SINTESI DEL DOCUMENTO ALTERNATIVO


Il quarto congresso del PRC riveste un'importanza particolare.
Generale è la condivisione nel partito della scelta di rottura col governo Prodi e di ricollocazione all'opposizione del governo D'Alema: una scelta peraltro democraticamente sancita dal 70% del Comitato politico nazionale del PRC, e unitariamente difesa contro un inqualificabile scissione.
Ma proprio questa scelta, e la consolidata unità, richiedono e consentono ora un salto in avanti della riflessione collettiva del nostro partito: una riflessione vera sul bilancio e le prospettive della rifondazione. Una riflessione che segni un nuovo corso politico del PRC, avvii un nuovo indirizzo strategico, sancisca una riforma profonda del nostro partito, del suo modo di essere, della sua democrazia.

Il bilancio innanzitutto non può essere evaso come se nulla fosse accaduto. Due anni eccezionali della vita politica italiana e del nostro stesso partito non possono essere rimossi. Essi richiedono intanto un'analisi di fondo dell'evoluzione sociale e politica che si è sviluppata dal maggio 96 all'ottobre 98 in ordine all'ulteriore pesante arretramento dei rapporti di forza tra le classi: altrimenti gli stessi attuali riferimenti alle politiche di integrazione/frantumazione o alla "democrazia malata", appaiono estemporanei perché privi di una contestualizzazione storica. Ma soprattutto richiedono un bilancio onesto sulle scelte politiche da noi compiute: sull'accordo politico-elettorale col centrosinistra (ben diverso da un accordo tecnico di desistenza) sul conseguente sostegno accordato al governo Prodi e a tutte le sue principali misure, sul contributo obiettivo delle nostre scelte alla straordinaria pace sociale che ha segnato l'Italia per due anni. Questa interrogazione critica - sia chiaro - non riguarda semplicemente le "ragioni" e "i torti" delle polemiche passate; è invece una necessità vitale per l'insieme del partito, al di là di ogni passato giudizio, in relazione alle scelte politiche presenti, al futuro delle nostre lotte, al progetto stesso della rifondazione comunista. Perché ciò che è accaduto non debba ripetersi più.

Intanto il bilancio del governo Prodi e l'analisi del governo D'Alema debbono condurci a un giudizio definitivo, non più aggirabile, sulla natura di classe del centrosinistra e quindi sui caratteri della nostra opposizione. Il centrosinistra è la formula di governo prescelta dal grande capitale per realizzare la sua politica di tagli, privatizzazioni, flessibilità in un quadro di concertazione e di pace sociale. Questa formula può articolarsi in modo diverso, con diversi equilibri, ma il suo profilo di classe è inalterabile. Per questo è sbagliato affermare che PRC e centrosinistra possono trovarsi indifferentemente o in conflitto o in collaborazione di governo teorizzando l'assenza di mura invalicabili tra "opposizione" e "governo". Al contrario: PRC e centrosinistra sono necessariamente alternativi in quanto rappresentanze politiche di interessi sociali opposti. E la nostra opposizione al governo di centrosinistra deve assumere esattamente un carattere di classe e quindi un carattere di certezza, per l'oggi e per il domani: non va finalizzata ad aprire il varco di una ricomposizione della maggioranza del 21 aprile, ma a un mutamento radicale dei rapporti di forza tra le classi sociali, unica condizione di un'alternativa vera.

Questa collocazione di opposizione ha implicazioni immediate di svolta sulla nostra politica oggi.
Intanto sul terreno dei governi locali, a partire dalle regioni e dalle grandi città: com'è possibile infatti denunciare l'integrazione delle grandi giunte e dei loro sindaci nella concertazione nazionale delle politiche del governo e poi continuare a far parte con nostri assessori di quelle giunte sostenendo le loro politiche?
Occorre inoltre una logica nuova nella stessa impostazione del nostro intervento di massa e nei movimenti: dove non possiamo limitarci a sostenere le "ragioni" dei lavoratori ma dobbiamo avanzare nostre proposte rivendicative unificanti, indicazioni chiare e concrete su forme di lotta, forme di organizzazione, sbocchi vertenziali, in una logica generale di egemonia alternativa, in aperta contrapposizione alle attuali direzioni politiche e sindacali.
E proprio nei confronti di DS e apparati sindacali occorre, infine, una svolta di impostazione. L'apparato DS e il PRC non possono essere visti solamente come soggetti distinti, seppur strategicamente: sono rappresentanze politiche di progetti tra loro alternativi perché al servizio di opposte classi sociali. Il nostro obiettivo non può essere allora la riapertura del confronto con i vertici DS "sul destino comune delle sinistre": ma quello di dissolvere la loro influenza tra le masse, finalizzando a questo scopo di fondo ogni nostra tattica.
Parallelamente, non basta la sacrosanta denuncia della politica sindacale.
E' necessario assumere un giudizio di irriformabilità della struttura e l'obiettivo strategico, certo complesso, della cacciata della burocrazia dal movimento sindacale, quale vera e propria agenzia delle classi dominanti nel movimento operaio. Facendo un bilancio degli errori compiuti, in particolare nella CGIL, e superando l'attuale sostegno critico alla sinistra della burocrazia sindacale (vertici FIOM).

