aprile 1998




25 APRILE 1998

E' proprio il caso di ribadirlo: nessuna pacificazione con i fascisti .

Nessun cedimento verso chi, il PDS in prima linea, vorrebbe farci riscrivere la Costituzione con i fascisti in nome di una pacificazione che non può e non deve concretizzarsi nel popolo italiano. E' questo un tentativo subdolo di cancellare la memoria storica, di cancellare il legame che esiste tra fascismo e capitalismo. Festeggiare oggi il 25 aprile significa combattere le sirene reazionarie dei vari Violante, D'Alema, Veltroni, Fini, Berlusconi, Cossiga, Di Pietro, Segni ecc. Significa lottare contro il governo Prodi che è servo degli americani, che distrugge lo Stato sociale e prepara una nuova offensiva padronale per precarizzare ulteriormente il lavoro, aumentare lo sfruttamento ed emarginare quote sempre maggiori di giovani nella disoccupazione che ormai è endemica e di massa ! Significa lottare per un'alternativa politica secca a Polo e Ulivo ormai complementari sul piano sociale, politico e culturale; schiavi dei parametri di Maastricht e dei banchieri tedeschi che ormai governano la nostra economia.

Continuare oggi la Resistenza contro il fascismo e il capitalismo comporta scelte coerenti contro la "pacificazione" e il revisionismo storico, contro il governo confindustriale di Prodi e contro l'Europa monetaria che porterà le classi lavoratrici italiane alla rovina.



A 150 ANNI DAL MANIFESTO
DEL PARTITO COMUNISTA



A 150 anni dalla sua pubblicazione il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels rimane una "rivelazione" per qualsiasi lavoratore che cerchi una comprensione delle proprie condizioni sociali, economiche e politiche. Nessun altro libro più di questo ha saputo riassumere in poche pagine un'analisi scientifica che non si limitasse a contemplare il capitalismo, ma indicasse anche la strada del suo superamento. Il Manifesto è un documento celeberrimo, le sue formulazioni sono state mille volte citate. Eppure non sempre a questa notorietà è corrisposta una reale comprensione del suo messaggio rivoluzionario.

di Claudio Bellotti

Nel Manifesto troviamo innanzitutto una descrizione dello sviluppo del capitalismo che non può che stupire per la sua chiaroveggenza. In essa vengono descritti con anticipo di decenni i fenomeni che avrebbero caratterizzato il capitalismo dell'epoca successiva. In primo luogo si indica il ruolo decisivo che avrebbe assunto il mercato mondiale sulle singole economie nazionali: "Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. Con grande dispiacere dei reazionari, ha tolto all'industria la base nazionale. Le antichissime industrie nazionali sono state e vengono, di giorno in giorno, annichilite. Esse vengono soppiantate da nuove industrie (...) che non lavorano più materie prime indigene, bensì materie prime provenienti dalle regioni più remote, e i cui prodotti non si consumano soltanto nel paese, ma in tutte le parti del mondo. (...) Subentra un traffico universale, una universale dipendenza delle nazioni l'una dall'altra".

