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Erasmo da Rotterdam

 

Rotterdam 1466 o 69 - Basilea 12 luglio 1536

 

 Holbein,Erasmo (Parigi:Louvre)

 Il RINASCIMENTO è il movimento culturale di rinascita della cultura classica antica, nelle corti principesche e reali dell'Europa del'500. Tipico rappresentante è ERASMO: scrive l' 'Elogio della pazzia', dove sostiene che la conoscenza disinteressata e  creativa è l'autentica pazzia. 

Il LIBERO ARBITRIO (libertà di scegliere tra il bene e il male) è sostenuto da Erasmo: in polemica con quest'ultimo Lutero teorizza il SERVO ARBITRIO, in altre parole l'impossibilità per l'uomo di cambiare le scelte divine sul destino eterno delle vite degli uomini.  

ERASMO afferma che è giusto educare i fanciulli fin dall'età di 3 anni (più bassa è l'età più facile è educare un fanciullo) e che nell'educazione si devono utilizzare gioco/competizione/premi.  

Ebbe il titolo di dottore in teologia nell'Università di Torino il 4 di settembre del 1506.  Torino aveva allora poche migliaia di abitanti, la sua Università era sconosciutissima e tutt'altro che vetusta.  Luigi Firpo (che all'episodio della laurea erasmiana ha dedicato una dottissima narrazione), sostiene che era "poco frequentata e deserta di docenti illustri", "modesta scuola di provincia, piuttosto corriva nel concedere titoli dottorali".
Nel 1506 Erasmo aveva 37 anni. Aveva.già scritto una delle sue opere che lo renderanno famoso, l'Enchiridion Militis Christiani. Il viaggio in Italia per visitarvi le principali città, conoscere i dottori più famosi, frequentare le celebri biblioteche, era una sua vecchia aspirazione, che per diverse circostanze sfortunate era stato costretto più volte a rinviare. Questa volta, nel suo soggiorno inglese, l'occasione gli era stata offerta da un genovese autorevole, Giovan Battista Boeri, che era medico del re d'Inghilterra. Questi gli aveva affidato i suoi due figli perché li accompagnasse nel viaggio in Italia. La partenza da Londra avvenne ai primi di giugno del 1506; attraverso la Francia, con una lunga tappa a Parigi, sosta a Lione, traversata delle Alpi per il colle del Moncenisio, Erasmo arrivò a Torino alla fine di agosto. La discussione su vari temi teologici si svolse il 4 settembre nel Palazzo dei Vescovo, alla presenza di un collegio giudicante di teologi dell'Università, che lo dichiararono "idoneo e sufficiente" a ottenere il titolo di dottore. La ragione principale per cui Erasmo si addottorò nell'oscura Università torinese, anziché in
quella illustre di Bologna verso la quale era diretto, pare sia stata la opportunità, fattagli presente da alcuni amici, di avere un titolo di dottore, comunque, il più presto possibile, prima di presentarsi ai dottori che avrebbe voluto incontrare. Scendendo in Italia dalla Francia, la nostra città fu la prima che egli trovava sul suo cammino. Scrisse più tardi che aveva ricevuto il dottorato in teologia "contro voglia e sospinto dagli amici". Firpo osserva con malizia che nelle lettere in cui parla della laurea conseguita non indica mai il nome dell'Università di Torino. Si consolino però i torinesi qui presenti. In una lettera di molti anni più tardi (2 aprile 1533, pochi anni prima della morte) scriverà: "A Torino mi
piaceva la straordinaria cortesia (humanitas) della popolazione".
Il soggiorno di Erasmo in Italia durò tre anni.  Tanto amò l'Inghilterra, paese in cui gli piaceva vivere, patria di Tommaso Moro, tanto poco amò l'Italia e meno ancora gli italiani: il soggiorno in Italia negli anni delle  gesta del bellicoso Giulio II, gli suggerì non pochi argomenti per l'Elogio della pazzia, che pubblicò nel 1511. 

