano dei fiori e una candela, forse per sopperire alla poca luce.

- Carino, no? Ha pensato di creare un po’ di atmosfera... -

- Ah, beh, sì... Mi aspettavo più un’atmosfera adatta alla partita. - il quale era davvero certo di andare a guardare la partita, cosa che tutto sommato non gli dispiaceva troppo. Poi nel baciarla aggiunse - naturalmente tutto questo è un’idea di Rosa? -

- Beh, non del tutto. Le avevo chiesto se poteva apparecchiare per le otto, ma meglio così. - e ripresero a baciarsi, poi il nostro amico la gelò:

- Solo che a me sarebbe piaciuto anche vedere un po’ la partita. - Così Stefania sbottò:

- Certo che voi uomini mancate proprio di fantasia: se chiedete ad una ragazza di andare a vedere la vostra collezione di francobolli siete capaci di farlo sul serio. - disse un po’ sconfortata. Comunque il nostro amico non la stette a sentire troppo: era già andato a spostare il televisore che si trovava sul un tavolino mobile. Per avere una visione migliore.

- Ecco così si vede molto meglio, non trovi? -

- Sì - rispose lei un po’ acidamente e quindi cominciò a mangiare indispettita la pizza.

- Ah, giusto, mangiamo. Così poi possiamo andarla a vedere più comodamente. -

Passarono alcuni secondi di silenzio, poi lei riprese la conversazione:

- Sai, non credevo che ti piacesse la partita. Credevo che non te ne importava nulla. Credevo fosse una scusa per stare una sera con me. -

- Oh... ecco... il problema non si sarebbe posto se questa fosse stata una partita, ma è La Partita. E poi se avessi voluto passare una sera con te lo avrei detto chiaramente... forse. -

- Precisa stasera, La Partita! - bisbigliò lei tra sé e sé. Lui non avendo sentito nulla le chiese cosa avesse detto e rispose - Nulla, speriamo di vincere. - e questa fu una frase molto triste perché il nostro amico cominciò a discutere di schemi, eccetera tanto che Stefania stava per passare a metodi violenti, invece si limitò a dire:

- Non ti sembra assurdo che paghiamo questi giocatori un sacco di soldi con tutti i poveracci che ci sono. -

- Questo non è molto bello. Tutto nasce anche dal fatto che noi esaltiamo questi atleti che tutto sommato si limitano a correre dietro una palla. Certo sono bravi, ma uno scienziato, un intellettuale, andrebbero considerati di più. - quindi mangiò un pezzo di pizza.

- Io credo che sia un problema di cultura: tutti capiscono la bravura di un giocatore, ma è molto più difficile capire il lavoro di uno scienziato. Anzi in genere un fisico non capisce il lavoro di un medico. Se ti comprendono in pochi ti considerano in pochi. -

- Non è solo questo il problema: pochi conoscono Einstein, ma nessuno lo sottovaluta. Se tutto funzionasse bene non dovrebbe servire conoscere il lavoro di un uomo per stabilirne la grandezza. Il problema sta in quell’aggeggio - indicò il televisore - che almeno nel breve periodo crea e distrugge un personaggio. -

- Ma questo problema c’era anche prima del televisore. Gli ateniesi si offesero quando Socrate disse che la sua pena doveva essere mantenuto a spese dello stato come gli atleti - continuò riferendosi ad un brano de l’ “Apologia di Socrate”.

Intanto la cena volgeva al termine, così i nostri amici dopo aver sparecchiato velocemente, si misero a guardare la partita più comodamente dal divano. Per un po’ tutti e due seguirono la tv con una certa attenzione, poi Stefania cercò di cambiare argomento:

- A proposito sapevi di Luca e Antonietta... cioè che lui le va dietro? -

- Sì... Ormai saranno due anni: non ha mai avuto il coraggio di dirglielo. E pensare che se è in quel gruppo di volontariato è proprio per andare dietro a lei. E lei a sua volta ci entrò perché era innamorato di non ricordo bene chi... mah... come si dice le vie del signore sono infinite. -

- Davvero? Non lo facevo così timido? Ma lei, che dice lei? Lo sa? -

- Non è scema, ma a lei non gli piace: lo sanno tutti e lui preferisce far finta di non saperlo. Certe volte è meglio il dubbio della certezza... -

- Ma non ci ha mai provato? -

- Che intendi? Se vuoi dire se gli ha mai detto “Ti amo”, allora non lo ha mai fatto, se intendi qualcosa di più velato, allora penso che abbia fatto di tutto. -

- È terribile quando cerchi di far capire qualcosa e l’altro non capisce. - ogni riferimento a fatti e persone era puramente casuale, infatti il nostro amico domandò:

- È un sottile rimprovero? - e aggiunse - Comunque lei ha capito, non è mica come me. Solo che come la quasi totalità delle persone di questo mondo preferisce far finta di nulla, non dir nulla a viso scoperto, ma limitarsi a lanciare piccoli segnali, tanto per poter affermare “te l’avevo detto in tutte le salse”. Già tutte meno quella più immediata... Forse dovrei convincerlo a lasciar perdere, ma non serve assolutamente a nulla: non ci sente. Proprio cotto. -

- Ma lui del resto non sa nulla? -

- Resto? Che resto? -

- Del fatto che lei sta con Matteo. Ormai credevo che lo sapessero tutti. Sai, sarà ormai una settimana, non è ufficiale, ma praticamente... -

- Ah, una settimana... - e fece una smorfia - Che risate che si farà l’universo pensando che per noi uomini una settimana è un tempo abbastanza lungo... Comunque io non lo sapevo. Mi conosci, non seguo questi pettegolezzi, quasi mai. Devo dedurre che non lo sa nemmeno lui? -

- Non lo so: è il tuo amico. -

- In questi casi che si fa? Si parla o si tace? - lei scrollò la testa come per dire “È un casino, sbagli comunque.” - Tendenzialmente sarei per parlare, comunque si vedrà. -

- Certo che è proprio una cosa strana l’amore. - disse Stefania che intanto si era avvicinata sempre più al nostro amico e in quell’istante appoggiò la testa sulla sua spalla.

