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Onde stazionarie: miti e realtà

- versione del 4/11/2008 -  

 

1. SCOPO

Questa pagina web si prepone l'obiettivo di illustrare, con un certo dettaglio ma senza impiego di formule ostiche, cosa comporti la presenza di onde stazionarie sulla linea di trasmissione (ovvero sul cavo coassiale, sulla piattina od su altro mezzo di trasporto dell'energia RF), mettendo in luce degli aspetti che spesso non vengono approfonditi, quali le implicazioni delle impedenze non puramente resistive, che presentino cioè anche una certa reattanza.

Per una corretta comprensione degli argomenti qui discussi è chiaramente necessario avere qualche conoscenza di base sulle linee di trasmissione.

E’ importante tener presente che, in quanto sotto esposto, si fà sempre riferimento a componenti IDEALI, che si comportino cioè esattamente secondo i modelli matematici che li descrivono.

Inoltre, onde semplificare la discussione, si è costantemente fatta l'assunzione che la linea di trasmissione considerata sia anch'essa ideale, ovvero NON ABBIA PERDITE ed abbia quindi un'impedenza caratteristica puramente resistiva, pari in particolare a 50 Ohm (assunzione che ben si addice ai moderni cavi coassiali a bassa perdita). Peraltro nel par. 9 vengono presentate alcune considerazioni al riguardo delle linee non ideali (ovvero quelle che si ha a che fare in pratica), le quali invece attenuano il segnale in misura più o meno elevata in funzione del loro tipo e della frequenza di lavoro.

Per chi non ricordi bene come si relazionino impedenze, resistenze e reattanze, menziono quanto segue.

 Nel seguito un'impedenza di valore Z= 50 + j30 ohm verrà indicata come [R= 50 X= 30].

 

 

2. EFFETTI PRATICI DEL ROS

Fino ai primi anni 60, quando ancora venivano usati fili, piattine e scalette come linee di trasmissione, pochi sapevano cosa fosse il Rapporto di Onda Stazionaria (ROS), ed ancor meno si preoccupavano di verificare che il ROS non superasse di troppo il valore ottimale (cioè 1). Con il successivo largo impiego dei cavi coassiali e con l'apparire sul mercato dei misuratori di ROS (o di ROS e potenza RF), l’interesse dei radioamatori per il ROS è andato rapidamente crescendo, finchè si è giunti alla situazione odierna nella quale si registra un’elevata attenzione, talvolta esagerata, per il fenomeno delle onde stazionarie. Purtroppo, sia perchè la tematica non è di facile comprensione da parte di chi non abbia una preparazione tecnica specifica, sia a causa di coloro che vanno inconsapevolmente scrivendo in giro cose inesatte, il ROS viene oggi comunemente percepito come un malanno al quale possano essere imputate molte delle spiacevoli situazioni che talvolta si manifestano nel corso dell’attività radiantistica (TVI e disturbi vari, distruzione dei transistors finali, ecc.). Per non parlare poi dei rimedi fantasiosi che vengono talvolta proposti per ridurre il ROS, quali tagliare la linea di discesa a multipli di mezza lunghezza d’onda, mettere anelli di ferrite sulla linea, ecc.

Ricordiamo, se ce ne fosse ancora bisogno, che la presenza di onde stazionarie sulla linea (ovvero ROS>1) comporta SOLAMENTE tre effetti, e non altro:

1. Diminuzione della potenza emessa dall'apparato: quando il ROS sia >1 il trasmettitore, per il solo fatto di vedere un’impedenza di carico diversa da quella per cui è progettato (ovvero 50 Ohm puramente resistivi), non eroga la massima potenza RF che sarebbe altrimenti in grado di fornire (vedi par. 6, Figura 13). A ciò si aggiunge il fatto che, quando il ROS diventi significativo, entra in gioco il circuito di protezione del trasmettitore (Automatic Power Control - APC), che limita la potenza RF erogabile allo scopo di salvaguardare i transistors finali da una possibile avaria (vedi ancora par. 6). Ove non sia possibile abbassare in qualche modo il ROS (interponendo ad esempio un accordatore tra antenna e linea di discesa, cosa peraltro non sempre agevole) la riduzione della potenza RF di uscita può essere comunque evitata inserendo un accordatore tra la discesa e l'apparato, il quale, se pur non riduce il ROS, permette almeno di far vedere al trasmettitore un carico adattato, ovvero con impedenza [R= 50 X= 0]. Fortunatamente tale accordatore è oggi spesso integrato nei ricetrasmettitori.

2. Diminuzione della potenza applicabile alla linea: quando il ROS sia >1, non sarà possibile applicare alla linea la potenza RF massima dichiarata dal costruttore. Infatti, mentre quando il ROS= 1 la tensione risulta costante lungo la linea (trascurando le perdite della stessa, come già detto), quando il ROS sia invece >1 si riscontra in certi tratti della linea una tensione RF superiore a quella che si avrebbe con ROS= 1 a parità di potenza RF applicata, e peraltro una tensione inferiore in altri tratti della linea (il tipico andamento sinusoidale del valore di picco della tensione RF lungo la linea è mostrato in Figura 17 nel caso di ROS= 3). Stessa situazione vale per la corrente. E' proprio la presenza di tratti di linea in cui si manifestano sovratensioni e sovracorrenti che impone di non applicare alla linea la massima potenza di targa, onde evitare che in quei tratti si superino i valori massimi ammissibili di tensione e di corrente.

3. Aumento dell'attenuazione della linea: quando il ROS sia >1, l'attenuazione della linea risulta essere più elevata di quella che si riscontra con ROS= 1. Attenzione però, perchè l'aumento percentuale dell'attenuazione dipende significativamente da quanto è alta l'attenuazione propria della linea in termini assoluti. In altre parole, per un linea che presenti perdite intrinsecamente basse (alla frequenza di lavoro), l’aumento di attenuazione causato dal ROS sarà generalmente molto modesto. La dipendenza tra aumento dell'attenuazione e ROS è quantificata in Figura 20. Ai fini pratici, il problema dell'attenuazione addizionale causata dal ROS si presenta in maniera significativa solo nelle bande VHF ed UHF, ove le linee hanno generalmente delle attenuazioni intrinseche abbastanza elevate. 

Quanto detto vale per le applicazioni a banda stretta, quali tipicamente sono quelle radioamatoriali. Per le applicazioni a banda larga, tipiche del campo professionale, entrano in gioco anche altre questioni (echi ed altro), che però qui ometto di citare.

 

 

3. RELAZIONE TRA L'IMPEDENZA DELL'ANTENNA ED IL ROS

Brevemente, alcune convenzioni qui adottate per le tensioni ed alle correnti alternate:

Passando ora a considerare le linee di trasmissione, quando qui si parli di "tensione" o di "corrente" in un certo punto della linea ci si riferisce normalmente alla tensione od alla corrente effettivamente presenti in quel punto, le quali vengono identificate con i simboli Ve ed Ie. Si tratta chiaramente di grandezze vettoriali, nel senso che vengono ciascuna identificata da un ampiezza e da una fase.

Come spiegato nell'Appendice 1, è anche alternativamente possibile adottare un diverso modello della realtà secondo il quale la Ve viene vista, in ogni punto della linea, come somma vettoriale di due tensioni, le cosidette "tensione diretta" Vd e "tensione riflessa" Vr. Stessa cosa per le correnti Id ed Ir. Ma nella discussione che segue faremo normalmente riferimento alle sole Ve ed Ie.

Fatto da tenere costantemente ben presente è il fatto che, per una linea senza perdite (assunzione che è alla base di tutta questa discussione), il ROS presente sulla linea dipende ESCLUSIVAMENTE dall’impedenza dell’antenna. QUALUNQUE altra cosa si faccia (al di là di accordare l'antenna stessa), come variare la lunghezza della linea, porre un’accordatore in stazione, ecc. non può in alcun caso comportare un cambiamento del ROS.

Ciò premesso consideriamo i tre casi possibili:

 

1. L’antenna presenta un'impedenza adattata al cavo, ovvero [R= 50 X= 0]

In queste condizioni si ha notoriamente ROS= 1. La tensione Ve e la corrente Ie risultano costanti in ogni punto della linea, le loro ampiezze sono legate dalla relazione Ve/Ie= 50 e la loro differenza di fase è ovunque nulla. L’impedenza vista dall'apparato risulta quindi indipendente dalla lunghezza del linea ed è sempre pari a [R= 50 X= 0].

 

2. L’antenna presenta un'impedenza non adattata ma puramente resistiva. ovvero essa è [R> 50 X= 0] oppure [R< 50 X= 0]

In questo caso il ROS, che risulta essere comunque >1, va così calcolato:

A titolo di esempio si cita come la condizione ad es. ROS= 3 si possa ottenere sia con un'impedenza d'antenna [R= 150 X= 0] che per [R= 16,66 X= 0]. E' importante tenere a mente che, per il caso in esame (ovvero quello di antenne a reattanza nulla, X= 0), esistono sempre due valori di R che comportano lo stesso valore di ROS.

Vediamo ora come vari, in questo caso, l'impedenza lungo la linea.

A titolo di esempio riferiamoci al già citato caso di ROS= 3, con impedenza d'antenna pari a [R= 150 X= 0]. Le ampiezze di Ve ed Ie misurate sui i terminali dell'antenna sono quindi legati tra loro dalla relazione Ve/Ie= 150. Inoltre, avendo l'impedenza d'antenna componente reattiva nulla, in quel punto Ve ed Ie risultano essere in fase tra loro.

Non appena però ci si allontani dai terminali dell'antenna, muovendosi lungo la linea, si osserva come:

Pertanto l'impedenza vista dall'apparato presenterà ora (tranne che per particolari lunghezze di linea, come spiegato nel seguito):

La questione è discussa in maggior dettaglio nell'Appendice 1.

In Figura 1 viene visualizzata la variazione di impedenza lungo la linea per il caso in esame, ottenuta graficando le equazioni che governano il fenomeno.

Figura 1

Sull’asse x viene riportata la distanza elettrica dall'antenna lungo la linea (tenendo cioè anche conto del suo fattore di velocità) espressa in lunghezze d’onda (alla frequenza di lavoro). Sull’asse y sono invece riportati i valori delle componenti dell'impedenza, ovvero resistenza R e reattanza X, entrambi espressi in Ohm.

Chi voglia comprendere meglio perchè una linea si comporti in tal modo è invitato a leggere l' Appendice 2.

Nel punto all’origine degli assi (x= 0), corrispondente ai terminali dell'antenna, si ha ovviamente [R= 150 X= 0], in quanto questo è il valore di impedenza che l'antenna è stata quì assunta avere. Come previsto, l'impedenza varia man mano che ci si sposta dall'antenna, seguendo la curva blu (R) e quella rossa (X). Gli andamenti mostrati in Figura 1 confermano come l'impedenza vista dall'apparato vari fortemente con la lunghezza della linea. Tranne che a distanze particolari dall'antenna, la X risulterà essere non nulla, il che sta a significare come la Ve e la Ie sul connettore dell'apparato non risultino essere generalmente in fase tra loro.