Detestava l'arroganza dei dotti che consideravano barbari tutti gli altri popoli, in specie i Romani "che van sognando, nella maniera più spassosa, le glorie dell'antica Roma". Non mancano peraltro anche giudizi qua e là lusinghieri, su Venezia, per esempio.
Erasmo, nonostante la sua cagionevole salute, viaggiò attraverso l'Europa, soggiornando anche a lungo in vari paesi, ma non ne adottò nessuno. La sua lingua e' il Latino. L'unica sua patria - patria ideale cui aspira pur non ignorando che e' più divisa che mai - e' l'Europa cristiana. Per lui la divisione in nazioni separate e' incompatibile con l'universalità del cristianesimo.
Scrive anche: "Ubi bene est, ibi patria est". E ancora "Se il nome di patria serve a unire, ricordiamo che la patria comune e' il mondo".
L'unica repubblica a cui ammette di appartenere, e ne trae vanto, e' la repubblica di coloro che, in quanto uomini di studi, si riconoscono, dialogano e disputano fra di loro, al di sopra delle frontiere. Patriota di nessuna patria, attribuisce a se stesso lo status di peregrinus, non quello di cittadino: "Ego mundi civis esse cupio, communis omnium vel peregrinus". Erasmo, principe della pace, come fu chiamato. Nel secolo in cui il problema della pace ha due aspetti diversi. La pace religiosa e quella politica. Entrambe, del resto, sono strettamente connesse l'una con l'altra: le discordie religiose non sono mai disgiunte dalle lotte politiche e territoriali, anzi sono con esse continuamente intrecciate. I suoi scritti politici appaiono l'uno a breve distanza dall'altro in poco più di un decennio, l'Elogio della pazzia nel 1511, il Dulce bellum inexpertis (in volgare: "Chi loda la guerra non l'ha mai vista in faccia") nel 1515 nella nuova edizione degli Adagia, l'Institutio principis christiani nel 1516, dedicata al futuro Carlo V, la Querela pacis l'anno dopo. Il 1517 e' l'anno in cui Martin Lutero affigge le 95 tesi sulle porte del duomo di Wittenberg. Nel decennio precedente si sono successe le imprese guerresche in Italia di Giulio II, che lo indignano. Nel 1515 il giovane re
di Francia, Francesco I, invade l'Italia e vince la battaglia di Marignano. Erasmo commenta: "C'e' forse una nazione ove non si sia combattuto
spietatamente in terra o in mare? Quale paese non s'inzuppò di sangue cristiano?".  Esclama: "O teologi senza lingua, o vescovi muti, che
assistete senza far motto a questo sfacelo dell'umanità". Due sono le ragioni della discordia che genera infelicità e sofferenza infinite: religiose e politiche. Il nemico della pace religiosa e' il fanatismo, da cui nasce l'intolleranza delle idee altrui, l'ostinazione con cui ognuna della parti sostiene con accanimento la propria verità, la caparbietà nel difenderla sino alla rottura irrimediabile di ogni tentativo di dialogo ragionevole, fondato sullo scambio di argomenti, il rifiuto di ogni invito alla pacata riflessione, alla mediazione fra tesi che non sono sempre, come appare a un giudizio passionale, inconciliabili. Tema ricorrente e' l'avversione per le sottili e futili dispute dei dotti, in particolare dei teologi che tanto più accanitamente litigano fra loro quanto più irrilevanti sono i temi della disputa. Nella Querela pacis, la pace, come la follia nell'elogio della medesima, parla in prima persona. Viaggia attraverso il mondo per trovare un angolo in cui sia rispettata. Dopo averla invano cercata fra i principi, si rifugia piena di speranza fra i dotti: "Quale pena!", esclama. Anche qui, un altro genere di guerra, se pure non cruenta, ma non meno folle (insana). Non cessa dallo sbeffeggiare le sottigliezze di cui costoro si compiacciono per il gusto della disputa fine a se stessa. E pretendono di sputare sentenze sull'universo mondo, costringendo i dissenzienti, quando ne hanno il potere,  a piegarsi alle loro stramberie. Erasmo e' l'uomo della moderazione. La virtù che egli apprezza, sopra ogni altra, nei sovrani e nei grandi uomini, e' la mitezza (mansuetudo); cerca nelle grandi idee e nei grandi uomini del passato più ciò che li unisce che quello che li divide. Come accade alle persone che sono in continuo dissidio con se stesse e non sono mai soddisfatte di sé, sente il bisogno di essere in armonia con gli altri. Disse di se' in terza persona: "Non scrisse mai nulla di cui fosse soddisfatto, gli dispiaceva il suo stesso aspetto, e solo le insistenza degli amici lo costrinsero a stento a farsi ritrarre". Fu un uomo di dubbi più che di certezze, come conveniva al dotto che non fu mai uomo d'azione. 