- Strana perché strana? Non credere che l’amore non sia spiegabile in modo razionale: è semplicemente una forte amicizia cementata ancora di più da un’attrazione fisica, un po’ come noi... - intanto lei gli dette un bacio sulla guancia, poi lui aggiunse - Secondo te ci amiamo? Che domanda stupida: è un giorno che mi chiedi di dirti “Ti amo”. Va bene, hai vinto. Ti amo - e la baciò a sua volta. Intanto sul televisore scorrevano ignorate le immagini della Partita mentre il telecronista diceva “... un gran tiro, una magnifica azione che porta la nostra nazionale in vantaggio per un goal a zero...”

La mattina seguente a scuola trascorse piuttosto vivacemente, anche perché alla terza e quarta ora andarono nel laboratorio di chimica per fare alcuni semplici esperimenti che non riporto per rispetto di questa bella scienza.

- Stasera andiamo a fare due passi? - chiese Stefania prima di salutare il nostro amico

- No, stasera non posso. - rispose lasciandola di stucco. Che doveva fare? - Ecco a parte il fatto che devo studiare matematica, sono indietro uno sproposito, come anche qualcun altro che conosco... Poi volevo finire di rattoppare quel racconto strano: ormai è l’ultimo, voglio finire questo lavoro. -

- Va be’ - replicò con poca convinzione - Allora ci vediamo domani? -

- Sì, ciao. - rispose andandosene piuttosto velocemente. In effetti era molto curioso di scoprire qual era la fine di quel racconto. In realtà se ne era completamente scordato, con tutto quello che era successo in questi ultimi due giorni, ma ieri sera tornando da Stefania lo rivide lì sulla sua scrivania e gli riprese la voglia di leggerlo: in fondo non si vive per stare con una ragazza. Tuttavia lo studio della definizione di limite, dei primi teoremi su questi e della definizione di “e”, il numero di Nepero, lo tenne impegnato per tutto il pomeriggio. Peraltro quello era un argomento davvero interessante: lo studio di ciò che accade negli estremi, ovvero per numeri piccoli quanto si vuole, ovvero tendente a zero (non uguale), oppure per numeri grandi a piacere, ovvero tendente a infinito. Qualcuno sostiene che la matematica è come la poesia, in grado di trasmettere le stesse emozioni se compresa fino in fondo. Così il nostro amico passò il pomeriggio e finì proprio una mezz’ora prima di cena: troppo tardi per cominciare il lavoro sul racconto: questo infatti era più complesso degli altri, non si capiva molto bene la trama ed era anche stato disordinato in modo piuttosto brillante e tra l’altro mancava il titolo.

Invece proprio a quell’ora cominciava il telegiornale che suo padre seguiva rigorosamente ogni sera e per l’occasione si unì a lui. Le notizie alla tv scorrevano rapide: c’erano le solite guerre, con i patetici tentativi di risolverle pacificamente; c’era la solita politica chiacchierata e patinata e non mancarono nemmeno un paio di morti per droga. Si sentiva un po’ l’assenza del solito folle che una mattina si sveglia e comincia a sparare a destra e a manca, il nostro amico lo fece notare a suo padre:

- Così sarebbe stato proprio la fotocopia di quello di ieri, anche se non l’ho visto. Siamo talmente tempestati di notizie che non ci capiamo più nulla, non si distinguono più quelle importanti da quelle secondarie in questa melma. -

- Sarà sempre meglio che non sapere nulla. Almeno noi cerchiamo di vivere piuttosto informati, non fuori del mondo, come te. - rispose suo padre

- Vedere tutti questi problemi particolari potrebbe indurre a pensare di volerli risolvere tutti ciascuno: non serve a nulla. Si dovrebbe pensare alla causa vera, alla radice. Vedremmo che i problemi veri sono infine molto pochi. -

- È vero, ma se non c’è una cura definitiva, sarà meglio alleviargli il dolore. Non serve a nulla, ma è meglio di niente. Più il problema diventa universale più la soluzione diventa impossibile, almeno per noi poveri uomini. -

- Se siamo stati noi a creare il problema, non vedo perché non potremmo toglierlo. -

Così in circa venti minuti era stato detto tutto quello che c’era da dire per quel giorno, adesso era il turno del telegiornale sportivo che avrebbe esaminato calcio per calcio tutta la partita di ieri. Intanto cominciava anche la cena e così i due si spostarono dal televisore della sala a quello della cucina.

Cenarono in una mezz’ora, come sempre così il nostro amico potette tornare al suo racconto.. Finì di metterlo assieme in tarda serata, pensò per un po’ a quale titolo poteva essere adatto, poi scrisse sopra l’inizio, quasi addormentato:

Una bizzarra mattina d’Aprile[1]

Tempo fa, in quell'Aprile 1970, mi capitò di trovare un vecchio manoscritto, bizzarro, come il tempo di questo mese. Raccontai della mia scoperta, avvenuta in una vecchia soffitta, nel corso di una cena fra amici; questi incuriositi, mi chiesero di raccontare questa storia.

Oggi, in questo Aprile piovoso, il sole è uscito, come non accadeva da tempo, fuori dal suo rifugio dietro le montagne, ancora un po' innevate per iniziare, come ogni giorno, il suo cammino attraverso il cielo. Come tutte le mattine , uscii di casa presto, all'incirca venti alle otto, per recarmi a scuola. La strada era monotona, come la mia vita, che non proponeva nulla di interessante. La strada percorsa da me ogni mattina mi portava su vari mezzi di trasporto. Prima mio padre mi accompagnava alla fermata dell'autobus, scendevo alla terza fermata e l'ultimo tratto lo percorrevo a piedi.

Oggi devo cercare di non preoccuparmi, anche se un mio amico ieri è finito nei guai ed a me potrebbe andare peggio. Meglio non pensarci, anzi mi gusterò il sole che splende nel cielo, potrebbe essere un segno di buon augurio. Speriamolo davvero.

