La strada dalla Pennsylvania Station sembrava attraversasse il continente come se non tornasse più all'indietro ma andasse sempre avanti ad occidente fra tombe in ferro-vetro-pianura, pali e gente. E indietro invece e in fretta ci tornai ma in certi miei momenti forse oziosi mi chiedo dove sei e che cosa fai e come passi i tuoi giorni noiosi io che non ti risposi in questa casa mia che sai e non sai. E immagino tu e lui, due americani sicuri e sani, un poco alla John Wayne portare avanti i miti kennedyani, e far scuola agli indiani amore e ecologia lassù nel Maine. E là insegnare alla povera gente per poco niente, vita quasi pia fingendo, o non sapendo proprio niente di quello che può ancora far la CIA santi dell'occidente per gli USA, e così sia Mi ha detto chi t'ha vista là da poco che sei rimasta quella che eri allora un po' più vecchia ma quasi per gioco e forse solo appena un POI signora vorrei vederti ora perchè il ricordo mi diventa fioco e provo a immaginare in un momento per ridere di stare qui con te ma sarebbe poi stato un cambiamento ci penso ma non sento che un altro ancora ai soliti perchè Però tu sai che è il gioco di un istante perchè da allora già lo sentivano che possibilità ce ne son tante per quei due tipi che allora eravamo io son quasi importante tu cosa sei, e chi siamo? Ma forse almeno tu l'hai conservato quell'ideale che avevamo in testa probabilmente invece mi ha lasciato ogni cosa alla lunga mi molesta e cerco un'altra festa - e poi le feste in fondo mi han stancato. Poi erano ideali alla cogliona fatti coi miti del '63 i due giovani e pace un po' alla buona Ramblas di Barcellona la prima crisi dura dentro me. lo credo che sappiamo che è diverso se le cose son state poi più amare te accetti tiri avanti e non hai perso se sono differenti dal sognare perchè non è uno scherzo sapere continuare. E scusami se sono qui a pensare a te alle tue parole e ai tuoi sorrisi come il "MATTO" fra carte da giocare può risolvere un attimo di crisi anche se allora smisi ora vado, e "via andare". Non voglio far felice proprio adesso tua madre che odiò l'italiano istrione quando disse a tuo padre che era un fesso lui e il liberal-progresso e urlò rivoluzione. Son cose spero che perdonerai com'io ti ho perdonato ormai a quest'ora come se fossi solo un piantaguai il "but I love him" che gli urlasti allora così ti canto ancora in questa casa mia che sai e non sai.
L'acqua che passa fra il fango di certi canali tra ratti sapienti e pneumatici e ruggine e vetri chissà se è la stessa lucente di sole o fanali che guardo oleosa passare rinchiusa in tre metri. Si può stare ore a cercare se c'è in qualche fosso quell'acqua bevuta di sete o che lava te stesso o se c'è nel suo correre un segno od un suo filo rosso che leghi un qualcosa a qualcosa, un pensiero a un riflesso. Ma l'acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me, o di quest'aria bassa; ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e non gliene frega niente. E cade su me che la prendo e la sento filtrare, leggera infeltrisce i vestiti e intristisce i giardini, portandomi odore d'ozono, giocando a danzare, proietta ricordi sfiniti di vecchi bambini; colpendo implacabile il tetto di lunghi vagoni, creando annoiato interesse negli occhi di un gatto, coprendo col proprio scrosciare lo spacco dei tuoni che restano appesi un momento nel cielo distratto. E l'acqua passa e gira e colora e poi stinge, cos'è che mi respinge e m'attira; acqua come sudore, acqua fetida e chiara, amara senza gusto nè colore. Ma l'acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me, o di quest'aria bassa; ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e non gliene frega niente. E mormora e urla, sussurra, ti parla e ti schianta, evapora in nuvole cupe rigonfie di nero e cade e rimbalza e si muta in persona od in pianta diventa di terra, di vento, di sangue e pensiero. Ma a volte vorresti mangiarla o sentirtici dentro, un sasso che l'apre, che affonda e sparisce e non sente, vorresti scavarla, afferrarla, lo senti che è il centro di questo ingranaggio continuo, confuso e vivente. Acque del mondo intorno di pozzanghere e pianto, di me che canto al limite del giorno, fra il buio e la paura del tempo e del destino freddo assassino della notte scura Ma l'acqua gira e passa e non sa dirmi niente di gente, me, o di quest'aria bassa; ottusa e indifferente cammina e corre via lascia una scia e non gliene frega niente.
Le Alpi ,si sa,sono un muro di sasso, una diga confusa fanno tabula rasa di noi che qui sotto,lontano, più in basso,abbiamo la casa; la casa ed i piedi in questa spianata di sole che strozza la gola alle rane, di nebbia compatta, scabrosa, stirata che sembra di pane, ed una strada antica come l'uomo marcata ai bordi dalla fantasie di un duomo e fiumi, falsi avventurieri che trasfonano i padani in marinai non veri. Emilia sdraiata fra i campi e sui prati, lagune e piroghe delle terramare guerrieri del Nord dai capelli gessati ne hai visti passare Emilia allungata fra l'olmo e il vigneto, voltata a cercare quel mare mancante e il monte Appennino rivela il segreto e diventa un gigante Lungo la strada tra una piazza e un duomo hai messo al mondo questa specie d'uomo: vero, aperto, finto, strano, cbiwo, anarchico,verdiano... brutta razza,l'emiliano Emilia sognante fra l'oggi e il domani, di cibo e motori, di lusso e balere; Emilia di facce, di grida, di mani, sarà un grande piacere vedere in futuro, da un mondo lontano quaggiù sulla terra una macchia di verde e sentire il mio cuore che batte più piano e là dentro si perde... ... passeggia un cane e abbaia al vento un uomo... Ora ti saluto è quasi sera, si fa tardi, si va a vivere o a dormire da Las Vegas a Piacenza fari per chilometri ti accecano testardi ma io sento che hai pazienza, dovrai ancora sopportarci
A m sun desdèe stamatèina l'è premavéra ma a l pióv A m sun desdèe stamatèina l'é premavéira ma a I pióv A n pos purtèret fòra anch sl'lè dmanga perchè a n gh'ò ménga al vsti nòv A gh'era tòo pèder sò l'òss a I m'à dmandèe quand a tée spòs A gh'era tòo pèder sò l'òss a I m'à dmandèe quand a tée spòs Mè, ch'a fagh fadiga a magnèr per mè pèinsa mò bèin s'a s'foss in dò E quand l'è gnuda tòo mèdra A gh'ò dmandèe in dòv t'ér tè e quand l'è gnuda tòo mèdra a gh'ò dmandèe in dòv t'ér tè la m'à rispòst ch't'ér andèda via con un ch'a I gh'à piò sòld che mè E mè a sun chè in mez a la strèda sèinza savéir csa pèsia fèr l'è bròtt dabèun stèr a la dmanga a bsaca vèda e séiinza tè e intant a m piòv sèvra a la testa e a sun tèt mèi cèmm un pulsèin A sun da sòl d'lòngh a la strèda e a zigh dabòun còmm un putèin A sun da sòl d'lòngh a la strèda e a zigh dabòun còmm un putèin l'è premavéira ind al lunari ma a pèr ch'l'invéren sia turnée
Probabilmente uscì chiudendo dietro a se la porta verde, Qualcuno si era alzato a preparargli in fretta un caffè d'orzo Non so se si girò, non era il tipo d'uomo che si perde In nostalgie da ricchi, e andò per la sua strada senza sforzo Quand'io l'ho conosciuto, o inizio a ricordarlo, era già vecchio O così a me sembrava, ma allora non andavo ancora a scuola Colpiva il cranio raso e un misterioso e strano suo apparecchio Un cinto d'ernia che sembrava una fondina per la pistola Ma quel mattino aveva il viso dei vent'anni senza rughe E rabbia ed avventura e ancora vaghe idee di socialismo Parole dure al padre e dietro tradizione di fame e fughe E per il suo lavoro, quello che schianta e uccide il fatalismo Ma quel mattino aveva quel sentimento nuovo per casa e madre E per scacciarlo aveva in corpo il primo vino d'una cantina E già sentiva in faccia l'odore d'olio e mare che fa Le Havre E già sentiva in bocca l'odore della polvere della mina L'America era allora, per me e i GI di Roosvelt, la quinta armata L'America era Atlantide, l'America era il cuore, era il destino L'America era Life, sorrisi e denti bianchi su patinata L'America era il mondo sognante e misterioso di paperino L'America era allora per me provincia dolce, mondo di pace Perduto un paradiso, malinconia sottile, nevrosi lenta E Gunga-Din e Ringo, gli eroi di Casablanca e di Fort Apache Un sogno lungo il suono continuo ed ossessivo che fà il Limentra Non sò come la vide quando la nave offrì New York vicino Dei grattacieli il bosco, città di feci e strade, urla, castello! E Pavana un ricordo lasciata tra i castagni dell'Appennino L'inglese un suono strano che lo feriva al cuore come un coltello E fu lavoro e sangue, e fu fatica eguale mattino e sera Per anni la prigione, di birra e di puttane, di giorni duri, Di negri ed irlandesi, polacchi ed italiani, nella miniera Sudore d'antracite, in Pennsylvania, Arkansas, Texas, Missouri Tornò come fan molti, due soldi e giovinezza ormai finita L'America era un angolo, l'America era un'ombra, nebbia sottile L'America era un'ernia, un gioco di quei tanti che fà la vita E dire boss per capo, e ton per tonnellata, rifle per fucile. Quand'io l'ho conosciuto, o inizio a ricordarlo, era già vecchio Sprezzante con i giovani, gli scivolavo accanto senza afferrarlo E non capivo che quell'uomo era il mio volto, era il mio specchio Finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo Finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo Finché non verrà il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo
Si chiamava Antenór e niente si chiamava Antenór e basta perchè per certa gente non importa grado o casta importa come vivi ma forse neanche quello importa se sai usare bene il laccio od il coltello. Antenór uscì di casa uscì di casa quella sera garrivano i suoi pensieri come fossero bandiera ma gli occhi erano fessura e il viso tirato a brutto come all'età in cui credi d'aver fatto quasi tutto. Un cavallo nitrì, ma quando? una donna rise, ma dove? la luna uno scudo bianco, un carro le stanghe in alto chitarra ozio parole, chitarra ozio parole, la pampa un ricordo stanco, un mare quell'erba nera può darsi fosse romantico, ma lui non lo sapeva. Quella donna rideva ad ore, quella luna solo uno sputo e per quel cavallo non avrebbe speso anche un minuto è difficile far rumore sulle cose che c'hai ogni giorno le tue braghe, il tuo sudore, e l'odore che porti attorno. La cantina era quasi vuota scarsa d'uomini e d'allegria se straniero l'avresti detta quasi piena di nostalgia nostalgia ma di che cosa, d'un oceano mai guardato d'una europa mai sentita, d'un linguaggio mai parlato? Antenór chiese da bere, e scambió qualche saluto calmo e serio danzò tutto il rituale ormai saputo uomo e uguale coi suoi pari quasi pari con gli anziani come breve quella sera, come lunghi i suoi domani. Proprio allora qualcuno entrando nella luce da dentro al buio lo insultò quasi sussurrando, ma sembrava che stesse urlando come per uno schiaffo, come per uno sputo Antenór lo guardò sorpreso, lo studiò e non lo conosceva e il motivo restò sospeso, fra la gente ferma in attesa e lui non lo sapeva, e lui non lo sapeva. Poi sentì di una donna il nome, già scordato o non conosciuto quante volte per altri è vita quello che per noi è un minuto; guardò gli uomini per cercare occhi, dialogo, spiegazione ma se non trovò condanne non trovò un'assoluzione. Antenór uscì di fuori bilanciando il suo coltello per danzare malvolentieri passi e ritmi del duello una donna non ricordata ed un uomo mai visto prima lo legavano tra loro come versi con rima. Fintò basso e scartò dilato quanti sguardi sentì sul viso si sentì migliore e stanco si sentì come un sorriso che serata tutta al contrario proprio niente da ricordare puntò il ferro contro il viso vide il sangue zampillare. Tutto quanto era stato un lampo Antenór respirava forte fece il gesto di offrir la mano guardò l'altro e capì pian piano che tutto era stato invano che l'altro cercava morte e capì che doveva farlo, farlo in fretta perchè non c'era un motivo per ammazzarlo l'altro cadde e non rispondeva e lui non lo sapeva, e lui non lo sapeva. Antenór lo guardì cadere sentì dire la colpa è mia sentì dire è stato un uomo sentò dire fuggi via la giustizia disse bandito ma un poeta gli avrebbe detto che era come l'Ebreo errante, come il Batavo maledetto. Quante volte ci è capitato di trovarci di fronte a un muro quante volte abbiam picchiato quante volte subito duro quante cose nate per sbaglio quanti sbagli nati per caso quante volte l'orizzonte non va oltre il nostro naso. Quante volte ci sembra piana mentre sotto gioca d'azzardo questa vita che ci birilla come bocce da biliardo questa cosa che non sappiamo questo conto senza gli osti questo gioco da giocare fino in fondo a tutti i costi.
Fra i fiori tropicali, fra grida di dolcezza, la lenta, lieve brezza scivolava. E piano poi portava, fischiando fra la rete, l'odore delle sete e della spezia. Leone di Venezia, Leone di San Marco, l'arma cristiana è al varco dell'Oriente: ai porti di ponente il mare ti ha portato i carichi di avorio e di broccato. Le vesti dei mercanti trasudano di ori, tesori immani portano le stive; si affacciano alle rive le colorate vele, fragranti di garofano e di pepe. Trasudano le schiene schiantate dal lavoro, son per la terra mirra, l'oro e l'incenso. Sembra che sia nel vento su fra la palma somma il grido del sudore e della gomma. E l'asia par che dorma, ma sta sospesa in aria l'immensa, millenaria sua cultura: i bianchi e la natura non possono schiacciare i Buddha, i Chela, gli uomini ed il mare. Leone di San Marco, leone del profeta, ad est di Creta corre il tuo vangelo; si staglia contro il cielo il tuo simbolo strano: la spada e non il libro hai nella mano. Terra di meraviglie, terra di grazie e mali, di mitici animali da bestiario; s'arriva dai santuari, fin sopra all'alta plancia, il fumo della gangia e dell'incenso. E quel profumo intenso è rotta di gabbiani, segno di vani simboli divini. E gli uccelli marini additano col volo la strada del Catai per Marco Polo.
Son morto ch'ero bambino son morto con altri cento passato per un camino e ora sono nel vento Ad Auschwitz c'era la neve il fumo saliva lento nei campi tante persone che ora sono nel vento Nei campi tante persone ma un solo grande silenzio che strano non ho imparato a sorridere qui nel vento Io chiedo come può un uomo uccidere un suo fratello eppure siamo a milioni in polvere qui nel vento. Ancora tuona il cannone ancora non è contenta di sangue la bestia umana e ancora ci porta il vento. Io chiedo quando sarà che un uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare e il vento si poserà.
La luce è andata ancora via, ma la stufa è accesa, e così sia a casa mia tu dormirai, ma quali sogni sognerai con questa luna che spaccherà in due le mie risate e le ombre tue i miei cavalli ed i miei fanti, il tuo esse sordo ed i tuoi canti tutti i ghiaccioli appesi ai fili, tutti i miei giochi e i tuoi monili i campanili, i pazzi, i santi e l'allegria. E non andrà il televisore; cosa faremo in queste ore? rumore attorno non si sente, corriamo a immaginar la gente giochiamo a fare gli incubi indiscreti, curiosi d'ozi e di segreti, di quei pensieri quotidiani che a notte il sonno fa lontani o che nel sogno sopra a un viso, diventan urlo od un sorriso il paradiso, inferno, mani, l'odio e amore. Avessi sette vite a mano, in ogni casa entrerei piano e mi farei fratello o amante, marito, figlio, re , brigante o mendicante o giocatore poeta, fabbro, papa, agricoltore. Ma ho questa vita e il mio destino, e ora cavalco l'Appennino e grido al buio più profondo la voglia che ho di stare al mondo in fondo è proprio un gran bel gioco a fare l'amore tanto e a non bere poco. E questo buio, che sollievo, ci dona un altro medio-evo io levo dall'oscurità tutta la nostra civiltà velocità di macchine a motore, follia di folla e di rumore e metto ritmi più lontani, di bestie, legni e suoni umani odore d'olio e di candele, fruscio di canapi e di vele il miele il latte i pani e il vino vero. Ma chissà poi se erano quelli davvero tempi tanto belli o caroselli che viviamo per l'incertezza che culliamo in questa giostra di figure e suoni, di luci e schermi da illusioni di baracconi in bene o in male, di eterne fughe dal reale che basta un po' d'oscurità per darci la serenità semplicità, sapore sale e ritornelli. Non voglio tante vite a mano, mi basta questa che viviamo comuni giorni intensi o pigri, gli specchi ambigui dei miei libri le tigri della fantasia, tristezze ed ottimismo ed ironia. Ma quante chiacchiere stavolta, che confusione a ruota sciolta lo so che è un pezzo che parliamo, ma è tanto bello non dormiamo beviamo ancora un po' di vino, che tanto tra due sorsi è già mattino. Su sveglia e guardati d'attorno, sta già arrivando il nuovo giorno lo storno e il merlo son già in giro, non vorrai fare come il ghiro non c'è black-out e tutto è ormai finito, e il vecchio frigo è ripartito con i suoi toni rochi e tristi (scatarra) versi futuristi lo so siam svegli ormai da allora, ma qualche cosa manca ancora finiamo in gloria amore mio, e dopo, a giorno fatto, dormo anch'io.
Il tre dicembre del '39 a stare al mondo volli provar mio padre uomo ligio al partito nome Benito mi volle dar mia madre santa donna di Dio aggiunse un Pio per contentar uno zio prete che per commosso ringraziamento mi battezzò Appena giunto su questa terra ci fu la guerra e il genitor Che fu dei primi ad andar via dall'Albania mai più tornò mia madre allora cercò lo zio per dirgli "Pio, che mangerà?" egli rispose di aver pazienza; "La Provvidenza, vi aiuterà". La provvidenza ci ha poi aiutati con i soldati della Wermacht poi dopo l'8, seguì gli eventi, e fui parente dello zio Sam mia madre donna di gran pietà cercò in politica verginità sulla sua porta ci scrisse "Mary", scordai la lupa, mi chiamai Jack. Quarantacinque finì la guerra ma in questa terra pace non c'è il parabellum fanno cantare per festeggiare la libertà mia madre allora che fiutò l'aria fu proletaria e si sposò un pezzo grosso del C.L.N. e io divenni "Benski-Stalin". I giorni passano i tempi cambiano i fronti cadano la piazza calmasi restaurazione televisione boom economico seicento Fiat mia madre donna di grande amore sentì nel cuore l'error di un dì fu clericale democristiana e nella lana fede trovò Ora ho una fabbrica solo un affanno un miliardo all'anno appena mi dà io son per la D.C. ma di sinistra e socialista diventerò Mia madre donna ormai d'età morì in odore di santità io chiesa nobili e terzo stato sempre ho fregato solo per me.