Va peraltro osservato come, a distanze (elettriche) dall'antenna che siano multiple di mezza lunghezza d’onda (ovvero 0,5, 1, 1,5, ecc.), si ripresenti la stessa impedenza dell'antenna, ovvero [R= 150 X= 0]. La proprietà di "ripetere" l'impedenza è propria delle cosidette "linee a mezz'onda".

A distanze (elettriche) che corrispondano invece a multipli dispari di quarti di lunghezza d’onda (ovvero 0,25, 0,75, ecc.), si riscontra nuovamente una reattanza X= 0, ma la resistenza R assume ora l'altro valore che corrisponde a ROS= 3, ovvero 16,66 ohm. Si è quì in presenza della ben nota "trasformazione a quarto d’onda", che altro non fà che "scambiare" tra loro i due valori di R che corrispondono al vigente valore di ROS (cioè 150 ohm e 16,66 ohm, per ROS= 3). 

Per chi sia interessato alla formula della trasformazione in quarto d'onda riporto quanto segue (in Excel):

ove R è il valore di resistenza trasformato, A1 è l’impedenza caratteristica del linea (50 Ohm) e B1 è la resistenza dell’antenna (150 Ohm nel nostro esempio).

Un'osservazione finale nei riguardi di quanto sopra detto:

Per gli interessati riporto in formato Excel le equazioni da cui è possibile risalire ai grafici mostrati in Figura 1

ove R è la resistenza, X è la reattanza, A1 è la distanza elettrica dall'antenna (in lunghezze d'onda), B1 è l'impedenza caratteristica della linea (in Ohm) e C1 è la resistenza dell'antenna (in Ohm) che è qui assunta essere puramente resistiva.

Sempre rimanendo nell'ambito del caso qui considerato, cioè quello in cui l'impedenza posta all'estremità della linea sia puramente resistiva (ovvero con reattanza X= 0), passiamo ora ad esaminare le condizioni estreme, ovvero quelle in cui la R abbia valore nullo o infinito, condizioni che entrambi comportano ovviamente un ROS infinito.

La condizione di resistenza R nulla (ovvero di impedenza [R= 0 X= 0]) si manifesta quando l'estremità della linea, invece di essere connessa all'antenna, venga chiusa in corto circuito tramite un conduttore di lunghezza brevissima e resistenza R praticamente nulla, la cui induttanza possa anch'essa ritenersi virtualmente nulla (e così quindi anche la reattanza X). In tal caso si può quindi assumere che l'impedenza posta all'estremità della linea sia appunto [R= 0 X= 0].

La variazione dell'impedenza lungo la linea per questo caso è mostrata in Figura 2.

 Figura 2

Al variare della distanza dall'estremità della linea chiusa in corto, la resistenza R rimane costantemente nulla, mentre la reattanza X è soggetta a forti cambiamenti, assumendo valori negativi e positivi che variano da 0 a + infinito o - infinito:

In conclusione un tratto di linea posto in corto circuito può essere utilizzato come condensatore o come induttanza, il cui valore potrà essere regolato variando opportunamente la  lunghezza del tratto stesso. Attenzione però perchè il valore di capacità (o di induttanza) corrispondente ad un tratto di linea di determinata lunghezza varia con la frequenza di lavoro. In altre parole i condensatori (o le induttanze) realizzati tramite con linee sono frequency-dependent, al contrario dei dispositivi fisici che non lo sono.

Passando ora a considerare la condizione di R infinita (ovvero di impedenza [R= infinito X= 0]), detta condizione si manifesta quando l'estremità della linea, invece di essere connessa all'antenna, venga troncata di netto e lasciata aperta. La variazione dell'impedenza lungo la linea per questa situazione è mostrata nei grafici di Figura 3, che risultano identici a quella di Figura 2 se non per la traslazione orizzontale di un quarto di lunghezza d'onda. Va peraltro osservato come, quando R sia infinita, il valore di X diventa irrilevante, per cui la Figura 3 vale non solo per X= 0 ma per qualsiasi valore di X, compreso X= infinito.

Figura 3

Al variare della distanza dall'estremità, la resistenza R rimane costantemente nulla, mentre la reattanza X è soggetta a forti cambiamenti, assumendo valori negativi e positivi che variano da 0 a + infinito o - infinito:

 

3. L’antenna presenta un'impedenza qualsiasi (ovvero con componente reattiva X non nulla)

Si tratta ovviamente del caso più generale. Vediamo innanzitutto quale effetto produca la presenza di una reattanza X in serie alla resistenza R (è irrilevante se si tratti della X positiva di un'induttanza o della X negativa di un condensatore).

Incominciamo con il ROS.

In Figura 4 si fà riferimento ad un'antenna che abbia una componente resistiva R= 100 Ohm, ed una componente reattiva X variabile.

 Figura 4

Quando X= 0 si ricade nel caso prima esaminato, per cui il ROS è semplicemente pari a 100/50= 2. Man mano che X aumenta anche il ROS aumenta, secondo la legge (in formato Excel):

ove A1 è la resistenza dell'antenna (in Ohm), B1 è la reattanza dell'antenna (in Ohm) e C1 è l'impedenza caratteristica della linea (in Ohm).

Per comodità riporto anche le relazioni inverse (con i valori sempre espressi in Ohm):

- noti  ROS (A1), R (B1) e impedenza caratteristica (C1):

- noti ROS (A1), X (B1) e impedenza caratteristica (C1):

L'aumento del ROS con l'aumentare di X spiega il perchè si cerchi sempre di lavorare con antenne “risonanti”, cioè con antenne la cui impedenza abbia, alla frequenza di lavoro, componente reattiva X= 0  (in realtà, per i motivi spiegati al par. 8, il valore più basso di ROS talvolta non si ottiene alla frequenza a cui l'antenna risuona).

Passando ora ad esaminare l'andamento dell'impedenza lungo la linea quando l'antenna presenti un impedenza con X non nulla, consideriamo un'antenna che abbia ad esempio impedenza pari a [R= 30 X= 40], impedenza che, come è facile calcolare utilizzando le equazioni sopra riportate, provoca sulla linea lo stesso valore di ROS (= 3) che l'antenna comporterebbe se la sua impedenza avesse invece reattanza X= 0 e R= 150 Ohm (cioè l'impedenza relativa al grafico di Figura 1).

Sorge naturale la domanda se esista una qualche diversità tra gli andamenti dell'impedenza lungo la linea quando questa sia terminata su [R= 30 X= 40] oppure su [R= 150 X= 0], nonostante il ROS sia lo stesso nei due casi.

Per rispondere alla domanda, sono stati tracciati in Figura 5 i grafici che mostrano l'andamento dell'impedenza in funzione della distanza dall'antenna, per impedenza pari a [R= 30 X= 40].

Figura 5

E' evidente come i grafici di Figura 5 siano identici a quelli di Figura 1, tranne per il fatto che quelli di Figura 5 sono spostati a destra di 0,125 lunghezze d'onda rispetto a quelli di Figura 1. L'entità dello spostamento dipende chiaramente dalla particolare impedenza considerata; pertanto il valore di 0.125 determinato per il caso in considerazione va considerato come numero casuale.

Da quanto detto si può facilmente concludere come l'impedenza vista dall'apparato sia la stessa:

D'altra parte osservando la Figura 5 è immediato rilevare come alla distanza di 0,125 lunghezze d'onda si registri l'impedenza [R= 150 X= 0], ovvero proprio quella con riferimento alla quale sono stati derivati i grafici di Figura 1.

Si può quindi concludere come, ai fini pratici, abbia poca rilevanza se un prefissato valore di ROS sia conseguente ad un'impedenza d'antenna puramente resistiva (cioè con X= 0), oppure ad un'impedenza che abbia una componente reattiva X non nulla.

A questo punto vorrei sfatare il mito letto da qualche parte che, in presenza di ROS, variare la lunghezza della linea è equivalente ad interporre un'accordatore tra il trasmettitore e la linea stessa. Infatti:

In chiusura passiamo ad esaminare le varie situazioni che si vengono a creare quando all'estremità della linea venga posta un impedenza puramente reattiva (cioè con R= 0). E' importante osservare come, quando R= 0, il ROS sia comunque infinito, indipendentemente dal valore di X.

Al momento di considerare le due situazioni estreme che possono manifestarsi quando R= 0, ovvero X= 0 ed X infinito, ci accorgiamo che in realtà dette situazioni sono state gia discusse nell'ambito del caso precedente. Infatti

Rimane da considerare la situazione intermedia, cioè quella in cui si abbia R= 0 e X di valore qualsiasi. A titolo di esempio si è graficato in Figura 6 l'andamento dell'impedenza lungo la linea quando alla sua estremità venga posta l'impedenza [R= 0 X= -139], ovvero la linea sia chiusa su un condensatore che, alla frequenza di lavoro, abbia reattanza pari a 139 ohm.

Figura 6

E' immediato osservare come la Figura 6 sia identica, a parte una traslazione orizzontale, alle Figure 2 e 3.

Si può pertanto concludere in generale che quando all'estremità di una linea venga posta un'impedenza puramente reattiva (condensatore o induttanza) l'andamento dell'impedenza lungo la linea è lo stesso che si registra quando detta estremità venga invece chiusa in corto circuito o lasciata aperta. Valgono quindi le stesse considerazioni fatte per quei casi.

 

 

4. MISURA DEL ROS E DELLA POTENZA RF

Scopo di questo paragrafo è quello di comprendere i meccanismi alla base della misura del ROS e della potenza RF, anche nell'ottica di verificare se queste misure risultino influenzate dalla lunghezza della linea di trasmissione e/o da una componente reattiva X eventualmente presente nell'impedenza vista dal misuratore.

 

Cominciamo dalla misura del ROS.

Misurare il ROS senza ricorrere a soluzioni esotiche (ad es. linee fessurate) non è cosa concettualmente banale. Si tratta infatti di misurare un parametro, il ROS, che risulta confinato all'interno della linea di trasmissione e che non è pertanto direttamente misurabile se non stando ipoteticamente dentro la linea stessa. In altre parole un qualsiasi dispositivo che venga semplicemente connesso ad un estremo della linea (e si trovi quindi all'esterno della linea stessa) non può essere concettualmente in grado di effettuare una misura diretta del valore di ROS.

Quello che è possibile fare esternamente è di misurare tensione e corrente all'estremo della linea e quindi risalire da questi al valore di ROS che vige all'interno della linea stessa. Si tratta quindi di una misura indiretta, un po' come avviene per la temperatura: non essendo possibile misurare direttamente la temperatura di un oggetto, viene in pratica misurata una manifestazione della stessa. Per esempio, nel caso del termometro a mercurio, si misura la variazione della lunghezza della colonnina, e da questa si risale poi al valore di temperatura.