La scuola ogni era diversa : l'edificio era sempre diverso, poiché ogni tanto cadeva qualcosa ( la mia scuola è in un palazzo costruito molti anni addietro e noi ragazzi diciamo che è stato bombardato e mai ricostruito); i ragazzi hanno sempre un carattere diverso e ogni giorno si comportano in modo diverso; i professori si ammalano e ne vengono nuovi, guariscono e tornano i vecchi; il preside ha sempre un diverso diavolo per capello;... La mia aula era composta di ventidue banchi, ma tre erano vuoti, almeno per ora. Normalmente siamo in venti, ma Luigi, da noi chiamato ironicamente Archimede, per il fatto che prende sempre quattro a matematica - comunque un mio caro amico - ha una salute molto instabile e in questi giorni sì è ammalato di polmonite. Oggi ho scoperto che Luigi - siamo amici dalle elementari, è stato ricoverato per quella polmonite di alcuni giorni fa. Adesso è in medicina generale, chissà se potrò rivederlo.

Le lezioni anche oggi sono iniziate puntuali, alle otto e trenta e subito il compagno di banco è stato  interrogato. Si tratta di Marco, normalmente non prende mai 6, ma forse oggi, in questa giornata così bella a cominciare dal sole... Oggi toccherà anche a Stefano, finirà male, molto probabilmente, la sua è un' (qui la parola non è leggibile, e miei amici ipotizzano "interrogazione") molto delicata. Se non riuscirà, mi dispiacerà, anche se non lo conosco molto. Potessero non succedere mai queste cose tutti si starebbe meglio. Siamo alla fine dell'anno e auguro a Stefano di farcela, stamani era molto allegro e sicuro di se. Anche per me ogni giorno è un giorno peggiore, probabilmente è l'emozione, dovrò affrontare un compito molto difficile, ma penso di superarlo, o quanto meno lo spero, devo sperarlo, devo crederci! Mentre sto ripassando, leggendo un libro, dall'emozione salto le righe e leggo un po' in qua e un po' il là.

La giornata è quasi finita, è stato inutile il mio ripasso, non mi hanno interrogato, meglio così. Tutti aspettiamo la campanella che suona quando non te lo aspetti. Il suono, quasi mai ascoltato, può apparire melodioso, migliore di tante musiche, ma a volte appare terribile.

Il racconto è quasi alla fine e tutti i miei amici si sono chiesti cosa c'era di strano in questo racconto. Poi hanno visto come era stato scritto, un po' sottolineato, un po' non. Tutti si chiesero il perchè di questo e io dissi che la soluzione arrivava con la fine del racconto. Li invitai ad indovinare, non ci riuscì nessuno. Allora continuai a leggere.

Fra poco tocca a me, l'infermiere sta quasi per arrivare con la barella, il mio è un'intervento delicato. L'infermiere arriva, mi aiutano a salire sulla barella e inizio il viaggio verso la sala operatoria. Tutto mi sembrava gioioso, anche il rumore delle ruote della barella. Questo intervento deve finire bene: il cielo sereno dopo venti giorni di pioggia, le ruote del carrello con una faccia felice. I dottori dicono che ci sono molte possibilità che questo viaggio sia l'ultimo...

" Professore, in questi ultimi giorni ho letto un racconto stupido, ma finiva bene, faccia finire bene anche questo racconto. "

Con questo i miei amici capirono tutto.

- Meglio che me lo rilegga con più calma, quando sarò meno stanco... - disse appoggiando il racconto sulla scrivania per poi prepararsi per andare a letto. Con quel racconto aveva terminato l’opera di ricostruzione di quel libro.

La mattina successiva il nostro amico si recava come ogni giorno a scuola in autobus. In centro non mancava il solito traffico con i soliti ingorghi. Il bus procedeva lentamente, l’autista cercava di approfittare di ogni minimo spazio per poter avanzare più velocemente, non senza prendere qualche rischio; nei marciapiedi fiumi di persone camminavano ognuno verso il proprio lavoro, velocemente: tutti dovevano avere una fretta incredibile. Il nostro amico rifletteva guardando tutta questa gente: chissà qual era la loro vita, i loro problemi e le loro preoccupazioni. Ognuno aveva una sua esistenza, eppure lì sembravano solo una massa in movimento; ognuno andava in luogo diverso, eppure era come se tutti andassero dalla stessa parte. Tra tutte queste persone ce n’era anche una che pareva procedere controcorrente: aveva un passo lento nella direzione opposta a quella degli altri, pareva vagasse senza nessuna meta. Si muoveva chino sulle sue spalle, senza guardare la strada che aveva davanti: quella era una persona che il nostro amico conosceva molto bene e quindi di cui poteva capire bene lo stato d’animo, anche considerate le circostanze. Vedendolo in tale stato cercò di arrivare in qualche modo, tra spintoni e “permesso”, di arrivare alla porta di un autobus stracolmo di persone. Chiese all’autista di farlo scendere e poiché erano bloccati in un incrocio fece uno strappo alla regola e gli aprì la porta. Attraversò quindi la strada per arrivare nel marciapiede opposto e una volta raggiunto quel tizio disse:

- Luca, dove vai? -

- Che t’importa? -

- Non vieni a scuola? -

- Perché dovrei? Tanto a che serve. A nulla, moriremo comunque. Questo mondo è uno schifo. -

- Hai saputo di Antonietta? -

- Senti, non nominare quella puttana in mia presenza. Io la odio, la detesto... Quella troia ... io... io l’amo - e si mise a piangere. Il nostro amico cercò di abbracciarlo, ma lo respinse dicendo - Adesso hai la tua Stefania a cui pensare, non puoi più perdere tempo con i vecchi amici e poi voglio restare solo. -

- Scusami... scusami davvero Luca. -

- E di che? -

- Di averti portato fin qui. Ero un tuo amico ed era un mio dovere dirti la verità fin da quando la sapevo, ma... non ho mai avuto il coraggio. Ero io quello matto, quello che soffriva ed ho sempre imposto agli altri questa mia sofferenza, senza mai pensare che anche voi avevate i vostri problemi. Non ero l’unico a questo mondo a soffrire. -

- Io comunque non ti avevo mai chiesto aiuto, non ti ho mai lasciato intromettere nella mia storia con Antonietta. Ho sempre avuto paura della verità. -