Sono un tipo antisociale non m'importa mai di niente non m'importa dei giudizi della gente Odio in modo naturale ogni ipocrisia morale odio guerre ed armamenti in generale Odio il gusto del retorico il miracolo economico il valore permanente e duraturo Radio a premi caroselli tivù cine radio rallies frigo ed auto non c'è Ford nel mio futuro E voi bimbe sognatrici della vita delle attrici attenzione da me state alla lontana Non mi piace esser per bene far la faccia che conviene poi alla fine sono sempre senza grana Odio la vita moderna fatta a scandali e cambiali i rumori gli impegnati intellettuali Odio i fusti carrozzati dalle spider incantati coi vestiti, le camicie tutti uguali Che non sanno che parlare di automobili e di moda di avventure estive fatte ai monti e al mare Vuoti e pieni di sussiego se il vestito non fa un piego mentre io mi metto quello che mi pare sono senza patrimonio sono contro il matrimonio non ho quello che si dice un posto al sole Non mi piaccion le gran dame preferisco le mondane perchè ad essere sincere son le sole Non mi piace l'avvocato il borghese l'arrivato odio il bravo e onesto padre di famiglia quasi sempre preoccupato di vedermi sistemato se mi metto a far l'amore con sua figlia Sono un tipo antisociale non ho voglia di far niente sulle scatole mi sta tutta la gente In un'isola deserta voglio andare ad abitare e nessuno mi potrà più disturbare e nessuno mi potrà più disturbare Non amo viver con tutta la gente mi piace solo la gente bene come si dice comunemente bene si nasce non si diviene c'è chi nasce per le scienze o per le arti io son nato solamente per i parti lalala... Amo oltremodo parlare male fare il maiale con le ragazze la pasqua vado in confessionale e tutte quante per me vanno pazze Perchè fra i bene poi non conta l'astinenza basta ci sia soltanto l'apparenza lalala... Quindi non curo la mia intelligenza la gente bene con questo non lega ma alle canaste di beneficenza so sempre tutto sull'ultimo strega l'intelligenza c'è sol coi milioni e ammiro i film di Monica e Antognoni lalala... Sono elegante ed è inutile dire che le mie vesti son sempre curate perchè senz'altro è importante vestire perchè è la tonaca che fa il frate In fondo poi due cose hanno importanza e sono il conto in banca e l'eleganza lalala... Andiamo matti per cotte alle feste amo oltremodo le donne mondane non fraintendetemi non parlo di quelle stan con la gente più in basso, sta male non ho rapporti con i proletari soltanto a tarda notte lungo i viali lalala... lalalala Ma non trascuro la scienza umanista e si può dire che sono impegnato anzi alle volte sono comunista ma non mi sono sempre interessato la lotta delle classi sol mi va per far bella figura in società lalala... Non si può dire che sia clericale come boccaccia ma ho ridda dei frati ma ossequio sempre lo zio cardinale e vado a messa nei dì comandati Il mio credo vi dico brevemente pensare ciò che può dire la gente lalala... lalalala La gente bene è la mia vera patria la gente bene è il mio unico dio l'unica cosa che ho sempre sognato la sola cosa che voglio io Solo essere un bene sempre ed ora e tutto il resto vada alla malora lalala...
Ma se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni? Vabbè lo ammetto che mi son sbagliato e accetto il Crucifige e cosi sia. Chiedo tempo, son della razza mia, per quanto grande sia, il primo che ha studiato. Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante. Mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più di un cantante. Giovane ingenuo io ho perso la testa sian stati i libri o il mio provincialismo e un cazzo in culo e accuse di arrivismo dubbi di qualunquismo son quello che mi resta. Voi critici, voi personaggi austeri militanti severi chiedo scusa a vossia però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia. Io canto quando posso, come posso quando ne ho voglia senza applausi o fischi vendere o no non passa fra i miei rischi non comprate i miei dischi e sputatemi addosso. Secondo voi ma a me cosa mi frega di assumermi la bega di star quassù a cantare. Godo molto di più nell'ubriacarmi oppure a masturbarmi o, al limite, a scopare. Se son d'umore nero allora scrivo frugando dentro alle nostre miserie. Di solito ho da far cose più serie costruir su macerie o mantenermi vivo. Io tutti, io niente, io stronzo, io ubriacone io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista io ricco, io senza soldi, io radicale, io diverso ed io uguale negro, ebreo, comunista! Io frocio, io perchè canto so imbarcare Io falso, io vero, io genio, io cretino io solo qui alle quattro del mattino l'angoscia e un po' di vino, voglia di bestemmiare. Secondo voi ma chi me lo fa fare di star ad ascoltare chiunque ha un tiramento. Ovvio il medico dice : "sei depresso", neppure dentro al cesso possiedo un mio momento. Ed io che ho sempre detto che era un gioco sapere usare o no di un certo metro. Compagni il gioco si fa teso e tetro comprate il mio didietro, io lo vendo per poco. Colleghi cantautori, eletta schiera che si vende alla sera per un po' di milioni. Voi che siete capaci fate bene aver le tasche piene e non solo i coglioni. Che cosa posso dirvi? Andate e fate. Tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli e un prete a sparar cazzate Ma se io avessi previsto tutto questo dati causa e pretesto, forse farei lo stesso. Mi piace far canzoni e bere vino mi piace far casino e poi sono nato fesso. E quindi tiro avanti e non mi svesto dei panni che son solito portare ho tante cose ancora da raccontare, per chi vuole ascoltare, e a culo tutto il resto!
Appoggiato sulle braccia, dietro al vetro d'un bicchiere, alza appena un po' la faccia e domanda ancora da bere. I rumori della strada filtran piano alle pareti, dorme il gatto sulla panca e lo sporco appanna i vetri. Cade il vino nel bicchiere poi nessuno più si muove e non sai se fuori all'aria ci sia il sole oppur se piove. E quell'uomo si ricorda e per uno scherzo atroce quasi il vino gli dà forza, l'illusione gli dà voce. E si alza sulle gambe sbarra gli occhi e poi traballa, come con i riflettori sopra il gesto delle braccia... Ma si ferma all'improvviso e ricade giù a sedere, torna l'ombra sul suo viso, torna il vino nel bicchiere. Ma lontano, oltre, nel tempo, una folla misteriosa è scattata tutta in piedi rida: "Bravo, bene, ancora!" Son tornati i riflettori sul suo viso e sulle mani, si alza e accenna ad un inchino per quei pubblici lontani. E più forte tra quei muri quella voce ora si è alzata e fa tintinnare i vetri e rimbalza sulla strada.
Notte calda come tante vicino al fiume che canta, aria piena del barlume di un lume fioco in distanza e di lucciole sfuggenti di cui la notte si ammanta. E si ammanta di fantasmi o di un ricordo lontano, mentre al buio della notte che mi trascina per mano cerco i segni delle piante che mi circondano piano. Piano, all'ombra della notte, mi sembri fatta di fumo, sento appena il tuo calore ed il tuo strano profumo con l'odore del tuo corpo e in questo io mi consumo. Ma dal monte all'improvviso spunta la bianca luna e ogni cosa in un istante schiarisce e non è più bruna; questa luna esagerata ci procurerà fortuna. La fortuna di un amante è un fiore d'esile stelo, una favola inquietante, fugace e fragile velo, il respiro di un istante che scomparirà nel cielo. Cielo e luce all'infinito come se fosse di giorno, mondo magico e fiorito che mi risplende d'intorno, io ti sfoglio con le dita e indovino il tuo contorno. Il contorno del tuo corpo ora si è fatto reale è qualcosa bianco e vero, bello da far quasi male, e si insinua in un pensiero che all'improvviso mi assale: contro il cielo trasformato sorride un'altra luna, ma io so qual è la vera, l'altra non è più nessuna, questa nuova luna piena mi procurerà fortuna.
Anche per questa sera la luna è sorta affogata in un colore troppo rosso e vago. Vespero non si vede, si è offuscata, la punta dello stilo si è spezzata. Che oroscopo sai trarre questa sera, Mago? Io Filemazio, protomedico matematico astronomo, forse saggio. Ridotto come un cieco a brancicare attorno, non ho la conoscenza, od il coraggio per fare quest'oroscopo, per divinar responso, e resto qui ad aspettare che ritorni giorno e devo dire, devo dire, che sono forse troppo vecchio per capire che ho perso la mia mente in chissà quale abuso, od ozio, ma stan mutando gli astri nelle notti d'equinozio. O forse io, forse io, ho sottovalutato questo nuovo dio, ma vedo in me e nei segni che qualcosa sta cambiando, ma è un debole presagio che non dice come e quando... Me ne andavo l'altra sera quasi inconsciamente giù al porto Bosphoreion là dove si perde la terra dentro al mare fino quasi al niente e poi ritorna terra ma non è più occidente. Che importa a questo mare se essere azzurro o verde? Sentivo i canti osceni degli avvinazzati di gente dallo sguardo avviluppato e vuoto ippodromo bordello, e nordici soldati Romani e Greci urlate, dove siete andati... Sentivo bestemmiare in Alamanno e in Goto... Città assurda, città strana... Di quest'imperatore sposo di puttana, di plebi smisurate, labirinti ed empietà di barbari che forse sanno già la verità. Di filosofi, e di etere, sospesa tra due mondi, e tra due ere Fortuna e età han deciso per un giorno non lontano, ma il fato chiederebbe che scegliesse la mia mano, ma... Bisanzio è forse solo un simbolo insondabile crudele e ambiguo, come questa vita Bisanzio è un mondo che non mi è consueto Bisanzio è un sogno che si fa incompleto. Forse Bisanzio non è mai esistita e ora è giorno, e un'altra notte è andata Lucifero è già sorta, e si alza un po' di vento è freddo sulla torre, o è l'età mia malata confondo vita e morte, non so chi è passata mi copro con la testa il capo e più non sento, e mi addormento mi addormento mi addormento.
Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po' molli col seno sul piano padano ed il culo sui colli Bologna arrogante e papale Bologna la rossa e fetale Bologna la grassa e l'umana, già un poco Romagna e in odor di Toscana. Bologna per me provinciale Parigi minore mercati all'aperto, bistrots della "rive gauche" l'odore con Sartre che pontificava, Baudlaire fra l'assenzio cantava ed io, modenese volgare, a sudarmi un amore, fosse pure ancillare. Però che boheme confortevole, giocata fra casa e osterie quando a ogni bicchiere rimbalzano le filosofie oh, come eravamo poetici, ma senza pudore o paura e i vecchi "imbariaghi" sembravano la letteratura oh, quanto eravam tutti artistici, ma senza pudore o vergogna cullati fra i portici-cosce di mamma Bologna. Bologna è una donna emiliana di zigomo forte, Bologna capace d'amore, capace di morte che sa quel che conta e che vale che sa dov'è il sugo del sale che valuta il giusto la vita, e che sa stare in piedi per quanto colpita. Bologna è una ricca signora che fu contadina benessere, ville, gioielli e salami in vetrina che sa che l'odor di miseria da mandare giù è cosa seria e vuole sentirsi sicura con quello che ha addosso, perchè sa la paura. Lo sprechi il tuo odor di benessere però con lo strano binomio dei morti per sogni davanti al tuo Santo Petronio e i tuoi bolognesi, se esistono, ci sono od ormai si son persi confusi e legati a migliaia di mondi diversi? ma quante parole ti cantano, cullando i clichè della gente cantando canzoni che è come cantare di niente. Bologna è una strana signora, volgare e matrona Bologna bambina per bene, Bologna busona Bologna ombelico di tutto, mi spingi a un singhiozzo e ad un rutto rimorso per quel che mi hai dato, che è quasi ricordo, e in odor di passato.
Io, nato Primo di nome e di cinque fratelli, uomo di bosco e di fiume, lavoro e di povertà ma uomo sereno di dentro, come i pesci e gli uccelli che con me dividevano il cielo, l'acqua e la libertà ; perché sono in prigione per sempre, qui in questa pianura dove orizzonte rincorre da sempre un uguale orizzonte,, dove un vento incessante mi soffia continua paura dove è impossibile scorgere il profilo di un monte ? E se d'inverno mi copre la neve gelata non è quella solita in cui affondava il mio passo forte e sicuro, braccando la lieve pestata che lascia la volpe, o l'impronta più greve del tasso. Ho cancellato il ricordo, e perché son caduto ; rammento stagioni in cui dietro ad un sole non chiaro veniva improvviso quel freddo totale, assoluto e infine lamenti poi grida e bestemmie e uno sparo. Guarda la guerra che beffa, che scherzo puerile, io che non ero mai stato in un lungo cammino ho visto quel poco di mondo da dietro a un fucile, ho visto altra gente soltanto da dietro a un mirino. E siamo in tanti coperti da neve gelata non c'è più razza o divisa, ma solo l'inverno e quest'estate bastarda del vento spazzata e solo noi, solo noi che siam morti in eterno. Io che che guardavo la vita con calmo coraggio cosa darei per guardare gli odori della mia montagna, vedere le foglie del cerro, gli intrichi del faggio, scoprire di nuovo dal riccio il miracolo della castagna.
Viene Gennaio silenzioso e lieve un fiume addormentato fra le cui rive giace come neve il mio corpo malato il mio corpo malato Sono distese lungo la pianura bianche file di campi son come amanti dopo l'avventura neri alberi stanchi neri alberi stanchi Viene Febbraio, e il mondo è a capo chino ma nei convitti e in piazza lascia i dolori e vesti da Arlecchino il carnevale impazza il carnevale impazza L'inverno è lungo ancora, ma nel cuore appare la speranza nei primi giorni di malato sole la primavera danza la primavera danza Cantando Marzo porta le sue piogge la nebbia squarcia il velo porta la neve sciolta nelle rogge il riso del disgelo il riso del disgelo Riempi il bicchiere, e con l'inverno butta la penitenza vana l'ala del tempo batte troppo in fretta la guardi, è già lontana la guardi, è già lontana O giorni, o mesi, che andate sempre via; sempre simile a voi è questa vita mia; diverso tutti gli anni e tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare. Con giorni lunghi al sonno dedicati il dolce Aprile viene quali segreti scoprì in te il poeta che ti chiamò crudele che ti chiamò crudele Ma nei tuoi giorni è bello addormentarsi dopo fatto l'amore come la terra dorme nella notte dopo un giorno di sole dopo un giorno di sole Ben venga Maggio e il gonfalone amico ben venga primavera il nuovo amore getti via l'antico nell'ombra della sera nell'ombra della sera ben venga Maggio, ben venga la rosa che è dei poeti il fiore mentre la canto con la mia chitarra brindo a Cenne e a Folgore brindo a Cenne e a Folgore Giugno, che sei maturità dell'anno di te ringrazio Dio in un tuo giorno, sotto al sole caldo ci sono nato io ci sono nato io; E con le messi che hai fra le tue mani ci porti il tuo tesoro con le tue spighe doni all'uomo il pane alle femmine l'oro alle femmine l'oro O giorni, o mesi, che andate sempre via; sempre simile a voi è questa vita mia; diverso tutti gli anni e tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare. Con giorni lunghi di colori chiari ecco Luglio il leone riposa e bevi, e il mondo attorno appare come in una visione come in una visione Non si lavora Agosto, nelle stanche tue lunghe oziose ore mai come adesso è bello inebriarsi di vino e di calore di vino e di calore Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull'età dopo l'estate porta il dono usato della perplessità della perplessità Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità le possibilità Non so se tutti hanno capito Ottobre la tua grande bellezza nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza prepari mosto e ebbrezza Lungo i miei monti, come uccelli tristi fuggono nubi pazze lungo i miei monti, colorati in rame fumano nubi basse fumano nubi basse O giorni, o mesi, che andate sempre via; sempre simile a voi è questa vita mia; diverso tutti gli anni e tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare. Cala Novembre, e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti lungo i giardini consacrati al pianto si festeggiano i morti si festeggiano i morti Cade la pioggia, ed il tuo viso bagna di gocce di rugiada te pure, un giorno, cambierà la sorte in fango della strada in fango della strada E mi addormento come in un letargo Dicembre, alle tue porte lungo i tuoi giorni con la mente spargo tristi semi di morte tristi semi di morte Uomini e cose lasciano per terra esili ombre pigre ma nei tuoi giorni, dai profeti detti nasce Cristo la tigre nasce Cristo la tigre O giorni, o mesi, che andate sempre via; sempre simile a voi è questa vita mia; diverso tutti gli anni e tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare.
E poi e poi, gente viene qui e ti dice Di sapere già ogni legge delle cose E tutti, sai, vantano un orgoglio cieco di verità fatte di formule vuote E tutti, sai, ti san dire come fare, Quali leggi rispettare, quali regole osservare, Qual è il vero vero, E poi, e poi, tutti chiusi in tante celle, Fanno a chi parla più forte Per non dir che stelle e morte fan paura. Al caldo del sole, al mare scendeva la bambina portoghese Non c'eran parole, rumori soltanto come voci sospese. Il mare soltanto, e il suo primo bikini amaranto, Le cose più belle e la gioia del caldo alla pelle. Gli amici vicino sembravan sommersi dalla voce del mare; O sogni o visioni qualcosa la prese e si mise a pensare; Sentì che era un punto al limite di un continente, Sentì che era un niente, l'Atlantico immenso di fronte. E in questo sentiva qualcosa di grande Che non riusciva a capire, che non poteva intuire; Che avrebbe spiegato, se avesse capito lei, e l'oceano infinito; Ma il caldo l'avvolse, si sentì svanire e si mise a dormire. E fu solo del sole, come di mani future. Restaron soltanto il mare e un bikini amaranto. E poi e poi, se ti scopri a ricordare, Ti accorgerai che non te ne importa niente. E capirai che una sera o una stagione Son come lampi, luci accese e dopo spente. E capirai che la vera ambiguità è la vita che viviamo, il qualcosa che chiamiamo esser uomini, E poi, e poi, che quel vizio che ci ucciderà Non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, Cioè vivere.
Le luci dentro al buio sono andate via e l'allegria comprata è già sparita il giorno dopo è sempre la malinconia che spezza la magia di un'altra vita. La forza che ti lega è grande più di te l'anello al collo si stringe sempre più non dare più la colpa al mondo o a lei per la rinuncia triste a quello che non sei. Lo sai cosa vuol dire stare giorni interi a buttar via nel niente solo il niente fai mille cose ma sono sempre i tuoi pensieri che scelgono per te diversamente. Son stanco d'aver detto le cose che dirò di aver già fatto le cose che farò ma è tardi troppo tardi, piangere ormai sulla rinuncia triste a quello che non fai. Credevo l'incertezza possibilità e il dubbio assiduo l'unica ragione ma quali scelte hai fatto in piena libertà ti muovi sempre dentro a una prigione. Non è la luce o il buio nè l'ero ed il sarò non è il coraggio che ti fa dir "vivrò". È solo un'altra scusa che usare vuoi per la rinuncia triste a quello che non puoi. Non voglio prender niente se non so di dare io e chissà chi decidono ciò che posso non ho la voglia o la forza per poter cambiare me stesso e il mondo che mi vive addosso. E forse sto morendo e non lo so capire, e l'ho capito e non lo voglio dire, rimangono le cose senza falso o vero, e la rinuncia triste a quello che io ero.