Che il compito del misuratore si ROS non sia semplice lo si comprende facilmente: mentre il risultato della misura di ROS non deve chiaramente cambiare se si varia la lunghezza del linea (il ROS è infatti indipendente da questa), le grandezze misurabili dal misuratore, ovvero Ve, Ie e fase tensione / corrente, variano invece fortemente in funzione della lunghezza della linea stessa, seguendo la variazione di impedenza (tipo quella mostrata nell'esempio di Figura 1).

Un metodo per risalire al ROS, partendo da tale terna di misure, sarebbe quello di utilizzare un processore che modellizzi le equazioni che legano le tre misure al valore di ROS vigente sulla linea. I comuni misuratori di ROS invece adottano generalmente dei circuiti molto più semplici, così semplici che potrebbero far sorgere il ragionevole dubbio se questi siano effettivamente in grado di misurare correttamente il ROS in ogni condizione, ovvero senza farsi influenzare dalla variazione che la terna di parametri misurati subisce lungo la linea (in dipendenza della variazione dell'impedenza al punto di misura).

In tema di possibili errori nella misura del ROS possono distinguersi tre categorie di errori che vanno ad assommarsi gli uni agli altri, ovvero:

Nel seguito non verranno considerate la seconda e la terza categoria di errori  in quanto questi, essendo fortemente dipendenti dalla particolare modalità realizzative del circuito del misuratore, dall'assemblaggio e dalla tipologia dei componenti utilizzati, mal si prestano ad una discussione che si prepone invece di avere validità generale.

Vi sono numerosi modi di realizzare un misuratore di ROS, ma la stragrande maggioranza di questi si basa sul principio di combinare in modo opportuno la misura della tensione presente sul misuratore stesso con quella della corrente che lo attraversa, adottando soluzioni che, rendendo dette misure indipendenti dalla frequenza (entro certi limiti), permettono quindi di realizzare dei misuratori che mantengono una buona precisione su di una banda piuttosto larga.

Sebbene esistano diversi circuiti basati sul principio generico sopra menzionato, il loro funzionamento è pressochè identico. Pertanto la discussione non perde di generalità ove si faccia riferimento ad un circuito particolare, quale quello di Figura 7 nella quale è mostrato lo schema (semplificato) di un misuratore che si avvale di due strumenti distinti, i quali, per motivi chiariti nel seguito, vengono rispettivamente denominati "diretta" e "riflessa". Le considerazioni qui esposte comunque non cambierebbero qualora si considerasse invece un misuratore a singolo strumento commutato.

 

Figura 7

Il principio su cui si basa la misura del ROS (e meglio spiegato successivamente) è il seguente:

  1. derivare, tramite il partitore Cx Cy, una tensione Vv proporzionale alla Ve presente nel punto della linea ove  è inserito il misuratore, e, tramite il trasformatore, una tensione Vc proporzionale alla corrente Ie che attraversa il misuratore;

  2. derivare, da dette tensioni Vv e Vc delle tensioni proporzionali alla "tensione diretta" Vd e "tensione riflessa" Vr presenti sulla linea, le quali, una volta rettificate dai diodi,  provocano lo scorrimento delle correnti continue Ia ed Ib nei due strumenti (cosa siano Vd e Vr viene spiegato nell'Appendice 1).

  3. adottare una procedura di misura, basata sulla simultanea regolazione di Ra e di Rb, tramite la quale lo strumento della riflessa venga a fornire un'indicazione proporzionale al rapporto di ampiezza Vr/Vd.

  4. infine mostrare direttamente il risultato della misura su di una scala tarata in ROS.

Esaminiamo ora meglio i quattro passi concettuali sopra elencati, facendo riferimento ad un misuratore di ROS che venga calibrato (in fabbrica) su una resistenza di riferimento pari a 50 ohm (visto che la stragrande maggioranza delle linee utilizzate per applicazioni di radiocomunicazioni ha proprio quel valore di impedenza caratteristica).

 

Passo 1: Vc e Vv.

Con riferimento Figura 7, si rileva come:

 

Passo 2: Vd ed Vr.

Ricordiamo innanzitutto alcune relazioni (vettoriali) che valgono per una linea con impedenza caratteristica di 50 Ohm (vedi Appendice 1):

Dalla Figura 7 è facile constatare come, qualunque sia la fase relativa tra Ve ed Ie, e tarando Cx in maniera tale che m= k*50:

Il circuito raggiunge quindi lo scopo di alimentare i diodi con  tensioni che siano in ogni caso proporzionali alle ampiezze di Vd ed a Vr.

Quando il misuratore venga chiuso su un carico puramente resistivo, ovvero [R= 50 X= 0], si ha chiaramente Ve= Ie*50. In tal caso, utilizzando le formule sopra riportate, è facile dimostrare come Vr=0.

 

Passo 3: rapporto Vr/Vd.

La deflessione dello strumento della diretta (la quale è legata alla corrente continua Ia che lo attraversa) dipende dalla tensione continua che si genera a valle di Da, la quale dipende a sua volta da Vd (vedi Passo 2),  dalla resistenza Ra e da quella propria dello strumento. Stesso discorso per lo strumento della riflessa (riferendoci ora a Db, Vr ed Rb).

Come anticipato, il misuratore è progettato in modo che le resistenze Ra e Rb siano variabili contemporaneamente, cioè mantengano lo stesso valore durante la variazione.

La procedura di misura è la seguente:

Quando il misuratore venga chiuso su un carico puramente resistivo, ovvero [R= 50 X= 0], dato che Vr=0 anche Vr/Vd= 0, e quindi lo strumento della riflessa non darà alcuna indicazione.

 

Passo 4: ROS

La scala dello strumento va tarata secondo la formula scalare ROS= (1+Vr/Vd)/(1-Vr/Vd).

La formula, graficata in Figura 8, conferma come quando il misuratore venga chiuso su un carico puramente resistivo, ovvero [R= 50 X= 0], dato che Vr=0 si otterrà l'indicazione ROS= 1.

Figura 8

In pratica, la scala del misuratore sarà un pò diversa da quella mostrata in Figura 8, dovendosi tener conto del fenomeno della soglia dei diodi. Tale fenomeno fà sì che, ad esempio, il valore ROS= 3 corrisponda ad una percentuale del fondo scala minore del 50%, come risulterebbe dalla formula.

A questo proposito si fa osservare come la presenza della citata soglia abbia diversa influenza sulla scala a seconda del valore assoluto dell'ampiezza di Vv e Vc, e quindi a seconda della potenza alla quale viene effettuata la misura. Pertanto la scala viene usualmente tracciata per un livello di potenza medio. Quando si effettui la misura ad un livello di potenza molto più basso o molto più alto, la precisione di misura ovviamente ne soffre.

E' possibile dimostrare come la misura del valore di ROS vigente sulla linea non vari secondo il particolare punto in cui si effettua la misura, o, in altre parole, in funzione dell'impedenza presente nel punto di misura.

 

Ed ora passiamo alla misura di potenza.

Il circuito di Figura 7 può anche essere utilizzato come wattmetro RF, ovvero come misuratore della potenza RF media  (Pe) erogata sulla linea ove sia presente una certa Ve ed Ie. Si ricorda come Pe= 0.5 * Ve*Ie*cos(a), ove a è lo sfasamento relativo tra Ve ed Ie.

Come spiegato nell' Appendice 1, la distribuzione di corrente e tensione lungo la linea può anche essere modellizzata come sovrapposizione di un "onda diretta" (Vd e Id) e di un "onda riflessa" (Vr e Ir).  In tal caso ha senso può aver interesse definire:

Si noti come la Pr abbia sempre valore negativo, fatto che sta a fisicamente significare come questa fluisca dall'antenna verso il trasmettitore (e non dal trasmettitore verso l'antenna come di norma).

La relazione che lega tra loro dette potenze è:

Ora bisogna tener presente che i wattmetri RF basati sul circuito di Figura 7 indicano la Pd e la Pr invece che direttamente la Pe, per cui quest'ultima va calcolata applicando la formula sopra riportata.

Più precisamente i Wattmetri indicano il valore assoluto della Pr (cioè |Pr|), senza evidenziarne il segno negativo. Ecco perchè, in pratica, si dice che Pe è pari alla differenza tra Pd e Pr, intendendosi in realtà che:

Per maggior chiarezza, riferiamoci al caso di un trasmettitore che stia erogando potenza su una linea sulla quale viga un ROS non unitario. Se ad esempio il Wattmetro indicasse:

allora vorrebbe dire che la RF media Pe è pari a 100W. In altre parole, occorre sempre ricordarsi di sottrarre la lettura della |Pr| da quella della Pd.

Al Passo 2 (vedi caso in cui il circuito di Figura 7 venga utilizzato come misuratore di ROS) si è visto come i diodi Da e Db vengano rispettivamente alimentati da tensioni proporzionali alle ampiezze di Vd e di Vr, e quindi anche proporzionali a RADQ(Pd) ed a RADQ(|Pr|). Pertanto anche le correnti Ia ed Ib che attraversano lo strumento della diretta e quello della riflessa saranno anch'esse proporzionali a RADQ(Pd) ed a RADQ(|Pr|), mentre il loro valore assoluto dipenderà da come vengono regolate Ra ed Rb.

In definitiva:

gli strumenti indicheranno direttamente i valori di Pd e di |Pr|.

Figura 9

In definitiva, come già accennato, la misura di Pe si effettua sottraendo alla misura di Pd (letta sullo strumento della diretta) la misura di |Pr| (letta sullo strumento della riflessa). Chiaramente se lo strumento è chiuso su [R= 50 X= 0], si ha |Pr| = 0 e quindi Pe= Pd.

Va ora anche osservato come, tramite le misure di Pd e di |Pr|, sia peraltro possibile effettuare una misura "indiretta" del ROS, utilizzando la formula (espressa in formato Excel):

ove A1 è pari alla |Pr| e B1 è pari alla Pd.

Oppure anche impiegando degli abachi, quali quello mostrato in Figura 10 (la "forward power" è la Pd, mentre la "reflected power" è la |Pr|),

Figura 10

A tal proposito, si rileva come sia prassi tarare i misuratori di potenza RF in maniera tale da ottenere valori di fondo scala diversi per la |Pr| e la Pd, tipicamente in rapporto 1 a 10 o 1 a 5. Ciò per poter poi meglio apprezzare i piccoli valori di |Pr| che si manifestano negli impianti in cui è presente un basso valore di ROS;

Come peraltro già detto per il caso in cui il circuito di Figura 7 sia utilizzato come misuratore "diretto" di ROS, la scala da utilizzare in pratica risulterà essere un pò diversa da quella della Figura 9, al fine di tener conto del fenomeno della soglia dei diodi. La discrepanza sarà maggiore o minore in funzione del valore di potenza di fondo scala prescelto, per cui la scala dello strumento della Pd risulterà tipicamente un po' diversa da quella dello strumento della |Pr|. Questo spiega perchè nei misuratori a singolo strumento (commutabile tra Pd e |Pr|) vengano tracciate scale separate. Fanno eccezione i wattmetri tipo Bird, i quali sono stati progettati in modo che il campo di tensione presente sui diodi risulti essere sempre lo stessa, indipendentemente dalla portata selezionata per il misuratore. Ciò è solo possibile variando il livello di accoppiamento con la linea in funzione della portata (in pratica cambiando il "tappo").

