Bologna, 19 gennaio 1998 Alla Presidente del Consiglio regionale RISOLUZIONE presentata dalla consigliera Patrizia Cantoni e dal consigliere Rocco Gerardo Giacomino IL CONSIGLIO REGIONALE DELL’EMILIA ROMAGNA premesso - che nei giorni scorsi la III sezione penale della Corte di Cassazione ha emesso una sentenza in materia di diritto penale del lavoro in merito all’applicazione dell’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori; - che tale sentenza, cassando in parte la decisione presa in materia dal Pretore torinese che si era occupato della vicenda, ha dato ragione al titolare di un centro medico privato che, in concorso con diversi imprenditori della zona, aveva eseguito analisi diagnostiche, non finalizzate alla mansione da svolgere, su persone in procinto di essere assunte; - che, più in specifico, è stata confermata la rilevanza penale dei test per la sieropositività eseguiti senza il consenso della persona, come disposto dalla legge in materia, mentre, a giudizio della Corte, non riveste carattere di reato sottoporre gli aspiranti lavoratori a test antidroga e nemmeno eseguire analisi sulle future lavoratrici per accertarne l’eventuale stato di gravidanza; considerata - l’estrema gravità dei principi affermati dalla Cassazione penale nella sentenza in oggetto, che, da un lato, opera una distinzione formale ai fini della tutela fra coloro che sono già dipendenti e coloro che ancora non lo sono - ritenendo ammissibile l’applicazione dello Statuto dei Lavoratori solo ai primi - e, dall’altro, attribuisce legittimità a comportamenti oggettivamente discriminatori e gravemente lesivi dei più elementari diritti di riservatezza e di tutela dei dati personali, riconosciuti e garantiti da leggi dello Stato; rilevato - che la mancata applicazione di sanzioni penali nei confronti dei datori di lavoro che eseguono arbitrariamente analisi cliniche al fine di decidere, in base ad esse, l’assunzione o meno della persona, introduce elementi preoccupanti di discriminazione, in particolare nei confronti delle donne, che rischiano di essere pesantemente penalizzate al momento dell’assunzione in ragione del loro stato di gravidanza, ossia a causa di una libera scelta garantita e tutelata dalla Costituzione e dalle leggi sulla tutela della maternità e sulle pari opportunità fra uomini e donne; manifesta - il proprio dissenso all’impostazione data alla questione dalla Corte di Cassazione - la quale afferma che sia compito del legislatore, e non del giudice, dare tutela alle situazioni in oggetto - in quanto esistono già, nel nostro ordinamento, leggi che vietano e sanzionano i comportamenti sui quali la Corte è stata chiamata a pronunciarsi; pertanto, invita i Ministeri del Lavoro, di Grazia e Giustizia e quello delle Pari Opportunità ad emettere circolari interpretative che: - confermino la illiceità di atti e comportamenti aventi carattere di indagine personale nei confronti di persone che stiano per essere assunte; - riaffermino la tutela, anche penale, dei diritti alla riservatezza; - impediscano una discriminazione di fatto per le donne che entrano nel mercato del lavoro, alle quali deve essere garantita una reale parità di trattamento, così come previsto dalla legislazione vigente. Patrizia Cantoni Rocco Gerardo Giacomino