IL MERCATO MONDIALE

Paragoniamo questa lungimiranza di un testo scritto nel 1847, quando il capitalismo industriale era ancora ai suoi albori, con le pompose dissertazioni dei mille studiosi (naturalmente quasi tutti "di sinistra") che oggi scoprono la cosiddetta globalizzazione come fosse la novità dell'ultima ora. Allo stesso modo il Manifesto indica chiaramente un altro tratto distintivo del capitalismo, e cioè come "la borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l'insieme dei rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutata conservazione dell'antico modo di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'incessante scuotimento di tutte le condizioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca borghese da tutte le altre". Queste poche righe rendono giustizia ai fatti più di tutte le infinite lamentele degli studiosi già citati, che ad ognuna delle infinite svolte che il capitalismo impone nel mondo della produzione esigono che il marxismo venga "riveduto" in nome delle "nuove condizioni". Più importante ancora, nel Manifesto troviamo una prima analisi del carattere particolare e, per quei tempi, del tutto nuovo delle crisi economiche che hanno segnato la storia del capitalismo. "Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta una gran parte non solo dei prodotti già ottenuti, ma anche delle forze produttive che erano già state create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in ogni altra epoca sarebbe apparsa un controsenso: l'epidemia della sovraproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; (...) l'industria e il commercio sembrano annientati, e perché? Perché la società possiede troppa civiltà., troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive di cui essa dispone non giovano più a favorire lo sviluppo della società borghese e dei rapporti di proprietà borghese; al contrario, esse sono divenute troppo potenti per tali rapporti, sicché ne vengono inceppate; e non appena superano questo impedimento gettano nel disordine tutta quanta la società borghese, minacciano l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenere le ricchezze da essi prodotte. Con quale mezzo riesce la borghesia a superare le crisi? Per un verso, distruggendo forzatamente una grande quantità di forze produttive; per un altro verso conquistando nuovi mercati e sfruttando più intensamente i mercati già esistenti. Con quale mezzo dunque? Preparando crisi più estese e più violente e riducendo i mezzi per prevenire le crisi".

IL RUOLO DEL PROLETARIATO

Il Manifesto non si limita tuttavia a un'analisi dell'economia e della società capitalista. Il suo fine era ed è quello di indicare alla classe lavoratrice la strada del rovesciamento del capitalismo. Nel 1847 non esisteva che un embrione di movimento operaio organizzato su basi indipendenti, e solo in alcuni paesi. I pensatori socialisti dell'epoca consideravano tutt'al più gli operai come beneficiari di riforme più o meno avanzate concesse dalle classi possidenti, ma certo non vedevano in essi una forza sociale capace di giocare un ruolo nella lotta politica. Marx ed Engels furono i primi ad indicare con chiarezza che il proletariato non era solo una delle tante classi sfruttate dalla borghesia, ma che lo stesso sviluppo del capitalismo avrebbe posto i lavoratori di fronte alla necessità di organizzarsi autonomamente sul terreno economico e politico: "Di tutte le classi che oggi stanno di fronte alla borghesia solo il proletariato è una classe veramente rivoluzionaria. Le altre classi decadono e periscono con la grande industria, mentre il proletariato ne è il prodotto genuino. "I ceti medi, il piccolo industriale, il piccolo negoziante, l'artigiano, il contadino, tutti costoro combattono la borghesia per salvare dalla rovina la loro esistenza di ceti medi. Non sono dunque rivoluzionari, ma conservatori. (...) Quanto al sottoproletariato, che rappresenta la putrefazione passiva degli strati più bassi della vecchia società (...) per le sue stesse condizioni di vita sarà piuttosto disposto a farsi comprare e mettere al servizio di mene reazionarie. "(...) Il movimento proletario è il movimento indipendente dell'enorme maggioranza nell'interesse dell'enorme maggioranza. Il proletariato, che è lo strato più basso della società attuale, non può sollevarsi, non può innalzarsi senza che tutta la sovrastruttura degli strati che costituiscono la società ufficiale vada in frantumi". Proprio in vista di questo ruolo rivoluzionario il Manifesto dedica ampio spazio a polemizzare con le accuse che normalmente vengono rivolte ai comunisti e a smascherare alcuni dei luoghi comuni con i quali la borghesia riveste e abbellisce il suo dominio. "La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte quelle attività che per l'innanzi erano considerate degne di venerazione e rispetto. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, il poeta, lo scienziato in suoi operai salariati". E più avanti: "Le idee dominanti di un'epoca furono sempre soltanto le idee della classe dominante".

