Bologna,  Mercoledì 2 aprile 2003

Ordine del Giorno approvato all’unanimità dal Comitato Regionale contro la cosiddetta “Regione Romagna”.

PDCI E/R: Una eventuale divisione dell’Emilia-Romagna danneggerebbe innanzitutto i lavoratori ed i ceti popolari.

Il Comitato Regionale dei Comunisti Italiani esprime una netta contrarietà all’ipotesi di costituzione della cosiddetta regione “Romagna”. Le motivazioni assunte per giustificare la creazione di due Regioni ci appaiono strumentali, inconsistenti e da contrastare. Due Regioni (L’Emilia e la Romagna) piccole e dunque più deboli, non sarebbero in grado, entrambe, di reggere gli scenari economici internazionali che richiedono ricerca d’eccellenza, alta qualità e capacità di innovazione dei prodotti e nel sistema delle imprese. Di conseguenza la competizione a dimensione internazionale indurrebbe gli imprenditori ed i soggetti economici ad agire prevalentemente sul costo del lavoro, abbassando i diritti e le tutele per i lavoratori. Viceversa la dimensione territoriale  più grande ed integrata favorisce una crescita ed uno sviluppo socialmente sostenibile, collocando così in un contesto più favorevole la battaglia delle sinistre e dei comunisti in difesa degli interessi dei ceti popolari. Dunque la divisione della Regione colpirebbe innanzitutto i lavoratori ed i soggetti sociali più deboli. Una seconda Regione pertanto, aumenterebbe la frammentazione sociale ed allargherebbe le disuguaglianze di classe, in un momento tra l’altro dove l’apparato produttivo mostra segnali di difficoltà ed occorrerebbe anche in Emilia-Romagna riequilibrare la distribuzione del reddito verso il lavoro dipendente e salariato, oggi invece sbilanciata verso il profitto le rendite ed il capitale. In ogni caso L’Emilia-Romagna è stata ed è una Regione policentrica.

Inoltre una seconda eventuale Regione moltiplicherebbe gli enti e le istituzioni pubbliche con un aggravio di costi sociali che inciderebbe pesantemente sui cittadini della nuova realtà istituzionale. Inoltre i costi aggiuntivi della nuova struttura regionale appesantirebbe il sistema nel suo complesso sottraendo preziose risorse altrimenti destinabili all’occupazione ed agli investimenti.

Per giustificare la creazione di una nuova Regione, i cosiddetti “romagnolisti” si richiamano  a motivazioni di carattere storico, linguistico e culturale, ma la storia del nostro Paese è storia di Comuni, ove differenze sedimentate da secoli si avvertono tra paesi e città anche assai vicine tra loro e tra le stesse province, purtuttavia le differenze non possono essere motivo di divisione e spezzettamento amministrativo, ma fattore di unità attraverso un loro riconoscimento ed una loro valorizzazione.

Inoltre la  cosiddetta Regione Romagna è sostenuta dalla destra e  da un ceto politico apparentemente neutrale e  da un finto civismo, in realtà tutti schierati a destra, in cerca di rivincite postume sulla sinistra e sul “modello rosso” emiliano-romagnolo, nella speranza futura che la creazione di una altra Regione possa offrire loro spazi politici ed istituzionali ora preclusi.

Infine il progetto politico di scissione della nostra Regione è fumoso e contraddittorio, perché la previsione di un eventuale referendum popolare che coinvolga solo la popolazione “romagnola”  è in contrasto con la Costituzione, con la legge ordinaria e anche con il buonsenso, essendo inoltre del tutto arbitrario decidere dove, come e perchè inizierebbe il confine di tale Regione. E’ necessario rigettare con determinazione una cultura, un disegno ed una politica di  frazionamento e di rottura assai pericolosa, in una fase in cui l’ipotesi di divisione, non a caso sostenuto dalla Lega e da Bossi, rafforzerebbe la “devolution” leghista rischiando di minare lo stesso concetto di unità nazionale.


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