Amore, se fossi aria, le tue rondini vorrei, per guardarmele ogni minuto e farle volare negli occhi miei ; quelle rondini bianche e nere che anche mute dicono tanto : tutta la gioia di mille sere ed un momento solo di pianto. Amore, mai sarò stanco di bermi tutto il tuo miele ; quando ridi o quando mi parli in me si gonfiano mille vele ; quando un sogno od un tuo segreto ti fan seria e sembri rubata, guizzan pesci fra i tuoi due fiori, rivive l'anima mia assetata. Amore, pensa se avessi una torre colombaria, per far posare le tue due colombe stanche di volare in aria ; vederle alzarsi dritte nel cielo e atterrare fra le mie mani per carezzarle dentro ai miei oggi e baciarle fino a domani. Amore, nel mio giardino vorrei fiorisse la tua rosa, perché l'anima mia si perda dove il corpo rinasce e riposa ; quella rosa di primavera sempre rorida di rugiada, misteriosa come la sera balenante come una spada. Amore colomba fiore, amore fragile e forte, sfrontatezza e pudore, compagna di gioia e sorte, sapore amaro e dolcezza, con l'arcobaleno fra le dita, vorrei perdermi nel tuo respiro, vorrei offrirti questa mia vita.
Ancora qui a domandarsi e a far finta di niente come se il tempo per noi non costasse l'uguale, come se il tempo passato ed il tempo presente non avessero stessa amarezza di sale. Tu non sai le domande, ma non risponderei per non strascinare le parole in linguaggio d'azzardo; eri bella, lo so, e che bella che sei; dicon tanto un silenzio e uno sguardo. Se ci sono non so cosa sono e se vuoi quel che sono o sarei, quel che sarò domani... non parlare non dire più niente se puoi, lascia farlo ai tuoi occhi alle mani. Non andare... vai. Non restare...stai. Non parlare... parlami di te. Tu lo sai, io lo so, quanto vanno disperse, trascinate dai giorni come piena di fiume tante cose sembrate e credute diverse come un prato coperto a bitume. Rimanere così, annaspare nel niente, custodire i ricordi, carezzare le età; è uno stallo o un rifiuto crudele e incosciente del diritto alla felicità? Se ci sei, cosa sei? Cosa pensi e perché? Non lo so, non lo sai; siamo qui o lontani? Esser tutto, un momento, ma dentro di te. Aver tutto, ma non il domani. Non andare... vai. Non restare...stai. Non parlare... parlami di te. E siamo qui, spogli, in questa stagione che unisce tutto ciò che sta fermo, tutto ciò che si muove; non so dire se nasce un periodo o finisce, se dal cielo ora piove o non piove, pronto a dire "buongiorno", a rispondere "bene" a sorridere a "salve", dire anch'io "come va?" Non c'è vento stasera. Siamo o non siamo assieme? Fuori c'è ancora una città? Se c'è ancora balliamoci dentro stasera, con gli amici cantiamo una nuova canzone... ...tanti anni, e sono qui ad aspettar primavera tanti anni, ed ancora in pallone Non andare... vai. Non restare...stai. Non parlare... parlami di te. Non andare... vai. Non restare...stai. Non parlare... parlami di noi.
Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta ma la gente che che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta. Qualcuno andato per età , qualcuno perchè già dottore e insegue una maturità : si è sposato fà carriera ed è una morte un po' peggiore. Cadon come foglie o gli ubriachi sulle strade che hanno scelto, delle rabbie antiche non rimane che una frase o qualche gesto, non so se scusano il passato, per giovinezza o per errore, non so se ancora desto in loro, se m'incontrano per forza, la curiosità o il timore. Io ora mi alzo tardi tutti i giorni, tiro sempre a far mattino le carte poi il caffè della stazione per neutralizzare il vino; ma non ho scuse da portare, non dico più d'esser poeta, non ho utopie da realizzare, stare a letto il giorno dopo è forse l'unica mia meta. Si alza sempre lenta come un tempo l'alba magica in collina ma non provo più quando la guardo quello che provavo prima, ladri e profeti di futuro mi hanno portato via parecchio, il giorno è sempre un po' più oscuro , sara forse perchè è storia sarà forse perchè invecchio. Ma le strade sono piene di una rabbia che ogni giorno urla più forte, son caduti i fiori e hanno lasciato solo simboli di morte. Dimmi se son da lapidare, se mi nascondo sempre più , ma ognuno ha la sua pietra pronta e la prima , non negare, me la tireresti tu. Sono più famoso che in quel tempo quando tu mi conoscevi, non più amici, e un pubblico che ascolta le canzoni in cui credevi, e forse ridono di me, ma in fondo la coscienza pura, non rider se dico questo, ride chi ha nel cuore l'odio e nella mente la paura. Ma non devi credere che questo abbia cambiato la mia vita; è una cosa piccola di ieri che domani è già finita, son sempre qui a vivermi addosso, ho dai miei giorni quanto basta, ho dalla gloria quel che posso cioè qualcosa che andrà presto quasi come i soldi in tasca. Non lo crederesti ho quasi chiuso tutti gli usci all'avventura, non perchè metterò la testa a posto, ma per noia o per paura. Non passo notti disperate, su quel che ho fatto o quel che ho avuto; le cose andate sono andate ed ho per unico rimorso le occasioni che ho perduto. Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta ma la gente che che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta. Qualcuno è andato per formarsi, chi per seguire la ragione, chi perchè stanco di giocare bere il vino, sputtanarsi ed è una morte un po' peggiore.
Ore confuse della notte, La malinconia non è uno stato d'animo. Le vite altrui si sono rotte E sembra non esista più il tuo prossimo. Ti vesti un poco di silenzio, Hai la dolce illusione di esser solo, Son macchine che passano, od è il vento? O sono i tuoi pensieri alzati in volo? I tuoi pensieri un po' ubriachi Danzando per le strade si allontanano: Ti son sfuggiti dalla mano, E il giorno sembra ormai così lontano, Il giorno sembra ormai così lontano. Mattino, notte, hai perso il tempo, La malinconia ti sembra di toccarla Ma forse è l'ora dell'avvento E chiami l'ironia per aiutarla. E forse c'è qualcuno che ora muore, E forse c'èqualcuno che ora nasce, Qualcuno compie un crimine d'onore, Passeggiano sui viali le bagasce. Bagasce sono i tuoi ricordi Che fra canzoni e vino ti disturbano Che ti molestano pian piano E il giorno sembra ormai così lontano, Il giorno sembra ormai così lontano. Mattino, notte, cosa importa? I giorni sono nuvole distratte. Suonerà l'ora alla tua porta E l'orologio è il sangue tuo che batte. Quando verrà il tempo di partire L'ora avrà il medesimo colore. Sembra sempre un poco di morire Nel momento eroico dell'amore. Se ridi o piangi è sempre uguale, Le cose nel ricordo poi si sfumano, Il sacro si unirà al profano E il giorno sembra ormai così lontano, E il giorno sembra ormai così lontano. Mattino, notte, dentro e fuori, Sei certo o cerchi la consolazione? Son bianco e nero, o son colori, O facce ambigue della tua prigione? Cerchi sempre ciò che ti è lontano, Dopo dici: "Tutto è relativo," Ma l'ironia e il dolor dicono invano Che sei certo solo di esser vivo. Ma c'è ancor tempo per pensare, Per maledire e per versare il vino, Per pianger, ridere e giocare, E il giorno sembra ormai così vicino, E il giorno sembra ormai così vicino, E il giorno sembra ormai così vicino, E il giorno sembra ormai così vicino.
E un'altra volta è notte e suono Non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo E voglio in questo modo dire "Sono" O forse perché è un modo pure questo Per non andare a letto O forse perché ancora c'è da bere E mi riempio il bicchiere E l'eco si è smorzato appena delle risate fatte con gli amici, dei brindisi felici In cui ciascuno chiude la sua pena In cui ciascuno non è come adesso da solo con sè stesso A dir "Dove ho mancato e dove è stato" A dir "Dove ho sbagliato" Eppure fa piacere a sera Andarsene per strade ed osterie, vino e malinconie E due canzoni fatte alla leggera In cui gridando celi il desiderio Che sian presi sul serio Il fatto che sei triste o che t'annoi E tutti i dubbi tuoi Ma i moralisti han chiuso i bar E le morali han chiuso i vostri cuori E spento i vostri ardori È bello, ritornar normalità È facile tornare con le tante Stanche pecore bianche. Scusate, non mi lego a questa schiera: Morrò pecora nera. Saranno cose già sentite O scritte sopra un metro un po' stantio, Ma intanto questo è mio E poi, voi queste cose non le dite Poi certo per chi non è abituato Pensare è sconsigliato Poi è bene essere un poco diffidente Per chi è un po' differente Ma adesso avete voi il potere Adesso avete voi supremazia, diritto e Polizia Gli dei, i comandamenti ed il dovere Purtroppo non so come siete in tanti E molti qui davanti Ignorano quel tarlo mai sincero Che chiamano "Pensiero" Però non siate preoccupati Noi siamo gente che finisce male: galera od ospedale Gli anarchici li han sempre bastonati E il libertario è sempre controllato Dal clero, dallo stato Non scampa, fra chi veste da parata Chi veste una risata O forse non è qui il problema, E ognuno vive dentro ai suoi egoismi Vestiti di sofismi E ognuno costruisce il suo sistema Di piccoli rancori irrazionali, Di cosmi personali Scordando che poi infine tutti avremo Due metri di terreno E un'altra volta è notte e suono Non so nemmeno io per che motivo Forse perché son vivo O forse per sentirmi meno solo O forse perché è notte e vivo strani Fantasmi e sogni vani Che danno quell'ipocondria ben nota Poi... la bottiglia è vuota
Esistenza, che stai qui di contrabbando, come un ladro sempre pronta per fuggire, ogni età chiude in sè i crismi dello sbando sbaglio è intuire coi suoi giochi di carambola e rimando prendere e offrire ma si muoia solo un po' di quando in quando ma sia poco a poco che si va a morire. Ogni giorno è un altro giorno regalato ogni notte un buco nero da riempire ma per quanto non l'ho mai visto colmato così per dire resta solo l'urlo solito gridato tentare agire ma si pianga solo un po' perché è un peccato, e si rida poi sul come andrà a finire. Lo capisco se mi prendi per le mele ma ci passo sopra gioco e non mi arrendo ogni giorno riapro i vetri e alzo le vele se posso prendo. Quando perdo non sto lì a mandar giù fiele, e non mi svendo e poi perdere ogni tanto ci ha il suo miele e se dicono che vinco stan mentendo, perché quelle poche volte che busso a bastoni mi rispondono con spade o con denari la ragione diamo, e il vincere ai coglioni, oppure ai bari resteremo sempre a un punto dai campioni tredici è pari ma si perda perché siam tre volte buoni, e si vinca solo in sogni straordinari. Ah quei sogni, ah quelle forze del destino che chi conta spingerebbe a rinnegare ci hanno detto di non fare più casino non disturbare canteremo solo in modo clandestino senza vociare poi ghignando ce ne andremo pian pianino per sederci lungo il fiume ad aspettare... Quello che mi gira in testa questa notte son tornato, incerta amica, a riferire, noi immergenti, noi con fedi ed ossa rotte, lasciamo dire ne abbiam visti geni e maghi uscire a frotte per scomparire noi, se si muore solo un po' chi se ne fotte ma sia molto tardi che si va a dormire.
La luce incerta della sera getta fantasmi ed ombre sulla tua finestra non pensi, o non vorresti più pensare. Bambina in fiore con sorrisi ambigui che lungo i colli si faranno cupi rincasano veloci per mangiare. E tu hai già conosciuto questo gioco, non sai più com'era in quel passato, non sai se sorridere od urlare. Non sei più bella come un tempo quando cercò il tuo corpo quello di un compagno, dimmi se fu paura o fu piacere. Ma adesso senti il tempo che ti abbaraccia come un qualcosa che ti segna in faccia, che non si vede, ma che sai d'avere. È come quel male a cui non si da il nome, un'ossessione circolare fra la volontà ed il non potere. Brandelli di canzoni frasi e televisioni parlano dalle finestre aperte, in un telegiornale qualcuno il bene o il male denuncia, auspica, avverte, frasi del quotidiano ti sfiorano pian piano ed entrano senza toccarti, si infilano negli angoli della tua casa suoni che non sai. Un uomo in cannotiera dietro ad una ringhiera innaffia i fiori cittadini, un grido, un pianto acuto, già spento in un minuto segnalano tragedie di bambini, odori di frittate, minestre riscaldate combattono lo smog di un diesel, un fuoristrada assurdo che romba per partire e non va mai. E tu sei sola, sola, sola, sola, ti senti sola, sola, sola, sola, e pensi a un figlio temuto, che ora non hai. Ma ad un attimo quel tuo pensiero atomo incerto in mezzo al falso e al vero per lasciar posto ai giorni che vivrai. Niente se e forse, fra l'occasioni avute e perse, restano solo ore scomparse, di certo hai solo quello che farai. La luce incerta della sera fonde col buio ch'entra presto si confonde tutto come a chi guarda senza un fuoco. La luce accende in viso, si disegna forse un sorriso che le labbra spiega come se fosse stato tutto un gioco. Fa niente. Danno in tv un programma intelligente, ci vuole un te aromatico e bollente poichè il sonno arrivi a poco a poco.
Mio vecchio amico di giorni e pensieri da quanto tempo che ci conosciamo, venticinque anni son tanti e diciamo un po' retorici che sembra ieri. Invece io so che è diverso e tu sai quello che il tempo ci ha preso e ci ha dato; io appena giovane sono invecchiato, tu forse giovane non sei stato mai. Ma d'illusioni non ne abbiamo avute, o forse si, ma nemmeno ricordo, tutte parole che si son perdute con la realtà incontrata ogni giorno. Chi glielo dice a chi è giovane adesso di quante volte ci si possa sbagliare, fino al disgusto di ricominciare perchè ogni volta è sempre lo stesso. Eppure il mondo continua e va avanti con noi o senza e ogni cosa si crea su ciò che muore e ogni nuova idea su vecchie idee e ogni gioia su pianti. Ma più che triste ora è buffo pensare a tutti i giorni che abbiamo sprecati, a tutti gli attimi lasciati andare, ai miti belli delle nostre estati. Dopo l'inverno e l'angoscia in città quei lunghi mesi sdraiati davanti, liberazione del fiume e dei monti e linfa aspra della nostra etè. Quei giorni spesi a parlare di niente sdraiati al sole inseguendo la vita come l'avessimo sempre capita, come qualcosa capito per sempre. Il mio Leopardi, le mie teologie: "Esiste Dio ?" Le risate più pazze, le sbornie assurde le mie fantasie le mie avventure in città con ragazze. Poi quell'amore alla fine reale tra le canzoni di moda e le danze: "È in gamba sai, legge Edgar Lee Masters ... Mi ha detto no, non dovrei mai pensare." Le sigarette con rabbia fumate, i blue jeans vecchi e le poche lire sembrava che non dovesse finire ma ad ogni autunno finiva l'estate. Poi tutto è andato e diciamo siam vecchi, ma cosa siamo e che senso ha mai questo nostro cammino di sogni tra specchi, tu che lavori quando io vado a letto. Io dico sempre non voglio capire, ma è come un vizio sottile e più penso più mi ritrovo questo vuoto immenso e per rimedio soltanto il dormire. E poi ogni giorno mi torno a svegliare e resto incredulo, non vorrei alzarmi, ma vivo ancora e son lì ad aspettarmi le mie domande, il mio niente, il mio male.
Il cielo dell'America son mille cieli sopra a un continente; il cielo della Florida è uno straccio che è bagnato di celeste, ma il cielo là in prigione non è cielo: è un qualche cosa che riveste il giorno e il giorno dopo e un altro ancora sempre dello stesso niente. E fuori c'è una strada all'infinito, lunga come la speranza, e attorno c'è un villaggio sfilacciato, motel, chiese, case, aiuole, paludi dove un tempo ormai lontano dominava il Seminole, ma attorno alla prigione c'è un deserto dove spesso il vento danza. Son tanti gli anni fatti, e tanti in più che sono ancora da passare, in giorni e giorni e giorni che fan mesi, che fan anni ed anni amari; a Silvia là in prigione cosa resta? Non le resta che guardare l'America negli occhi, sorridendo coi suoi limpidi occhi chiari. Già, l'America è grandiosa ed è potente, tutto e niente, il bene e il male, città coi grattacieli e con gli slum e nostalgia di un grande ieri, tecnologia avanzata e all'orizzonte l'orizzonte dei pionieri, ma a volte l'orizzonte ha solamente una prigione federale. L'America è una statua che ti accoglie e simboleggia, bianca e pura, la libertà, e dall'alto fiera abbraccia tutta quanta la Nazione, per Silvia questa statua simboleggia solamente la prigione perchè di questa piccola italiana ora l'America ha paura. Paura del diverso e del contrario, di chi lotta per cambiare, paura delle idee di gente libera, che soffre, sbaglia e spera. Nazione di bigotti! Ora vi chiedo di lasciarla ritornare, perchè non è possibile rinchiudere le idee in una galera. Il cielo dell'America son mille cieli sopra a un continente ma il cielo là rinchiusi è solo un dubbio o un'intuizione; mi chiedo se ci sono idee per cui valga restare là in prigione, e Silvia non ha ucciso mai nessuno e non ha mai rubato niente. Mi chiedo cosa pensi alla mattina nel trovarsi il sole accanto, o come fa a scacciare fra quei muri la sua grande nostalgia, o quando un acquazzone all'improvviso spezza la monotonia, mi chiedo cosa faccia adesso Silvia mentre io qui piano la canto. Mi chiedo ma non riesco a immaginarlo: penso a questa donna forte che ancora lotta e spera perchè sa che adesso non sarà più sola. La vedo con la sua maglietta addosso, con su scritte le parole, che sempre l'ignoranza fa paura, ed il silenzio è uguale a morte.
Lunga e diritta correva la strada l'auto veloce correva la dolce estate era già cominciata vicino, lui sorrideva, vicino, lui sorrideva Forte la mano teneva il volante forte il motore cantava non lo sapevi che c'era la morte quel giorno che ti aspettava, quel giorno che ti aspettava. Non lo sapevi che c'era la morte quando si è giovani è strano poter pensare che la nostra sorte venga e ci prenda per mano, venga e ci prenda per mano. Non lo sapevi, ma cosa hai pensato quando la strada è impazzita quando la macchina è uscita di lato e sopra un'altra è finita, e sopra un'altra è finita. Non lo sapevi ma cosa hai sentito quando lo schianto ti ha uccisa quando anche il cielo di sopra è crollato quando la vita è fuggita, quando la vita è fuggita. Dopo il silenzio soltanto è regnato tra le lamiere contorte sull'autostrada cercavi la vita ma ti ha incontrato la morte, ma ti ha incontrato la morte. Vorrei sapere a che cosa è servito vivere, amare, soffrire, spendere tutti i tuoi giorni passati se presto hai dovuto partire, se presto hai dovuto partire. Voglio però ricordarti com'eri pensare che ancora vivi voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi, e che come allora sorridi.
