etica della morte 5/3/2000 Differenze tra il processo Norimberga (di cui vedi Lord Russel di Liverpool, Il flagello della svastica, Feltrinelli 1960) e il processo ad Eichmann: il primo è basato sul diritto internazionale, il secondo sulle testimonianze e sulla volontà politica del governo israeliano (Ben Gurion) di porre una identificazione tra genocidio e testimonianza ebraica. "Col processo Eichmann la società riconosce al sopravvissuto un'identità sociale e una funzione: è portatore di storia ... Questo riconoscimento ha alterato il modo di porsi degli occidentali verso la Shoah". Nel primo caso prevaleva l'aspetto di mettere al bando la guerra e di analizzare il meccanismo dello sterminio, nel secondo caso "tutta la luce viene puntata sulle vittime che assumo il ruolo di testimoni della memoria" "Il processo Eichmann, strumentalizzando il genocidio a fini politici, ebbe due effetti: dotò Israele di un nuovo mito fondatore e diede enorme forza pubblica alla figura del testimone". (Annette Wieviorka, L'era del testimone, Cortina). Hannah Arendt indicò nella serie di testimoni condotti davanti ad Eichmann "uno spettacolo", da lì nacque "il male di Auschwitz" come fenomeno della coscienza collettiva. Ma la filosofa che a nome della ragione condanna espressamente all'impiccagione Eichmann, a 17 anni dalla fine della guerra, non ha forse anch'essa delle responsabilità? Per la Wieviorka bisogna distinguere il piano storico (che deve assolutamente coprire anche chi non può rendere testimonianza in quanto è morto o è stato ucciso) dal piano della testimonianza, che non dà riposta ai perché e non ci premunisce dal ripetersi della cultura della morte. Per questo ritengo necessario approfondire la cultura della morte all'interno della filosofia e dell'ideologia. |
![]() Hannah Arendt, Eichmann in Jerusalem - A Report on the banality of Evil, 1963 |
Eichmann nella sue memorie difensive (che solo ora il governo israeliano rende pubbliche -con l'obiettivo dichiarato di documentare la Shoah- v. Repubblica 1/3/2000) scrive "Al corso addestramento ufficiali ci avevano insegnato parole come Dovere, Disciplina, Obbedienza, ma non Disobbedienza civile, non il Coraggio di Ribellarsi" e nel testamento: " Morire non è peggio che nascere: migliaia di nuove vite, moltiplicate per altre decine di migliaia, seguiranno le nostre". Si trattava di un pentimento parziale? In ogni caso la sua prigionia non aveva già funzione di monito? Che cosa ha aggiunto l'impiccagione? Il fatto irreversibile, il sigillo definitivo. Per chi? Possibile che una filosofa come Arendt non senta la limitatezza di questo atto?
8/3/2000
Morte e tempo: la civiltà occidentale mira a dominare il futuro e in questo senso assume il tempo ed il rispetto dei tempi come parametro per la convivenza sociale. Con il tempo unico di internet in vigore dallo scorso novembre, abbiano uno strumento pienamente adeguato alla globalizzazione, tale da consentire la sincronia negli scambi di informazioni. In questa dimensione ogni morte individuale è già programmata sia economicamente che come dato che costituirà informazione (la biografia del defunto con corredo di "coccodrillo" giornalistico).
L'Africa stenta ad inserirsi in questa dimensione. Nella loro cultura tradizionale "il tempo è semplicemente una composizione di eventi.[...] E' sempre e solo presente,. Il futuro è assente perché gli eventi inclusi in esso non hanno ancora avuto luogo e no possono quindi costituire tempo." Per noi il tempo è lineare, è un bene che può essere capitalizzato e commercializzato, "ma nella vita tradizionale africana il tempo deve essere creato o prodotto. L'uomo non è schiavo del tempo, invece egli "fa" tutto il tempo che desidera. [...]. Le persone sedute per terra in realtà non perdono tempo, ma lo stanno aspettando o sono nella fase di "produzione" del tempo." (J.S.MBITI, Oltre la magia: religione e culture nel mondo africano, TO:SEI, 1992).
10.8.2000
CD-ROM A Right to Die? The
Dax Cowart Case