- Ma la differenza tra un vero amico e gli altri sta proprio nel fatto che al primo non devi mai chiedere aiuto, ma deve essere lui ad offrirlo spontaneamente. E deve insistere anche se questo viene rifiutato così come si cerca di far prendere la medicina al malato. -

- Come si dice: è inutile piangere sul latte versato, ovvero la vita va avanti negli sbagli. Tu adesso vai pure, farai tardi a scuola. Io ho bisogno di vagare per quelle strade buie e solitarie che a te piacciono tanto. Adesso ti saluto. - quindi si voltò e riprese a camminare lentamente senza badare troppo a dove andava alla ricerca di qualcosa che forse non avrebbe mai trovato. Una goccia d’acqua percorse la guancia sinistra del nostro amico: forse era una lacrima e questa forse era la fine di un’amicizia durata più di sette anni. Il loro rapporto non si concluse mai definitivamente, ma nel tempo si perse pian piano e non ritornarono mai più i bei tempi delle partite di biliardo con lui e Giovanni, ormai finiti per sempre. Il nostro amico si incamminò verso la scuola: non era molto lontana, sarebbe arrivato con poco ritardo, forse neanche mezz’ora. Nel frattempo gli scorrevano in mente tutti i ricordi di una gran parte della sua vita, ricordò tutti quei momenti in cui aveva pianto sulle spalle di quel suo amico e a tutti gli scherzi, le risate fatta con lui: sentiva quel mondo andar via lontano, una parte della sua vita stava terminando e non poteva certo essere felice. Improvvisamente prese a correre schivando a male pena le persone che incontrava e non senza dare qualche spintone e prendere qualche insulto: come se stesse scappando da un passato pesante su di lui, come un macigno. Gli pareva di essersi comportato come un egoista, approfittandosi degli altri, costringendoli a subire i suoi problemi. Nel frattempo i muscoli delle gambe cominciavano a far male: era quello il momento in cui di solito cedeva, ma non questa volta, anzi accelerò per quanto gli fu possibile percorrendo un altro centinaio di metri finché esausto non si dovette fermare. Per un po’ riprese fiato, poi si avviò con un passo calmo verso la scuola ormai piuttosto vicina.

Arrivò in aula con soli dieci minuti di ritardo, comunque il prof. Parotto lo mandò a giustificare il ritardo dal vicepreside. Così, dopo aver preso il registro di classe, si recò verso l’ufficio di questo e quando arrivò trovò non poca fila, anche perché il gran capo non era ancora al suo posto. Chi controlla i controllori? Due minuti dopo ecco arrivare la professoressa Ricci, appunto il vicepreside. Apparì leggermente nervosa, forse perché aveva molto da fare, e sbrigò molto velocemente la formalità dei ritardi, segnando una R nel grande registro della presidenza in cui erano annotate classe per classe ed alunno per alunno tutti i ritardi ed eventuali provvedimenti disciplinari. Quindi il nostro amico se ne tornò in classe, non senza prendere qualche rimprovero dal professore per aver fatto con troppa calma che comunque accettò senza replicare, non ne aveva nessuna voglia: silenziosamente si andò a sedere accanto a Stefania, come sempre. Lei lo salutò, con il solito ciao e lui rispose con un cenno.

Per tutta la lezione non fece altro che scarabocchiare disegnetti senza senso sul banco o sul libro di letteratura italiana, ignorando tutto e tutti. Dopo un po’ il professore cominciò ad interrogare e chiamò proprio lui, ma questo nemmeno se ne accorse: allora Stefania iniziò a scuoterlo e alla fine si destò e rispose al professore che voleva sapere la vita di Torquato Tasso. La risposta fu molto sbiadita, priva di ogni partecipazione: la sua mente non era lì. Infatti anche il voto che prese fu al di sotto del solito, intorno al sette, poco per lui che prendeva sempre voti tra otto e nove. In genere per un voto così si sarebbe arrabbiato parecchio, con se stesso e con gli altri, stavolta lo ignorò. Finì l’ora di italiano e un po’ tutti si incamminarono verso la palestra per l’ora di ginnastica, ma non lui: stava guardando fuori dalla finestra il volo di una farfalla. Si chiedeva qual era il senso di tutto ciò. Nasce come un bruco, pensava, un animaletto brutto e fastidioso, poi attraversa una lenta e rischiosa metamorfosi per poi tornare alla luce come uno degli esseri più belli di questo mondo. Allora vive per qualche giorno, talvolta uno solo e poi muore. Perché? Perché farfalla? Hai affrontato un lungo e triste viaggio e quando finalmente arrivi in alto nel cielo, lì dove hai sempre sognato di essere, dove riesci davvero a mostrare la tua vera e migliore natura, muori. Non si ha proprio il tempo per gioire di qualcosa che subito sopraggiunge un più grave dolore: così è per te, farfalla, e per me.

Stefania era tra lui e la finestra e non aveva il coraggio di dire o fare qualcosa. Dopo un paio di minuti distolse lo sguardo dall’insetto, fissò per un attimo l’amica nel volto e poi disse, con molta tranquillità:

- La vita fa schifo, intrinsicamente. Si può solo cercare di sopportare questo meglio o peggio... Adesso andiamo, non arriviamo tardi a questa Lezione di Educazione Fisica che dovrebbe, tra l’altro, farci vivere più a lungo, almeno statisticamente. Strana cosa la statistica applicata alla vita, utile per sapere quanto la nostra morte sia stata sfortunata. Al morto non serve certo saperlo e non è di molta consolazione per parenti ed amici. -

- Hai litigato con Luca? -

Seguì una pausa di silenzio, poi il nostro amico rispose:

- Sfortunatamente no. - e lì ognuno prese la sua strada per la propria palestra.