Interessante rilevare come la misura "indiretta" del ROS (effettuata cioè utilizzando un misuratore di potenza RF) sia concettualmente più precisa che se effettuata utilizzando lo stesso circuito quale misuratore "diretto" di ROS (anche se in pratica le differenze possano esser minime). Ciò in quanto, come già osservato, la misura "diretta" del ROS viene influenzata dal livello di potenza a cui si effettua la misura, mentre quella "indiretta" non soffre di questo problema, in quanto le scale degli strumenti Pd e |Pr| vengono ciascuna appositamente tracciate con riferimento al proprio livello di potenza di fondo scala. In pratica, i misuratori commerciali che adottino il circuito di Figura 7 (o uno equivalente) vengono oggi tutti proposti come misuratori di potenza RF, mentre solo alcuni di essi sono anche utilizzabili come misuratori "diretti" di ROS.

 

Altra circuito di misura del ROS.

Per concludere, si cita anche un altro schema di misuratore di ROS che invece differisce concettualmente da quello di Figura 7. Si tratta del ben noto "monimatch" (vedi Figura 11), che fu uno dei primi circuiti ad essere storicamente impiegati per la misura di ROS.

Figura 11

Il monimatch è essenzialmente costituito da due linee di misura accoppiate alla linea di trasmissione principale, sulle quali si sviluppano delle tensioni legate rispettivamente alle Vd e Vr presenti sulla linea. Dette tensioni vengono rettificate da due diodi e quindi inviate agli strumenti tramite due potenziometri il cui valore viene fatto variare simultaneamente. Per misurare il ROS si regolano i potenziometri in modo che l'ago dello strumento della diretta vada a fondo scala e si legge quindi il ROS sullo strumento della riflessa (la scala va tarata come mostrato in Figura 8, a parte la correzione dovuta alla soglia dei diodi).

Il circuito del monimatch ha il difetto, rispetto a quello di Figura 7, di essere in pratica solo impiegabile per misure di ROS (e non anche per misure di potenza RF), in quanto queste ultime risulterebbero fortemente dipendenti dalla frequenza. Infatti mentre nel circuito di Figura 7 l'accoppiamento induttivo che preleva il campione di corrente RF è del tutto indipendente dall'accoppiamento capacitivo che preleva il campione di tensione RF, nel monimatch i due accoppiamenti avvengono entrambi tramite la stessa linea di misura, e non risulta quindi possibile adottare soluzioni che rendano la misura indipendente dalla frequenza.

 

 

5. ACCURATEZZA DELLE MISURE DI ROS E DI POTENZA RF

Ci riferiamo qui nuovamente al circuito di Figura 7, ed iniziamo analizzando dapprima la misura di ROS.

Immaginiamo di collegare il misuratore di ROS ad una linea che presenti ROS>1 e partiamo dal caso più semplice in cui la lunghezza della linea sia fortuitamente tale da far vedere al misuratore un'impedenza puramente resistiva. Si tratta in realtà di una circostanza alquanto unusuale in quanto, come evidente dalla Figura 1, questa si presenta solo per particolari lunghezze della linea che non sono tra l'altro facilmente prevedibili.

In tal caso l'indicazione del ROS risulta precisa (a parte l'effetto della non idealità dei componenti utilizzati), poichè la scala dello strumento della riflessa viene tarata (vedi Figura 8) sulla base dei valori di resistenza che corrispondono al valore di ROS indicato.

Vediamo ora cosa invece accade nel caso più comune, ovvero quello in cui l'impedenza vista dal misuratore abbia anche una componente reattiva X non nulla. La domanda da porsi è se il misuratore di ROS, la cui scala è tarata secondo il grafico di Figura 8 che è stata determinato per un misuratore caricato su una resistenza pura, sia in grado di fornire la corretta indicazione del ROS anche in presenza di reattanza X non nulla, o, in altre parole, per qualunque coppia di valori R ed X che corrispondano al valore di ROS vigente sulla linea.

A tale scopo sono state sviluppate le equazioni che modellizzano il funzionamento del misuratore di ROS, tenendo debito conto dello sfasamento che si viene a creare tra Vv ed Vi (vedi par. 4) quando il misuratore sia caricato su un'impedenza che abbia reattanza X non nulla. I risultati di un analisi condotta per il caso ipotetico di ROS= 2 sono riportati in Figura 12.

 

Figura 12

La curva blu di Figura 12 è il luogo di tutte le possibili coppie R e X che corrispondono al valore di ROS assunto: la R è mostrata sull'asse x, mentre la X è mostrata sull'asse y di sinistra, Si osserva come X risulti pari a 0 per R= 25 come pure per R= 100 (coerentemente con l'assunzione di ROS= 2).

La curva rossa riporta il valore di ROS indicato dal misuratore, determinato sviluppando le equazioni del relativo circuito. La retta così ottenuta testimonia come la misura del ROS risulti essere del tutto indipendente dalla particolare coppia R ed X che dia luogo al valore di ROS assunto. In altre parole si dimostra come il principio di funzionamento su cui si basa il misuratore di ROS sia tale che il solo fatto di veder un'impedenza che abbia una componente reattiva X non nulla non comporta di per sè errori nella misura del ROS. D'altra parte si tratta di un risultato atteso, dato che al par. 4 si era visto come le indicazioni degli strumenti di misura fossero legate solo a Vd ed Id, indipendentemente dalla fase relativa tra la Ve e la Ie (e cioè dall'impedenza nel punto di misura).

In pratica, a causa della non idealità dei componenti utilizzati per realizzare il circuito, la presenza di una reattanza X non nulla potrebbe forse comportare qualche errore di misura, ma un’analisi intesa a determinare l’entità di detto errore andrebbe condotta caso per caso, e non avrebbe quindi validità generale.

Passiamo ora a considerare la misura della potenza RF media (Pe) che, come già detto, va determinata come differenza tra l’indicazione di potenza diretta (Pd) e di potenza riflessa (|Pr|). Anche in questo caso sono state sviluppate le equazioni che forniscono la differenza tra la letture di Pd e |Pr| in funzione delle coppie R ed X, mentre si tiene fissa la potenza applicata. Detta analisi ha portato a concludere che, in linea di principio, il circuito di Figura 7 è in grado di determinare la Pe senza errori, per qualsiasi valore del ROS e della componente reattiva X dell’impedenza. Si ripete quanto già detto in merito al fatto che, a causa della non idealità dei componenti del circuito, la precisione della misura potrebbe risultare in pratica influenzata da valori di ROS elevati come pure dalla presenza di una componente reattiva X non nulla, ma un’analisi di questo tipo andrebbe condotta, caso per caso, facendo riferimento alla particolare realizzazione del circuito si misura.

Si desidera infine rilevare come la misura di Pe effettuata utilizzando il circuito di Figura 7, od uno equivalente, sia di principio solo valida in presenza di un segnale che abbia inviluppo costante, quale è una portante continua tipo FM e CW. L’errore di misura che si presenta quando si abbia invece a che fare con un segnale ad inviluppo variabile, quale può essere un segnale AM, è dovuto al fatto che il circuito in questione effettua la misura della potenza in maniera indiretta, misurando in realtà delle tensioni e presentando il risultato di dette misure sotto forma di potenza, grazie all’impiego di una scala quadratica che ricalca il grafico riportato nell’esempio di Figura 9. Altri tipi di strumenti, ad esempio i bolometri, invece misurano la potenza in maniera diretta, e forniscono quindi indicazioni corrette anche in presenza di segnali ad inviluppo variabile.

Per chiarire meglio questa problematica, prendiamo a riferimento un segnale RF di tipo AM, costituito da una portante modulata al 100% da un segnale sinusoidale, e per semplicità riferiamoci al caso di ROS= 1 (in cui Pe=Pd e Ve=Vd).

Supponiamo che, in assenza di modulazione, la Ve valga 100V, corrispondente ad una Pe di 100 W su carico di 50 Ohm. Il misuratore di Pe, basato sul circuito di Figura 7, di fatto misura la Ve ed è calibrato in fabbrica in modo che, quando questa valga 100V, lo strumento indichi una Pe di 100 W.

Quando si applichi la modulazione sinusoidale al 100%, la Ve non è più pari a 100 V, ma varia invece tra 0 V e 200 V in funzione dell’ampiezza istantanea del segnale modulante. Il valor medio della Ve rimane però chiaramente pari a 100 V, cioè lo stesso valore che aveva quando il segnale RF non era modulato. Pertanto il misuratore di Pe, che fornisce un’indicazione legata al valor medio della Ve, fornirà sempre la stessa indicazione di 100 W. Tale valore è errato in quanto è facile calcolare come, in presenza di modulazione sinusoidale al 100%, la Pe del segnale RF modulato cresca in realtà al valore di 150W.

L’errore in questione dipende dalla non linearità della relazione tra Ve e Pe, e dal fatto che il misuratore, invece di misurare direttamente il valor medio della Pe, in realtà misura il valor medio della Ve e poi indica la potenza che corrisponde a detto valor medio.

Provate a collegare un wattmetro RF ad un trasmettitore AM, e vedrete come la potenza indicata non vari in presenza od in assenza di modulazione. Utilizzando invece un bolometro (che è un wattmetro "termico") osservereste un forte aumento della potenza in presenza di modulazione.

 

 

6. EFFETTO DEL ROS SULLO STADIO DI POTENZA RF

Lo stadio di potenza di un trasmettitore allo stato solido include tipicamente una rete L-C progettata per adattare l'impedenza del transistor (o del FET) finale ad un'impedenza puramente resistiva di 50 Ohm. Di conseguenza le condizioni ottimali di lavoro si registrano quando l'impedenza di carico dal trasmettitore abbia appunto quel valore. Nei vecchi trasmettitori a valvole detta rete L-C era costituita da componenti variabili manualmente - il cosidetto pigreco - per cui vi era una certa flessibilità nell'adattare lo stadio finale ad impedenze di valore diverso. Negli apparati moderni allo stato solido, la funzione del pi-greco viene svolta dall'accordatore entrocontenuto, con la principale differenza che questo è oggi generalmente di tipo automatico.

Torniamo al trasmettitore, supposto ora non essere dotato di accordatore, ed esaminiamo cosa accade in presenza di ROS. Come già detto più volte l'impedenza vista dal trasmettitore avrà generalmente una componente resistiva R diversa da 50 Ohm ed anche una componente reattiva X non nulla, in funzione dell'impedenza dell'antenna e della lunghezza della linea (vedi l'esempio di Figura 1). E' ben noto come, in queste condizioni, la potenza erogata dallo stadio finale risulterà esser minore di quella erogata quando il carico sia adattato, ovvero pari a [R= 50 X= 0].

Al di là di ciò si può anche dire che:

Al fine di comprendere meglio il fenomeno, sono state sviluppate le equazioni che modellizzano (peraltro in maniera piuttosto semplificata) il comportamento dell'amplificatore di potenza.