Alla fine del secolo, come attesta Giovanni Botero, era diventato un modo corrente di dire per contrapporre Erasmo a Lutero: "Erasmus dubitat, Lutherus asseverat". Se il nemico della pace religiosa e' il fanatismo, il nemico della pace politica e' l'ubris dei principi, la libido dominandi di cui parla Agostino, oggi, dopo Nietzsche, diremmo la volontà di potenza, da cui abbiamo appreso a riconoscere quello che Gerhard Ritter ha chiamato il "volto demoniaco del potere", considerandone capostipite Machiavelli contro Tommaso Moro, di Erasmo amico per elettiva affinità. Il fanatismo genera intolleranza, la volontà di potenza genera la guerra, che e' diventata, ma in realtà e' sempre stata, la condizione permanente dei rapporti tra stati sovrani. Questi, violando il principio fondamentale cui dovrebbe essere ispirata la loro condotta, il perseguimento del bene comune e della felicità dei loro popoli, tendono a rendere il loro dominio non migliore ma maggiore. Tanto più grave la trasgressione quanto più sono cristiani i principi che la commettono.
Nel celebre adagio, già menzionato, Dulce bellum inexpertis, scrive: "La nostra vita e' dominata dalla guerra. Non c'e' tregua. Imperversa tra le nazioni ma non risparmia neppure i rapporti di parentela, non conosce vincoli di sangue, mette fratelli contro fratelli, arma i figli contro il padre", e, ignominia ancora più grande, "il cristiano contro il cristiano". Erasmo e' assillato, ossessionato, tormentato da due pensieri che lo
perseguitano. Il primo riguarda la futilità o frivolità delle ragioni per cui i sovrani sono disposti ad avventurarsi in guerre sanguinose. Ritorna il tema della futilità, che e' follia e, come tale, l'opposto dell'assennatezza, ma ben più grave per le conseguenze che ne derivano.
Questo tema anticipa anche uno dei topoi della letteratura pacifista del futuro: la guerra come "capriccio dei principi". Il secondo pensiero si rivolge alla guerra che imperversa nell'Europa cristiana, tra sovrani che dovrebbero avere come somma guida il Vangelo. La guerra europea in quanto combattuta tra principi cristiani diventa, agli occhi di Erasmo, una vera e propria guerra civile (ricordo che "guerra civile europea" e' stata chiamata non a caso anche la nuova guerra dei trent'anni (1914-1945) che ha sconvolto il nostro secolo).
Nella Querela pacis Erasmo mette la civile concordia che regna fra gli uomini all'interno della propria specie in contrasto con la belluinità degli uomini nei rapporti fra loro. Una delle sue massime preferite: "La natura ha insegnato la concordia ma l'uomo vuole la discordia" (ma Kant sosterrà la massima opposta: "L'uomo vuole la concordia ma la natura vuole, per spingerlo a progredire, la discordia"). Nel suo vagabondaggio in cerca di se stessa, la pace non solo apprende che ovunque c'e' guerra, ma che ovunque ci sono anche i dottori che la giustificano. La teoria tradizionale. da Agostino a Tommaso, della guerra giusta, non piace al principe della pace. Il quale - affermazione scandalosa - ripete: "Meglio una pace ingiusta che una guerra giusta". Se pure con qualche ambiguità, e' contrario alla crociata contro i Turchi, bandita dal nuovo pontefice Leone X. Se volessimo respingere i Turchi con la guerra - argomenta - ci faremmo noi stessi Turchi. Correremmo il pericolo "Ut nos degeneremus in Turcis". Conclude: anche se possa esserci nella guerra qualcosa di giusto, sarebbe ben difficile trovarvi qualche cosa che non sia ispirato dalla collera, dalla libidine, dalla ferocia, dall'avidità. Vi sono due forme di pacifismo: quello etico-religioso e quello istituzionale o giuridico. Il pacifismo dell'autore del Lamento e' senza ombra di dubbio il primo. Erasmo rifiuta l'ideale dantesco della monarchia universale, che considera un ideale non di pace ma di guerra. Il pacifismo istituzionale attraverso il diritto nascerà in Europa più tardi. L'unico
strumento giuridico che egli prevedeva era quello tradizionale dell'arbitrato, ma ne attribuiva il compito non tanto ai principi quanto ai  vescovi e al papa. Il futuro della pace non può essere affidato, secondo Erasmo, se non all'educazione del principe cristiano, il cui dovere principale dovrebbe essere quello di difendere la pace interna e quella esterna del proprio popolo.