Non stavo più a cercare parole che non trovo per dirti cose vecchie con il vestito nuovo per raccontarti il vuoto che, al solito, ho di dentro e partorire il topo vivendo sui ricordi giocando con i miei giorni... col tempo O forse vuoi che dica che ho i capelli più corti o che per le mie navi son quasi chiusi i porti io parlo sempre tanto ma non ho ancora fedi non voglio menar vanto di me o della mia vita costretta come dita ...dei piedi Queste cose le sai per te sian tutti uguali e moriamo ogni giorno dei medesimi mali per te sian tutti soli ed è nostro destino tentare goffi voli d'azione o di parola, volando come vola ...il tacchino Non posso farci niente e tu puoi fare meno sono vecchio d'orgoglio mi commuove il tuo seno e di questa parola io quasi mi vergogno ma... c'è una vita sola non ne sprechiamo niente in tributi alla gente o al sogno Le sere sono uguali ma ogni sera è diversa e quasi non ti accorgi dell'energia dispersa a ricercare i visi che ti han dimenticato vestendo abiti lisi buoni ad ogni evenienza inseguendo la scienza ...o il peccato Tutto questo lo sai e sai dove comincia la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia per te sian tutti uguali siamo cattivi buoni e abbiam gli stessi mali siamo vigliacchi e fieri saggi, falsi, sinceri... coglioni Ma dove te ne andrai? ma dove sei già andata? ti dono, se vorrai, questa noia già usata tienila in mia memoria ma non è un capitale, ti accorgerai da sola, nemmeno dopo tanto, che la noia, di un altro, non vale D'altra parte lo vedi scrivo ancora canzoni e pago la mia casa pago le mie illusioni fingo d'aver capito che vivere è incontrarsi aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare, bere, leggere, amare... grattarsi
Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto ! Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perché con questa spada vi uccido quando voglio. Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati, buffoni che campate di versi senza forza avrete soldi e gloria ma non avete scorza ; godetevi il successo, godete finché dura ché il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura e andate chissà dove per non pagar le tasse col ghigno e l'ignoranza dei primi della classe. Io sono solo un povero cadetto di Guascogna però non la sopporto la gente che non sogna. Gli orpelli ? L'arrivismo ? All'amo non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco. Facciamola finita, venite tutti avanti nuovi protagonisti, politici rampanti ; venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false che avete spesso fatti del qualunquismo un arte ; coraggio liberisti, buttate giù le carte tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto assurdo bel paese. Non me ne frega niente se anch'io sono sbagliato, spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato ; coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco e al fin della licenza io non perdono e tocco. Ma quando sono solo con questo naso al piede che almeno di mezz'ora da sempre mi precede si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore che a me è quasi proibito il sogno di un amore ; non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute, per colpa o per destino le donne le ho perdute e quando sento il peso d'essere sempre solo mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo, ma dentro di me sento che il grande amore esiste, amo senza peccato, amo ma sono triste perché Rossana è bella, siamo così diversi ; a parlarle non riesco, le parlerò coi versi. Venite gente vuota, facciamola finita : voi preti che vendete a tutti un'altra vita ; se c'è come voi dite un Dio nell'infinito guardatevi nel cuore, l'avete già tradito e voi materialisti, col vostro chiodo fisso che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso, le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali ; tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti. Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco. Io tocco i miei nemici col naso e con la spada ma in questa vita oggi non trovo più la strada, non voglio rassegnarmi ad essere cattivo tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo ; dev'esserci, lo sento, in terra in cielo o un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto. Non ridere, ti prego, di queste mie parole, io sono solo un'ombra e tu, Rossana, il sole ; ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora ed io non mi nascondo sotto la tua dimora perché ormai lo sento, non ho sofferto invano, se mi ami come sono, per sempre tuo Cirano.
Ma come vorrei avere i tuoi occhi, spalancati sul mondo come carte assorbenti e le tue risate pulite e piene, quasi senza rimorsi o pentimenti, ma come vorrei avere da guardare ancora tutto come i libri da sfogliare e avere ancora tutto, o quasi tutto, da provare. Culodritto, che vai via sicura, trasformando dal vivo cromosomi corsari, di longobardi, di celti e romani dell'antica pianura di montanari, reginetta dei telecomandi, di gnosi assolute che asserisci e domandi, di sospetto e di fede nel mondo curioso dei grandi, anche se non avrai le mie risse terrose di campi, cortili e di strade, e non saprai che sapore ha il sapore dell'uva rubato a un filare, presto ti accorgerai com'è facile farsi un'inutile software di scienza e vedrai che confuso problema è adoprare la propria esperienza; Culodritto, cosa vuoi che ti dica? Solo che costa sempre fatica e il vivere è sempre quello, ma è storia antica. Culodritto, dammi ancora la mano, anche se quello di stringerla è solo un pretesto per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato, o mi ha mai chiesto; vola, vola tu, dove io vorrei volare verso un mondo dove ancora tutto è da fare e dove è ancora tutto, o quasi tutto, da sbagliare.
Ho visto la gente della mia età andare via lungo le strade che non portano mai a niente cercare il sogno che conduce alla follia nella ricerca di un qualcosa che non trovano, nel mondo che hanno già lungo le strade che dal vino son bagnate dentro alle stanze da pastiglie trasformate dentro alle nuvole di fumo del mondo fatto di città essere contro ed ingoiare la nostra stanca civiltà, e un dio che è morto ai bordi delle strade dio è morto nelle auto prese a rate dio è morto nei miti dell'estate dio è morto Mi han detto che questa mia generazione più non crede in ciò che spesso è mascherato con la fede nei miti eterni della patria e dell'eroe perché è venuto ormai il momento di negare tutto cio che è falsità e che è di parte e di abitudine e paura una politica che è solo far carriera il perbenismo interessato la dignità fatta di vuoto l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto e un dio che è morto nei campi di sterminio dio è morto coi miti della razza dio è morto con gli uomini di partito dio è morto. Ma penso che questa mia generazione è preparata ad un mondo nuovo e a una speranza appena nata ad un futuro che ha in mano, ad una rivolta senza armi e che noi tutti ormai sappiamo che se dio muore è per tre giorni e poi risorge in cio che noi crediamo dio è risorto in cio che noi vogliamo dio è risorto nel mondo che faremo dio è risorto
Certo, ha ragione il signore se dice che siamo in un film dell'ultimo periodo, dove i banditi pentiti confessano se non li processano e così fra le macchie di sangue la vita è la solita e fa "audience" se in più c'ù la scena del killer che vomita. Sa com'ù? E' bello fare del cinema anche se, lì da imputato, c'ù qualcuno che crede di esser nel cinema muto, ù bello fare del cinema, ma piuttosto che sparare siam rimasti nascosti a guardare. A guardare cos'ù che ci aspetta alla fine del tunnel, dei riflussi riflessi su certi pacchetti di Camel, quando tutto ù soltanto un riassunto di modi di dire, quattro quarti di noia disposta comunque a finire; l'inflazione però non finisce e ci rende cattivi, non c e niente che valga la pena e così siamo vivi. Ma che cos'ì che ci fa fare del cinema? Forse questa depressione o l'istinto di conservazione. Noi, si va a fare del cinema, e quando vivere è un problema rifacciamo da capo la scena. Sì devo dire che ha proprio ragione il signore, c e una crisi tremenda che investe l'intero settore; è che il pubblico vuole si parli più semplicemente, così chiari e precisi e banali da non dire niente. Per capire la storia non serve un discorso più grande: signorina cultura si spogli e dia qui le mutande. Sa com'è, Lei, deve fare del cinema, mica roba pervertita ma un soggetto che serva alla vita; facciamo tutti del cinema ma piuttosto che parlare si rimanga nascosti a pensare. Ma il gestore di un piccolo cine di periferia mi diceva che è tutta la vita che aspetta un'idea, un'idea piccolina che verso il finale si evolve nella madre di tutte le storie, l'idea che risolve; quel soggetto che senti nell'aria e potrebbe arrivare proprio quando hai già chiuso il locale e cambiato mestiere: sa com'è, e bello fare del cinema, tanto sa: facciamo tutti del cinema.
Visioni e frasi spezzettate si affacciano di nuovo alla mia mente, l'inverno o il freddo le han portate, o son cattivi sogni solamente. Mattino verrà e ti porterà le silouhettes consuete di parvenze; poi ti sveglierai e ricercherai di desideri fragili esistenze. Lo specchio vede un viso noto ma hai sempre quella solita paura che un giorno ti rifletta il vuoto oppure che svanisca la figura. E ancora non sai se è vero che sei o immagine da specchi raddoppiata; nei giorni che avrai però cercherai l'immagine dai sogni seminata. L'inverno ha steso le sue mani e nelle strade sfugge ciò che sento. Son segni bianchi e neri i rami che cambiano contorno ogni momento. E ancora non sai come potrai trovare lungo i muri un'esperienza; sapere vorrai, ma ti troverai due anni dopo al punto di partenza. E senti ancora quelle voci di mezzi amori e mezze vite accanto; non sai però se sono vere, o sono dentro l'anima soltanto; nei sogni che hai, sai che canterai di fiori che galleggiano sull'acqua. Nei giorni che avrai ti ritroverai due anni dopo sempre quella faccia.
Questa domenica in Settembre non sarebbe pesata così l'estate finiva più nature vent'anni fa o giù di lì Con l'incoscienza dentro al basso ventre e alcuni audaci, in tasca "l'Unità", la paghi tutta, e a prezzi d'inflazione, quella che chiaman la maturità Ma tu non sei cambiata di molto anche se adesso è al vento quello che io per vederlo ci ho impiegato tanto filosofando pure sui perché Ma tu non sei cambiata di tanto e se cos'è un orgasmo ora lo sai potrai capire i miei vent'anni allora e quasi cento adesso capirai Portavo allora un eskimo innocente dettato solo dalla povertà non era la rivolta permanente diciamo che non c'era e tanto fa Portavo una coscienza immacolata che tu tendevi a uccidere però inutilmente ti ci sei provata con foto di famiglia o paletò E quanto son cambiato da allora e l'eskimo che conoscevi tu lo porta addosso mio fratello ancora e tu lo porteresti e non puoi più Bisogna saper scegliere il tempo non arrivarci per contrarietà tu giri adesso con le tette al vento io ci giravo già vent'anni fa Ricordi fu con te a Santa Lucia al portico dei Servi per Natale credevo che Bologna fosse mia ballammo insieme all'anno o a Carnevale Lasciammo allora tutti e due un qualcuno che non ne fece un dramma o non lo so ma con i miei maglioni ero a disagio e mi pesava quel tuo paletò Ma avevo la rivolta fra le dita dei soldi in tasca niente e tu lo sai e mi pagavi il cinema stupita e non ti era toccato farlo mai Perché mi amavi non l'ho mai capito così diverso da quei tuoi cliché perché fra i tanti, bella, che hai colpito ti sei gettata addosso proprio a me Infatti i fiori della prima volta non c'erano già più nel sessantotto scoppiava finalmente la rivolta oppure in qualche modo mi ero rotto Tu li aspettavi ancora ma io già urlavo che Dio era morto, a monte, ma però contro il sistema anch'io mi ribellavo cioè, sognando Dylan e i provos E Gianni ritornato da Londra a lungo ci parlò dell'LSD tenne una quasi conferenza colta sul suo viaggio di nozze stile freak E noi non l'avevamo mai fatto e noi che non l'avremmo fatto mai quell'erba ci cresceva tutt'attorno per noi crescevan solo i nostri guai Forse ci consolava far l'amore ma precari in quel senso si era già un buco da un amico, un letto a ore su cui passava tutta la città L'amore fatto alla boia d'un Giuda e al freddo in quella stanza di altri e spoglia vederti o non vederti tutta nuda era un fatto di clima e non di voglia E adesso che potremmo anche farlo e adesso che problemi non ne ho che nostalgia per quelli contro un muro o dentro a un cine o lì dove si può E adesso che sappiamo quasi tutto e adesso che problemi non ne hai che nostalgia, lo rifaremmo in piedi scordando la moquette stile e l'Hi Fi Diciamolo per dire, ma davvero si ride per non piangere perché se penso a quella ch'eri, a quel che ero, che compassione che ho per me e per te Eppure a volte non mi spiacerebbe essere quelli di quei tempi là sarà per aver quindic'anni in meno o avere tutto per possibilità Perché a vent'anni è tutto ancora intero perché a vent'anni è tutto chi lo sa a vent'anni si è stupidi davvero quante balle si ha in testa a quell'età Oppure allora si era solo noi non c'entra o meno questa gioventù di discussioni, caroselli, eroi quel ch'è rimasto dimmelo un po' tu E questa domenica in Settembre se ne sta lentamente per finire come le tante via distrattamente a cercare di fare o di capire Forse lo stan pensando anche gli amici gli andati, i rassegnati, i soddisfatti, giocando a dire che si era più felici pensando a chi si è perso o no a quei patti Ed io che ho sempre un eskimo addosso uguale a quello che ricorderai io come sempre, faccio quel che posso domani poi ci penserò se mai Ed io ti canterò questa canzone uguale a tante che già ti cantai ignorala come hai ignorato le altre e poi saran le ultime oramai
E sorridevi, e sapevi sorridere, coi tuoi vent'anni portati così, come si porta un maglione sformato su un paio di jeans; come si sente la voglia di vivere che scoppia un giorno e non spieghi il perchè: un pensiero cullato o un amore che è nato e non sai che cos'è. Giorni lunghi tra ieri e domani, giorni strani, giorni a chiedersi tutto cos'era, vedersi ogni sera; ogni sera passare su a prenderti con quel mio buffo montone orientale, ogni sera là, a passo di danza, salire le scale e sentire i tuoi passi che arrivano, il ticchettare del tuo buonumore, quando aprivi la porta il sorriso ogni volta mi entrava nel cuore. Poi giù al bar dove ci si ritrova, nostra alcova, era tanto potere parlarci, giocare a guardarci, fra gli amici che ridono e suonano, attorno ai tavoli pieni di vino, religione del tirare tardi e aspettare mattino; e una notte lasciasti portarti via, solo la nebbia e noi due in sentinella, la città addormentata non era mai stata così tanto bella. Era facile vivere allora, ogni ora, chitarre e lampi di storie fugaci, di amori rapaci, e ogni notte inventarsi una fantasia, da bravi figli dell'epoca nuova, ogni notte sembravi chiamare la vita a una prova. Ma stupiti e felici scoprimmo che era nato qualcosa più in fondo, ci sembrava di avere trovato la chiave segreta del mondo. Non fu facile volersi bene, restare assieme o pensare d'avere un domani, restare lontani; tutti e due a immaginarsi: "Con chi sarà?" In ogni cosa un pensiero costante, un ricordo lucente e durissimo, come il diamante, e a ogni passo lasciare portarci via da un'emozione non piena, non colta: rivedersi era come rinascere ancora una volta. Ma ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione, e il peccato fu creder speciale una storia normale. Ora il tempo ci usura e ci stritola in ogni giorno che passa correndo, sembra quasi che ironico scruti e ci guardi irridendo. E davvero non siamo più quegli eroi pronti assieme ad affrontare ogni impresa; siamo come due foglie aggrappate ad un ramo in attesa. Farewell, non pensarci e perdonami se ti ho portato via un poco d'estate con qualcosa di fragile come le storie passate. Forse un tempo poteva commuoverti ma ora è inutile, credo, perchè ogni volta che piangi e che ridi non piangi e non ridi con me.
Giorno d'estate, giorno fatto di sole, vuote di gente sono le strade in città, appese in aria e contro i muri parole, ma chi le ha dette per che cosa chissà. (I manifesti sono visi di carta che non dicono nulla e che nessuno più guarda, colori accesi dentro i vicoli scuri, sembrano un urlo quelle carte sui muri,) Giorno d'estate, giorno fatto di vuoto, giorno di luce che non si spegnerà; sembra di andare in un paese remoto chissà se in fondo c'è la felicità. (Un gatto pigro che si stira sul muro, sola cosa che vive, brilla al sole d'estate; si alza nell'aria come un suono d'incenso, si alza nell'aria come un suono d'incenso, l'odore di tiglio delle strade alberate.) Giorno d'estate, giorno fatto di niente, grappoli d'ozio danzan piano con me, il sole è un sogno d'oro ma evanescente, guardi un istante e non sai quasi se c'è. (Dentro i canali l'erba grassa si specchia, cerchi d'ombra e di fumo sono voci lontane; nell'acqua il sole con un quieto barbaglio brucia uno stanco gracidare di rane.) Giorno d'estate senza un solo pensiero, giorno in cui credi di non essere vivo, gioco visivo che non credi sia vero che può svanire svelto come un sorriso. (Vola veloce ed irritato un uccello come un raggio di luce da un cristallo distorto: vola un moscone e scopre dietro un cancello la religiosa sonnolenza di un orto.)
Lo chiamavano "il frate", il nome di tutta una vita, segno di una fede perduta, di una vocazione finita. Lo vedevi arrivare vestito di stracci e stranezza, mentre la malizia dei bimbi rideva della sua saggezza. Dopo un bicchiere di vino, con frasi un po' ironiche e amare, parlava in tedesco e in latino, parlava di Dio e Schopenhauer. E parlava, parlava, con me che lo stavo a sentire mentre la sera d'estate non voleva morire. Viveva di tutto e di niente: di vino che muove i ricordi, di carità della gente, di dèi e filosofi sordi. Chiacchiere d'un ubriaco con salti di tempo e di spazio, storie di sbornie e di amori che non capivano Orazio. E quelle sere d'estate sapevan di vino e di scienza, con me che lo stavo a sentire con colta benevolenza. Ma non ho ancora capito mentre lo stavo a ascoltare chi fosse a prendere in giro, chi dei due fosse a imparare. Ma non ho ancora capito, fra risa per donne e per Dio, se fosse lui il disperato o il disperato son io. Ma non ho ancora capito con la mia cultura fasulla chi avesse capito la vita chi non capisse ancor nulla.