Come primo esempio in Figura 13 sono stati graficati i risultati dell'analisi condotta per il caso in cui l'impedenza vista dallo stadio finale abbia solo componente resistiva R (cioè X= 0), con riferimento ad uno stadio progettato per una potenza di uscita pari a 100W.

Figura 13

Assunto un certo valore di ROS, la curva blu permette di determinare quale siano i corrispondenti valori delle resistenze di carico R (riportate sull'asse x). A tal proposito si ricorda come, ad uno stesso valore di ROS, corrispondano sempre due diversi possibili valori di R.

La curva rossa mostra come vari la potenza di uscita in funzione della resistenza di carico. E' evidente come il valore massimo di 100W si ottenga solo quando il carico sia adattato, ovvero valga [R= 50 X= 0]. Peraltro la caduta di potenza non sembrerebbe così drammatica come ci si potrebbe attendere (per ROS= 3, la caduta sarebbe inferiore al 25%) In realtà, quando R assuma dei valori significativamente più bassi o più alti di 50 Ohm, la caduta effettiva di potenza risulterà essere maggiore di quella mostrata in Figura 13, a seguito dell’intervento del circuito Automatic Power Control (APC) dell'apparato, che riduce il livello di pilotaggio allo stadio finale, e quindi la potenza di uscita quando si manifesti una situazione di pericolosità che potrebbe portare all’'avaria dei transistors finali.

La riduzione del livello di pilotaggio viene attuata dall'APC non solo in funzione del valore del ROS, ma anche della corrente assorbita dallo stadio finale, che è la responsabile della potenza dissipata nello stadio (curva verde). Questo perchè, come evidente dalla Figura 13, ad uno stesso valore di ROS corrispondono due possibili valori della resistenza di carico, in corrispondenza ai quali si manifestano diversi valori della corrente assorbita e, conseguentemente, della potenza dissipata nello stadio (quando l’impedenza di carico sia ad esempio pari a [R= 20 X= 0], la potenza dissipata risulta essere molto superiore a quella che si manifesta quando detta impedenza valga invece [R= 125 X= 0], nonostante si abbia ROS= 2,5 in entrambi i casi).

Ciò premesso passiamo a considerare un'altra credenza popolare, ovvero quella che, a parità di ROS, lo stadio finale risulterebbe maggiormente sollecitato ove l'impedenza di carico contenga una componente reattiva X non nulla, rispetto al caso in cui il carico sia invece puramente resistivo. In altre parole la presenza di reattanza renderebbe più critica la funzione svolta dal già citato circuito APC.

I risultati dell'analisi condotta sono riportati in Figura 14 la quale, a differenza della Figura 13, è stata ottenuta prefissando il valore di ROS vigente sulla linea (pari a 2 nell'esempio considerato).

Figura 14

La curva blu di Figura 12 indica, con riferimento al ROS= 2, il valore della parte resistiva R dell'impedenza vista dallo stadio finale in funzione del valore della sua parte reattiva X. Si ricorda come le varie coppie R ed X identificate dalla curva blu corrispondano a diverse lunghezze della linea di trasmissione (vedi Figura 1). La forma della curva è dovuta al fatto che, per uno stesso valore di X, esistono due diversi valori di R che producono il valore assunto di ROS. (ad esempio per X= 0, i valori di R che provocano ROS= 2 sono rispettivamente R= 25 Ohm e R= 100 Ohm).

La curva verde mostra come (per il circuito ipotetico considerato), quando la parte reattiva X del carico sia nulla, la potenza dissipata possa valere circa 178W oppure circa 44W, a seconda che la corrispondente parte resistiva R valga 25 oppure 100 Ohm. Questo risultato è in perfetta coincidenza con quanto mostrato in Figura 13.

Quando invece la reattanza X sia non nulla (con conseguente variazione del valore di R per mantenere coerenza con il valore di ROS assunto), dalla Figura 14 si desume come, nel caso peggiore (cioè quello che corrisponde al valore di R più basso), la potenza dissipata diminuisca.

Si può pertanto concludere come, in base a quanto qui esposto, non sembri vero che, a parità di ROS, la presenza di una componente reattiva X non nulla nell'impedenza di carico del trasmettitore comporti maggiori rischi per lo stadio finale.

In chiusura si desidera sfatare la credenza secondo cui la potenza riflessa Pr (che è conseguente ad un ROS non unitario) "rientrando nel trasmettitore" possa danneggiare i transistors finali. Questo argomento è specificatamente trattato nell'Appendice 1,

 

 

7.  SERVE TAGLIARE LA LINEA A MISURA?

Un'altra delle credenze che spesso circola negli ambienti radiantistici è quella che la linea debba essere tagliata a misura, in multipli di mezza lunghezza d'onda (tenendo ovviamente conto del fattore di velocità del linea). La credenza trova origine dal fatto che, come peraltro evidente dalla Figura 1, a multipli di mezza lunghezza d'onda l'impedenza si ripete uguale a se stessa, anche se poi il beneficio che discenda da tale circostanza non viene mai ben identificato.

In linea di principio la questione potrebbe avere senso pratico solo quando si abbia a che fare con un impianto a singola banda. Per impianti multibanda infatti, la condizione che la linea risulti lunga un multiplo di mezza lunghezza d'onda può essere ottenuta, nel caso più ottimistico, solo per una delle bande di lavoro, o comunque solo qualcuna.

Prima di affrontare la questione, osserviamo innanzitutto come, anche volendo tagliare la linea a lunghezze multiple di mezza lunghezza d'onda, occorrerebbe comunque precisare come vada effettuata la misura. Certamente la misura inizia dal connettore a cui è connessa l'antenna, ma dove termina?:

Inoltre andrebbero compensate le possibili variazioni della lunghezza elettrica della linea causate da dispositivi (filtri anti TVI, balun, ecc.) eventualmente presenti sulla linea stessa.

Chiaramente le incertezze di cui si è sopra parlato sono tanto più importanti quanto più sia piccola la lunghezza d’onda, ovvero quanto più sia alta la frequenza di lavoro.

Va poi considerato come la misura, per quanto ben fatta, sarà comunque soggetta ad errori, che avranno nuovamente importanza tanto maggiore quanto più sia elevata la frequenza operativa. La nocività degli errori risulterà essere massima quando, credendo di tagliare la linea a lunghezza multipla di mezza lunghezza d'onda (ovvero 0,5, 1, 1,5, 2, ecc.), in pratica la linea risulti invece avere, a causa dell’errore di misura, una lunghezza multiplo dispari di quarti di lunghezza d'onda (ovvero 0,25, 0,75, 1,25, ecc.). Infatti, come peraltro anche evidente dalla Figura 1, a multipli dispari di quarti di lunghezza d'onda si verifica il già citato effetto di trasformatore in quarto d'onda (vedi par. 3), per cui l'impedenza subisce il massimo cambiamento possibile, invece di essere ripetuta uguale a sè stessa come era negli intenti.

Ma può un errore di tale entità verificarsi effettivamente in pratica? Per esempio alla frequenza di 432 MHz si tratterebbe di sbagliare la misura di circa 17 cm. Se la discesa fosse ad esempio di 40 metri, si tratterebbe di compiere un errore di circa lo 0,4%, forse un po' elevato per una mano esperta, ma non poi così tanto se si tengono anche in conto le già menzionate incertezze relativamente a quale debba essere la lunghezza fisica da tenere effettivamente in conto.

Nel seguito vengono peraltro citati degli esempi che mostrano come degli errori possano benissimo anche verificarsi per motivi non legati all'imperizia di chi esegua la misura:

Esaurita la premessa sul senso e sulla difficoltà pratica di fare in modo che la linea sia effettivamente lunga un multiplo di mezze lunghezze d'onda, torniamo alla domanda iniziale: ma a che pro?

Per quanto già più volte detto il ROS è indipendente dalla lunghezza del linea, per cui scartiamo subito ogni ipotesi di ottimizzare il ROS tagliando la linea a misura.

Nel tentativo di intuire quale possa essere la logica di chi propone l'utilizzo di linee lunghe multipli di mezza lunghezza d'onda, si potrebbe per esempio riferirla al fatto che, con tali lunghezze e con un’antenna che abbia un'impedenza puramente resistiva - anche se non 50 Ohm - l'impedenza che si presenta all’estremità della linea di discesa risulta anch’essa puramente resistiva (vedi Figura 1). Non sarebbe però facile comprendere quale possano essere i vantaggi conseguenti all’ottenimento di un’impedenza puramente resistiva all’estremità della discesa. Infatti:

In conclusione, non si ritiene che la fatica di tagliare la linea a misura sia compensata dall’ipotetico beneficio che ne possa conseguire.

 

 

8.  MA L'ANTENNA RISUONA VERAMENTE?

Prima di esaminare la questione, va chiaramente ben compreso cosa voglia dire che un'antenna è "risonante". Si dice che l'antenna risuona quando la sua impedenza abbia componente reattiva X=0, indipendentemente dal valore della sua componente resistiva R (la quale, in un'antenna risonante, potrebbe essere ben diversa dai 50 Ohm canonici). Naturalmente, poichè X varia con la frequenza, un'antenna potrà risultare risonante solo ad una particolare frequenza (od ad alcune particolari frequenze nel caso di antenne multibanda).

A questo punto va innanzitutto sfatata la comune credenza che un'antenna risonante funzioni meglio di una non risonante. La risonanza è questione che riguarda esclusivamente l'impedenza dell'antenna e assolutamente non le sue proprietà radiative. In altre parole un'antenna non risonante irradia perfettamente bene come un'antenna risonante; chiaramente rimane il fatto che la condizione ROS=1 è solo ottenibile con un'antenna risonante, ma ciò è questione che riguarda solo il trasferimento di potenza dal trasmettitore all'antenna e non le sue prestazioni.

Dalla Figura 4 si evince come quando, nell’impedenza dell’antenna, alla componente resistiva R si venga ad aggiungere una componente reattiva X, si registra un aumento del ROS in dipendenza del valore di X. Sembrerebbe quindi immediato poter concludere che la condizione di ROS minimo è indice di risonanza dell'antenna.

Detta affermazione, che è assolutamente vera quando il ROS =1, diventa invece non sempre valida se il ROS > 1.

La Figura 15 mostra, per un'antenna pratica, l'andamento in frequenza della resistenza R (curva blu) e della reattanza X (curva verde). Si è quindi tracciato con curva rossa il ROS che corrisponde a quei valori di R e di X.

Figura 15

La frequenza a cui il ROS risulta minimo (contrassegnata con un punto rosso) e la frequenza a cui si manifesta la risonanza, cioè si annulla la componente reattiva X, (contrassegnata con un punto verde) non coincidono.

L'entità della discrepanza dipende dagli andamenti di R e di X, e risulta particolarmente rilevante quando alla frequenza a cui X= 0 la resistenza R sia significativamente diversa da 50 Ohm, mentre alla frequenza a cui la resistenza R vale 50 Ohm la reattanza X non sia troppo elevata.