Stefania si stava incamminando decisamente dispiaciuta verso lo spogliatoio. Arrivata proprio alla porta sentì Francesca e Giulia parlare tra di loro:

- ... anche il grande teorico dell’amicizia ha dimostrato di saper parlar bene e razzolare male. -

- Tutti quei discorsi patetici sull’amicizia... Luca ha fatto bene a mandarlo al diavolo, stavolta hanno proprio litigato di brutto - curioso come contrariamente ai segnali sonori e luminosi che perdono di intensità con l’allontanarsi dall’emettitore certe voci false si ingrandiscano sempre più. - Ora che anche lui ha trovato una che gliela da... -

- ... può farla finita con tutte queste scemenze. Peccato perché in questo campo era proprio un campione: ti ricordi le sue poesie, chissà se le avrà scritte anche a lei; del libro incomprensibile, chissà che fine avrà fatto... -

- ... oppure dell’equilibrio: te l’ha mai fatto leggere? -

- Lasciamo perdere. Io non credo di aver mai letto qualcosa di più noioso. Ma poi questo libro è strutturato così, cosà, narratori di qua di là di sotto di sopra... Solo una complessata cretina come quella poteva sopportarlo: proprio Dio li fa e poi li accoppia... - quindi Stefania entrò ponendo fine per il momento a questa interessante conversazione.

Intanto anche il nostro amico era arrivato alla palestra dove come al solito incontrò Giovanni: era un po’ di tempo che non lo vedeva, anche se a dire il vero non l’aveva mai neppure cercato.

- Ci si rivede finalmente. È successo qualcosa? - disse l’amico vedendolo scuro in volto.

- Dall’ultima volta che ci siamo visti ne sono successe anche troppe. L’ultima in ordine di tempo è la questione Luca. -

- Già, poveretto. Proprio sfortunato, ieri l’altro ho parlato con lui di Antonietta e non l’ha presa affatto bene. Comunque non è il tipo da distruggersi per una ragazza: si riprenderà. Tu non devi prendertela troppo: lui al tuo posto avrebbe fatto la stessa cosa. -

- Non lo so, proprio non lo so. Non si deve comunque giudicare in base a comportamenti altrui, ma solo in base a ciò che è giusto. Non credo di essere nel giusto questa volta... -

- Comunque questi discorsi non ci porteranno mai da nessuna parte ed io devo vedermi tra cinque minuti con Elisa: adesso anche lei ha ginnastica... - vide il nostro amico piuttosto stranito - Non sapevi neppure questo? Ci siamo messi insiemi: non per merito mio, ha fatto tutto lei, più o meno come Stefania con te. Non so quanto possa durare: la nostra storia non è come la tua, per adesso non è una cosa seria... In pratica l’unico fregato è stato Luca, poveraccio: ha scelto la ragazza sbagliata.... Beh adesso scappo, a quando ci si rivede. - disse incamminandosi verso la palestra delle ragazze. Intanto il nostro amico si convinceva sempre di più di star vivendo un nuovo capitolo, tutto ancora da scrivere, della sua vita. Non sapendo cos’altro fare durante l’ora decise anche lui di fare ginnastica: era la prima volta da circa un anno e mezzo.

Appena squillò la campanella della fine delle lezioni i rappresentanti di classe (Marco e Stefania) cercarono di trattenere i loro colleghi: c’era da discutere dei volontari per tutta la settimana. Ovvero si doveva stabilire chi doveva essere interrogato a che cosa nei giorni futuri ed era qualcosa tutt’altro che semplice, come ben sapete. Il nostro amico in genere partecipava attivamente a questa discussione, ma oggi non era proprio in vena e delegò questo compito all’amica. Alla fine di una lunga e paziente discussione che non riporto si riuscì a stabilire in modo abbastanza preciso l’elenco dei volontari.

- Allora domani l’altro a matematica ci devi andare tu. -

- Io? - rispose esterrefatto il nostro amico. - Ma io non so niente. E poi in questi giorni ho un diavolo per capello, non posso prepararmi bene. -

- Senti, sei tu quello affascinato dalla definizione di ‘e’, estasiato dai limiti. Tutti gli altri non sanno da che parte farsi: una volta sbloccata la questione matematica, abbiamo trovato persino i volontari per storia. - e questo era davvero difficile.

- No ?! - rispose stupito. - Per storia? Complimenti. Ma chi è il secondo di matematica? -

- Una cretina che faceva meglio a stare zitta e a non confondersi. - rispose alludendo a sé stesso.

- Coraggio basta ricordare che per ogni epsilon maggiore di zero esiste un delta, in genere dipendente da epsilon tale che comunque scelto un x nell’intorno di centro il punto limite e di raggio delta allora il valore della funzione f in x assume un valore che appartiene ad un intorno di centro il valore limite e di raggio epsilon. - ovvero la definizione di limite, nel caso di punto limite e valore limite finiti che il nostro amico le disse scherzosamente.

Quel pomeriggio avevano già in programma di studiare a casa di lui e di pranzare insieme: tra l’altro cucinava il nostro amico che sosteneva di non essere proprio un idiota in questo campo. Difatti non se la cavò male, se soltanto avesse salato l’acqua della pasta forse sarebbe venuta un po’ più buona, ma non si può avere tutto. Quindi nel pomeriggio i due si misero a studiare. Mentre passavano da un limite all’altro Stefania si chiedeva come mai il nostro amico non voleva parlare con lei di quanto successo stamani. Lei probabilmente lo avrebbe fatto ed era evidente che aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno. In un certo senso lei era la causa di tutto, ma non solo, Perché non diceva niente e continuava a blaterare intrugli sulla perfezione e sulla bellezza della definizione di ‘e’: non aveva alcun senso dopo quanto successo stamani. Continuò ad osservare il nostro amico, preso dall’analisi: non sembrava affatto turbato, forse in quel momento non lo era davvero, anche se manifestare sé stessi è una concessione che ognuno di noi fa a ben poche persone, talvolta a nessuna. Quindi scrollò appena la testa e si mise a studiare  anche lei: leggeva gli appunti del nostro amico e notò come separava gli argomenti, tre punti, tre linee, tre punti, tre linee,... Sempre così, anche negli altri quaderni. Fino ad ora non ci aveva trovato nulla di strano, anche lei usava un qualche disegnino per separare due argomenti, ma ebbe il sospetto che quello non fosse un segno casuale. Era una caccia alle streghe? Stava diventando paranoica? Eppure quel segno le ricordava qualcosa, poi conoscendo il nostro amico le pareva strano, molto strano che ripetesse sempre lo stesso disegno, senza un significato ben preciso. Peraltro lui era un tipo disordinato, non era il tipo da fare schizzi per separare due argomenti. Ma cos’erano? Glielo stava per chiedere, poi ci ripensò: tanto non le avrebbe risposto. Cominciò a riflettere e dopo un po’ disse:

- Salvate le nostre anime! Vero? - le chiese mostrandogli il disegno. Infatti si ricordo che nel linguaggio Morse quello significava S.O.S. (Save Our Souls).