 Nella Educazione del principe cristiano, che egli scrive negli stessi anni in cui Machiavelli scrive Il Principe, che ne e' l'antitesi, così tratteggia le virtù del principe cui e' affidato il mantenimento della pace universale: magnanimità, temperanza, onestà. E ne indica i vizi che dovrebbe evitare: "Se vorrai entrare in gara con altri principi, non ritenere di averli vinti perché hai tolto loro parte del loro dominio. Li vincerai veramente se sarai meno corrotto di loro, meno avaro, arrogante, iracondo, precipitoso".
Negli stessi anni Machiavelli nel famoso cap.  XVIII del Principe scriveva, al contrario: "Faccia dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: i mezzi saranno giudicati onorevoli e da ciascuno laudati".
Il secolo di Erasmo era allora all'inizio. Non conobbe ne' la pace religiosa ne' quella politica. Il sogno di Erasmo non si avverò. Noi siamo alla fine del nostro secolo e le due più grandi guerre nella storia dell'umanità, le abbiamo alle spalle.  Non possiamo dire di essere "inexperti". 
1. L'inganno dell'inesperienza.
2. Ciò è specialmente vero per la guerra, oggi trionfante al punto di capovolgere il giudizio su di essa, che e' cattiva e dannosa. Problema: da dove viene la guerra? Necessaria indagine filosofica.
3. L'immagine dell'uomo e quella della guerra:
a) l'immagine dell'uomo: il corpo; linguaggio e ragione; immagine di Dio;
b) l'immagine della guerra: aspetto orribile; effetti più gravi; guai minori, ma sempre terribili; conseguenze consuete; rovina morale; la guerra genera guerra.
4. Natura della guerra: opera della peggiore Furia; origine della parola; peggio che bestiale (confronto uomo-animali); la Natura stupita.
5. Problema dell'origine della guerra: uccidere le fiere per difesa; idem senza necessità; mangiare le belve (esempi di assurdità consuete);
mangiare animali innocui e sevizie sugli animali; uccidere le bestie insegna ad uccidere l'uomo: a) duello; b) tirannicidio da' gloria; c) guerra (cresce la furia; sviluppo delle armi; guerra=gloria; limitazioni alla guerra; guerra senza limiti, a scopo di lucro, peggio della gloria). Sommario: dalla caccia alla guerra; i potenti ottusi e disumani non vogliono capire. 
6. Critica del bellicismo cristiano. Punto presente della storia della guerra: uomo contro uomo, cristia­no contro cristiano. Nessuno condanna.
C'e' chi applaude e santi­fica, chi benedice e fa della guerra un sacramento. Falsificazione dei profeti, della preghiera, della croce. Antitesi fra guerra e regno di Dio. Giulio II istigatore. Obiezione dei  mercenari. Rinvio della risposta al paragrafo 12.
7. Confronto morale guerra-pace (dopo il confronto uomo-guerra, paragrafi 3-6). Due argomenti (morale  e utilitario) indipendenti e convergenti: a) la guerra e' colpa, e' male morale (qui, par. 7); b) la guerra e' danno per tutti, e' male fisico (par. 8, e gia' alla fine del 7; par.14). Confronto tra gli effetti della pace e quelli della guerra; il danno morale della guerra e' piu' grave di quello fisico (cfr. Primo Mazzolari, Tu non
uccider
e, ed. 1965, p. 19); elenco dei mali naturali, confronto col male voluto; la pace e' benefica per tutti, la guerra per pochi, a danno di altri; inutilità della vittoria.
8. La guerra e' un danno per chi la fa, senza vantaggio certo; affliggere se stessi per poter affliggere gli altri; non convenienza economica, irreparabilità del danno.
9. Incompatibilità fra l'essere cristiano e far guerra: peggio che fratricidio; niente e' più lontano dall'amore; Salomone e Cristo (motivo ripetuto in Erasmo); beatitudini; insegnamento degli apostoli; armonia nel corpo e nell'universo; l'uomo (e il cristiano) che fa guerra e' al di sotto degli animali. 
10. Storia e analisi della corruzione del cristianesimo fino a renderlo guerriero:
a) cultura: dialettica; retorica; disputa; Aristotele sopra Cristo; il diritto romano sopra il vangelo; la cultura pagana sopra le Sacre Scritture.
Tensione tra Cristo e filosofia (ragione); b) onori e ricchezze: per i poveri; per noi; onore al ricco; c) potere: titolo; potere temporale; tirannide. 
11. Guerre dei cristiani peggiori di quelle dei pagani antichi: nuove armi; noi pseudocristiani; Romani ponevano limiti alla guerra: uccidere solo per necessità; oggi onorato l'uccidere con inganno e ferocia per lucro; contro i mercenari; monarchi cristiani peggiori dei monarchi gentili.
12. Contro le giustificazioni religiose della guerra. Il vangelo proibisce la guerra.
Prima obiezione: argomento biblico per la guerra. Risposta: a) guerra dei cristiani meno giustificabili di quelle degli  ebrei; b) perché non imitiamo altre usanze degli ebrei? c)l'unica guerra lecita ai cristiani e' la guerra morale ai vizi. Solo questa guerra genera la vera pace. Cristo, vietando la spada a Pietro, proibisce quella guerra che prima sembrava lecita. Seconda obiezione: eppure Pietro uso' la spada. Risposta: a) non era ancora cristiano; b) non per se' ma per la vita del Maestro; c) imitarlo anche nel rinnegare? d) Cristo non approva la difesa armata. Altre obiezioni: a) guerra come mestiere; b) ogni guerra e' giusta se dichiarata dal principe; c) sacerdoti e monaci non possono combattere ma possono dirigere una guerra; d) la propria causa appare a tutti giusta, dunque e' lecito combattere; e) Cristo vieto' la difesa finche' c'era lui,  dopo la sua dipartita e' lecita la difesa armata; f) cosi' le sue esortazioni all'amore dei nemici; g) insegnamenti simili degli apostoli sono consigli e non precetti. Risposta: con questi argomenti speciosi si capovolge Cristo in "banditore di guerre" e "consigliere dell'accumulo dei beni" e si da' avallo religioso alla cupidigia dei principi. Cristo indica il fine dello sforzo morale, non da' le misure del permesso e del vietato (cfr. i lavori di teologia morale di Bernhard Haering). Oggi capovolgimento: sospetto di eresia chi esorta a fuggire la guerra, campione di ortodossia chi snerva il vangelo e offre ai cupidi principi argomenti concessivi. "Un dottore davvero cristiano non approva mai la guerra; e se, forse, in qualche momento la ammette, lo fa suo malgrado e con dolore". 
13. Obiezioni a favore del diritto di guerra, e repliche. a) e' diritto di natura. Risposta: ma il vangelo va oltre. b) il vangelo e' per alcuni. Risposta: no, e' per tutti quelli che sperano in Cristo. Chi si ride di lui combatte per il denaro e il potere, ma questa e' morte più che vita. c) casi di papi e padri della chiesa a favore della guerra. Risposta: e' tradizione non univoca; e comunque, perché seguire esempi equivoci, divergenti dalla parola chiara di Cristo?  d) guerra come procedura giudiziaria. Risposta: in giudizio c'e' il primato  della legge; la guerra e' giudizio in causa propria; in guerra la pena va sugli innocenti; i vantaggi della guerra sono per i briganti; in tribunale si punisce uno per il bene di tutti, in guerra sono puniti tutti, benché innocenti. Conclusione: meglio pochi colpevoli impuniti che condannare, con  loro, tutti gli innocenti. e) e' diritto dei principi. Risposta: tutti avrebbero qualche diritto; il governo e' amministrazione, non possesso; il diritto dei principi viene dal popolo, che può toglierlo; e' diritto che i principi rivendicano per sé, non per la giustizia. 
14. In ogni caso, la guerra non conviene. Meglio una pace ingiusta che una guerra giusta (questo paragrafo prosegue il n. 13, discutendo ancora l'argomento del diritto dei principi, sotto l'aspetto della saggezza pratica. Alla fine si aggiunge un sesto preteso fondamen­to del diritto di guerra, quello religioso, cui sarà dedicata la prima parte del par. 