In conclusione la frequenza di risonanza dell'antenna, se determinata in base al solo fatto che il ROS assuma il valore minimo, potrebbe essere solo apparente. In altre parole non si può essere certi che alla frequenza alla quale il ROS risulti minimo l'antenna presenti un'impedenza puramente resistiva, ovvero risuoni. Ma poichè, come già detto, il fatto che un'antenna sia o non sia risonante non ha alcuna rilevanza, converrà comunque tarare il sistema d'antenna per il minimo valore di ROS (anche se generalmente si riscontrano scostamenti modesti)

 

 

9. LINEE CON ATTENUAZIONE

Nei paragrafi precedenti si è costantemente assunto di avere a che fare con linee ideali, cioè con linee che non comportino attenuazione dei segnali che le attraversino. In questo paragrafo esaminiamo alcune delle implicazioni che discendono dal fatto che, in pratica, le linee di trasmissione invece attenuano i segnali.

 

Caso di linea adattata

Le caratteristiche di attenuazione di una linea adattata, cioè chiusa sulla sua impedenza caratteristica, sono tra i dati forniti dal costruttore ed sono espresse in termini di dB per ogni 100 piedi (circa 30 m) o 100 m di lunghezza. Partendo da questi dati e tenendo presente che l'attenuazione (in dB) è proporzionale alla lunghezza, è facile determinare l'attenuazione di una qualsiasi linea.

Fisicamente l'attenuazione della linea è dovuta a due fenomeni concomitanti:

A questo proposito va rilevato come le perdite nel rame abbiano usualmente una rilevanza molto superiore a quelle nel dielettrico. Ad esempio, per un cavo tipo RG-213 foam, si è determinato che l'attenuazione complessiva (in dB per metro) è data dalla somma:

ove f è espressa in Hz

Utilizzando dette formule è facile verificare come a 144 MHz la prima quota valga lo 1.08% per metro, valore che è oltre 30 volte superiore a quello della seconda quota (0.034% per metro).

A tal proposito valgono le seguenti osservazioni:

Passiamo ora ad esaminare con maggior dettaglio il caso di antenna adattata, ovvero chiusa su impedenza [R= 50 X= 0], e supponiamo che il trasmettitore immetta nella linea un potenza RF effettiva Pe di 100W.

Se la linea non avesse perdite, la Pe risulterebbe costante (100 W) lungo tutta la linea, come pure la Ve (che manterrebbe ovunque il valore di 100 V).

Quando la linea presenti invece una certa attenuazione, vale l'esempio mostrato in Figura 16, che mostra l'andamento della Pe (in rosso) lungo la linea e quello della Ve (in blu). Nell'esempio si è assunto che il tratto di linea considerato (lungo 5 lunghezze d'onda) abbia un'attenuazione complessiva di 6 dB.

Figura 16

La Pe di 100 W immessa nella alla linea si riduce a soli quasi 25 W sui terminali dell'antenna. La Ve è soggetta a una minore diminuzione, a causa della sua relazione quadratica con la Pe. La Ie ha lo stesso andamento della Ve.

 

Caso di linea non adattata

Passiamo ora a considerare il caso di un'antenna non adattata, con impedenza [R= 150 X= 0] e che presenti quindi ROS= 3. A soli fini di confronto riportiamo dapprima in Figura 17 l'andamento della Ve (in blu) lungo la linea, nell'assunzione che questa sia senza perdite.

Figura 17

Si noti il caratteristico andamento sinusoidale della tensione da cui deriva il nome "onda stazionaria" (maggiori dettagli al riguardo sono forniti nell'Appendice 1). Per una Pe di 100 W immessa nella linea, la Ve oscilla intorno al valore di circa 115,5 V, con picchi di circa +/- 57,7 V (la giustificazione di tali valori è riportata nell'Appendice 1).

La Figura 18 mostra come si modifichi la Figura 17 quando si supponga che, fermi restando gli altri parametri, il tratto di linea considerato abbia ora un'attenuazione totale di 6 dB.

Figura 18

Nel grafico viene mostrato anche l'andamento del ROS (in verde), il quale vale 3 in corrispondenza al connettore dell'antenna, ma diminuisce man mano che ci si avvicini al trasmettitore, presso cui diventa circa 1,29. E' evidente come la misura del ROS eseguita al trasmettitore risulti parecchio ottimistica, in quanto il valore medio del ROS lungo la linea è più elevato di quanto viene misurato. Tale effetto peraltro non accadrebbe se la linea non avesse perdite, come evidente dal grafico del ROS mostrato in Figura 17.

Si tratta di questione ben nota dovuta al fatto che l'onda della tensione riflessa si attenua nel tornare indietro dall'antenna verso il trasmettitore, e ciò falsa la misura. La Figura 19 mostra il classico grafico dell'Handbook ARRL che fornisce il ROS apparente (misurato al trasmettitore) in funzione del ROS che si misurerebbe direttamente sul connettore dell'antenna, e dell'attenuazione della linea (quella dichiarata dal costruttore, senza tenere in conto altri eventuali effetti).

Figura 19

Quando una (lunga) linea presenti una forte attenuazione (come spesso avviene in VHF/UHF) anche se lasciata aperta o cortocircuitata (con ROS infinito quindi) essa comunque presenterà al trasmettitore un ROS basso, al punto che la linea potrebbe essere utilizzata come un carico fittizio!

In chiusura si desidera quantificare quanto già precedentemente detto relativamente al fatto che la presenza di ROS sulla linea comporti un'aumento dell'attenuazione, che è funzione dell'attenuazione propria della linea (cioè quella di quando la linea sia terminata sulla sua impedenza caratteristica) e del ROS (misurato al connettore dell'antenna). Tale comportamento è mostrato nel grafico di Figura 20, anch'esso riportato nell'Handbook ARRL.

Figura 20

Da detto grafico è facile evincere come, in moltissimi casi pratici (specie in HF ove l'attenuazione dei cavi è usualmente bassa), l'aumento dell'attenuazione causata dal ROS sia modesto od addirittura trascurabile. Attenzione: la perdita causata dal ROS è tutta qui, non ve ne sono altre!

Volendo essere precisi, va rilevato come il grafico sia strettamente valido solo per degli ipotetici cavi per i quali le perdite nel rame siano identiche a quelle nel dielettrico. Per i cavi reali, nei quali le prime sono usualmente molto superiori alle seconde, l'aumento dell'attenuazione di una linea non adattata dipende anche dalla lunghezza del cavo (in termini di numero di lunghezze d'onda), anche se la variazione è usualmente molto modesta. Pertanto il grafico, che non tiene conto della lunghezza del cavo, non può fornire risultati esatti. Va però osservato come tanto maggiore sia la lunghezza del cavo, tanto più i valori del grafico risulteranno essere vicini alla realtà. 

Per meglio chiarire quanto sopra esposto si consideri una linea molto corta, ad es. di lunghezza inferiore al quarto d'onda, e chiusa su una resistenza più elevata di quella caratteristica (e quindi operante in regime di ROS> 1). Poichè lungo tutta la linea la corrente RF risulterebbe essere più bassa di quella che si avrebbe in condizioni di adattamento, si può concludere che, per la corta linea considerata, un ROS> 1 si traduce addirittura in una diminuzione dell'attenuazione!

Il grafico mostra, per un prefissato valore di ROS, una sostanziale continuità dell'aumento dell'attenuazione con l'attenuazione stessa. Oltre un certo valore di attenuazione però l'aumento di attenuazione tende a saturare. Ciò si spiega con il fatto che, aumentando la lunghezza della linea e quindi la sua attenuazione, i pezzi di linea che si vanno man mano aggiungendo sono soggetti ad un ROS ormai basso (vedi Figura 18) e forniscono quindi un contributo sempre più modesto all'aumento dell'attenuazione.

A chi sia interessato a comprendere il motivo fisico del perchè il ROS>1 causi un aumento dell'attenuazione della linea (seppur spesso modesto o modestissimo) faccio osservare come l'aumento della potenza dissipata nella linea nei tratti in cui la tensione (o la corrente) è più elevata di quella che si avrebbe con ROS= 1 non risulta compensato dalla diminuzione della potenza dissipata nella linea nei tratti in cui la tensione (o la corrente) è più bassa di quella che si avrebbe con ROS= 1. Ciò in quanto la potenza dissipata cresce con legge quadratica rispetto a tensione ed corrente.

In chiusura illustriamo un esempio inteso a verificare il grafico di Fig. 20, facendo riferimento ad una linea che abbia un'attenuazione propria pari a 2,0dB e su cui viga un ROS= 7. Dalla Figura 20 risulta un aumento dell'attenuazione causato da ROS pari 2,5 dB, per un'attenuazione totale di 4,5 dB.

Esempio:

In definitiva:

 

 

APPENDICE 1

Convenzioni

Intendiamoci innanzitutto su alcune convenzioni basilari riguardanti le tensioni e le correnti alternate.

Per un qualunque circuito elettronico si dice generalmente che, in ogni istante:

Per i nostri scopi non occorre soffermarci su questioni di natura fisica (quali il potenziale e gli elettroni), ma vanno più semplicemente messi in relazione i segni di tensione e di corrente al fine di poter dare una corretta definizione della fase che vige tra tensione e corrente (cioè senza ambiguità di 180 gradi).

La convenzione adottata è che, in un certo istante, la corrente viene definita positiva se fluisce dal generatore verso il carico viaggiando su quel conduttore che in quel momento è positivo rispetto all'altro (vedi Figura 21).

Figura 21

Dalla Figura 21 risulta anche come la stessa corrente positiva fluisca anche dal carico verso il generatore viaggiando su quel conduttore che in quel momento è negativo rispetto all'altro. Per contro la corrente viene definita negativa se fluisce:

 

Premessa

Torniamo ora all'esempio di Figura 1 nel quale si è considerata un'antenna la cui impedenza abbia componente reattiva X nulla, e la cui corrente sia quindi in fase con la tensione. Non appena ci si allontani dall'antenna lungo la linea abbiamo visto come subito insorga una componente reattiva X non nulla dovuta al fatto che tensione e corrente non si mantengono più in fase tra loro.

Mentre in Figura 1 ci si è limitati a mostrare l'andamento delle componenti R ed X dell'impedenza lungo la linea, in quest'Appendice si desidera esaminare in maggior dettaglio la variazione (cioè l' "onda") della tensione Ve e della corrente Ie effettivamente presenti nei vari punti della linea, sia in ampiezza che in fase.

Successivamente si introdurranno anche i concetti di onda diretta ed onda riflessa, in base ai quali l'onda di tensione effettiva Ve (che va dal trasmettitore verso l'antenna) viene interpretata come sovrapposizione di due onde di tensione Vd e Vr (che vanno rispettivamente dal trasmettitore verso l'antenna e dall'antenna verso il trasmettitore). Stessa cosa per le correnti.

Va rilevato come considerare la tensione effettiva oppure considerare le tensioni diretta e riflessa rappresentino due modi alternativi, ma del tutto equivalenti, di descrivere una stessa realtà.