"SOCIALISMO CONSERVATORE"

Il capitolo terzo, intitolato "Letteratura socialista e comunista", viene spesso indicato come superato; certamente molte delle correnti politiche che vengono nominate in questa parte non esistono più da decenni. Eppure il lettore attento non potrà fare a meno di dare volti moderni ai profili tracciati da Marx ed Engels quando trattano, per esempio, del "socialismo conservatore": "Una parte della borghesia desidera di portar rimedio ai mali della società per assicurare l'esistenza della società borghese (...) I borghesi socialisti vogliono le condizioni di vita della moderna società borghese senza le lotte e i pericoli che necessariamente ne risultano. Vogliono la società attuale senza gli elementi che la rivoluzionano e la dissolvono. Vogliono la borghesia senza il proletariato. (...) Questo socialismo però non intende menomamente per cambiamento delle condizioni materiali di vita e l'abolizione dei rapporti di produzione borghesi, che può conseguire soltanto per via rivoluzionaria, ma dei miglioramenti amministrativi realizzati sul terreno di questi rapporti di produzione, che cioè non cambino affatto il rapporto tra capitale e lavoro salariato, ma, nel migliore dei casi, diminuiscano alla borghesia le spese del suo dominio e semplifichino l'assetto della finanza statale. "(...) Il socialismo della borghesia consiste appunto nel sostenere che i borghesi sono borghesi - nell'interesse della classe operaia". In questi 150 anni il Manifesto è stato attaccato da ogni lato. Si può dire che ognuna delle sue formulazioni è stata criticata con ogni genere di argomenti. Sarebbe quindi impossibile tentare in questo articolo di analizzare tutti i tentativi che sono stati fatti di confutare questo testo. E d'altra parte è dubbio che valga la pena di intraprendere un'impresa del genere: dopo un secolo e mezzo, quale altro testo politico può pretendere di aver sostenuto la prova del tempo più brillantemente di questo? Liberalismo, imperialismo, fascismo, keynesismo, neoliberalismo... tanto sul terreno economico che su quello politico il pensiero della classe dominante da decenni non è stato in grado di proporre altro che delle giustificazioni, adattate di volta in volta alle necessità del momento, del proprio dominio di classe, in un caleidoscopio di idee, scuole e tendenze che a turno spodestano l'idolo del momento solo per poi cedere a loro volta il passo alla successiva "parola nuova" del pensiero borghese. Il motivo fondamentale per cui il Manifesto non invecchia, perlomeno nei suoi punti fondamentali, è che in nessun momento esso si propone di dettare legge ai fatti, di dire "come dovrebbe essere la realtà". Proprio per questo più ancora di tutti i nemici dichiarati sono fuori strada quei cosiddetti "amici" che tentano di difendere il Manifesto separando il "buono", cioè l'analisi del capitalismo, dal "cattivo", cioè i cosiddetti "rimedi". Infatti nel Manifesto non c'è traccia di "rimedio" astratto ai mali del capitalismo: "Le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee, sopra principi che siano stati inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo. Esse sono soltanto espressioni generali di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi". Dunque i comunisti non sono affatto dei maestri di scuola che disegnano una società perfetta e tentano di bacchettare chi non si adegua a questo ideale: "I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solamente per il fatto che da un lato nelle varie lotte nazionali dei proletari, essi mettono in rilievo e fanno valere quegli interessi comuni dell'intero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità; d'altro lato per il fatto che, nei vari stadi di sviluppo che la lotta tra proletariato e borghesia va attraversando, rappresentano sempre l'interesse del movimento complessivo".