Lo sento da oltre il muro che ogni suono fa passare, l'odore quasi povero di roba da mangiare. Lo vedo nella luce che anch'io mi ricordo bene di lampadina fioca, quella da trenta candele, fra mobili che non hanno mai visto altri splendori, giornali vecchi ed angoli di polvere e di odori, fra i suoni usati e strani dei suoi riti quotidiani: mangiare, sgomberare, poi lavare piatti e mani. Lo sento quando torno stanco e tardi la mattina aprire la persiana, tirare la tendina, e mentre sto fumando ancora un'altra sigaretta andar piano, in pantofole, verso il giorno che lo aspetta e poi lo incontro ancora quando viene l'ora mia, mi dà un piacere assurdo la sua antica cortesia: "Buon giorno, professore. Come sta la sua signora? e i gatti, e questo tempo che non si rimette ancora..." Mi dice cento volte fra la rete dei giardini di una sua gatta morta, di una lite coi vicini e mi racconta piano, col suo tono un po' sommesso di quando lui e Bologna eran più giovani di adesso. Io ascolto, e i miei pensieri corron dietro alla sua vita, a tutti i volti visti dalla lampadina antica, a quell'odore solito di polvere e di muffa, a tutte le minestre riscaldate sulla stufa, a quel tic-tac di sveglia che enfatizza ogni secondo, a come da quel posto si può mai vedere il mondo, a un'esistenza andata in tanti giorni uguali e duri, a come anche la storia sia passata fra quei muri. Io ascolto e non capisco, e tutto intorno mi stupisce la vita, com'è fatta e come uno la gestisce e i mille modi e i tempi, poi le possibilità, le scelte, i cambiamenti, il fato, le necessità e ancora mi domando se sia stato mai felice, se un dubbio l'ebbe mai, se solo ora si assopisce, se un dubbio l'abbia avuto poche volte oppure spesso, se è stato sufficiente sopravvivere a se stesso. Ma poi mi accorgo che probabilmente è solo un tarlo di uno che ha tanto tempo ed anche il lusso di sprecarlo: non posso o non so dir per niente se peggiore sia a conti fatti la sua solitudine o la mia. Diremo forse un giorno: "Ma se stava così bene..." Avrà il marmo con l'angelo che spezza le catene coi soldi risparmiati un po' perchè non si sa mai, un po' per abitudine: son sempre pronti i guai. Vedremo visi nuovi, voci dai sorrisi spenti: "Piacere", "È' mio", "Son lieto", "Eravate suoi parenti?" e a poco a poco andrà via dalla nostra mente piena, soltanto un'impressione che ricorderemo appena.
Un anno è andato via della mia vita, già vedo danzar l'altro che passerà . Cantare il tempo andato sarà il mio tema perchè negli anni uguale sempre e il problema. E dirò sempre le stesse cose viste sotto mille angoli diversi; cercherò minuti, ore, giorni mesi, gli anni i visi che si sono persi canterò soltanto il tempo. Ed ora dove sei tu che sapevi ridare ai giorni e ai mesi un qualche senso. La giostra dei miei simboli fluisce uguale per trarre anche dal male qualche compenso E dirò di pietre consumate, di città finite, morte e sensazioni racconterò le mie visioni spente di fantasmi e gente lungo le stagioni e canterò soltanto il tempo. E via, e via, e via parole vane che scivolano piane dalle chitarre. E se ne vanno e vibrano non resta niente un suono che si sente e poi scompare. E sono qui sempre le stesse cose viste sotto mille angoli diversi cercherò minuti, ore giorni, mesi gli anni i visi che si sono persi; canterò soltanto il tempo.
Un vecchio e un bambino si preser per mano E andarono insieme incontro alla sera. La polvere rossa si alzava lontano E tutto brillava di luce non vera. L'immensa pianura sembrava arrivare Fin dove l'occhio di un uomo poteva guardare, E tutto d'intorno non c'era nessuno Solo il tetro contorno di torri di fumo. I due camminavano, il giorno cadeva Il vecchio parlava e piano piangeva. Con l'anima assente, con gli occhi bagnati Seguiva il ricordo di miti passati. I vecchi subiscon le ingiurie degli anni Non sanno distinguere il vero dai sogni, I vecchi non sanno, nel loro pensiero Distinguer nei sogni il falso dal vero. E il vecchio diceva, guardando lontano, "Immagina questo coperto di grano, Immagina i frutti, immagina i fiori E pensa alle voci e pensa ai colori. E in questa pianura fin dove si perde Crescevano gli alberi e tutto era verde, Cadeva la pioggia, segnavano i soli Il ritmo dell'uomo e delle stagioni." Il bimbo ristette, lo sguardo era triste, E gli occhi guardavano cose mai viste, E poi disse al vecchio con voce sognante "Mi piaccion le fiabe, raccontane altre."
E correndo mi incontrò lungo le scale quasi nulla mi sembrò cambiato in lei la tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due. Il sole che calava già rosseggiava la città già nostra ed ora straniera incredibile e fredda; come un istante "deja vu" ombra della gioventù ci circondava la nebbia. Auto ferme ci guardavano in silenzio vecchi muri proponevan nuovi eroi dieci anni da narrare l'uno all'altro ma le frasi rimanevan dentro in noi "cosa fai ora, ti ricordi, eran belli i nostri tempi, ti ho scritto è un anno, mi han detto che eri ancor via". E poi la cena a casa sua, la mia nuova cortesia, stoviglie color nostalgia. E le frasi quasi fossimo due vecchi rincorrevan solo il tempo dentro in noi per la prima volta vidi quegli specchi capii i quadri, i soprammobili ed i suoi. I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway il sentirsi nuovi le cose sognate e poi viste la mia America e la sua diventate nella via la nostra città tanto triste. Carte e vento volan via nella stazione freddo e luci accese forse per noi lì ed infine in breve la sua situazione uguale quasi a tanti nostri film: come in un libro scritto male lui si era ucciso per natale ma il triste racconto sembrava assorbito dal buoi povera amica che narravi dieci anni in poche frasi e io i miei in un solo saluto. E pensavo dondolato dal vagone "cara amica il tempo prende il tempo dà noi corriamo sempre in una direzione ma qual sia e che senso abbia chi lo sa restano i sogni senza tempo le impressioni di un momento le luci nel buio di case intraviste da un treno siamo qualcosa che non resta frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno."
Il fiume racconta leggende mentre veloce va al mare le narrano piano le onde e i pioppi le stanno a ascoltare. Non tutti le posson sentire bisogna esser stanchi del mondo gettarsi nell'acqua e morire dormire per sempre sul fondo. Ascolta ! Le sue parole d'amore nell'acqua ora sono sincere da quando tu dormi qua sotto hai sognato che mai, mai lui ti ha lasciato. Bisogna venirci di sera con l'animo oppresso dal pianto per sentire la nenia leggera di un triste e di un lugubre canto. Chi sei? Il mio nome era Gianni nuotavo a vent'anni appena ma qui avrò sempre vent'anni. E tu? Mi prese una piena su a monte non fui mai trovato. E tu? Da solo una sera per me era peso il passato e l'acqua sembrava leggera. Riposa dimentica quello che è stato il tempo laggiù s'è fermato ormai tu non puoi che dormire e ascoltare le storie del fiume che va verso il mare. Il fiume racconta leggende mentre veloce va al mare le ascoltano gli annegati e al vento le fanno cantare.
Dove finisce la città, dove il rumore se ne va, c'è una collina che nessuno vede mai perchè una nebbia come un velo la ricopre fino al cielo dall'eternità. Nessuno mai la troverà: la strada, forse in altra età, si è conosciuta ma l'abbiam scordata ormai: l'abbiam scordata e si è perduta lungo i giorni della vita dall'eternità. Forse l'abbiam vista nel passato ma il ricordo se n'è andato dalla mente. Cercala negli angoli del sogno per portarla lungo il mondo del presente. Oh, se solamente io potessi rivederla come adesso per un'ora! So di fiori grandi come soli ma mi sfuggono i colori, ancora. Ricordo che alla sommità c'è un uomo che sta sempre là, per impedire che qualcuno cada giù, da quella magica collina, dalla parte che declina e non ritorni più. Anch'io tra i fiori, tempo fa, giocavo sulla sommità, con i compagni miei, dentro alla segale, ma il prenditore non mi ha scorto quando son caduto al mondo per l'eternità.
Quando il mio ultimo giorno verrà dopo il mio ultimo sguardo sul mondo, non voglio pietra su questo mio corpo, perchè pesante mi sembrerà. Cercate un albero giovane e forte, quello sarà il posto mio; voglio tornare anche dopo la morte sotto quel cielo che chiaman di Dio. Ed in inverno nel lungo riposo, ancora vivo, alla pianta vicino, come dormendo, starò fiducioso nel mio risveglio in un qualche rnattino. E a primavera, fra mille richiami, ancora vivi saremo di nuovo e innalzerò le mie dita dirami verso quel cielo così misterioso. Ed in estate, se il vento raccoglie l'invito fatto da ogni gemma fiorita, sventoleremo bandiere di foglie e canteremo canzoni di vita. E così, assieme, vivremo in eterno qua sulla terra, l'albero e io sempre svettanti, in estate e in inverno contro quel cielo che dicon di Dio.
Si è levata dai deserti in Mongolia occidentale una nuvola di morte, una nuvola spettrale che va che va che va Sopra i campi della Cina, sopra il tepio e la risaia oltrepassa il Fiume Giallo, oltrepassa la muraglia e va e va e va Sopra il bufalo che rumina, su una civiltà di secoli sopra le bandiere rosse, sui ritratti dei profeti, sui ritratti dei signori sopra le tombe impassibili degli antichi imperatori Sta coprendo un continente, sta correndo verso il mare copre il cielo fino al punto dove il cielo può arrivare e va e va e va Sopra il volo delle anatre che precipitano in acqua sopra i pesci che galleggiano e ricoprono la spiaggia e va e va e va Alzan gli occhi i pescatori verso il cielo così livido le onde sembra che si fermino, non si sente che il silenzio e le reti sono piene di cadaveri d'argento Poi le nuvole si rompono e la pioggia lenta cade sopra i tetti delle case, sulle pietre delle strade sopra gli alberi che muoiono, sopra i campi che si seccano sopra i cuccioli degli uomini, sulle mandrie che la bevono Sulle spiagge abbandonate una pioggia che è veleno e che uccide lentamente, pioggia senza arcobaleno e va e va e va
Ma se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni? Vabbè lo ammetto che mi son sbagliato e accetto il Crucifige e cosi sia. Chiedo tempo, son della razza mia, per quanto grande sia, il primo che ha studiato. Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante. Mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più di un cantante. Giovane ingenuo io ho perso la testa sian stati i libri o il mio provincialismo e un cazzo in culo e accuse di arrivismo dubbi di qualunquismo son quello che mi resta. Voi critici, voi personaggi austeri militanti severi chiedo scusa a vossia però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia. Io canto quando posso, come posso quando ne ho voglia senza applausi o fischi vendere o no non passa fra i miei rischi non comprate i miei dischi e sputatemi addosso. Secondo voi ma a me cosa mi frega di assumermi la bega di star quassù a cantare. Godo molto di più nell'ubriacarmi oppure a masturbarmi o, al limite, a scopare. Se son d'umore nero allora scrivo frugando dentro alle nostre miserie. Di solito ho da far cose più serie costruir su macerie o mantenermi vivo. Io tutti, io niente, io stronzo, io ubriacone io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista io ricco, io senza soldi, io radicale, io diverso ed io uguale negro, ebreo, comunista! Io frocio, io perché canto so imbarcare Io falso, io vero, io genio, io cretino io solo qui alle quattro del mattino l'angoscia e un po' di vino, voglia di bestemmiare. Secondo voi ma chi me lo fa fare di star ad ascoltare chiunque ha un tiramento. Ovvio il medico dice : "sei depresso", neppure dentro al cesso possiedo un mio momento. Ed io che ho sempre detto che era un gioco sapere usare o no di un certo metro. Compagni il gioco si fa teso e tetro comprate il mio didietro, io lo vendo per poco. Colleghi cantautori, eletta schiera che si vende alla sera per un po' di milioni. Voi che siete capaci fate bene aver le tasche piene e non solo i coglioni. Che cosa posso dirvi? Andate e fate. Tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli e un prete a sparar cazzate Ma se io avessi previsto tutto questo dati causa e pretesto, forse farei lo stesso. Mi piace far canzoni e bere vino mi piace far casino e poi sono nato fesso. E quindi tiro avanti e non mi svesto dei panni che son solito portare ho tante cose ancora da raccontare, per chi vuole ascoltare, e a culo tutto il resto!
Per capire la nostra storia Bisogna farsi ad un tempo remoto. C'era un vecchio con la barba bianca: Lui, la sua barba, ed il resto era vuoto. Voi capirete che in tale frangente Quel vecchio solo lassù si annoiava. Si aggiunga a questo che inspiegabilmente Nessuno aveva la tivù inventata. Beh, poco male, pensò il vecchio un giorno: A questo affare ci penserò io. Sembra impossibil ma in roba del genere, Modestia a parte, ci so far da Dio. Dixit. Ma poi toccò un filo scoperto, Prese la scossa, ci fu un gran boato. Come tivù non valeva un bel niente Ma l'Universo era stato creato. Come son bravo che a tempo perso Ti ho creato l'Universo! Non mi sembra per niente male. Sono davvero un tipo geniale! Zitto, Lucifero, non disturbare, Non stare sempre qui a criticare! Beh, sì, lo ammetto, sarà un po' buio, Ma non dir più che non si vede un tubo!Che sono parolacce che non sopporto! - disse il vecchio a Lucifero - E poi se c'è una cosa e un'altra che non posso sopportare sono i criticoni: fattelo te l'Universo se sei capace! Che me at dig un quel... disse il vè... era di antica origine modenese da parte di madre il vecchio. Io parlo chiaro: pane al pane, vino al vino, anzi vin santo al vin santo. Sono buono e bravo ma se mi prendono i cinque secoli me at sbat a l'inferen com'è vero Dio!
Ma poi volando sull'acqua stagnante E sopra i mari di quell'Universo, Mentre pensava se stesso pensante In mezzo a quel buio si sentì un po' perso. Sbattè le gambe su un mucchio di ghiaia Dopo una tragica caduta in mare. Quando andò a sbattere sull'Himalaya Il colpo gli fece persino un po' male. Fece crollare anche un gran continente Soltanto urtandolo un poco col piede. Si consolò che non c'era ancor gente E che non gli era venuto poi bene. Ma quando il buio gli fece impressione Disse, facendosi in viso un po' truce: Diavol d'un angelo, avevi ragione. Si chiami l'Enel, sia fatta la luce! Commutatori, trasformatori, Dighe idroelettriche e isolatori, Turbine, dinamo e transistori Per mille impianti di riflettori; Albe ed aurore fin boreali, Giorni e tramonti fin tropicali. Fate mò bene che non bado a spese, Tanto ho lo sconto alla fine del mese.Te Lucifero non ti devi preoccupare come faccio io ad avere lo sconto alla fine del mese. Ma cosa vuol dire corruzione, una mano lava l'altra come si dice; vuoi che uno nella mia posizione non conosca nessuno, però intanto ragazzi andateci piano perché la bolletta la portano a me. M'avete lasciato accesa la luce al polo per sei mesi, sei mesi, no, sei mesi! Grazie che c'era freddo, i surgelati li debbo pur tenere da qualche parte. Adesso la tenete spenta sei mesi come ... e quei ragazzi lì, come si chiamano quei ragazzini che vanno in giro con quella cosa, aureola si chiama, no no, am pies menga, no no no ragazzi quelle cose li, io vi invento il peccato in superbia e vi frego tutti eh, adesso ve lo dico bisogna guadagnarsele... a parte il fatto che non mi adorate abbastanza, no no no Lucifero, è inutile che tu mi chiedi scusa: adorare significa non dovere mai dire mi dispiace!
Voi, ecco, io vi do ogni dieci atti di adorazione ...vi do un buono, ogni dieci buoni voi mandate la cartolina che il 6 di gennaio ci ho poi tutta un'altra idea in testa ... facciamo Aureolissima che è una festa bella. Piuttosto Lucifero, non sgamare... vieni qua ragazzo, com'è mi hanno detto che hai stampato un libro "Il Libretto Rosso dei Pensieri di..." oh bella roba il libretto rosso dei pensieri di Lucifero. Ragazzi mi piace... ma cosa vuol dire di sinistra, di sinistra... non sono socialdemocratico anch'io? avanti al centro contro gli opposti estremismi! ...eh ma, ...no no no, non ci siamo mica qua, se c'è uno che può pensare anzitutto sono io ... e non tirare in mica ballo mio figlio -- quel capellone -- con tutti i sacrifici che ho fatto, per me lui lì finisce male ah me, me a tal deg ... finisce male. Attento che te e lui, io ho delle soluzioni per voi che non vi piaceranno, per Dio, e non guardarmi male che qui dentro "per Dio" lo dico come e quando mi pare!
Ma fatta la luce ci vide più chiaro: Là nello spazio girava una palla. Restò pensoso, e gli parve un po' strano; Ma scosse il capo: chi non fa non falla. Rise Lucifero stringendo l'occhio Quando lui e gli angeli furon da soli. "Guarda che roba! Si vede che è vecchio: L'ha fatto tutto schiacciato sui poli!" Per riempire 'sto bell'ambiente Voglio metterci tante piante. Forza, Lucifero, datti da fare: Ordina semi, concime e trattore. Voglio un giardino senza uguali, Voglio riempirlo con degli animali! Ma cosa fa 'sto cane che ho appena creato? Boia d'un Giuda! M'ha morsicato!Piuttosto fallo vedere da un veterinario che non vorrei aver creato anche la rabbia, gia così ...cos'è che non ho creato? Lo sapevo: l'uomo non ho creato! Grazie, mi fate sempre fare tutto a me, mi tocca sempre fare! Qua se non ci sono io che penso a tutto.. va beh nessuno è perfetto, sì lo so che sono l'Essere Perfettissimo Creatore e Signore. Grazie! adesso ti trasformo in serpente così impari, striscia mò lì! viuscia via!
E portarono al vecchio quello che c'era rimasto ... c'era un po' di formaggio e due scatolette di Simmenthal, cioè lui li mise assieme e...
Prese un poco di argilla rossa, Fece la carne, fece le ossa, Ci sputò sopra, ci fu un gran tuono, Ed è in quel modo che è nato l'uomo.Era un venerdì 13 dell'anno zero del Paradiso.
Non so che viso avesse, neppure come si chiamava con che voce parlasse, con quale voce poi cantava quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli ma nella fantasia ho l'immagine sua, gli eroi sono tutti giovani e belli gli eroi sono tutti giovani e belli gli eroi sono tutti giovani e belli. Conosco invece l'epoca dei fatti, qual'era il suo mestiere: i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere I tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti sembrava il treno anch'esso un mito di progresso, lanciato sopra i continenti lanciato sopra i continenti lanciato sopra i continenti. E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite sembrava avesse dentro un potere tremendo, la stessa forza della dinamite la stessa forza della dinamite la stessa forza della dinamite. Ma un'altra grande forza spiegava allora le sue ali parole che dicevano: "gli uomini sono tutti uguali" e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via la bomba proletaria, ed illuminava l'aria la fiaccola dell'anarchia la fiaccola dell'anarchia la fiaccola dell'anarchia. Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione un treno di lusso, lontana destinazione vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori pensava al magro giorno della sua gente attorno, pensava un treno pieno di signori pensava un treno pieno di signori pensava un treno pieno di signori. Non so che cosa accadde, perché prese la decisione forse una rabbia antica, generazioni senza nome che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore dimenticò pietà, scordò la sua bontà, la bomba sua la macchina a vapore la bomba sua la macchina a vapore la bomba sua la macchina a vapore. E sul binario stava la locomotiva la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno mordesse la rotaia con muscoli d'acciaio, con forza cieca di baleno con forza cieca di baleno con forza cieca di baleno. E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura e prima di pensare a quel che stava a fare, il mostro divorava la pianura il mostro divorava la pianura il mostro divorava la pianura. Correva l'altro treno ignaro, quasi senza fretta nessuno immaginava di andare verso la vendetta ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno: notizia di emergenza, agite con urgenza, un pazzo si è lanciato contro il treno un pazzo si è lanciato contro il treno un pazzo si è lanciato contro il treno. Ma corre corre corre corre la locomotiva e sibila il vapore, sembra quasi cosa viva e sembra dire ai contadini curvi, quel fischio che si spande in aria fratello non temere che corro al mio dovere trionfi la giustizia proletaria trionfi la giustizia proletaria trionfi la giustizia proletaria. E corre corre corre corre sempre più forte e corre corre corre corre verso la morte e niente ormai può trattenere l'immensa forza distruttrice aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto della grande consolatrice della grande consolatrice della grande consolatrice. La storia ci racconta come finì la corsa la macchina deviata lungo una linea morta con l'ultimo suo grido di animale la macchina eruttò lapilli e lava esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo lo raccolsero che ancora respirava lo raccolsero che ancora respirava lo raccolsero che ancora respirava. Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore mentre fa correr via la macchina a vapore e che ci giunga un giorno ancora la notizia di una locomotiva come una cosa viva, lanciata a bomba contro l'ingiustizia lanciata a bomba contro l'ingiustizia lanciata a bomba contro l'ingiustizia.