Lungo tutta questa discussione si è mantenuta l'assunzione di considerare linee ideali senza perdite con impedenza caratteristica di 50 Ohm.

 

Andamenti della tensione e della corrente effettive

Il valore istantaneo della tensione Ve presente in un qualsiasi punto della linea di trasmissione, come peraltro anche quello della corrente Ie, varia sinusoidalmente nel tempo alla frequenza del segnale applicato (stiamo qui parlando della tensione e della corrente effettiva sulla linea, e non delle tensioni e correnti dirette e riflesse di cui si parlerà successivamente).

La Ve può essere notoriamente visualizzata come un'onda di tensione che si propaga dal trasmettitore verso l’antenna. Perchè si parla di "onda"? Semplicemente perchè se consideriamo uno dei punti della linea nei quali, ad un certo istante, il valore di Ve è massimo, detto punto si muove lungo la linea proprio come fa la cresta di un onda del mare (teoricamente alla velocità della luce; in pratica alla velocità effettiva si applica un fattore riduttivo denominato "fattore di velocità"). Stessa cosa vale per l'onda di corrente Ie.

Nelle considerazioni che seguono ha spesso interesse considerare, oltre al valore istantaneo della Ve in un certo punto della linea, anche il valore massimo assunto da Ve (detto anche valore di picco Ve). Stessa cosa per la Ie e la Ie. A tal proposito ricordiamo quanto segue:

 

L' onda diretta e l'onda riflessa.

Va ricordato come, per le linee di trasmissione, sia d'uso considerare l'onda di tensione effettiva Ve (di cui si è appena parlato) come sovrapposizione di due onde componenti denominate rispettivamente onda di tensione diretta Vd (che, al pari della Ve, viaggia dal trasmettitore verso l'antenna) ed onda di tensione riflessa Vr (che viaggia invece dall'antenna verso il trasmettitore). La relazione che lega queste grandezze è Ve= Vd+Vr (si tratta chiaramente di una somma vettoriale, nel senso che, al momento di effettuare la somma, occorre tener anche conto della fase relativa tra i due addendi).

Stessa cosa vale per l'onda di corrente effettiva Ie, che può essere considerata come sovrapposizione di due onde componenti denominate rispettivamente onda di corrente diretta Id (che, al pari della Ie, viaggia dal trasmettitore verso l'antenna) ed onda di corrente riflessa Ir (che viaggia dall'antenna verso il trasmettitore). Pertanto, in ogni punto della linea, si ha che Ie= Id+Ir (di nuovo si tratta di una somma vettoriale).

Considerare l'onda di tensione (e di corrente) effettiva come scissa in un onda diretta ed in un onda riflessa è solamente un modo alternativo (sebbene del tutto equivalente) di vedere le cose, che è frutto di un'astrazione mentale (nella realtà delle cose di tensione, come pure di corrente, ne esiste una sola, ovvero la Ve e la Ie). Peraltro detta scissione nelle componenti diretta (Vd ed Id) e riflessa (Vr ed Ir) presenta certi vantaggi nei riguardi della trattazione matematica e quindi della comprensione dei fenomeni.

E' importante rilevare come la Vd e la Vr mostrino un comportamento molto diverso da quello della Ve (stessa cosa vale per Id ed Ir nei confronti di Ie). Infatti si può osservare come per qualunque valore di ROS:

La Ve risulterà massima, e pari a Vd+Vr, nei punti della linea dove Vd e Vr risultino essere in fase tra loro. Risulterà invece minima, e pari a Vd-Vr, nei punti della linea dove Vd e Vr risultino essere in opposizione di fase (ovvero sfasate di 180 gradi). L'andamento sinusoidale della Ve mostrato nell'esempio di Figura 17 dipende proprio dal fatto che in certi tratti di linea Vd e Vr si sommano costruttivamente (fino a giungere al valore massimo di Vd+Vr), mentre in altri tratti distruttivamente (fino ad un valore minimo di Vd-Vr). Identico ragionamento per Ie che varia tra Id+Ir (Id in fase con Ir) e Id-Ir (Id in opposizione di fase con Ir).

Va peraltro rilevato come

Detti valori massimo e minimo di impedenza coincidono proprio con i due valori di R che, come visto al par. 3, risultavano associati al valore di ROS vigente sulla linea tramite le relazioni ROS= R/50 e ROS= 50/R.

In quanto sopra esposto risulta fondamentale il fatto che, come già detto, mentre Id è sempre ed ovunque in fase con Vd, Ir è sempre ed ovunque in opposizione di fase con Vr.

Vd, Vr, Id e Ir sono calcolabili utilizzando le seguenti relazioni (in formato Excel):

ove A1 è l'impedenza caratteristica della linea (in Ohm), B1 è la potenza RF (in W) e C1 è il valore di ROS.

In chiusura, un'osservazione forse banale ma fondamentale. Le grandezze relative all'onda diretta ed a quella riflessa, ovvero Vd, Vr, Id, Ir, esistono (e sono quindi direttamente rilevabili) solo all'interno della linea. Al di fuori della linea esistono solo Ve e Ie

 

Degli esempi pratici

Tutto ciò detto, sembra ora opportuno proporre degli esempi riferiti a casi pratici. Consideriamo quindi un caso ipotetico nel quale viga sulla linea ROS= 3. I punti della linea in cui l'impedenza risulta essere puramente resistiva sono quelli in cui l'impedenza vale:

Le Figure 22 e 23 riportano Vd, Vr e Ve (rispettivamente le ampiezze di picco Vd, Vr e Ve e le fasi)  nel punto ad impedenza [R= 150 X= 0] e quindi lungo la linea a partire da quel punto, avendo assunto che la potenza RF applicata sia pari a 100W.

 Figura 22

Figura 23

Alcune note:

Dai grafici di Figura 22 e Figura 23 si evince quanto segue:

Per gli interessati riporto in formato Excel le equazioni che definiscono l'andamento lungo la linea della Ve (sia l'ampiezza di picco Ve che la fase). Ciò in funzione della potenza RF applicata e delle impedenze.

RADQ((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))^2+((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*((A1/B1-1)/(A1/B1+1)))^2 - 2* ((A1/B1-1)/(A1/B1+1))*(RADQ(2)*RADQ(C1*B1))^2*COS(PI.GRECO()-RADIANTI(720*D1)))

-GRADI(ARCTAN.2(((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*COS(RADIANTI(360*D1))+(RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*((A1/B1-1)/(A1/B1+1))*COS(RADIANTI(-360*D1)) );((RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*SEN(RADIANTI(360*D1))+(RADQ(2)*RADQ(C1*B1))*((A1/B1-1)/(A1/B1+1))*SEN(RADIANTI(-360*D1)))))

ove A1 è l'impedenza (puramente resistiva) di carico (in Ohm), B1 è l'impedenza caratteristica (puramente resistiva) della linea (in Ohm), C1 è la potenza applicata (in W) e D1 è la distanza elettrica dal carico (in lunghezze d'onda).

Passiamo ora a considerare le correnti. Le Figure 24 e 25 riportano Id, Ir e Ie (rispettivamente le ampiezze di picco Id, Ir e Ie e le fasi)  nel punto ad impedenza [R= 150 X= 0] e quindi lungo la linea a partire da quel punto, avendo assunto che la potenza RF applicata sia pari a 100W.

Figura 24

Figura 25

Alcune note:

Dai grafici di Figura 24 e Figura 25 si evince quanto segue:

Va rilevato come, qualora le Figure 22, 23, 24 e 25 fossero state prodotte per un'impedenza di partenza di [R= 16,66 X= 0] (invece di [R= 150 X= 0]), si sarebbero ottenuti grafici similari ma invertiti, nel senso che i grafici delle tensioni coinciderebbero con quelli delle correnti e viceversa (a parte ovviamente le scale).

 

Una verifica di coerenza.

Chiariti ormai quali siano gli andamenti di tensione e corrente sulla linea, a questo punto è d’obbligo una verifica di coerenza tra i vari risultati ottenuti.

Poniamoci allora ad una determinata distanza dal punto in cui l'impedenza vale [R= 150 X= 0], e verifichiamo come lo sfasamento che si registra tra Ve ed Ie in quel punto (Figure 23 e 25) sia in linea con l’impedenza che si è calcolato sussistere nello stesso punto (Figura 1).

A tal proposito, supponiamo ipoteticamente di porci ad una distanza elettrica di 0,0625 lunghezze d’onda (che corrisponde ad uno spostamento di fase pari a 22.5 gradi). In quel punto otteniamo i seguenti valori:

Ie si trova quindi in anticipo rispetto a Ve di 51,18-7,86=43,32 gradi.

Peraltro:

da cui si può facilmente calcolare come Ie si trovi in anticipo rispetto a Ve proprio di 43.32 gradi.

La matematica non è un opinione!

 

Parliamo ora di potenze

Prima di affrontare il caso specifico delle linee di trasmissione, è bene riesaminare brevemente il concetto generale di potenza nei circuiti elettrici, in quanto certi aspetti della discussione faciliteranno poi la comprensione delle questioni di nostro interesse.

Diversamente dal caso della tensione continua, la potenza che un generatore di tensione alternata trasferisce ad un carico varia da istante ad istante, in modo ciclico. In pratica però, più che la potenza istantanea, ha interesse il suo valor medio. La relazione tra la potenza media (P), l'ampiezza di picco della tensione (V) e l'ampiezza di picco della corrente (I) è:

ove a è lo sfasamento relativo tra tensione e corrente.

Nota importante:

Ciò premesso, esaminiamo ora un modo alternativo di descrivere il meccanismo di trasferimento della potenza dal generatore al carico. Riferiamoci alla Figura 26, nella quale è mostrato un generatore di tensione che abbia ad esempio il valore di 100 V, con resistenza interna [R= 50 X= 0] ohm e caricato su una resistenza di valore R.

Figura 26

Chiamiamo Pe la potenza effettivamente trasferita dal generatore sul carico. Il teorema del massimo trasferimento di potenza ci assicura che se R fosse anch'essa pari a [R= 50 X= 0] ohm (carico "adattato"), la Pe sarebbe la massima possibile, in questo caso 50 W. Chiamando "potenza diretta" Pd detto valore massimo, allora  nel caso in esame (adattato) si avrebbe Pe= Pd.

Vediamo ora cosa accade per carichi non adattati, ovvero quando R sia diversa da [R= 50 X= 0] ohm, ed in particolare per un carico modificato di un fattore 2 (ovvero raddoppiato o dimezzato rispetto al carico adattato). In entrambi i casi (cioè [R= 100 X= 0] ohm o [R= 25 X= 0] ohm), mentre la Pd rimane immutata (essendo per definizione pari al valore massimo di potenza trasferibile), è facile calcolare che Pe= 44.4W ed è quindi variata, rispetto al caso del carico adattato, di -5.55W. Se chiamiamo detta variazione "potenza riflessa" Pr, si può allora stabilire la formula generale Pe= Pd+Pr (con carico adattato si avrebbe ovviamente Pr=0). Se si considerasse poi una R modificata di un fattore 3 (ovvero [R= 150 X= 0] ohm o [R= 16,66 X= 0] ohm) si avrebbe Pe= 37.5 W e Pr= -12.5W.

