
INTERVENTI DEL COMPAGNO
MARCO FERRANDO
Agosto 1998
Rifondazione di fronte all'impossibile "svolta riformatrice" del governo Prodi
IL NECESSARIO BILANCIO DI UN FALLIMENTO ANNUNCIATO
"O svolta o rottura": così al Comitato politico nazionale del 4-5 luglio la maggioranza del gruppo dirigente del Prc definiva il mandato negoziale per la verifica di governo.
"Né svolta né rottura" è la conclusione tratta dalla stessa maggioranza nel Cpn del 19 luglio che ha deciso l'ennesimo voto di fiducia al governo Prodi. Così dunque si è chiusa quella che era stata presentata come la nuova "verifica risolutiva".
E la verifica in effetti vi è stata. Ma solo nel senso che il governo Prodi e la coalizione dell'Ulivo hanno potuto "verificare" la disponibilità del gruppo dirigente del Prc a continuare a sostenere un indirizzo politico e di classe che è esattamente opposto alle ragioni sociali del partito.
Ne emerge una risultanza chiara; un governo in difficoltà può affrontare l'autunno con forza rinnovata, il partito consuma un altro passo della propria crisi, moltiplicando contraddizioni e disorientamento interno. Sino a quando?
LE DIFFICOLTA' DI PRODI
Traguardato l'obiettivo strategico dell'ingresso nel processo di unificazione monetaria europea, il governo Prodi è entrato di fatto in una fase nuova segnata da nuove difficoltà di fondo.
La lunga corsa verso l'Europa, coi suoi ingenti costi sociali, ha logo rato col tempo 1' "immagine del governo, le illusioni già flebili che ne accompagnarono la nascita, convertendole in un senso diffuso di sfiducia e disincanto.
Le difficoltà elettorali del Pds (e del Prc), l'espansione dell'astensionismo, la ripresa minacciosa del centro destra, in particolare nel Sud, ne sono il termometro rivelatore.
L'osservazione quotidiana del senso comune la sua verifica permanente. La disaffezione, seppure passiva, di larga parte del po polo della sinistra, unita alla crescita della massa critica della miseria sociale, ha messo in allarme gli ambienti di governo e gli stessi circoli dominanti circa i rischi di crisi di quella pace so ciale che per due anni ha rappre
sentato il principale successo del governo.
Da qui la ricerca di un'azione di rilancio dell'immagine dell'esecutivo attorno al cosiddetto "nuovo ciclo riformatore" e alla propagandata "centralità del lavoro e del Mezzoglorno.
E tuttavia il nuovo ciclo è destinato a restare una petizione vacua entro i dettami congiunti della crisi capitalistica e dell'integrazione europea.
Da un lato i primi riflessi in Europa della crisi asiatica riducono le aspettative di ripresa economica inducendo Bankitalia a formulare per il '99 una previsione di sviluppo non superiore al 2%, entro una più generale riduzione dei già modestissimi tassi di sviluppo continentali.
Dall'altro lato i parametri di fenro della riduzione del deficit e del progressivo abbattimento del debito pubblico costringono il governo Prodi ad un avanzo primario del 5,5% sul Pil (l'avanzo più consistente d'Europa), riducendo drasticamente gli spazi di manovra redistributiva e i margini materiali di una politica riformista.
L'IMPOTENZA RIFORMATRICE DEL GOVERNO PRODI
Inoltre il nuovo dispiegamento della concorrenza capitalistica sospinta dall'integrazione europea e dalla stagnazione spinge la borghesia italiana ad un permanente assalto alle già limitate risorse pubbliche in funzione dei propri profitti e delle proprie esigenze di accumulazione.
E il governo Prodi, fedele al suo mandante sociale, non può che assumere tale richiesta come propria bussola, indirizzando il Dpef e l'impostazione programmatica per la seconda parte della legislatura verso un nuovo salto in avanti dclla politica degli incentivi, degli sgravi, del sostegno alle flessibilità, quindi ai profitti.
Ecco dunque la contraddizione di fondo che segna la nuo va fase del governo: l'esigenza riformistica e l'impotenza riformistica, la ricerca di una innovazione d'immagine e la continuità strutturale della vecchia politica borghese, la necessità di preservazione della pace sociale e l'impossibilità di darle una qualche base materiale.
Questa contraddizione, che indebolisce il governo, accresce il suo bisogno di coprirsi a sinistra, tanto più in presenza di una ripresa reale del centrodcstra, dclla sua aggressività politica, dei suoi legami sociali.
Peraltro evitare il formarsi di una opposizione a sinistra è tanto più oggi il principale antidoto di cui la borghesia dispone verso i rischi di ripresa del conflitto sociale, il principale investimento in quella passivizzazione di massa di cui ha goduto, unica in Europa, per due anni.
Cos'altro ha significato il pubblico augurio del senatore Agnelli per l'esito positivo della "verifica di maggioranza" unito al più generale apprezzamento per la funzione calmieratrice sul fronte sociale delle socialdemocrazie europee?