UNA NUOVA EPOCA

La pubblicazione del Manifesto segnò l'inizio di una nuova epoca. Per la prima volta, infatti, proprio nelle rivoluzioni del 1848 la classe operaia appariva come una forza distinta, mossa da propri interessi, da un proprio programma, e non più semplicemente massa di manovra a favore di questo o quel partito delle classi "alte". Da allora il movimento operaio ha percorso una parabola gigantesca, attraversando innumerevoli lotte, dalla Comune di Parigi alla rivoluzione russa, alle infinite battaglie rivoluzionarie combattute sotto tutte le latitudini, dalla rivoluzione tedesca del 1918-23 a quella spagnola degli anni '30, al "biennio rosso" italiano, alla lotta contro il fascismo, alle lotte per la liberazione dei paesi coloniali... ovunque si è sedimentata un'enorme esperienza politica, sindacale, e il reticolo delle organizzazioni dei lavoratori copre tutto il pianeta, in una misura che sarebbe stata inimmaginabile nel 1848. Eppure apparentemente questo enorme movimento sembra essersi ridotto ad una parabola, che dopo aver attraversato una fase di enorme ascesa sarebbe ora ritornato al punto di partenza. Se ci limitassimo ad ascoltare i discorsi di quasi tutti i "capi" ufficiali della sinistra, da Blair a D'Alema, sembrerebbe in effetti che questi 150 anni siano passati invano. Ma nella lotta politica nulla va perduto. In questo decennio la controffensiva ideologica contro il comunismo e contro qualsiasi idea di superamento del capitalismo ha raggiunto certamente il suo apice, ma ha anche mostrato il suo limite invalicabile. La borghesia può tentare di seppellire il comunismo sotto una montagna di falsificazioni, distorsioni e calunnie, ma non può impedire che gli stessi avvenimenti spingano una nuova generazione di militanti alla ricerca di una via d'uscita dalle enormi contraddizioni in cui si dibatte questo sistema. Questa ricerca si conduce contemporaneamente sul terreno sindacale, su quello politico e anche su quello più propriamente teorico; e da questo punto di vista nessun punto di partenza può essere più fecondo di uno studio attento e approfondito del Manifesto del partito comunista.


DIFENSORE CIVICO O...DIFENSORE DELL'AMMINISTRAZIONE PESCO?

di Orlando Micucci

L'Amministrazione Comunale di Camerano ha nominato il difensore civico, il "proprio" difensore civico. La maggioranza che governa il nostro paese, con una buona dose di arroganza e faccia tosta, ha infatti imposto al Consiglio Comunale ed ai cittadini cameranesi il proprio candidato, l'insegnante Anna Rita Durantini. Paradossalmente, la persona che dovrà tutelare i cittadini cameranesi controllando l'Amministrazione comunale, denunciando e segnalando abusi e soprusi di amministratori, disfunzioni, carenze e ritardi dell'amministrazione, sarà quella proposta e nominata dalla maggioranza dell'Ulivo (PPI, PDS, Verdi e Socialisti) che governa il nostro paese; in poche parole il controllore (difensore civico) che viene proposto e nominato dal controllato (l'Amministrazione Pesco). Tutto ciò appare inammissibile per noi comunisti cameranesi, che abbiamo sempre considerato la tutela del cittadino e la trasparenza amministrativa come principi fondamentali, che devono guidare l'azione degli amministratori. L'Amministrazione comunale di Camerano rappresentata dalla giunta Pesco, pur sbandierando in campagna elettorale ed in ogni occasione possibile la volontà di applicare certi principi di buona amministrazione e trasparenza, si guarda bene poi nella concreta pratica di governo dal realizzarli. La nomina del difensore civico ne è una prova lampante e rivela un'aspirazione dei nostri amministratori a governare indisturbati e senza controlli. Certo, le procedure formali relative alla nomina previste dallo Statuto sono state seguite alla lettera, ma nella sostanza non è stata fatta una valutazione in concreto dei candidati, dei rispettivi curricula professionali ed in particolare delle esperienze legali e amministrative. La maggioranza ha votato compatta e senza la minima incertezza per il proprio candidato. La riunione dei capigruppo voluta dal Sindaco per trovare un accordo sulla persona da eleggere, è stata solo una formalità per salvare la faccia e dimostrare che è stato fatto il possibile per ricercare un consenso unanime dei consiglieri. In realtà non c'era alcuna discussione da fare, il difensore civico dei cittadini cameranesi era già bello che pronto, con buona pace delle opposizioni che si sono illuse che i propri candidati venissero quantomeno presi in considerazione. D'altra parte bisogna considerare che la recente legislazione in materia di enti locali (Legge Bassanini) prevede per il difensore civico nuovi ed importanti compiti. Ad esempio non sarà più il CO.RE.CO. ma il difensore civico a valutare la legittimità o meno delle delibere di Giunta Comunale impugnate dai consiglieri di opposizione. Alla luce di questa nuova normativa, è evidente che per un'amministrazione comunale fragile e paurosa la tentazione di attribuire la carica di difensore civico ad una persona "di fiducia", è molto forte. Per questo motivo riteniamo che i nostri dubbi sulla scelta operata siano del tutto legittimi, tenendo conto soprattutto del fatto che tutta la vicenda è stata gestita dalla maggioranza ulivista in modo antidemocratico. Non è nostra intenzione mettere la Sig.ra Durantini sul banco degli imputati ma vogliamo con forza denunciare un certo modo di fare politica tanto ruffiano, adulatorio e mellifluo nella forma quanto presuntuoso, arrogante ed autoritario nella sostanza, che caratterizza questa Amministrazione Comunale. Il neoeletto difensore civico dovrà tuttavia lavorare molto duramente per dimostrare di essere realmente indipendente da chi lo ha eletto con tanta determinazione. La domanda che tutti ci poniamo è questa: riuscirà il difensore civico ad opporsi validamente ad eventuali tentativi dell'Amministrazione Comunale di condizionarne l'operato? La Sig.ra Durantini sulla stampa locale (il Resto del Carlino del 22.03.98) assicura tutti affermando perentoriamente: "Non subirò condizionamenti di alcun tipo". Anche su questo punto abbiamo seri dubbi. Sinceramente, avremmo dormito sonni più tranquilli se la nomina di questa importante figura istituzionale fosse scaturita da un voto unanime del Consiglio Comunale.