Un lager. Cos'è un lager? E una cosa nata in tempi tristi, dove dopo passano i turisti occhi increduli agli orrori visti (non buttar la pelle del salame!) Cos'è un lager? È una cosa come un monumento, e il ricordo assieme agli anni è spento non ce n'è mai stati, solo in quel momento, l'uomo in fondo è buono, meno il nazi infame! Cos'è un lager? Ma ce n'è, ma c'è chi li ha veduti, o son balle di sopravvissuti? Illegali i testimoni muti, non si facciano nemmen parlare! Cos'è un lager? Sono mille e mille occhiaie vuote, sono mani magre abbarbicate ai fili son baracche e uffici, orari, timbri, ruote, son routine e risa dietro a dei fucili sono la paura l'unica emozione, sono angoscia d'anni dove il niente è tutto sono una follia ed un'allucinazione che la nostra noia sembra quasi un rutto sono il lato buio della nostra mente, sono un qualchecosa da dimenticare sono eternità di risa di demente, sono un manifesto che si può firmare. E un lager, Cos'è un lager? Il fenomeno ci fu. È finito! Li commemoriamo, il resto è un mito! l'hanno confermato ieri al mio partito, chi lo afferma è un qualunquista cane. Cos'è un lager? È una cosa sporca, cosa dei padroni, cosa vergognosa di certe nazioni noi ammazziamo solo per motivi buoni, quando sono buoni? Sta a noi giudicare. Cos'è un lager? È una fede certa e salverà la gente, l'utopia che un giorno si farà presente millenaria idea, gran purga d'occidente, chi si oppone è un giuda e lo dovrai schiacciare. Cos'è un lager? Son recinti e stalli di animali strani, gambe che per anni fan gli stessi passi esseri diversi, scarsamente umani, cosa fra le cose, l'erba, i mitra i sassi ironia per quella che chiamiam ragione, sbagli ammessi solo sempre troppo dopo prima sventolanti giustificazione, una causa santa, un luminoso scopo sono la consueta prassi del terrore, sempre per qualcosa, sempre per la pace sono un posto in cui spesso la gente muore, sono un posto in cui, peggio, la gente nasce. E un lager. Cos'è un lager? E una cosa stata, cosa che sarà, può essere in un ghetto, fabbrica, città contro queste cose o chi non lo vorrà, contro chi va contro o le difenderà prima per chi perde e poi chi vincerà, uno ne finisce ed uno sorgerà sempre per il bene dell'umanità, chi di voi kapò, chi vittima sarà in un lager.
Cinque anatre volano a sud molto prima del tempo l'inverno è arrivato cinque anatre in volo vedrai contro il sole velato contro il sole velato Nessun rumore sulla taigà solo un lampo un istante ed un morso crudele quattro anatre in volo vedrai ed una preda cadere ed una preda cadere Quattro anatre volano a sud quanto dista la terra che le nutriva quanto la terra che le nutrirà e l'inverno già arriva e l'inverno già arriva Il giorno sembra non finire mai bianca fischia ed acceca nel vento la neve solo tre anatre in volo vedrai e con un volo ormai greve e con un volo ormai greve A cosa pensan nessuno lo saprà nulla pensan l'inverno e la grande pianura e a nulla il gelo che il suolo spaccherà con un gridare che dura con un gridare che dura E il branco vola, vola verso sud nulla esiste più attorno se non sonno e fame solo due anatre in volo vedrai verso il sud che ora appare verso il sud che ora appare Cinque anatre andavano a sud forse una soltanto vedremo arrivare ma quel suo volo certo vuole dire che bisognava volare che bisognava volare che bisognava volare che bisognava volare
Ma dove sono andate quelle piogge d'aprile che in mezz'ora lavavano un'anima o una strada e lucidavano in fretta un pensiero o un cortile bucando la terra dura e nuova come una spada, ma dove quelle piogge di primavera quando dormivi supina, e se ti svegliavo ridevi, poi piano facevi ridere anche me con i tuoi giochi lievi. Ma dove quelle estati senza fine, senza sapere la parola nostalgia, solo colore verde di ramarri e bambine e in bocca lo schioccare secco di epifania, ma dove quelle stagioni smisurate quando ogni giorno figurava gli anni a venire e dove ogni autunno quando finiva l'estate trovavi la voglia precisa di ripartire. Che ci farai ora di questi giorni che canti dei dubbi quasi doverosi che ti sono sorti dei momenti svuotati, ombre pressanti di noi rimorti, che ci potrai fare di quelle energie finite, di tutte quelle frasi storiche da dopocena; consumato per sempre il tempo di sole e ferite, basta vivere appena, basta vivere appena. Ed ora viviamo in questa stagione di mezzo, spaccata e offesa da giorni agonizzanti e disperati, lungo i quali anche i migliori si danno un prezzo e ti si seccano attorno i vecchi amori sciagurati, dove senza più storia giriamo il mondo ricercando soltanto un momento sincero col desiderio inconscio di arrivare più in fondo per essere più vero. Ma dove sono andate quelle piogge d'aprile? Io qui le aspetto come uno schiaffo improvviso come un gesto, un urlo o un umore sottile fino ad esserne intriso, io chiedo che cadano ancora sul mio orizzonte angusto e avaro di queste voglie corsare, per darmi un'occasione ladra, un infinito, un ponte, per ricominciare.
Che cosa cercano le ragazze della notte, trucco e toilettes che si spanpànano piano come il ghiaccio va in acqua dentro al tumbler squagliandosi col caldo della mano, e frugano con gli occhi per vedere un viso o un'ombra nell'oscurità o per trovare qualcuno a cui ripetere le frasi solite di quell'umanità. Ma chi aspettano le ragazze della notte in quei bar zuppi di alcolici e fiati, di uomini vocianti che strascinano pacchi di soldi forse male guadagnati, le vedi appendersi adoranti e innaturali a quei califfi cui non darei una lira; chissà se sognano vite più normali mentre la notte gira gira gira. E si mettono a cantare un po' stonate quando qualcuno va a picchiare un piano, canzoni vecchie, storie disperate, gli amori in rima di un tempo già lontano e si immedesimano in quelle parole scritte per altre tanto tempo fa, bella senz'anima, quando tramonta il sole suona un'armonica, ne me quitte pas. Cosa dicono le ragazze della notte a quei baristi ruffiani e discreti che si chinano preteschi sul bancone per confessare chissà quali segreti e poi guardano in controluce un bicchiere e agili danzano versando un liquore; quanto da dire, e quanto c'è da bere mentre la notte macina le ore. Come amo le ragazze della notte così simili a me, cosi diverse noi passeggeri di treni paralleli piccoli eroi delle occasioni perse, anche se so che non ci incontreremo ma solamente ci guardiamo passare, anche se so che mai noi ci ameremo col rimpianto di non poterci amare. Finchè anche dai vetri affumicati spinge la luce ed entra all'improvviso e autobus gonfi di sonni arretrati passano ottusi nel mattino intriso di edicole che espongono i giornali pieni di fatti che sappiamo già, di cappucci e brioche e dei normali rumori che ha al mattino una città. Ma dove vanno le ragazze della notte che all'alba fuggono complice un tassi, stanche di tanto, piene del rimorso d'avere forse detto troppi si, ma lo scacciano presto ed entra in loro solo un filo di spossatezza leggera, che le accompagnerà lungo il lavoro, che condurrà diritto fino a sera. Ma chi sono le ragazze della notte...
n giardino il ciliegio è fiorito agli scoppi del nuovo sole, il quartiere si è presto riempito di neve di pioppi e di parole. All'una in punto si sente il suono acciottolante che fanno i piatti, le TV sono un rombo di tuono per l'indifferenza scostante dei gatti ; come vedi tutto è normale in questa inutile sarabanda ma nell'intreccio di vita uguale soffia il libeccio di una domanda punge il rovaio di un dubbio eterno un formicaio di cose andate, di chi aspetta sempre l'inverno per desiderare una nuova estate. Son tornate a sbocciare le strade, ideali ricami del mondo, ci girano tronfie la figlia e la madre nel viso uguali e nel culo tondo, in testa identiche, senza storia, sfidando tutto, senza confini, frantumano un attimo quella boria grida di rondini e ragazzini ; come vedi tutto è consueto in questo ingorgo di vita e morte, ma mi rattrista, io sono lieto di questa pista di voglia e sorte di questa rete troppo smagliata, di queste mete lì da sognare, di questa sete mai appagata, di chi starnazza e non vuol volare. Appassiscono piano le rose, spuntano a grappi i frutti del melo, le nuvole in alto van silenziose negli strappi cobalto del cielo. Io sdraiato sull'erba verde fantastico piano sul mio passato ma l'età all'improvviso disperde quel che credevo e non sono stato ; come senti tutto va liscio in questo mondo senza patemi, in questa vista presa di striscio, di svolgimento corretto ai temi, dei miei entusiasmi durati poco, dei tanti chiasmi filosofanti, di storie tragiche nate per gioco troppo vicine o troppo distanti. Ma il tempo, il tempo chi me lo rende ? Chi mi dà indietro quelle stagioni di vetro e sabbia, chi mi riprende la rabbia e il gesto, donne e canzoni, gli amici persi, i libri mangiati, la gioia piana degli appetiti, l'arsura sana degli assetati, la fede cieca in poveri miti ? Come vedi tutto è usuale, solo che il tempo chiude la borsa e c'è il sospetto che sia triviale l'affanno e l'ansimo dopo una corsa, l'ansia volgare del giorno dopo, la fine triste della partita, il lento scorrere senza uno scopo di questa cosa che chiami vita.
Da morte nera e secca da morte innaturale da morte prematura da morte industriale Per mano poliziotta di pazzo generale diossina o colorante da incidente stradale Dalle palle vaganti di ogni tipo e ideale da tutti questi insieme e da ogni altro male libera, libera, libera, libera nos domine Da tutti tutti gli imbecilli di ogni razza e colore dai sacri sanfedisti e da quel loro odore Dai pazzi giacobini e dal loro bruciore da visionari e martiri dell'odio e del terrore Da chi ti paradisa dicendo "è per amore" dai mannequin che ti urlano "o con noi o traditore" libera, libera, libera, libera nos domine Dai poveri di spirito e dagli intolleranti da falsi intellettuali giornalisti ignoranti Da eroi, navigatori, profeti, vati, santi dai sicuri di se presuntuosi e arroganti Dal cinismo di molti dalle voglie di tanti dall'egoismo sdrucciolo che abbiamo tutti quanti libera, libera, libera, libera nos domine Da te, dalle tue immagini e dalla tua paura dai preti di ogni credo da ogni loro impostura Da inferni inferni e paradisi da una vita futura da utopie per lenire questa morte sicure Da crociati e crociate da ogni sacra scrittura da fedeli invasati di ogni tipo e natura libera, libera, libera, libera nos domine libera, libera, libera, libera nos domine
Ma bella più di tutte è l'isola non trovata, Quella che il Re di Spagna s'ebbe dal suo cugino il Re del Portogallo con firma sugellata e bolla del pontefice in gotico Latino. Il Re di Spagna fece vela cercando l'isola incantata però quell'isola non c'era e mai nessuno l'ha trovata. Svanì di prua dalla galea come un idea; come una splendida utopia è andata via e non tornerà mai più. Le antiche carte dei corsari portano un segno misterioso, ne parlan piano i marinari con un timor superstizioso. Nessuno sa se c'è davvero od è un pensiero; se a volte il vento ne ha il profumo È come il fumo che non prendi mai! Appare a volte avvolta di foschia magica, e bella, ma se il pilota avanza su mari misteriosi è già volata via tingendosi d'azzurro color di lontananza. Il Re di Spagna fece vela cercando l'isola incantata.
K.D. si svegliò quel mattino e guardò le cose accanto a lei gli occhi ancor velati dalle briciole dei sogni mentre il sonno scompariva accanto a lei lentamente, il sonno scompariva accanto a lei. K.D. si affacciò alla finestra vide il mondo solito ad di là svaniva il suo orizzonte sulla ruggine del ponte dove il fiume scompariva e la città finiva, dove il fiume scompariva. K.D. non seppe mai dire che sensazione la prese sentì il suo corpo svanire le mani e le braccia rapprese. Pianse qualcuno lontano che forse non conosceva ed il suo pianto pian piano quell'orizzonte scioglieva. Ma poi sorrise sorpresa di quella stupida ebbrezza il suo orizzonte tornato reale le dava la solita sua sicurezza, solita sua sicurezza Quando anche noi qualche volta ci sentiam tristi per niente forse c'è K.D. che piange lontano fantasma che in noi ci accompagna per sempre, che ci accompagna per sempre.
Mi dicevano il matto perché prendevo la vita da giullare, da pazzo, con un'allegria infinita. D'altra parte è assai meglio, dentro questa tragedia, ridersi addosso, non piangere, e voltarla in commedia. Quando mi hanno chiamato per la guerra, dicevo: "Be', è naia, soldato!" e ridevo, ridevo. Mi han marchiato e tosato, mi hanno dato un fucile, rancio immondo, ma io allegro, ridevo da morire. Facevo scherzi, mattane, naturalmente ai fanti, agli osti e alle puttane ma non risparmiavo i santi. E un giorno me l'han giocata, mi han ricambiato il favore e dal fucile m'han tolto l'intero caricatore. Mi son trovato il nemico di fronte, e abbiamo sparato, chiaramente io a vuoto lui invece mi ha centrato. Perché quegi occhi stupiti? Perché mentre cadevo, per terra, la morte addosso, io ridevo ridevo? Ora qui non sto male, ora qui mi consolo, ma non mi sembra normale ridere sempre da solo.
Quando son nato io pesavo sei chili avevo spalle da uomo e mani grandi come badili. Quando son nato io eran davvero tempi cupi e le mie strade erano piene di iene e di lupi. Quando son nato io la morte stringeva la vite e la gente del mondo ingoiava cordite. Poveri bimbi di Milano coi vestiti comprati all'Upim abituati ad un cielo a buchi che vedete sempre più lontano. Poveri bimbi di Milano così fragili così infelici che urlate rabbia senza radici con occhi tinti e con niente in mano. Poveri bimbi di Milano derubati anche di speranza che danzate la vostra danza in quello zoo metropolitano. Poveri bimbi di Milano con fazzoletti come giardini poveri indiani nella riserva povere giacche blu questurini. Quando son nato io c'era la fame nera e la vita d'ognuno tirava il lotto ogni sera. Quando son nato io le città erano cimiteri e la primavera sbocciava sopra ai morti di ieri. Quando son nato io alla fine ci fu gran festa e l'uomo si svegliò dal sonno aprì gli occhi e rialzò la testa. Poveri bimbi di Milano dall'orizzonte sempre coperto povera sete di libertà costretta a vivere nel deserto. Poveri bimbi di Milano dalle musiche come un motore col più terribile dei silenzi la solitudine del rumore. Poveri bimbi di Milano figli di padri preoccupanti con un esistere da nano e nella mente sogni giganti. Poveri bimbi di Milano numerosi come minuti viaggiatori di mete fisse spettatori sempre seduti. Quando son nato io come capita a tutti il tempo uguale e incurante imponeva i suoi frutti. Quando son nato io nel rogo di S. Silvestro si bruciava il passato e il peccato col resto. Quando rinasceremo come il sogno d'un uomo bruceremo il futuro in piazza del Duomo.
Corre veloce, ma in che senso il nostro tempo sconosciuto e strano; e i nostri occhi spaventati guardano ciò che ci circonda e non sanno credere ad un tecnico sortilegio che pian piano e indifferente ci rapina e ci trascina verso una realtà che non vedremo mai (fra entità sconosciute e computers) che non vedremo mai (fra le schede cifrate e le città ) che non vedremo mai. E corre l'uomo confuso verso ciò che neanche lui capisce chi ha programmato la sua vita non sa chi sia e dove; ma che importa, se solo questo lo fa già dubitare del suo equilibrio e aperta è già la strada oscuramente verso una nuova realtà che non capirà mai (fra entità sconosciute e computers) che non capirà mai (fra le schede cifrate e le città) che non capirà mai. E non sapremo perchè e come siamo di un'era in transizione fra una civiltà quasi finita ed una nuova inconcepita e quasi nessuno ormai più crede quale mai sarà la nuova fede quali mai saran le nuove mete che spegneranno la nostra eterna sete di poter essere sè . Anche se poi qualcuno soccomberà io non so dire chi fra noi due sarà quest'uomo nuovo che noi non vedremo mai (fra entità sconosciute e computers) noi non vedremo mai (fra le schede cifrate e le cittò ) noi non vedremo mai.
Quando i cieli diventano più scuri e in bocca hai solo rabbia e piove solo sabbia sulle strade e sui muri C'è bisogno di gente molto forte per fare insieme il viaggio che inizia non sai dove e passa cento porte. Noi che lasciamo tutto noi per volare in alto noi per cercare una città Dove i cieli non sono così scuri e le strade hanno suoni e vedi sogni e immagini nelle strade e sui muri. Quando i cieli diventano più scuri e in bocca hai solo rabbia e piove solo sabbia sulle strade e sui muri. C'è bisogno di gente molto forte per fare insieme il viaggio che inizia non sai dove e passa cento porte. Noi che lasciamo tutto noi per volare in alto noi per cercare una città... che non ha tempo ma solo prati verdi e il cielo, vibrazioni e la pioggia, canzoni esiste solo...