15). Anche  ammesso il diritto di guerra, esaminarne la convenienza (argomento utilitario, vedi par. 7). Esempio tratto dagli interessi privati: vittoria inutile. Affermazione di principio di morale utilitaria: "Meglio una pace ingiusta di una guerra giusta" (cfr. Querela pacis, p.122 nel medesimo volume sopra citato). Spesa superiore al guadagno. Il possesso attuale di un  principe e' migliore di una rivendicazione cruenta, sempre precaria. Alternativa alla guerra: l'arbitrato (vedi Lettera ad Antonio di Bergen alla p. 35 dell'introduzione di Garin; vedi Mesnard, ivi alle pp. 47-48). f) diritto di guerra in difesa della chiesa: prima risposta sintetica (antitesi tra chiesa e guerra); sviluppo della risposta nel paragrafo seguente. 
15. Contro la crociata e contro le guerre in genere: a) contro la crociata: contraddizione tra crociata e cristianesimo (tra crociata e croce).
Obiezione: occhio per occhio. Risposta evangelica: il cristiano violento e' eretico, peggiore dei turchi; oggi monaci, papi, vescovi confidano nel potere umano, regnano a danno del popolo cristiano; turchi "quasi cristiani". Noi tutti cristiani rendiamo non credibile il vangelo, distruggiamo Asia e Africa mentre Cristo rispetta tutto, facciamo uso imperialista del vangelo. Cosi' siamo anche politicamente imprudenti (mondo cristiano assediato dai barbari). Dio non aiuta i violenti, anzi "vinceremo veramente allorquando saremo vinti". Una guerra vinta non evangelizza: meglio turchi o ebrei sinceri che cristiani ipocriti. Obiezione ripetuta: vim vi repellere licet, e' necessario. Risposta: perche' scateniamo violenza con le nostre discordie? La crociata peggiora i cristiani; sospetto fondato che la crociata serva ai tiranni civili ed ecclesiastici per spo­gliare i popoli cristiani. Ammette il problema di difenderci dai turchi, se sono loro ad assalirci, a condizione: che questa guerra sia fatta con animo e mezzi cristiani; non inimicizia (turchi "braccati come prede"), ma testimonianza di costumi cristiani; chiediamo loro consenso a un cristianesimo essenziale (tema dell'umanesimo cristiano e del pacifismo-ecumenismo rinascimentale. Erasmo qui rinvia al suo prossimo Antipolemos, perduto, vedi p. 27 dell'introduzione di Garin e p. 162). b) contro le guerre in genere (dei cristiani), che sono stolte o malvagie; stupida educazione dei principi (vedi Panegyricus, citato alle pp. 24- 25 dell'introduzione di Garin); guerre fatte per tiranneggiare e depredare il popolo; coperture ideologiche; "Non ottengono mai proprio quello che vogliono": - gloria: falsa gloria; - orgoglio: "ti costringi a umiliarti all'ultima feccia dell'umanità'", "perché e' con costoro che soprattutto si combattono le guerre"; - guadagno: calcolo errato, maggior danno per tutti. Ipotesi di guerra inevitabile: se si verifica: lasciarla fare ai violenti ("L'infame   impresa sia fatta da infami"); limitare quanto più possibile lo spargimento di sangue. Per scongiurarla: se... (indica 9 condizioni di vita spirituale cristiana, che infine sintetizza in: innocenza, amore,pazienza)... allora la guerra sparirebbe. Altrimenti, eliminare Cristo come favola. Se invece e' verità, mostriamolo con azioni di pace, specialmente i pontefici, i principi, le città. Se si agita il popolo, i principi lo riconducano all'ordine; se sono i principi a turbare la pace, i pontefici ricompongano i disordini.
Elogio di Leone X e confronto con Giulio II. Speranze. Conclusione brevissima in tono dimesso: "Ma questa digressione e' durata troppo, almeno per chi preferisce sentir parlare di proverbi [gli Adagia, di cui il Dulce bellum inexpertis fa parte, sono una raccolta di massime commentate] piuttosto che di pace e di guerra".