Ma dal bilancio dei due anni passati dobbiamo trarre un'indicazione di svolta sullo stesso terreno strategico generale. Il fallimento del compromesso dinamico riformatore col governo Prodi - come il precedente congresso lo definì - dimostra una volta di più la crisi profonda del riformismo e delle sue illusioni entro la svolta d'epoca del nostro tempo, segnata dal crollo dell'URSS, dalla crisi strutturale del capitalismo, dalla nuova competizione mondiale tra grandi blocchi imperialistici di cui è espressione la nascita stessa del nuovo polo europeo. Peraltro proprio la crisi del riformismo è oggi rivelata dalla stessa politica dei governi socialdemocratici europei, da Schroeder a Jospin: i quali infatti lungi dal combattere il liberismo gestiscono di fatto un liberismo temperato, fatto anch'esso di privatizzazioni, flessibilità, tagli alle spese, a volte incontrando, come in Francia, le prime reazioni di lotta di disoccupati, lavoratori, studenti e l'opposizione aperta di una sinistra rivoluzionaria in forte crescita.
E' proprio a fronte di questo sfondo storico nuovo che il PRC deve superare ogni vecchia illusione riformistica. Un'alternativa di società intesa come alternativa al liberismo separata e distinta dall'alternativa al capitalismo, rappresenta infatti un'utopia: non una realistica "tappa intermedia" ma un miraggio "ideologico" il cui perseguimento conduce nella pratica alla ciclica subordinazione ("critica") a governi di fatto controriformatori (socialdemocratici o di centrosinistra).
La rifondazione comunista deve invece avviare il proprio difficile cammino proprio dall'assunzione della prospettiva socialista quale unica reale alternativa di società e quale punto di riferimento centrale di tutta la nostra politica. Perché, in realtà, nessuna delle grandi drammatiche questioni del nostro tempo dallo sfruttamento di classe alla devastazione ambientale, all'oppressione femminile, può essere avviata a soluzione se non nella prospettiva della rottura di sistema.
Certo: la necessità oggettiva della rottura anticapitalistica si scontra oggi con l'immaturità profonda della coscienza di massa e dei rapporti di forza, tanto più dopo il crollo dell'URSS e le sconfitte subite. Ma il compito di noi comunisti non è quello di aggirare tale contraddizione teorizzando miraggi riformistici e costruendo così nuovi ostacoli sul terreno della maturazione anticapitalistica delle masse: ma è quello di impegnarci in ogni lotta, in ogni movimento, nella difficile impresa di elevare lotte e coscienza delle masse all'altezza della prospettiva anticapitalistica.
Questa impostazione nuova, peraltro, consente di aprire finalmente la rifondazione comunista in tutta la sua complessità. Avvia il recupero e rilancio del programma fondamentale dei comunisti (contro l'ennesimo "rinvio"), che è condizione stessa della sua rilettura storica e attualizzazione politica. Avvia l'elaborazione di un programma transitorio del partito capace di costruire un ponte, nell'azione, tra obiettivi immediati e fini generali. Sollecita l'applicazione e articolazione di questa impostazione entro l'attuale condizione storica dell'Italia, inaugurando una riflessione nuova e approfondita di tutto il partito.

Infine, la chiarezza del progetto generale è strettamente connessa alla stessa questione del partito.
Un partito comunista, infatti, non può essere un fine a sè, ma solo lo strumento di perseguimento di un fine. Se a otto anni dalla nascita del partito si continua a rinviare e rimuovere la questione dei fini generali, e si afferma una politica scissa dai fini, allora il partito tende a trasformarsi nel fine di sé stesso in una logica, quella sì, autoreferenziale che incide profondamente sulla sua stessa costituzione materiale, al di là di ogni intenzione: istituzionalismo elettoralistico, sradicamento sociale, ciclica scissione delle rappresentanze istituzionali, burocratismo interno.
Occorre dunque una risposta nuova, a partire da un nuovo progetto e una nuova cultura. Un partito comunista impegnato nella lotta per l'egemonia tra le masse in una coerente prospettiva socialista motiva, per sua stessa natura, la ricerca del radicamento sociale, dell'iniziativa di massa, della formazione dei quadri; contrasta personalismi e carrierismi; realizza il controllo sulle proprie rappresentanze istituzionali anche stabilendo che gli eletti comunisti versino al partito l'intero stipendio parlamentare in cambio della copertura delle spese di mandato e di una retribuzione pari a quella di funzionari.
Quel partito non vive la democrazia come parentesi congressuale ma la promuove nella sua vita quotidiana perché solo un partito che incoraggi, anziché comprimere, confronto libero e spirito critico contro ogni conformismo burocratico, che coinvolga l'insieme dei militanti nella definizione delle scelte, che consenta ad ogni minoranza di poter diventare maggioranza, solo quel partito costruisce quotidianamente la propria forza e la propria unità, che è cosa diversa dall'unanimismo.
E solo un partito che fonda la propria unità sulla democrazia, solo un partito di liberi ed eguali, può lottare efficacemente per un progetto comunista.

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