Vedremo soltanto una sfera di fuoco più grande del sole più vasta del mondo nemmeno un grido risuonerà e solo il silenzio come un sudario si stenderà fra il cielo e la terra, per mille secoli almeno e noi non ci saremo. Poi per un anno la pioggia cadrà giù dal cielo e i fiumi solcheranno la terra di nuovo verso gli oceani scorreranno e ancora le spiagge risuoneranno delle onde e in alto lontano splenderà l'arcobaleno ma noi non ci saremo. E catene di monti coperti di neve saranno confine a foreste d'abeti mai mano d'uomo le toccherà ancora le spiagge risuoneranno di gabbiani e in alto nel cielo ritornerà il sereno ma noi non ci saremo. E il vento d'estate che viene dal mare intonerà un canto fra mille rovine fra le macerie delle città fra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà fra macchine e strade risorgerà un mondo nuovo ma noi non ci saremo. E dai boschi e dal mare ritorna la vita e ancora la terra sarà popolata fra notti e giorni il sole farà le mille stagioni e ancora il mondo percorrerà le strade di sempre per mille secoli almeno ma noi non ci saremo.
Non bisognerebbe mai ritornare. Perchè calcare i tuoi vecchi passi, calciare gli stessi sassi, su strade che ti han visto già a occhi bassi? Non troverai quell'ombra che eri tu e non avrai quell'ora in più che hai dissipato e che ora cerchi; si scioglierà impossibile il pensiero a rimestare il falso e il vero in improbabili universi. Eppure come un cane che alza il muso e annusa l'aria batti sempre la tua pista solitaria e faccia dopo faccia e ancora traccia dopo traccia torni dove niente ti aprirà le braccia. E rimpiangere, rimpiangere mai. Come piovigginano le vecchie cose: perchè fra i libri schiacciare rose di risa paghe e piene delle spose? E buttar via un incognita e uno scopo, trascurare il giorno dopo come se chiudesse sempre; studiar la stessa pagina di storia conosciuta già a memoria, date e luoghi impressi a mente. Ma gocciola da sempre sul bagnato, tesoriere dei tuoi giorni, di chi ha preso e di chi ha dato. E ora dopo ora e dopo un attimo ed ancora la poetica consueta è "dell'allora". Primo: Non ricordare. Perchè i ricordi sono falsati, i metri e i cambi sono mutati per la spietata legge dei mercati. E' come equilibrarsi sugli specchi, ad ogni occhiata un po' più vecchi, opachi, muti e deformanti. Frugare dentro ai soliti cassetti dove non c'è quel che ci metti e mai le cose più importanti. E invece come tutti sempre li a portarli addosso, a ricercare quel sottile straccio rosso che lega il tempo assente ed il presente e nella mente tutto questo poi ci si confonderà.
Alla fine della baldoria c'era nell'aria un silenzio strano, Qualcuno ragliava con meno boria e qualcun altro grugniva piano; alle sfilate degli stilisti si trasgrediva con meno allegria ed in quei visi sazi e stravisti pulsava un ombra di malattia. Un artigiano di scoop forzati scrisse che Weimar già si scorgeva e fra biscotti sponsorizzati videro un anchorman che piangeva. E poi la nebbia discese a banchi ed il barometro segnò tempesta, ci risvegliammo più vecchi e stanchi, amaro in bocca, cerchio alla testa. Il mercoledì delle Ceneri ci confesarono bene o male che la festa era ormai finita ormai lontano il carnevale e proclamarono penitenza e in giro andarono col cilicio ruttando austeri:"Ci vuol pazienza! Siempre adelante ma con juicio!" E fecero voti con faccia scaltra a Nostra Signora dell'ipocrisia perché una mano lavasse l'altra, tutti colpevoli e così sia, e minacciosi ed un po' pregando incenso sparsero al loro Dio sempre accusando, sempre cercando il responsabile, non certo io. La domenica di Mezza Quaresima fu processione di etere di Stato dai puttanieri a diversi pollici dai furbi del chi ha dato ha dato ed echeggiarono tutte le sere, come rintocchi schioccanti a morto, amen, mea culpa e miserere ma neanche un cane che sia risorto e i cavalieri di tigri a ore e i trombettieri senza ritegno inamidarono un nuovo pudore misero a lucido un nuovo sdegno; si andò alle prime con casto lusso e i quiz pagarono buoni milioni e in pubblico si linciò il riflusso per farci ridiventare buoni. Così domenica dopo domenica fu una stagione davvero cupa quel lungo mese della quaresima, rise la iena, ululò la lupa, stelle comete ed altri prodigi facilitarono le conversioni, mulini bianchi tornaron grigi candidi agnelli certi ex-leoni. Soltanto i pochi che si incazzarono dissero che era l'usato passo fatto dai soliti che ci marciavano per poi rimetterlo sempre là, in basso. Poi tutto tacque, vinse ragione, si placò il cielo, si posò il mare, solo qualcuno in resurrezione, piano, in silenzio, tornò a pensare.
Parole, son parole, e quante ormai ne ho adoperate e quante ancora lette e poi sentite, a raffica, trasmesse, a mano tesa, sussurrate, sputate, a tanti giri, riverite, adatte alla mattina, messe in abito da sera, all'osteria citabili o a Cortina, o a Marghera. Con gioia di parole ci riempiamo le mascelle e in aria le facciamo rimbalzare e se le cento usate sono in fondo sempre quelle non è importante poi comunicare, è come l'uomo solo che fischietta dal terrore e vuole ne silenzio udire un suono, far rumore. Mio caro amore si è un po' come commessi viaggiatori con campionari di parole e umori a ritmi di trecento e più al minuto; amore muto beati i letterari marinai così sul taciturno e cerca guai così inventati e pieni di coraggio. Io non son quei marinai, parole in rima ne ho già dette (e tante, strano, ma ne faccio dire) nostalgiche, incazzate, quanto basta maledette, ironiche quel tanto per servire a grattarsi un po' la rogna, soffocati dal collare adatto per i cani o per la gogna del giullare. Poi andare sopra un palco per compenso o l'emozione: chi non ha mai sognato di provare ? Sia chi ha capito tutto e tutto sa per professione ed ha un orgasmo a scrivere o a fischiare, sia quelli che ti adorano fedeli e senza intoppi, coi santi non si scherza, abbasso il Milan, viva Coppi! Amore sappi, beato chi ha le musiche importanti, le orchestre, luci e viole sviolinanti, non queste mie di fil di ferro e spago; amore vago, mi tocca coi miei due giri costanti far il make-up a metonìmie erranti: che gaffe proprio all'età della ragione. E sì son tanti gli anni, ma se guardo ancora pochi Voltaire non ci ha insegnato ancora niente, è questo quel periodo in cui i ruggiti si fan fiochi oppure si ruggisce veramente ed io del topo sovrastrutturale me ne frego; chi sia Voltaire mi dite? va be', dopo ve lo spiego. E se pensate questi i vaniloqui di un anziano lo ammetto, ma mettiamoci d'accordo conosco gente pia, gente che sa guardar lontano e alla maturità dicon sia sordo perchè i rincoglioniti d'ogni parte odian parechio la libertà e la chiamano "vagiti", o "ostie" d'un vecchio. Amore a specchio, è tanto bello urlare dagli schermi, gettare a terra falsi pachidermi coprendo ad urla il vuoto ed il timore. Qui sul mio onore, smetterei di giocar con le parole ma è un vizio antico e poi quando ci vuole per la battuta mi farei spellare. Eee, le chiacchere son tante e se ne fan continuamente, è tanto bello dar fiato alle trombe o il vino o robe esotiche rimbomban nella mente esplodono parole come bombe, pillacchere di fango, poesie dette sulla sedia, ghirlande di semantica e gran tango dei mass-media. Dibattito, dal vivo, miti spot, ex-cineforum talk-show, magazine, trend, poi T.V. e radio telegiornale, spazi, nuovo, gadget, pista, quorum dietrismo, le tangenti, rock e stadio, deviati, bombe, agenti, buco e forza del destino, scazzato, paranoia e gran minestra dello spino. Amore fino, lo so che in questo modo cerco guai ma non sopporto questi parolai non dire più che ci son dentro anch'io, amore mio se il gioco è essere furbo e intelligente ti voglio presentare della gente e certamente presto capirai. Ci sono, sai, nascosti dietro a pieghe di risate che tiran giù i palazzi dei coglioni, più sobri e più discreti e che fan meno puttanate di me che scrivo in rima le canzoni, i clown senza illusioni, fucilati ad ogni muro, se stan così le cose dei buffoni sia il futuro. Son quelli che distinguono parole da parole e sanno sceglier fra Mercuzio e Mina, che fanno i giocolieri fra la verità e le mode, i Franti che sghignazzano a dottrina, che irridono ai proverbi e berceran disincantati: "Fra Mina e fra Mercuzio son parole, e non son frati".
E cade la pioggia e cambia ogni cosa la morte e la vita non cambiano mai non cambiano mai l'inverno è tornato l'estate è finita la morte e la vita rimangono uguali. Per fare un uomo ci voglion vent'anni per fare un bimbo un'ora d'amore per una vita migliaia di ore per il dolore è abbastanza un minuto. E verrà il tempo di dire parole quando la vita una vita darà e verrà il tempo di fare l'amore quando l'inverno più a nord se ne andrà. Poi andremo via come fanno gli uccelli che dove vanno nessuno lo sa ma verrà un tempo e quel cielo vedremo quando l'inverno dal nord tornerà. E cade la pioggia e cambia ogni cosa la morte e la vita non cambiano mai l'estate è passata l'inverno è alle porte la vita e la morte rimangono uguali.
Quando è tardi e per le strade scivolano sguardi di gente che ha solo fretta di tornare e i cinema si chiudono e i caffè si vuotano, per le strade, assieme al freddo e ai tristi canti opachi sono rimasti gli ultimi ubriachi, un ciondolare stanco, verso il nuovo bianco giorno che verrà. Si discute delle rivoluzioni mai vissute e degli amori fatti di bevute e di carriere morte nel bicchiere; nelle sere a gambe aperte e con il mondo in mano, cantando mentre pisciano lontano come se fosse in faccia all'universo. E li vedi, girare lenti, strascicando i piedi, parlare forte a tutti od a nessuno o piangere aggrappati ai muri, stanchi e addormentati. L'ora vola, e il vino amico o li ammazza o li consola e il vino li fa vivere o morire e la tristezza solita o li uccide o se ne va. E li vedi, girare lenti strascicando i piedi, figure strane, sogni a cui non credi, stagliarsi contro il cielo che si imbianca; nella stanca mattina, che si riempie giè di vita, piangendo un'altra notte che è finita, attendere, non sai dove, quando il buio tornerà.
Ma che piccola storia ignobile che mi tocca raccontare così solita e banale come tante che non merita nemmeno due colonne su un giornale o una musica, o parole un po' rimate che non merita nemmeno l'attenzione della gente quante cose più importanti hanno da fare se tu te la sei voluta a loro non importa niente te l'avevan detto che finivi male. Ma se tuo padre sapesse qual è stata la tua colpa rimarrebbe sopraffatto dal dolore uno che poteva dire: "Guardo tutti a testa alta" immaginasse appena il disonore lui, che quando tu sei nata mise via quella bottiglia per aprirla il giorno del tuo matrimonio ti sognava laureata, era fiero di sua figlia se solo immaginasse la vergogna se solo immaginasse la vergogna se solo immaginasse la vergogna. E pensare a quel che ha fatto per la tua educazione buone scuole, e poca e giusta compagnia allevata nei valori di famiglia e religione di ubbidienza, castità, e di cortesia dimmi allora quel che hai fatto chi te l'ha mai messo in testa o dimmi dove e quando l'hai imparato che non hai mai visto in casa una cosa men che onesta e di certe cose non si è mai parlato e di certe cose non si è mai parlato e di certe cose non si è mai parlato. E tua madre, che da madre qualche cosa l'ha intuita e sa leggere da madre ogni tuo sguardo devi chiederle perdono, dire che ti sei pentita che hai capito, che disprezzi quel tuo sbaglio però come farai a dirle che nessuno ti ha costretta o dirle che provavi anche piacere questo non potrà capirlo, perché lei, da donna onesta l'ha fatto quasi sempre per dovere l'ha fatto quasi sempre per dovere l'ha fatto quasi sempre per dovere. E di lui non dire male, sei anche stata fortunata in questi casi, sai, lo fanno in molti sì, lo so, quando lo hai detto, come si usa ti ha lasciata ma ti ha trovato l'indirizzo e i soldi poi ha ragione, non potevi dimostrare che era suo e poi non sei neanche minorenne ed allora questo sbaglio è stato proprio tutto tuo noi non siamo perseguibili per legge noi non siamo perseguibili per legge noi non siamo perseguibili per legge. E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo desiderando quasi di morire presa come un animale macellato stavi urlando ma quasi l'urlo non sapeva uscire e così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi davvero sola fra le mani altrui e pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi di tuo padre, di tua madre e anche di lui di tuo padre, di tua madre e anche di lui di tuo padre, di tua madre e anche di lui. Ma che piccola storia ignobile sei venuta a raccontarmi non vedo proprio cosa posso fare dirti qualche frase usata per provare a consolarti o dirti: "è fatta ormai, non ci pensare" è una cosa che non serve a una canzone di successo non vale due colonne sul giornale se tu te la sei voluta cosa vuoi mai farci adesso e i politici han ben altro a cui pensare e i politici han ben altro a cui pensare e i politici han ben altro a cui pensare.
Di antichi fasti la piazza vestita grigia guardava la nuova sua vita come ogni giorno la notte arrivava frasi consuete sui muri di Praga Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita quando la fiamma violenta ed atroce spezzò gridando ogni suono di voce Son come falchi quei carri appostati e corron parole sui visi arrossati corre il dolore bruciando ogni strada e lancia grida ogni muro di Praga Quando la piazza fermò la sua vita sudava sangue la folla ferita quando la fiamma col suo fumo nero lasciò la terra e si alzò verso il cielo Quando ciascuno ebbe tinta la mano quando quel fumo si sparse lontano Janus ancora sul rogo bruciavo all'orizzonte del cielo di Praga Dimmi, chi sono quegli uomini lenti coi pugni stretti e con l'odio fra denti Dimmi, chi sono quegli uomini stanchi di chinare la testa e di andare avanti Dimmi chi era che il corpo portava la città intera che lo accompagnava la città intera che muta lanciava una speranza nel cielo di Praga Dimmi chi era che il corpo portava la città intera che lo accompagnava la città intera che muta lanciava una speranza nel cielo di Praga una speranza nel cielo di Praga una speranza nel cielo di Praga
E guardo fuori dalla finestra e vedo quel muro solito che tu sai, sigaretta o penna nella mia destra, simboli frivoli che non hai amato mai; quello che ho addosso non ti è mai piaciuto, racconto e dico e ti sembro muto, fumare e scrivere ti suona strano, meglio le mani di un artigiano e cancellarmi è tutto quel che fai; ma io sono fiero del mio sognare, di questo eterno mio incespicare e rido in faccia a quel che cerchi e che mai avrai. Non sai che ci vuole scienza, ci vuol costanza, ad invecchiare senza maturità; ma maturo o meno io ne ho abbastanza della complessa tua semplicità; ma poi chi ha detto che tu abbia ragione, coi tuoi "also sprach" di maturazione o è un'illusione pronta per l'uso, da eterna vittima di un sopruso, abuso d'un mondo chiuso e fatalità; ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare, ma non raccontare a me solo cos'è la libertà. La libertà delle tue pozioni, di yoga, di erbe, psiche e di omeopatia, di manuali contro le frustrazioni, le inibizioni che provavi qua a casa mia, la noia data da uno non pratico, che non ha il polso di un matematico, che coi motori non ci sa fare e che non sa neanche guidare, un tipo perso dietro le nuvole e la poesia; ma ora scommetto che vorrai provare quel che con me non volevi fare: fare l'amore, tirare tardi, o la fantasia. La fantasia può portare male se non si conosce bene come domarla, ma costa poco, val quel che vale, e nessuno ti può più impedire di adoperarla; io se dio vuole non son tuo padre, non ho nemmeno le palle quadre, tu hai la fantasia delle idee contorte, vai con la mente e le gambe corte poi avrai sempre il momento giusto per sistemarla; le vie del mondo ti sono aperte, tanto hai le spalle sempre coperte ed avrai sempre le scuse buone per rifiutarla. Per rifiutare sei stata un genio, sprecando il tempo a rifiutare me, ma non c'è un alibi, non c'è rimedio, se guardo bene no, non c'è un perché; nata di marzo, nata balzana, casta che sogna di esser puttana, quando sei dentro vuoi esser fuori cercando sempre i passati amori ed hai annullato tutti fuori che te, ma io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai gettato l'ieri, persa a cercare per sempre quello che non c'è.
La casa sul confine della sera oscura e silenziosa se ne sta respiri un'aria limpida e leggera e senti voci forse di altra eta La casa sul confine dei ricordi, la stessa sempre, come tu la sai e tu ricerchi là le tue radici se vuoi capire l'anima che hai. Quanti tempi e quante vite sono scivolate via da te, come il fiume che ti passa attorno; tu che hai visto nascere e morire gli antenati miei, lentamente, giorno dopo giorno; ed io l'ultimo ti chiedo se conosci in me qualche segno, qualche traccia di ogni vita, o se solamente io ricerco in te risposta ad ogni cosa non capita. Ma è inutile cercare le parole, la pietra antica non emette suono, o parla come il mondo e come il sole, parole troppo grandi per un uomo. E te li senti dentro quei legami i riti antichi e i miti del passato e te li senti dentro come mani ma non comprendi più il significato. Ma che senso esiste in ciò che è nato dentro ai muri tuoi tutto è morto e nessuno ha mai saputo o solamente non ha senso chiedersi io più mi chiedo e meno ho conosciuto. Ed io l'ultimo ti chiedo se così sarà per un altro dopo che vorrà capire e se l'altro dopo qui troverà il solito silenzio senza fine. La casa è come un punto di memoria le tue radici danno la saggezza e proprio questa è forse la risposta e provi un grande senso di dolcezza.
Samantha scende le scale di un policentro attrezzato comunale, 30 anni e poi l'appartamento sarà suo, o meglio, dei suoi genitori che ogni mese devono strappare il mutuo da uno stipendio da fame ma Milano è tanto grande da impazzire e il sole incerto becca di sguincio, in questa domenica d'aprile, ogni pietra, ogni portone ed ogni altro ammennicolo urbanistico ma Samantha saltella, non sa d'avere lunghe gambe da cervo e il seno, come si dice, in fiore, teso, sopra a un corpo ancora acerbo e Samantha, Samantha ancora non sa d'avere un destino da modella e corre allegra lungo i graffiti osceni delle scale quasi donna, quasi bella. E fuori: Milano muore di malinconia, di sole che tramonta là in periferia, di auto del ritorno, famiglie, freni e gas di scarico. Lontano il centro è quasi un altro mondo, San Siro un urlo che non cogli a fondo, ti taglia un senso vago di infinito panico. Spunta un gasometro dietro a muri neri, oziosi vagolano i tuoi pensieri e in aria il cielo è un qualchecosa viola carico. Andrea è giù nel cortile, jeans regolari e faccia da vinile, giacca a vento come dio comanda e legata al polso la bandana, un piede contro al muro e lì l'aspetta perchè vuol parlare, niente, forse d'amore ma non sa che dire, con le parole quasi lombarde che non sanno uscire e si accende rabbioso una Marlboro di alibi e si guardano di sbieco, appena un cenno istintivo di saluto ma a Samantha batte il cuore da morire mentre Andrea rimane muto; e lei ritornera con le M.S. per suo padre steso davanti a qualche canale e lui mediterà al bar dietro a una birra che la vita può far male. E Milano sembra che stia li a abbracciarsi quei due che non sapranno più parlarsi, solo sfiorarsi in un momento vago e via. Samantha presto cambierà quartiere per un destino che non sa vedere, Andrea diventerà padrone di una pizzeria. Ed io, burattinaio di parole, perchè mi perdo dietro a un primo sole, perchè mi prende questa assurda nostalgia ?