DIFFICOLTA' E CONTRADDIZIONI DEL PDS
Ma questa situazione accresce al contempo le difficoltà della sinistra italiana nel suo coinvolgimento di governo o nella sua azione di sostegno al governo.
Lo stesso Pds è attraversato oggi da difficoltà crescenti.
Architrave decisivo del governo e dell'Ulivo, agente determinante della concertazione e della pace sociale, esso è oggi esposti ai primi visibili effetti di logoramento, con l'inevitabile amplificazione di contraddizioni interne e dinamiche di crisi.
La maggioranza della sua burocrazia dirigente con a capo D'Alema continua a respingere un'ipotesi di dissoluzione dcl Pds nell'IJlivo, volendo invece preservare la natura so cialdemocratica del partito e l'insediamento sociale e territoriale che le corrisponde: condizione decisiva del controllo sulle masse e quindi della propria funzione di agenzia della borghesia nel movimento operaio.
Ma proprio questa natura sociale espone gruppi dirigenti, ministri, sindaci ed amministratori del partito ai contraccolpi del disincanto di massa: contraccolpi misurati dalle inedite difficoltà elettorali in particolare nel Sud ma anche significativamente in vecchie roccaforti dell'insediamento sociale del partito (Parma, Pistoia...).
Parallelamente, il governo quotidiano della concertazione, l'esposizione ministeriale di frontiera in dicasteri chiave, le diffuse responsabilità amministrative in periferia, se da un lato moltiplicano i legami organici con le classi dominanti dall'altro complicano il rapporto tra burocrazia del partito e sua rappresentanza istituzionale amplificando le tensioni interne all'apparato e mettendo a dura prova la stessa tenuta del segretario.
La sconfitta di D'Alema sul versante della riforma istituzionale ha aggravato peraltro tali dinamiche. Tanto più in questa situazione di difficoltà diventa allora essenziale per il Pds evitare un'opposizione a sinistra, tenere il Prc in maggioranza anche a costo di contrattazioni periodiche, consolidando così la propria centralità nella coalizione, ma soprattutto conservando un cuscinetto protettivo sul versante sociale.
IL FALLIMENTO DELLA POLITICA DI RIFONDAZIONE
Tanto più gravi risultano, in questo quadro, le responsabilità della maggioranza dirigente del Prc (da Bertinotti a Cossutta, a Ferrero) nel rinnovare la propria fiducia al governo.
E' un servizio reso alla borghesia italiana e alla sua domanda di stabilità nella pace sociale. E' un servizio reso al gruppo dirigente del Pds e alla sua esigenza di copertura a sinistra.
Fiducia "critica" si è detto. Ma da due anni la maggioranza dirigente del Prc offre la "fiducia critica al governo Prodi, Ciampi, Dini. Ove la critica è rimasta parola impotente o puro orpello d'immagine e la fiducia il fatto politico sostanziale che ha consentito al governo di realizzare la sua politica contro le classi subalterne.
E' possibile chiedere il bilancio onesto di questi due anni?
In due anni il partito non ha realizzato un solo obbiettivo del programma che propose per i primi 100 giorni della legislatura, mentre il governo che il partito sostiene ha realizzato tutti gli obbiettivi strategici del capitale finanziario che per quattro anni avevamo contrastato dall'opposizione.
Questa è la pura e amara verità.
E' possibile negarla o rimuoverla?
Nessuno degli argomenti avanzati al congresso da Bertinotti, Cossutta, Ferrero ecc. ha retto alla prova dei fatti, che è stata invece impietosa.
Si era detto che l'ingresso in maggioranza avrebbe consentito un posizionamento più avanzato per imprirnere una svolta riformatrice, sviluppare il movimento, battere le destre.
Dopo due anni verifichiamo la continuità delle politiche dominanti, la pace sociale, il più pesante arretramento di combattività e di lotta degli ultimi trenta anni, la ripresa significativa del blocco sociale reazionario.
Verifichiamo in altri termini il fallimento totale di una politica e dell'ispirazione strategica che l'ha formalmente sorretta: il "compro messo riformatore con le classi dominanti italiane e col loro personale politico.
Si era detto che l'ingresso in maggioranza avrebbe alimentato la "speranza"e dialogato con le attese del 21 aprile: dopo due anni le stesse illusioni che abbiamo alimentato intorno attorno alle possibilità riformatrici del governo si sono risolte in un disincanto profondo che colpisce e avvolge, inevitabilmente, lo stesso partito che le ha prodotte, con un pesante logoramento della sua credibilità pubblica.
Si era detto, infine, che l'ingresso nella maggioranza avrebbe favorito, con un'azione politica più incisiva, un più profondo radicamento sociale e territoriale del partito, un salto in avanti della sua costruzione e iniziativa di massa: dopo due anni, l'assenza di risultati reali e il ciclico alternarsi di aspettative di rottura, alimentate dall'annuncio di "verifiche risolutive", e di sistematici compromessi che le frustrano, hanno prodotto un'autentica precipitazione della crisi del partito, anche sul terreno dell'iniziativa più elementare.