PARCO DEL CONERO E DINTORNI:
SVILUPPO O SPECULAZIONE?

di Francesco Burattini


Per poter procedere ad una analisi della situazione attuale sia in termini realizzativi che previsionali (Piano del Parco) è indispensabile stabilire l'esatta valenza di due concetti: che cosa significhi l'istituzione del Parco e che cosa si intenda per Piano.
Vediamo così che ai sensi dell'art.1 della L.R.23.04.1987, n°21, si stabilisce che scopo del Parco è "La programmazione unitaria dell'uso del territorio con preminente riguardo alle esigenze di tutela della natura e dell'ambiente, nonché alla promozione della conoscenza scientifica e della didattica naturalistica per favorire lo sviluppo delle attività economiche, turistiche e sociali delle comunità residenti e renderlo compatibile con la tutela e la salvaguardia delle peculiari caratteristiche naturali, ambientali e storiche del Conero".

Da questo ci appare evidente che un Piano territoriale, non può essere altro che un momento di sintesi, di coordinamento e programmazione, di una puntuale e circostanziata politica territoriale finalizzata ad agire beneficamente, se non altro dal punto di vista previsionale ma anche e soprattutto sotto il profilo del recupero ambientale ed urbanistico.

Possiamo affermare oggi che si sta procedendo, magari con difficoltà, nella direzione auspicata dalla legge? La risposta è senz'altro negativa, direi fortemente negativa.

Tutta l'area del Conero sta subendo un'aggressione cementificatoria senza precedenti; e non si tratta solo di recuperi e ristrutturazioni ma, nella maggioranza dei casi, di ampliamenti selvaggi, di recinzioni con basi in cemento armato, di piscine, di campetti da gioco privati con illuminazione notturna ecc.
Volete una prova concreta, visibile, tangibile? Recatevi a Monte Freddo (zona Taunus) dove si può spaziare con ampia veduta su tutto il versante sud-occidentale del Parco, vi renderete conto di essere davanti ad un enorme, grande, immenso cantiere con decine e decine di gru in azione. E non si tratta solo della fascia più esterna al Parco, ma anche nella zona della Riserva naturale dove le ville esistenti stanno raddoppiando o quasi la cubatura, rafforzando recinzioni o addirittura, dove esistono le mura di cinta.
Quindi all'aggressione si accompagna una maggiore privatizzazione di un'area che doveva diventare a detta degli "esperti" "un parco in città a disposizione di tutti i cittadini".
E poi, non è ancora operativo il Piano del Parco (approvato dal Consiglio Direttivo) ora al vaglio della Regione. Ma è bene soffermarsi un attimo sui suoi contenuti.