Ricordi? Le strade erano piene di quel lucido scirocco che trasforma una realtà abusata e la rende irreale, sembravano alzarsi le torri in un largo gesto barocco e in via dei Giudei volavano velieri, come in un porto canale. Tu, dietro al vetro di un bar impersonale, seduta a un tavolo da poeta francese, con la tua solita faccia aperta ai dubbi e un po' di rosso routine dentro al bicchiere; pensai d'entrare per stare insieme a bere e a chiaccherare di nubi. Ma lei arrivò affrettata, danzando nella rosa di un abito di percalle che le fasciava i fianchi, e cominciò a parlare, ed ordinò qualcosa, mentre nel cielo rinnovato correvano le nubi a branchi e le lacrime si unirono al latte di quel tè e le mani disegnavano sogni e certezze, ma io sapevo come ti sentivi schiacciato tra lei e quell'altra che non sapevi lasciare, tra i tuoi due figli e l'una e l'altra morale; come sembravi inchiodato. Lei si alzò , con un gesto finale, poi andò via, senza voltarsi indietro, mentre quel vento la riempiva di ricordi impossibili, di confusioni e immagini. Lui restò , come chi non sa proprio cosa fare, cercando ancora chissà quale soluzione, ma è meglio poi, un giorno solo da ricordare che ricadere in una nuova realtà sempre identica. Ora non so davvero dove lei sia finita, se ha partorito un figlio o come inventa le sere; lui abita da solo e divide la vita tra il lavoro, versi inutili e la routine di un bicchiere. Soffiasse davvero quel vento di scirocco e arrivasse ogni giorno per spingere a guardare dietro la faccia abusata delle cose, nei labirinti oscuri delle case, dentro lo specchio segreto di ogni viso .... dentro di noi.
La notte è quieta senza rumore c'è solo il suono che fa il silenzio e l'aria calda porta si apre di stelle e assenzio Le dita sfiorano le pietre calme calde di un sole memoria o mito il buio ha preso con sè le palme sembra che il giorno non sia esistito lo, la vedetta, l'illuminato guardiano eterno di non so cosa cerco, innocente o perchè ho peccato la luna ombrosa E aspetto immobile che si spanda l'onda di tuono che seguirà al lampo secco di una domanda la voce d'uomo che chiederà Shomèr ma mi-llailah Shomèr ma mi-lell Shomèr ma mi-lell Ma mi-llailah Sono da secoli, o da un momento in un vuoto in cui tutto tace non so più dire da quanto sento angoscia o pace Coi sensi tesi fuori dal tempo, fuori dal mondo sto ad aspettare che in un sussurro di voci o vento qualcuno venga per domandare E li avverto, radi come le dita, ma sento voci, sento un brusio e sento d'essere l'infinita eco di Dio E dopo innumeri come sabbia, ansiosa e anonima oscurità ma voce sola di fede o rabbia, notturno grido che chiederè Shomèr ma mi-llailah Shomèr ma mi-lell Shomèr ma mi-lell Ma mi-llailah "La notte, udite, sta per finire ma il giorno ancora non è arrivato sembra che il tempo nel suo fluilre resti inchiodato... Ma io veglio sempre, perciò insistete, voi lo potete ridomandate, tornate ancora se volete, non vi stancate" Cadranno i secoli, gli dei e le dee, cadranno torri cadranno regni e resteranno di uomini e di idee, polvere e segni Ma ora capisco il mio non capire, che una risposta non ci sarà che la risposta per l'avvenire è in una voce che chiederà Shomèr ma mi-llailah...
Ma che cosa c'è in fondo a quest'oggi di mezza festa e di quasi male, di coppie che passano sfilacciate come garze stese contro il secco cielo autunnale, di gente che si frantuma in un fiato senza soffrire, senza capire tra addormentarsi e morire. Ma che cosa c'è in fondo a questa notte, quando l'ora del lupo guaisce e il nuovo giorno non arriva mai e il buio è un fischio lontano che non finisce; di minuti lunghi come il sudore di ore che tagliano come falci e i tuoi pensieri solo un cane in chiesa che tutti prendono a calci. Ma cosa c'è, cosa c'è... atrii a piastrelle di stazioni secondarie, strade più strade di avventure solitarie, clown della notte, valigie vuote, piene di trucchi per tragedie immaginarie... telecomandi per i quotidiani inferni, battute argute di architetti postmoderni, amanti andate, piaceri a rate, pallottolieri per contare estati e inverni. Ma cosa c'è proprio in fondo in fondo, quando bene o male faremo due conti, e i giorni goccioleranno come i rubinetti nel buio e diremo "...un momento... aspetti..." per non essere mai pronti; signora Bovary, coraggio pure, tra gli assassini e gli avventurieri... in fondo a quest'oggi c'è ancora la notte, in fondo alla notte c'è ancora, c'è ancora...
Statale 17, il sole cade a picco tre giorni sulla strada, nessuno che mi carichi nessuno che si fermi mentre tu così Lontana sei mentre qui l'asfalto che si scioglie brucia i tacchi alle mie scarpe sono a terra senza un soldo chissà mai se arriverò da te. Statale 17 com'è lunga da far tutta romba svelto l'autotreno questo cielo ancor sereno sembra esplodere d'estate mentre tu chissà se pensi a me mentre qui mi sento solo al mondo senza un cane che mi cerchi son sudato e sono sporco chissà mai se arriverò da te. Statale 17 sembri esplodere di sole Statale 17 alzo il dito inutilmente Statale 17 lungo nastro di catrame la gente bene dorme sei deserta all'orizzonte a quest'ora non c'è un cane che mi voglia prender su. Statale 17 sei triste nella sera non alzo più la mano cammino piano piano sulla strada ormai deserta mentre tu chissà se aspetti ancora mentre qui la strada che si perde sembra un letto di cemento sono mortalmente stanco chissà mai se arriverò da te.
Ma guarda quante stelle questa sera fino alla linea curva d'orizzonte, ellissi cieca e sorda del mistero là dietro al monte ; si fingono animali favolosi, pescatori che lanciano le reti, re barbari o cavalli corridori lungo i pianeti e sembrano invitarci da lontano per svelarci il mistero delle cose o spiegarci che sempre camminiamo fra morte e rose o confonderci tutto e ricordarci che siamo poco, che non siamo niente e che è solo un pulsare illimitato ma indifferente. Ma guarda quante stelle su nel cielo sparse in incalcolabile cammino ; tu credi che disegnino la traccia del destino ? e che la nostra vita resti appesa a un nastro tenue di costellazioni per stringerci in un laccio e regalarci sogni e visioni, tutto sia scritto in chiavi misteriose, effemeridi che guidano ogni azione, lasciandosi soltanto il vano filtro dell'illusione e che l'ambiguo segno dei Gemelli governi il corso della mia stagione scontrandosi e incontrandosi nel cielo dello Scorpione ? Ma guarda quante stelle sterminate : che senso avranno mai ? Che senso abbiamo ? Sembrano dirci in questa fine estate : siamo e non siamo e che corriamo come il Sagittario tirando frecce a simboli bastardi, antiche bestie, errore visionario, segni bugiardi. C'erano ancora prima del respiro, ci saranno alla nostra dipartita, forse fanno ballare appesa a un filo la nostra vita e in tutto quel chiarore sterminato, dove ogni lontananza si disperde, guardando quel silenzio smisurato l'uomo si perde.
Coppia che sta silenziosa, un po' rigida e in posa, a ballare, una sera: la vita è solo una cosa rimasta indietro non c'è più ma c'era; composta e indomenicata, eleganza sfuocata raggiunta a fatica l'oggi ha cambiato facciata, ma di quell'ieri passato io so che tante ne potreste raccontare, e il ricordo stempera e non guasta, quante cose e facce da narrare che come si dice un romanzo non basta, nate con un rapido: 'a domani', continuate in giorni di 'si' e 'no' lampi sotto cieli suburbani e raffica il tango che vi presentò. Lui biella, stantuffo, leva, muscoli, grinta, officina, sole, lei quiete, chitarra, vela, segreti, donna, calore, viole, lui bar, alcol ,nicotina, capelli indietro, cravatta, bici, lei ràion, lei signorina, la permanente coi ricci. Coppia di fronte a bianchino, anonimo vino frizzante anidride: la vita che buffa cosa, ma se lo dici nessuno ride. Coppia legata dai giorni, partenze e ritorni, fortezza e catena, datemi i vostri ricordi, ditemi che ne valeva la pena. Ora le luci son spente, sta uscendo la gente, saluti e rumore, ditemi che avete in mente, come una volta, di fare l'amore, quello che è stato un segreto di un prato o di un greto, del buio d'un viale, quel gioco ardente e discreto, d'allora sempre diverso ed uguale... chi lo sa se ciò che è da cercare, ciò che non sai mai se vuoi o non vuoi, sia così banale da trovare, sia lungo ogni strada, sia a fianco di noi, perso in tante scatole di odori, angoli e tendine che non so impronte di paesaggi e di colori, manciata di un tango che vi accompagnò. Lui... Lei, lei...
Ti ricordi quei giorni? Uscimmo dopo le canzoni per camminare piano. Ti ricordi quei giorni? Gli amici bevevano vino, qualcuno parlava e rideva, noi quasi lontano, vicino a te vicino a me e ci parlammo, ognuno per lasciare qualcosa, per avere qualcosa, per creare qualcosa. Ti ricordi quei giorni? I tuoi occhi si incupivano, il tuo viso si arrossava e ti stringevi a me nella mia stanza (quasi un respiro) e mi dicesti: Basta... perchè non voglio guardarti... perchè ho paura ad amarti..." e dicesti, e dicesti, e dicesti... Le tue parole quasi io non ricordo più e nemmeno tu ricordi niente. Ora dove sei, e che gente vede il tuo viso e ascolta le tue parole leggere, le tue sciocchezze leggere, le tue lacrime leggere, come una volta? Che cosa dici ora quando qualcuno ti abbraccia e tu nascondi la faccia, e tu alzi fiera la faccia e guardi diritto in faccia come allora? Qui un poco piove, un poco il sole; aspettiamo ogni giorno che questa estate finisca che ogni incertezza svanisca... e tu? Non ricordo più che voce hai. Che cosa fai? lo non credo davvero che quel tempo ritorni ma ricordo quei giorni...
Vedi cara è difficile spiegare, è difficile parlare dei fantasmi di una mente. Vedi cara tutto quel che posso dire è che cambio un po' ogni giorno e che sono differente. Vedi cara certe volte sono in cielo come un aquilone al vento che poi a terra ricadrà. Vedi cara è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già. Vedi cara certe crisi son soltanto segni di un qualcosa dentro che sta urlando per uscire. Vedi cara certi giorni sono un anno certe frasi sono un niente che non serve più capire. Vedi cara le stagioni ed i sorrisi son denari che van spesi con dovuta proprietà. Vedi cara è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già. Non capisci quando cerco in una sera un mistero di atmosfera che è difficile afferrare. Quando rido senza muovere il mio viso quando piango senza un grido quando invece vorrei urlare. Quando sogno dietro a frasi di canzoni, dietro a libri e ad aquiloni dietro a ciò che non sarà. Vedi cara è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già. Non rimpiango tutto quello che mi hai dato che son io che l'ho creato e potrei rifarlo ora. Anche se tutto il mio tempo con te non dimentico perché questo tempo dura ancora. Non cercare in un viso la ragione, in un nome la passione che lontano ora mi fa. Vedi cara è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già. Tu sei molto anche non sei abbastanza e non vedi la distanza che è fra i miei pensieri e i tuoi. Tu sei tutto ma quel tutto è ancora poco tu sei paga del tuo gioco ed hai gia quello che vuoi. Io cerco ancora e così non spaventarti quando senti allontanarmi fugge il sogno, io resto qua. Sii contenta della parte che tu hai ti do quello che mi dai di chi è la colpa non si sa. Cerca dentro per capir quello che sento per sentir che ciò che cerco non è il nuovo, libertà. Vedi cara è difficile spiegare, è difficile capire se non hai capito già.
Venerdì Santo prima di sera c'era l'odore di primavera Venerdì Santo le chiese aperte mostrano in viola che Cristo è morto Venerdì Santo piene d'incenso sono le vecchie strade del centro o forse è polvere che in primavera sembra bruciare come la cera Venerdì Santo stanchi di gente siamo in un buio fatto di niente Venerdì Santo anche l'amore sembra languore di penitenza Venerdì Santo muore il Signore tu muori amore fra le mie braccia poi viene sera resta soltanto dolce un ricordo Venerdì Santo.
Venezia che muore, Venezia affacciata sul mare, la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi Venezia la vende ai turisti, che cercano in mezzo alla gente l'Europa o l'Oriente che guardano alzarsi alla sera il fumo - o la rabbia - di Porto Marghera. Stefania era bella, Stefania non stava mai male ma è morta di parto gridando in un letto sudato di un grande ospedale Aveva vent'anni, un marito, e l'anello nel dito mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro inciampava nei denti. Venezia è una albergo, San Marco è senz'altro anche il nome di una pizzeria, la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra. Stefania d'estate giocava con me nelle vuote domeniche d'ozio. Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio. Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare Però non ti puoi risvegliare con l'acqua alla gola, e un umore al livello del mare Il Doge ha cambiato di casa, e per mille finestre C'è solo il vagito di un bimbo che è nato, c'è solo La sirena di Mestre Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa Novella Duemila e una rosa sul suo comodino. Stefania ha lasciato un bambino. Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male, vederla morire ammazzata, morire da sola in un grande ospedale. Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega. Stefania, un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il suo destino può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti.
Fra "krapfen" e "boiate" le ore strane son volate grasso l'autobus m'insegue lungo il viale e l'alba è un pugno in faccia verso cui tendo le braccia scoppia il mondo fuori porta San Vitale in via Petroni si svegliano, preparano libri e caffè e io danzo con Snoopy e con Linus un tango argentino col caschè . (Se fossi più gatto, se fossi un po' più vagabondo vedrei in questo sole, vedrei dentro l'alba e nel mondo ma c'è da sporcarsi il vestito e c'è da sgualcire il gilè che mamma mi trovi pulito qui all'alba in via Paolo Fabbri 43). I genii musicali preannunciati dai giornali hanno officiato e i sacri versi hanno cantati le elettriche impazziscono, sogni e malattie guariscono, son poeti, santi taumaturghi e vati con gioia e tremore li seguo dal fondo della mia città poi chiusa la soglia do sfogo alla mia turpe voglia ascolto Bach, (Se solo affrontassi la mia vita come la morte avrei clown, giannizzeri e nani a stupir la tua corte ma voci imperiose mi chiamano e devo tornare perchè ho un posto da vecchio giullare, qui, in via Paolo Fabbri 43). Gli arguti intellettuali trancian pezzi e manuali, poi stremati fanno cure di cinismo, son pallidi nei visi e hanno deboli sorrisi solo se si parla di strutturalismo in fondo mi sono simpatici da quando ho incontrato Descartes ma pensa se le canzonette me le recensisse Roland Barthes. (Se fossi accademico, fossi maestro o dottore ti insignirei in toga di i 5 lauree ad honorem ma a scuola ero scarso in latino e il "pop" non è fatto per me ti diplomerò in canti e in vino qui in via Paolo Fabbri 43). Jorge Luis Borges mi ha promesso l'altra notte di parlar personalmente col "persiano" ma il cielo dei poeti è un po' affollato in questi tempi, forse avrò un posto da usciere o da scrivano dovrò lucidare i suoi specchi trascriver quartine a Kayyam ma un lauro, (da genio minore) per me, sul suo onore non mancherà. (Se avessi coraggio, se aprissi del tutto le porte farei fuochi greci e girandole per la tua fronte ma sai cosa io pensi del tempo e lui cosa pensa di me sii saggia come io son contento qui in via Paolo Fabbri 43). La piccola infelice si è incontrata con Alice ad un summit per il canto popolare Marinella non c'era, fa la vita in balera, ed ha altro per la testa a cui pensare ma i miei ubriachi non cambiano soltanto ora bevon di più e il frate" non certo la smette per fare lo speaker in TV. (Se fossi poeta, se fossi più bravo e più bello avrei nastri e gale francesi per il tuo cappello ma anche i miei eroi sono poveri si chiedono troppi perchè già sbronzi al mattino mi svegliano urlando in via Paolo Fabbri 43). Gli eroi su Kawasaki coi maglioni colorati van scialando sulle strade bionde e fretta personalmente austero vesto in blu perchè odio il nero e ho paura anche di andare in bicicletta scartato alla leva del jet-set non piango, ma compro le Clark se devo emigrare in America come mio nonno prendo il tram. (Se tutto mi uscisse, se aprissi del tutto i cancelli farei con parole ghirlande da ornarti i capelli ma madri e morali mi chiudono ritorno a giocare da me do un party, con gatti e poeti, qui all'alba in via Paolo Fabbri 43).
Vorrei conoscer l'odore del tuo paese, camminare di casa nel tuo giardino, respirare nell'aria sale e maggese, gli aromi della tua salvia e del rosmarino. Vorrei che tutti gli anziani mi salutassero parlando con me del tempo o dei giorni andati, vorrei che gli amici tuoi tutti mi parlassero come se amici fossimo sempre stati. Vorrei incontrare le pietre, le strade, gli usci, i ciuffi di parietaria attaccati ai muri, le strisce delle lumache nei loro gusci, capire i giochi di sguardi dietro agli scuri e lo vorrei perché non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei, ed io... Vorrei con te da solo sempre viaggiare, scoprire quello che intorno c'è da scoprire per raccontarti e poi farmi raccontare il senso di un rabbuiarsi e del tuo gioire; vorrei tornare nei posti dove son stato, spiegarti di quanto tutto sia poi diverso per farmi da te spiegare cos'è cambiato e quale sapore nuovo abbia l'universo. Vedere di nuovo Istanbul o Barcellona o il mare di una remota spiaggia cubana o un greppe dell'appennino dove risuona fra gli alberi un'usata e semplice tramontana e lo vorrei perché non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei, ed io... Vorrei restare per sempre in un posto solo per ascoltare il suono del tuo parlare e guardare stupito il lancio, la grazia, il volo impliciti dentro al semplice tuo camminare e restare in silenzio al suono della tua voce o parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso dimenticando il tempo troppo veloce o nascondere in due sciocchezze che son commosso. Vorrei cantare il canto delle tue mani, giocare con te un eterno gioco proibito che l'oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere all'infinito. e lo vorrei perché non sono quando non ci sei e resto solo coi pensieri miei, ed io...