Biografia (sintesi di un contributo di Peppe SINI nel bollettino elettronico del  Centro di ricerca per la pace di Viterbo, nr. 397 del 27 ottobre 2002)
Nasce tra il 1466 e il 1469 da genitori non uniti in matrimonio, fanciullo frequenta a Deventer una scuola dei Fratelli della Vita Comune; nel 1479 la peste uccide la madre, poi il padre; spinto dai tutori Erasmo entra nel convento di Steyn, presso Gouda, e abbraccia la vita religiosa.  Nel 1492 e' ordinato prete.
Nel 1492 lascia Steyn per entrare al servizio di Enrico di Berghes, vescovo di Cambrai. Nel 1495 ottiene di andare a studiar teologia a Parigi, l'anno dopo lascia il collegio Montaigu e si guadagna da vivere facendo il precettore. La sua sara' una vita di andirivieni per l'Europa, con prevalente residenza nell'area tra Lovanio, Basilea e Friburgo, ma con fondamentali protratti soggiorni in Inghilterra, ed un operoso viaggio in Italia.
Nel 1499 compie il suo primo soggiorno in Inghilterra, e vi conosce Thomas More e John Colet. Nel 1500 a Parigi pubblica la prima edizione degli Adagia; nel 1501 pubblica il De Officiis di Cicerone ed inizia cosi' la sua fondamentale attivita' di editore di classici; nello stesso anno studia il greco. Nel 1502 muore Enrico di Berghes, Erasmo va a Lovanio. Nel 1503 pubblica l'Enchiridion militis christiani, nel 1504 il Panegyricus ad Philippum Austriae ducem (uno dei primi importanti testi pacifisti di Erasmo); nel 1505 edita le Annotazioni sul Nuovo Testamento di Lorenzo Valla, compie il suo secondo soggiorno in Inghilterra.
Dal 1505 al 1509 e' in Italia: a Venezia presso Aldo Manuzio svolge un'attività' editoriale cospicua. Lasciando l'Italia medita l'Elogio della follia, che pubblicherà nel 1511 dedicandola a Thomas More.
Dal 1509 al 1514 e' perlopiù in Inghiltera. Nel 1513 muore Giulio II, e viene pubblicato il libello Julius exclusus e coelis, violento attacco alla figura del papa-guerriero: un testo attribuito ad Erasmo, sebbene egli sempre abbia negato di esserne autore.
Nel 1514 e' a Basilea ed inizia il sodalizio editoriale con lo stampatore ed amico Johann Froben. E presso Froben nel 1515 pubblica tra l'altro un'edizione di Seneca. Nel 1516 pubblica la prima edizione critica del Nuovo Testamento. Inizia anche a pubblicare raccolte del suo epistolario.
Nel 1516 gli viene attribuita la carica onoraria di consigliere di Carlo d'Asburgo (il futuro imperatore Carlo V, che già nel corso dell'anno diverrà re di Spagna), e pubblica l'Institutio principis christiani. Sempre quest'anno pubblica la sua edizione dell'Opera omnia di Girolamo, e un'edizione della Grammatica institutio di Teodoro di Gaza. Pubblicazione dell'Utopia di Thomas More.
Nel 1517 (che e' anche l'anno delle novantacinque Tesi di Lutero) pubblica la Querela Pacis, Carlo si trasferisce in Spagna ma Erasmo non lo segue. Dal 1517 al 1522 sara' prevalentemente a Lovanio.
Nel 1518 pubblica tra l'altro l'Encomium matrimonii. Nel 1519 pubblica la seconda edizione del Nuovo Testamento, un'edizione di Cipriano, ed esce un'edizione delle Familiarum colloquiorum formules, che diverranno i Colloquia; Carlo viene eletto imperatore. Muore John Colet. Nel 1520 pubblica gli Antibarbari. E' l'anno della bolla papale Exurge Domine, che Lutero da' pubblicamente alle fiamme.
Nel 1521 pubblica il De contemptu mundi. Nel 1522 si trasferisce da Lovanio a Basilea; viene pubblicata da Froben la prima edizione autorizzata dei Colloquia, la terza edizione del Nuovo Testamento, vari altri lavori (tra cui l'edizione di Arnobio).
Nel 1523 edita e commenta testi neotestamentari e patristici (Ilario),  le Tuscolane di Cicerone (e nel 1525 l'Historia Naturalis di Plinio il Vecchio). Declina l'invito di Francesco I a trasferirsi in Francia.
Nel 1524 esce il Libero arbitrio cui Lutero replicherà col Servo arbitrio, al quale Erasmo rispondera' con l'Hyperaspistes nel '26. Sempre nel '26 pubblica l'Institutio matrimonii christiani e l'edizione di Ireneo. Nel 1527 la quarta edizione del Nuovo Testamento e l'edizione delle opere di Ambrogio. E' l'anno del sacco di Roma. Nel 1528 pubblica il Ciceronianus. Nel 1529 pubblica il De pueris statim ac liberaliter instituendis, e l'Opera omnia di Agostino.
Dal 1529 al 1533 e' prevalentemente a Friburgo. Nel '30 cura l'edizione di Giovanni Crisostomo e pubblica la sua Consultatio de bello turcis inferendo.
Nel '31 edizione di Aristotele, Livio, Gregorio Nazianzeno, e Paraphrasis in Elegantias L. Vallae. Nel '32 edizioni di Demostene e Terenzio. Nel '33 pubblica la De sarcienda Ecclesiae concordia. Nel 1534 la Preparazione alla morte.
Nel 1535 a Basilea, quinta edizione del Nuovo Testamento. Decapitazione di Thomas More, imprigionato l'anno prima. Erasmo rifiuta l'offerta del cappello cardinalizio. Nel 1536 cura l'edizione di Origene. Muore a Basilea tra l'11 e il 12 luglio.