Cosa prevede questo famigerato Piano? In termini concreti mezzo milione di metri cubi in più di nuovo cemento, la realizzazione di nuove strade, di tante altre piscine, di decine e decine di nuovi bungalow in aree molto delicate e una serie di urbanizzazioni tra Numana e Sirolo da far temere un processo di degrado irreversibile.
Gli attuali amministratori del Parco (Verdi compresi) dicono che il loro Piano però ha eliminato i villaggi "Barbadoro" e "Lido Azzurro" e che, "meglio di così non si poteva fare" in un "progetto molto complesso e che, in Regione potrà essere ancora migliorato" (Diego Mancinelli sul Corriere Adriatico del 22 marzo '98).
Niente di più falso e demagogico. Intanto perché le due famigerate lottizzazioni sono "sub judice", e quindi potenzialmente soggette ad essere realizzate e poi perché il Piano del parco in Regione non sarà mai e poi mai vagliato in senso restrittivo.
Ma non è tutto purtroppo. Dobbiamo rilevare che nuove mire al calcestruzzo (villaggi turistici) stanno avanzando nei pressi dei confini del Parco a Castelfidardo e in particolare a Camerano. Per fortuna i progetti dell'italo-americano Fred Mengoni sembrano per ora ridimensionarsi a Monte San Pellegrino di Castelfidardo; mentre a Camerano invece ormai è ufficiale che in zona Burattini a ridosso del Conero golf club sorgerà, salvo auspicati ripensamenti, un mega villaggio da 450 appartamenti multiproprietà spacciato per sviluppo termale.
Tutto ciò è assurdo!
Infatti la cintura agricola sud-occidentale del territorio comunale sarà persa per sempre e, date le vicinanze del nucleo frazionale di Burattini si determineranno tutte le condizioni oggettive per una degenerazione urbanistica del nucleo stesso che a parole, l'amministrazione vorrebbe salvaguardare; mentre le ricadute turistiche e quindi economiche, si riverseranno quasi esclusivamente su Numana e Sirolo.

Questa è, nel complesso, la nuova, triste realtà speculativa che avanza nell'area Parco e nelle sue immediate vicinanze.
Tutto ciò cosa significa però in termini politici?
Rispondere purtroppo non è difficile: il soggetto politico che media localmente la speculazione edilizia è cambiato. Non è più ovviamente il pentapartito con al centro la DC e il PSI, ma il nuovo centro sinistra che fa perno su PDS e Popolari sostenuti dai soliti socialisti e dai "Verdi", divenuti ormai governisti demagoghi ed incoerenti.
Lo dimostrano nell'ente Parco e al Comune di Camerano i fratelli Diego e Marco Mancinelli appoggiando tutto quello che "passa il convento" e ritrovandosi a braccetto (politicamente si intende) con i vari Palombarani e Moschini, fino a ieri tra i democristiani più beceri e antiparco di Numana e Camerano.
Quindi dopo tante teorizzazioni ecologiste, studi ambientalisti, proteste ecc. scopriamo che il tutto è stato finalizzato per quelle misere poltrone a basso "reddito".
Abbiamo la conferma (piena), che Guzzini sintetizza al Parco le politiche dell'asse Galeazzi-Spinsante mentre per bilanciare questa nuova ondata speculativa applica restrizioni fortissime ai veri fruitori del Parco cioè agli escursionisti.
Quindi non ambiente e sviluppo, ma restrizioni e speculazioni cementificatorie, cioè l'esatto contrario di quello che si propone la legge istitutiva e di quello che dovrebbe essere un Piano territoriale.
Per finire l'articolo vorrei proporre delle candidature al Premio Attila del Conero: al primo posto metterei Mariano Guzzini (Presidente del Parco) e poi a seguire Gianni Spinsante (Sindaco di Numana), Corrado Palombarani (Assessore al Parco), Carlo Pesco (Sindaco di Camerano), Carmine Di Giacomo (Assessore all'urbanistica del Comune di Camerano), Diego e Marco Mancinelli (Assessore al Parco e Consigliere al Comune di Camerano).


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