- Sei la prima a capirlo, complimenti. Me lo inventai diversi anni fa: era un momentaccio. Sembrava qualcosa di banale e infatti non lo ha mai capito nessuno, perché se qualcosa sembra stupido, nessuno ci riflette, in quanto non crede ci sia nulla da dire. Poi col tempo è diventata un’abitudine, ormai non ha più quel senso e non credevo che qualcuno avrebbe carpito questo segreto. Comunque anche questa credo sia comunicazione: lasciare indizi per vedere se qualcuno li raccoglie. Così almeno non si costringe nessuno ad ascoltare discorsi o leggere scritti che non interessino o che si ritengano banali. In questo modo sente solo chi vuol ascoltare. Tu lo hai notato per via di Luca, no? Eh, un altro momentaccio, peggiore del primo. Quando mi avrai lasciato anche tu sarò solo, un po’ come tutti, anche se gli altri forse non se ne rendono ben conto. Lo ha scritto qualcuno: “Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole/ ed è subito sera” -

- Esagerato! Tu ingigantisci sempre tutto. Poi per piacere finiscila con questa manfrina che io ti lascerò: non lo sai. Anche tu devi vivere, non puoi tormentarti così: qualcun altro ha scritto “Carpe diem”. Non puoi pensare ad un passato triste e ad un futuro peggiore: adesso c’è un  presente felice. Forse passerà presto, ma intanto goditelo! -

- Io non voglio dimenticare il passato né ignorare il futuro. Almeno se starò male, saprò il motivo... e saprò che non c’è cura. - mai come in questi momenti il nostro amico diventava una delle persone più detestabile su questo mondo: questi attacchi di paranoia erano davvero devastanti e solo Stefania riusciva a sopportarli.

- Era meglio se stavo zitta: io volevo... volevo... Ecco tu stai male perché Luca se ne va, ma non affronti quel singolo, piccolo problema. Ti butti invece in questi problemi giganteschi, da cui non si può uscire. Ma che te ne frega? Hai un problema, risolvi quello, non andare a cercarne sempre uno più grande, tanto lo troverai sempre e non risolverai mai nulla. Meglio risolvere qualcosa, non credi? -

- Sarebbe come prendere un’aspirina. Adesso penso che sia meglio continuare con  questi limiti. -

- Sono ormai tre ore che schiantiamo qui. Io invece credo che dovremmo distrarci un po’. Perché non andiamo al Luna Park? Lo so che divertirsi non risolve nulla, ma almeno è piacevole, appunto, divertente. Tutto sommato quando hai mal di testa prendi un calmante! - ribatté.

Così si ritrovarono al Luna Park verso le sei. Dopo aver provato alcuni giochi non troppo emozionanti arrivarono alle montagne russe. Su queste l’intera popolazione si divide in modo abbastanza netto e senza tentennamenti: ci salgo e non ci salgo. Anche nel nostro caso si ripeteva questa dicotomia: a lei piacevano, a lui non piacevano. Comunque dopo una lunga discussione lo convinse a salirci e lo trascinò anche in una delle prime vetture. Mentre il convoglio veniva fatto salire Stefania, non senza una certa paura diceva per sdrammatizzare:

- Sai, queste non sono nemmeno molto alte. Poi non c’è nemmeno il giro della morte: sono proprio tranquille. - intanto il nostro amico, quasi paralizzato rispose:

- Hai uno strano concetto di altezza e di paura. - quindi il trenino arrivò in cima e poi precipitò, compiendo quelle solite evoluzioni per circa un minuto. Appena il nostro amico scese disse, abbozzando un sorriso:

- Ti dirò: pensavo peggio. È troppo rapido perché tu possa riuscire a ragionare. Però non diverte. A me piace riflettere. -

- Anche al Luna Park? -

- Io dico sempre che qui si hanno delle magnifiche occasioni per vedere il mondo sotto un altro punto di vista. È importante ogni tanto cambiarlo altrimenti non si riesce ad avere una visione globale, d’insieme. E solo in questo modo si possono risolvere le grandi questioni. In fondo ogni errore deriva da considerazioni sbagliate e spesso questi errori risiedono proprio nel non sapersi staccare dalla propria visione. -

- Ma che c’entra con il Luna Park? - chiese Stefania. Il nostro amico sorrise e aggrottò le ciglia con l’aria di saperla lunga. Infatti dopo circa dieci minuti i due si ritrovarono su un altro gioco che non piaceva a lei, ma moltissimo a lui: il galeone del pirata o come diceva il nostro amico il pendolo. Infatti era un grande pendolo a forma di nave pirata che cominciava con piccole oscillazioni fino ad arrivare a compiere quasi mezzo giro. Naturalmente la posizione veniva raggiunta lentamente e poi veniva mantenuta per un certo periodo. Il tutto durava poco più di cinque minuti per la gioia del nostro amico che poteva contemplare il mondo da diverse angolazioni. Alla fine il nostro amico disse alla compagna che appena si reggeva in piedi:

- Questo sì che diverte. Permette di riflettere! Non è come quello schifo buono solo per far venire un infarto - ovvero le montagne russe.

- Questo ti uccide lentamente: è un trauma permanente. In questo io non ci risalgo nemmeno da morta. -

- Anche perché bisogna tenersi. - rispose ironico il nostro amico.

Conclusa la visita al Luna Park tornarono ognuno a casa propria ed il giorno seguente continuarono a prepararsi per l’interrogazione di matematica. Questa per Stefania si rivelò un mezzo disastro, chissà poi perché...