Peppe Sini sottolinea come molti  antifascisti abbiano curato edizioni dell' Elogio della pazzia: Croce, Tommaso Fiore, Eugenio Garin 

Erasmo da Rotterdam, Colloquia, TO:Einaudi, 2002 (prima trad. integrale)

Erasmo, Adagia. Sei saggi politici in forma di proverbi, TO:Einaudi, 1980.

Erasmo da Rotterdam, L'educazione del principe cristiano, (a c. Margherita Isnardi Parente),NA:Morano, 1977.
Erasmo da Rotterdam, Sul libero arbitrio, PN:Edizioni Studio Tesi 1989.

(sunto da Centro di ricerca per la pace di Viterbo, nr. 397 del 27 ottobre 2002 e 402, 1 nov. 2002 -  nbawac@tin.it)

FONTI  

L'opera omnia di Erasmo si legge ancora nell'edizione di Leida (Lugduni Batavorum) del 1703-1706 a cura di Jean Leclerc (Joannes Clericus),
ristampata nel 1961 a Hildsheim.

Johan Huizinga, Erasmo, TO:Einaudi,  1941 per la biografia

 Hugh R. Trevor-Roper, Protestantesimo e trasformazione sociale, BA:Laterza, 1969 (centrato sul ruolo di E.)

Eugenio Garin, Erasmo, S. Domenico di Fiesole (Fi): Ed. Cultura della Pace,  1988 (che reca anche i seguenti testi erasmiani:
il Dulce bellum inexpertis, dagli Adagia; la Querela Pacis; e tre testi dai Colloquia: la Confessio militis, Militis et Cartusiani, il Charon).

 P. De Nolhac, Erasme en Italie. Etude sur un episode de la Renaissance, Paris:1888

Augustin Renaudet, Erasme et l'Italie, Geneve 1954, nuova ed. 1998

Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia. 1520-1580, TO:Bollati Boringhieri 1987.

Enrico Peyretti ha riassunto un intervento di Norberto Bobbio che nel luglio del 1996 aveva commemorato Erasmo, che si era laureato all'Uiversità di Torino (peyretti@tiscalinet.it).

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