LA CRISI PROFONDA DEL PARTITO
Ed è inevitabile, perché l'iniziativa non scatta se non si visualizzano gli sbocchi, se la base non ha certezza della determinazione del gruppo dirigente, se non si sa se gli annunci sono impegni reali o solo ginnastica contrattuale per l'ennesimo accordo.
Quanti compagni si erano prodigati nell'ottobre '97 a diffondere volantini di denuncia contro il "governo dei banchieri", trovandosi arruolati, dopo quarantotto ore, nella maggioranza politica di quel governo?
E quante di quelle energie e disponibilità generose sono state così frustrate e disperse?
La "fiducia critica" rinovata al governo, dopo l'impegno solenno o svolta, o rottura è solo l'ultimo approdo di una linea politica fallita, e anche della sua gestione rocambolesca.
Ed è una fiducia ancor più grave di ieri, perché sancisce la continuità del sostegno al governo proprio nel momento del suo massimo logoramento, nel momento in cui gli indici di povertà denunciano pubblicamente il governo, nel mo mento in cui paradossalmente lo stesso segretario del no stro partito (rimuovendo le proprie responsabilità) lamenta il fallimento di Prodi sulla questione sociale.
E' un ulteriore contributo alla sfiducia e alla passivizzazione di larghe masse che tanto più sono indotte a percepire la corresponsabilità dell'intera maggioranza alla politica di attacco alla loro condizione.
RINVIO ALLA FINANZIARIA?
Nè vale l'argomento consolatorio del rinvio della verifica alla fmanziaria.
Innanzitutto perché la "fiducia" di luglio rende più difficile una dissociazione futura accrescendo i vincoli di dipendenza: come il precedente voto a favore del Dpef èstato impugnato dal governo per chiedere la fiducia, così la fiducia concessa su un indirizzo di legislatura sarà impugnata come pegno di fedeltà sulla Finanziaria.
In secondo luogo perchè l'annuncio del "banco di prova decisivo", già proposto nel '96 e nel '97, non marca una prospettiva di rottura ma la volontà di una ennesima contrattazione. Una contrattazione entro le compatibilità di un Dpef già votato e di un indirizzo programmatico già "fiduciato".
Una contrattazione quindi che, proprio per il fatto di dispiegarsi sul terreno programmatico avversario sconta in partenza, per definizione, la ricerca di un compromesso sul meno peggio".
Che magari, come nel '96 e nel '97, potrà essere presentato come "Finanziaria di svolta" ('96),o come"spostamento a sinistra dell'asse programmatico del governo" ('97).
Questo significa forse che il compromesso d'autunno tra Bertinotti e Prodi è ormai certo?
LA CORDA PUO' ANCHE SPEZZARSI MA...
No, la corda può anche spezzarsi, e per ragioni diverse: o per dinamica oggettiva e imprevedibile, o per calcoli di posizionamento istituzionale del Prc alla vigilia del semestre bianco, o per reazione estrema di autodifesa del segretario di fronte al precipitare ulteriore della crisi d'immagine, o per valutazioni d'opportunità legate allo scontro interno alla maggioranza dirigente del Prc.
O ancora per una diversa combinazione di questi elementi. Ma una rottura con Prodi che si dovesse determinare come puro sbocco di un calcolo burocratico, senza bilancio di classe e ridefinizione strategica, non lascerebbe forse irrisolti i problemi di fondo del partito e della Rifondazione?
Così non si può andare avanti.
Una sinistra coerente del nartito Duo e aeve cmeuere contemnoraneamente ia rottura immediata col governo Prodi e l'avvio di una verifica democratica interna che coinvolga l'insieme del partito e del suo corpo militante.
Che effettui un bilancio serio del falli-mento della linea emersa al III Congresso e della maggio ranza dirigente che l'ha promossa e gestita.
Che definisca una nuova collocazione politica in funzione di una nuova linea e di una nuova prospettiva strategica.
NECESSARIO E URGENTE UN CONGRESSO STRAORDINARIO
Per questo è necessario e urgente un congresso straordinario del Prc.
E' necessario perché la gravità della situazione del partito, sotto tutti gli aspetti (impasse politica, logoramento pubblico, crisi della maggioranza dirigente, sbandamento e passivizzazione di ampi settori militanti) esige e sollecita la responsabilità di scelte politiche e strategiche che solo un congresso ha la titolarità di assumere.
E' urgente: perché più la situazione precipita, più si aggrava la caduta libera del Prc e più si riducono condizioni e spazi di una via d'uscita.
La scelta peggiore per la sinistra interna sarebbe quella di attestarsi su una posizione passiva di attesa della verifica sulla Finanziaria, dell'evoluzione dello scontro "Bertinotti-Cossutta, di eventuali trasformismi dell'ultima ora della cosiddetta sinistra della maggioranza (Ferrero). Senza un bilancio di un fallimento politico e dell'intero gruppo dirigente che ne è responsabile; senza un'alternativa di linea politica e strategica non vi sarà via d'uscita dalla crisi del Prc nè tantomeno un rilancio della Rifondazione.