- Chissà cosa avevo per la testa: nulla non sono riuscita a dire nulla... perché? Sai, non sono una che si emoziona facilmente, l’avevo anche studiata abbastanza, eppure mi sono come paralizzata... io proprio non capisco. Si vede che non era la mia giornata, ma perché? Quelle domande, semplici, la voce del professore sembrava una vociona assordante: io ero lì davanti alla lavagna con il gesso in mano incapace di qualunque azione, circondata dallo stupore di tutti: per poco non mi metto a piangere. Sai, non mi ero mai trovata in una situazione simile... poi il professore ha capito che qualcosa non andava e mi ha rimandato a posto e mi ha detto di tornare domani... Anche una volta seduta ce n’è voluto perché mi calmassi, per qualche secondo devo anche aver tremato. Poi è passata. Ma perché il professore avevo solo detto “parliamo della definizione di ‘e’ dei limiti notevoli conseguenti”: una domanda facile facile, sapevo la risposta, ma non riuscivo a dirla, non riuscivo a scrivere... Non mi era mai successo... - quindi bevve un sorso della camomilla che aveva davanti.

- Ti sei emozionata: capita talvolta. Sai una mia amica mi raccontava che sua figlia all’esame di maturità quando i commissari le chiesero “Come ti chiami?” scoppiò a piangere e non riuscì più a dire nulla. Crediamo di conoscerci bene, ma in realtà è solo un’illusione. Come va ora, stai meglio? -

- Sì, grazie Rosa. Sai dev’essere anche questa situazione che si è venuta a creare: quello è a pezzi ed io dovrei aiutarlo a superare questo momento di sconforto. Ma nemmeno capisco perché è tanto dispiaciuto: di cosa dovrebbe rammaricarsi? Gli altri non mi considerano, mi sento tra l’incudine e il martello. È vero che in passato ho litigato con mezzo mondo, ma stavo male: non c’è nessuno che abbia un po’ di comprensione! Se non c’era lui chissà che fine avrei fatto... Ma adesso si sta facendo pagare la cambiale in un momento che non è neppure per me felicissimo... - quindi finì di bere la camomilla. Poi ringraziò Rosa per la chiacchierata e se ne tornò in camera per rivedere ancora una volta quei maledetti limiti: studiare riusciva almeno a distrarla ed in questo momento ne aveva proprio bisogno.

Il nostro amico quel pomeriggio non aveva molto da fare: aveva preso il suo nove a matematica, ma si sentiva piuttosto abbattuto: non l’aveva mai vista fare una scena simile, non c’era abituato, poi ripensava a Luca, Giovanni, a tutti i suoi amici, ai suoi tanti sbagli e ai suoi tanti litigi spesso dovuti anche al suo carattere. Sulla sua scrivania, sepolto sotto un mare di fogli con esercizi sui limiti, c’era ancora quel racconto che aveva riordinato qualche giorno prima: l’ultimo degli “Strani Racconti Incomprensibili”. Non avendo altro da fare riprese a leggerlo, all’inizio piuttosto stancamente, quindi con sempre più attenzione ed alla fine lo prese, lo strappò e disse:

- Dov’è qui la voce fuori campo? Chi mi dice qual è il racconto giusto, quale è il modo corretto per leggerlo? Chi mi salva dall’inganno? Non la voce fuori campo, non un fantomatico lettore, non una differenza di scrittura, perché tutto questo qui non esiste. Siamo noi a trovare le differenze: non c’è nessuno a dircele. Ma allora come posso distinguere la realtà dall’apparenza? Se non c’è nessuno a dirmi quando il testo è stato scritto in corsivo, non c’è nessuno per spiegarmi che esistono due libri, uno falso ed uno vero e allora io come posso distinguerli? Non posso? No! No, deve esserci un modo! - gridava - È tutto lì, tutto in questa stupida distinzione, ma se non è possibile comprenderla come facciamo? La guerra cos’è la guerra? Una visione errata della realtà: sembra meglio della pace. Tutto ciò che esiste di negativo non è altro che una errata visione di ciò che è giusto, una soluzione sbagliata, un’apparenza che ha vinto sulla realtà...  Allora dev’essere possibile sapere quando finisce l’apparenza e quando comincia la realtà, non può essere che debba esistere una voce fuori campo a segnalarci il confine... se poi non esiste nessuna voce fuori campo. È la fine! Esiste una verità, ma non la si può neppure scorgere nel mare dell’inganno!... Ed io che credevo di potermici avvicinare... No! Non è possibile siamo destinati a vivere in mondo di ombre senza nessuna possibilità di scorgervi dietro qualcosa... ma come mai tutti sono così tranquilli ed indifferenti: questa è la più grande tragedia che ci possa toccare. Ma ci si diverte per vivere o si vive per divertirsi? - gridava il nostro amico quando sua madre chiese, alla prese con la lavatrice piuttosto rumorosa:

- Mi stavi chiamando? -

- Eh?... che? No, no... stavo solo gridando al mondo il mio grido di dolore. - rispose piuttosto spiazzato.

- Ah, no, perché mi era sembrato di sentirti dire qualcosa. - continuò la madre la quale non aveva sentito nulla se non un certo vocio oltre alla sua lavatrice. Questo comunque calmò il nostro amico il quale si limitò solo ad aggiungere:

- La vita va sempre avanti, a dispetto di tutto: meno male che oltre ai pazzi esistono anche i sani.... e viceversa. - Comunque questa riflessione lo aveva portato ad una conclusione piuttosto drastica circa il suo libro ed infatti prese tutti i fogli manoscritti de “L’Equilibrio”, saranno stati almeno un centinaio e con un accendino si mise a bruciarli, uno dopo l’altro, aspettando che ognuno fosse distrutto, prima di dar fuoco al successivo, dicendo:

- Non si può scrivere questo libro. Anzitutto perché non serve a nulla: l’uomo sa bene qual è la verità, ma non vuole ricordarla. Lo ha scritto qualcuno: “E gli uomini preferirono piuttosto le tenebre alla luce” ed anche se non era la parola di dio, era di uno molto sveglio. Lo dicevano gli antichi filosofi greci che l’uomo ha già tutto quanto dentro di sé, deve solo avere la pazienza di cercare: l’uomo sembra non averla. Che esseri disgraziati siamo! Troppo intelligenti per non capire l’importanza di tanti insegnamenti, ma troppo poco per poterli applicare. Così l’aurea mediocritas, la virtù sta nel mezzo, è diventata uno squallido compromesso del tipo io ti do qualcosa, se tu mi dai qualcos’altro in cambio e la parola mediocre ha assunto un significato negativo. Assurdo. Se dall’uomo vuoi cinque devi chiedergli dieci, perché se gli chiederai cinque ti darà due. L’aurea mediocritas nell’interpretazione contemporanea. E io che volevo scrivere l’equilibrio. Non lo posso fare. L’equilibrio non esiste neppure nella fantasia, è solo un sogno, un sarebbe bello se... Alla fine l’unico vero equilibrio a cui saprà arrivare questo mondo sarà quello termodinamico - Ovvero la fine dell’universo stesso, quando non ci saranno più stelle e la temperatura sarà di circa meno duecentosettanta gradi Celsius, uniforme in tutto lo spazio. - Che assurdo per l’universo l’equilibrio si ottiene con il massimo del caos, esattamente all’opposto della nostra immaginazione: probabilmente non ci abbiamo ancora capito nulla... - Infatti per il secondo principio della termodinamica l’entropia, il disordine, di un sistema isolato aumenta e per altre considerazioni ogni sistema isolato tende a portarsi in uno stato di equilibrio. Mentre era preso da questa riflessione, arrivò Stefania: infatti ormai erano circa le sei e si era annoiata di tutta quella matematica e voleva fare una passeggiata, ma quando entrò nella sua stanza, dopo aver salutato rapidamente la madre, occupata dallo stirare ed ignara di tutto, vedendolo bruciare quei fogli disse preoccupata:

- Che fai?  Bruci tutto? -

- No, questo non è ciò che sembra, come tutto del resto. In realtà io sto solo collocando questo mio bel libro nella sua vera dimensione: l’inesistenza. - rispose senza neppure guardarla, tenendo lo sguardo fisso sui quei fogli che stava distruggendo e con una voce molto pacata, neppure avesse detto al fornaio “Salve, vorrei un chilo di pane”.

- Stai bene? -

- Prima, no. Adesso benissimo, mai stato meglio! Adesso capisco molte cose, Stefania, moltissime. Sono come illuminato dalla luce di questo fuoco. Fino a ieri mi sfuggivano, ma adesso ne sono consapevole... di non poter mai essere consapevole di nulla: questo è molto bello, perché almeno posso smetterla con queste stupide riflessioni: non mi resta che la sofferenza di chi si è posto delle questioni e sa non solo di non poter mai trovare le risposte, ma neppure di poterle intravedere. Non resta che il divertimento puro, sperando che non esista mai un momento per poter riflettere... Ti vedo triste. Sai perché esistono le persone tristi? -

- Perché altrimenti non ci sarebbero quelle felici - rispose

- È buffo vero? Per nulla. Abbiamo bisogno di essere circondati dalla tristezza per poterci dire allegri. Per avere si può solo togliere e noi siamo egoisti, terribilmente egoisti... non sono impazzito Stefania, cioè lo ero prima, adesso sto guarendo: infatti distruggo l’equilibrio! -

- Non ti piaceva più? -

- Mi piaceva tantissimo, ma non posso scriverlo. Non sono in grado e poi è inutile. L’uomo da quando esiste ha sempre scritto le solite cose e vedendo come gli altri le ignoravano ha sempre cambiato la forma, sperando alla fine di interessarli. Sempre le solite cose! Sai, qual era il titolo di tutti quei racconti: “Strani Racconti Incomprensibili”. Sono tutti uguali, cioè esprimono tutti lo stesso concetto, che poi è sempre il solito problema: la realtà e l’apparenza. Questa è la vera domanda, l’unico vero problema dell’uomo, la causa di tutti quelli particolari. È la forma a cambiare in ogni racconto: tutto un gioco di forma, come quella frase strampalata. “Non importa come vivi, ma tanto che ci sei fallo per gli altri”. È l’acqua calda: vivere per noi stessi, creature mortali non ha senso. Possiamo certo dedicare a noi una parte della nostra vita, ma non tutta perché faremmo solo del male agli altri. L’uomo lo sa e se ne frega. Tu lo capisci? Io no, ma del resto io sono pazzo. Come il gambero il quale pensa: cammino all’indietro e non concepisco come si possa camminare in avanti e cerco di convincere gli altri che ho ragione ed anche se non serve a nulla perché sono pazzo e non si lasceranno convincere da un matto, ci provo lo stesso. Noi Stefania stiamo bene insieme per la nostra pazzia: questo ci accomuna più di ogni altra cosa. - concluse sorridendo.

- Io non sono pazza! Neppure tu lo sei. -

- Allora perché siamo soli? Perché ci considerano antipatici? Perché ci siamo ritrovati isolati da tutto il resto del mondo? - rifletté per un attimo poi aggiunse - No, non siamo noi ad essere isolati: è il mondo intero. Io me ne sono solo reso conto... gli altri si illudono. Basta con tutte queste chiacchiere: che dici Stefania andiamo a fare due passi in centro? -

Come giustamente potevate immaginarvi dal sottotitolo dopo le riflessioni segue inesorabile:

La Fine

Tutto ha una fine. Talvolta dopo c’è anche un nuovo inizio: per vostra fortuna non è questo il caso del libro. I libri non sono infiniti, come i loro autori non sono immortali, ma credo sia meglio così: sarebbe terribile non poter mai leggere la fine.

 

    Se siete arrivati fin qui immagino vi sarà piaciuto… per avere l’ultimo capitolo scrivetemi e ve lo manderò.

   

   



[1] Le differenze di scrittura del racconto sono state rispettate e per questo non abbiamo usato il solito corsivo.

Torna all’introduzione.

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