Perchè tutto questo ragionamento? Semplicemente per dimostrare come la stessa realtà fisica possa essere interpretata in due modi diversi ma del tutto equivalenti, ovvero:

Dopo aver dimostrato come i concetti di potenza diretta e riflessa siano definibili in generale per i circuiti elettrici, e quindi non solamente per le linee di trasmissione, riprendiamo a considerare il concetto di potenza con specifico riferimento a  queste ultime.

In ogni punto della linea è possibile definire la potenza media Pe che effettivamente fluisce  attraverso quel punto mediante la relazione:

ovvero in formato Excel:

ove Pe è espressa in W, A1 e B1 sono rispettivamente i valori di picco della tensione Ve (in V) e della corrente Ie (in A) nel punto di linea considerato, e C1 è pari allo sfasamento relativo (in gradi) tra Ie e Ve (N.B. il fattore 0.5 sparirebbe se si considerassero il valori efficaci di tensione e corrente invece che i valori di picco).

Valgono le seguenti osservazioni:

ove Pe è espressa in W, A1 è il valore di picco della tensione Ve (in V), B1 è il valore di picco della corrente Ie (in A) e C1 è pari alla resistenza (in Ohm) nel punto di linea considerato.

Tutto ciò premesso, passiamo ora al già considerato modello secondo cui l'onda (di tensione o di corrente) è la sovrapposizione in un'onda diretta ed in un'onda riflessa. In tale ipotesi è ovviamente possibile definire la potenza media associata a ciascuna delle due onde, che chiamiamo rispettivamente potenza diretta Pd e potenza riflessa Pr, le quali valgono rispettivamente:

Per quanto riguarda l'onda diretta, va rilevato come in ogni punto della linea Id risulti essere in fase con Vd (a1= 0), e ciò rende il fattore coseno sempre uguale ad 1. Pertanto Pd è una grandezza costante e positiva che vale Pd= 0.5*Vd*Id. Essa fluisce quindi dal trasmettitore verso l'antenna.

Stesso ragionamento vale per l'onda riflessa, ma si era visto come Ir risulti essere sempre in opposizione di fase con Vr (a2= 180). Pertanto il fattore coseno vale sempre -1 e Pr risulta quindi una grandezza costante e negativa che vale Pr= -0.5*Vr*Ir. Essa fluisce quindi dall'antenna verso il trasmettitore.

Come prima visto Pe= Pd+Pr.

Un'osservazione su questa relazione. Teoremi basilari dell'elettronica stabiliscono come le potenze trasportate da segnali di identica frequenza (come lo sono l'onda diretta e l'onda riflessa), e quindi correlati, non siano direttamente sommabili. Pertanto stabilire che Pe sia pari alla somma di Pd e Pr non sarebbe normalmente lecito. In realtà nel nostro caso la relazione Pe= Pd+Pr è corretta per i fatto che, come già visto, Pr è negativa, e va quindi di fatto a sottrarsi dalla Pd, e non a sommarsi con questa.

Per dimostrare questo fatto seguiamo la procedura corretta di calcolo della potenza totale quando si abbia a che fare con dei segnali correlati. Si dovranno dapprima calcolare, nel punto considerato della linea, la tensione totale (come somma di Vd e Vr) e la corrente totale (come somma di Id e Ir), e quindi calcolare la potenza totale Pe tramite la già vista relazione (in Excel):

ove però stavolta A1 è il valore di picco della tensione somma Vd+Vr (in V), B1 è il valore di picco della corrente somma Id+Ir (in A) e C1 è pari allo sfasamento relativo (in gradi) tra tensione somma e corrente somma  (tutte le grandezze sono relative al punto di linea considerato).

Naturalmente A1 e B1 dipenderanno entrambi dal particolare punto della linea considerato, in quanto la fase tra Vd e Vr (come pure quella tra Id e Ir) varia lungo la linea. Nonostante ciò però la formula fornisce una Pe che è ovunque la stessa.

Essendo anche Pd e Pr costanti, la relazione tra Pe, Pd e Pr deve essere la stessa in qualsiasi punto della linea, e può essere quindi determinata in un punto della linea a piacere. Allora, per semplicità, sceglieremo un punto ove:

Per quanto riguarda C1, dato che:

risulta immediatamente come l'angolo tra la tensione Vd+Vr e la corrente Id+Ir sia pari a zero, e quindi come cos(C1)= 1.

In definitiva la relazione tra Pe, Pd e Pr è la seguente:

Pe=  0.5*(Vd+Vr)*(Id-Ir)= 0.5*(Vd+Vr)*(Vd/50-Vr/50)= (Vd^2)/100 +(Vr^2)/100=  Pd+Pr

Con riferimento al segno negativo della Pr, si ricorda come i tipici misuratori di potenza RF mostrino il valore di Pr senza però indicarne anche il segno negativo. Ecco perchè si è abituati a sottrarre la Pr dalla Pd,invece che sommarla. Tale modo di esprimersi corrisponde in pratica alla relazione Pe= Pd-|Pr|.

Come prima detto, non avrebbe senso asserire che la Pr "rientri nel trasmettitore" causando danni allo stadio finale.

Piuttosto andrebbe sottolineato il fatto di come la Pd indicata dal wattmetro sia, con ROS> 1, maggiore della Pe effettivamente erogata dal trasmettitore, in quanto a quest'ultima è stata sottratta la Pr.

A tutti gli effetti è come se il trasmettitore riflettesse nuovamente la Pr verso l'antenna. Pertanto la Pr, cambiando verso e quindi segno (da negativa a positiva), si andrebbe a sommare alla potenza erogata dal trasmettitore Pe, dando così luogo alla Pd (che come già visto, per ROS> 1, ha valore superiore a quello della Pe).

 

 

APPENDICE 2

La Figura 1 fornisce un esempio (con riferimento al caso di un'antenna non adattata, ovvero con impedenza diversa da [R= 50 X= 0]) di come varino le componenti resistiva (R) e reattiva (X) dell'impedenza quando ci si muova lungo la linea.

In quest'Appendice vengono proposte delle considerazioni che dovrebbero facilitare la comprensione del perchè una linea si comporta nel modo ivi illustrato.

Al solo fine di poter fornire delle indicazioni quantitative, e senza perdita di generalità, faremo quì riferimento ad una discesa d'antenna realizzata in cavo RG-58, modellizzandola come costituita da tanti pezzetti di cavo RG-58 identici, lunghi ciascuno 10 cm e posti uno di seguito all'altro (ovvero in cascata). Tale modello è mostrato in Figura 27, ove i pezzetti di cavo da 10 cm sono visualizzati come tanti "vagoncini", il primo dei quali è connesso ad un'antenna adattata.

Figura 27

Poichè il cavo RG-58 presenta una capacità di 93.5 pF per metro, possiamo assumere (anche se non a rigore) che ogni vagoncino da 10 cm ha una capacità di 9.35 pF. Peraltro ciascun vagoncino presenta anche una certa induttanza, il cui valore non è immediatamente determinabile.

Si è allora pensato di modellizzare ciascun vagoncino (vedi ancora Figura 27) come un circuito a pi-greco nel quale:

In questo modo, quando la discesa è terminata su [R= 50 X= 0], ogni vagoncino presenta al successivo sempre [R= 50 X= 0], e di conseguenza questa risulterà essere anche  l'impedenza che il trasmettitore vedrà all'altra estremità della linea (vedi Figura 27).

Facendo i calcoli, si è determinato che con un'induttanza di 0.22881433 uH, detto modello a pi-greco viene a rappresentare (quasi) perfettamente la realtà delle cose. Che esso sia effettivamente rappresentativo della realtà è anche testimoniato dal fatto che, dai calcoli, risulta come il modello abbia un comportamento indipendente dalla frequenza.

Ci si è allora chiesto: ma cosa avviene se l'antenna non è adattata? Il modello rappresenta ancora la realtà?

Si è quindi passati a supporre, a titolo di esempio, che l'antenna abbia impedenza [R= 150 X= 0], fatto che comporta ROS= 3. Tale valore è stato appositamente scelto per poter prontamente paragonare il comportamento del modello a pi-greco con quanto la situazione reale (descritta in Figura 1, che è appunto relativa ad un'impedenza di [R= 150 X= 0]).

Sono stati quindi calcolati i valori di impedenza che ciascun pezzetto da 10 cm mostra al successivo, valori che risultano avere anche una componente reattiva X. La Figura 28 mostra la situazione in questo caso.

Figura 28

A questo punto è possibile paragonare i valori di impedenza sopra calcolati con il modello a pi-greco con i risultati teorici derivati dalla Figura 1, cioè quelli reali. Le Figure 29 e 30 mostrano come varino rispettivamente resistenza e reattanza lungo la linea, sia per modello a vagoncini di tipo pi-greco che il caso reale (ripreso dalla Figura 1). In particolare esse rappresentano gli andamenti lungo i primi 110 cm di cavo (11  vagoncini da 10 cm) a partire dall'antenna, per una frequenza di lavoro di 100 MHz, a cui corrisponde un valore di 98.85 cm per la mezza lunghezza d'onda  (tenendo in conto un fattore di velocità del cavo pari a 0,659) 

Figura 29

Figura 30

Esaminando i grafici si conferma come, nel caso reale (curve rosse), l'impedenza vista a mezza lunghezza d'onda dall'antenna sia identica a quella dell'antenna stessa (sia come R che come X) .

Nel caso del modello a pi-greco sussiste invece un leggero scostamento a destra, dovuto ai seguenti fattori concomitanti:

Va osservato come nelle Figure 29 e 30, al fine di poter paragonare in maniera sensata il caso reale con quello del modello a pi-greco, si sia dovuto necessariamente tener conto del fattore di velocità del cavo. Infatti, ricordando che il fattore di velocità del cavo come pure il suo valore di capacità per metro sono influenzati dalle caratteristiche del dielettrico, il paragone risulta omogeneo solo se in entrambi i casi venga tenuta in conto la presenza del dielettrico, fatto che avviene:

Va infine osservato come la cascata di tanti circuiti a pi-greco corrisponda in pratica (eccetto per il primo e l'ultimo vagoncino) alla cascata di tanti circuiti L-C (L serie, C parallelo), in cui il valore di C sia pari alla somma delle capacità dei condensatori che vengono a trovarsi in parallelo al momento che si affiancano due circuiti pi-greco.

In definitiva si può certamente asserire come il modello a pi-greco qui considerato ben rappresenti la realtà delle cose, Infatti, riducendo la lunghezza del vagoncino e affinando la scelta dei valori di capacità ed induttanza del pi-greco, si può far sì che il comportamento del modello sia praticamente identico a quello del caso reale.

In conclusione si è stabilito come il comportamento delle linee di trasmissione coincida con quello di una successione virtualmente infinita di infinitesimali induttanze in serie ed infinitesimali capacità in parallelo.

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