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Il razionalismo greco
Il primo oggetto di studio della filosofia greca fu la natura; e i filosofi naturali, la cui serie si inizia a Mileto con Talete e prosegue nella stessa città con Anassimandro e Anassimene, stabiliscono una delle più grandi rivoluzioni di pensiero conosciute dall'umanità. Lo scopo della loro ricerca, infatti, ambizioso e audace allo stesso tempo, era quello di spiegare il fenomeno naturale, anziché col mythos, come avveniva in Omero e in Esiodo, col logos, cioè col ragionamento. Ad esempio, non si indicherà più in Zeus l'origine della pioggia, dei fulmini e dei tuoni, e in esseri soprannaturali la causa dei cicli vegetativi, delle cascate dei torrenti, del flusso dei fiumi, dell'umore del mare, e così via. Per il loro difficile intento, i filosofi di Mileto mettono a profitto le esperienze fatte nei loro viaggi e le notizie che giungono al loro importante emporio, allora su di un'ampia rada, poi colmata dalle alluvioni del Menandro. Tali esperienze e tali notizie vengono vagliate da un acume in cui vi sono fermenti nuovi, e comincia così un'avventura dello spirito, che non era stata ancora tentata, e che, con i mezzi limitati di conoscenza di cui si disponeva, ovviamente non poteva dare vistosi successi. Tuttavia, per il divenire della nostra cultura, è stata fondamentale: la filosofia naturale greca, infatti, è il primo manifestarsi della scienza, come ricerca di una spiegazione razionale.
Il cielo, l'oceano e la terra
Che Talete osservasse il cielo può essere testimoniato da un episodio
riportato insistentemente da quanti, nell'antichità, hanno parlato di lui. Rientrando a
casa, una sera, anziché dove metteva i piedi, egli guardava il cielo che cominciava a
riempirsi di stelle, tanto che, ad un certo punto, cadde in un pozzo, e la serva che lo
seguiva a rispettosa distanza sarebbe esplosa in una sonora risata. Quel trabocchetto
doveva essere, quasi certamente, una pozza infossata per abbeverare il bestiame o
attingere acqua; nulla di tragico, quindi, ma solo un bagno inopinato, una sgradevole
avventura, che destava ilarità perché sembrava contraddire la grande reputazione che
godeva quel personaggio. E di pensatori e scienziati bersagliati da una ironia, che spesso
si attribuiva alle persone più semplici, ma che in realtà era raccolta e propalata da
quanti si rifiutavano alla profonda innovazione di cui tali personaggi si facevano
portatori, è piena la storia della scienza e non solo della scienza. E non sempre,
disgraziatamente, ci si limitava a far semplicemente dell'ironia!
Talete è indubbiamente uno dei più grandi innovatori nella storia del pensiero, ed è
giusto che sia il primo dei protagonisti che passeremo in rassegna. Non mancano, anche fra
gli autori moderni, quelli che vorrebbero ridimensionarne la importanza, perché, oltre ad
aver dato i suoi insegnamenti solo oralmente, lo trovano ancora troppo legato alla
tradizione (è un po' quanto si rimprovera o si è rimproverato a Copernico). É noto che
Talete considerò origine o radice di tutte le cose l'acqua, dalla quale tutto deriva e
alla quale tutto ritorna; e la Terra è un discoide che galleggia sulle acque dell'oceano,
trattenute dalla volta sferica e materiale del cielo, che si chiude al disotto del
complesso acqua-terra e ruota intorno ad esso ogni giorno, trascinando le stelle, e con
qualche slittamento, i luminari e i pianeti. E il primo tentativo di una cosmologia
razionale; ma si è voluto vedervi la suggestione della "paternità" dell'oceano
e della rappresentazione che Omero fa della Terra nello scudo di Achille. Se si guarda con
più attenzione, ci si accorge che Talete è, in effetti, il primo che ha abbandonato il
mito, e ha imboccato quella che sarà una delle strade maestre della scienza: ricondurre
la molteplicità dei fenomeni ad uno o a pochi principi. La scelta dell'acqua aveva due
giustificazioni razionali e naturalistiche. L'acqua è elemento indispensabile alla vita
(ogni seme, per compiere il suo ciclo, ha bisogno di umidità); inoltre l'acqua era
l'unico "elemento" che si conoscesse nei tre stati della materia: solido,
liquido e gassoso, e che, a certe condizioni, potesse passare reversibilmente dall'uno
all'altro di essi. La parte più nuova e feconda, nell'insegnamento di Talete, è il fatto
che egli considera che l'elemento primordiale, pur trasformandosi in mille modi, si
conserva. Siamo di fronte alla prima legge della fisica, la legge di conservazione della
materia (oggi si direbbe della massa), che nella seconda metà del XVIII secolo Lavoisier
enuncerà dicendo che in natura nulla si crea e nulla si distrugge. Inoltre va ricordato
che Talete accolse dall'Oriente e dall'Egitto solo le nozioni che gli sembrano
suscettibili di una spiegazione razionale. Vi furono quindi importanti esclusioni, alcune
positive, altre negative. Egli ad esempio non accolse l'astrologia dei Caldei, che ai suoi
tempi era al suo massimo splendore; però non ritenne neppure di dover accogliere l'idea
di una Terra rotonda, quasi certamente già affermatasi anche in Egitto. E questo perché,
pensando che il Sole fosse ad una distanza paragonabile a quelle terrestri e quindi avesse
dimensioni molto più piccole di quelle della Terra, nel suo moto regolare intorno ad una
Terra sferica non si sarebbero mai avute giornate uguali alle notti o addirittura più
lunghe, come accade in estate.
Coloro che a Mileto continuarono l'insegnamento di Talete (anche con opere scritte, che
però non ci sono pervenute che in brevi citazioni, spesso tarde), e cioè Anassimandro
prima e Anassimène poi, si mantennero fedeli ad un unico, anche se diverso, principio di
tutte le cose, e cioè individuarono la sostanza elementare nell'indefinito il primo, e
nell'aria il secondo. Quanto alla loro cosmologia, invece, si registra una evoluzione più
notevole. Per Anassimandro la Terra è un cilindro in equilibrio indifferente nello
spazio. Ci sono state tramandate anche le proporzioni che egli gli attribuiva: "un
cilindro la cui altezza è un terzo della sua larghezza". Questa notizia però, se
non deve essere diversamente interpretata, sembra in contrasto con un'altra tradizione,
che attribuisce ad Anassimandro il merito di aver insegnato ai Greci l'uso dello gnomone,
già noto in Egitto e in Oriente, e delle indicazioni della sua ombra, che varia con la
latitudine. Anassimandro è il primo dei filosofi greci ad affidare ad uno scritto, forse
ad un poema, i suoi molti insegnamenti e le sue notevoli intuizioni. Fra l'altro sembra
che attribuisse al suo unico principio, l'àpeiron, che abbiamo tradotto
indefinito, ma che può significare anche illimitato, l'origine "di tutti gli
innumerevoli mondi". E questo un concetto poco frequente nel pensiero greco, e che
verrà rifiutato da Aristotele.
Anassimène, riferendosi come principio all'aria, sembra ritornare ad una razionalità
più aderente alle sensazioni, più realistica, più accessibile. Tuttavia non mancano gli
spunti per un ulteriore approfondimento della natura e del mondo che ci circonda. L'aria
è allo stesso tempo vapore e spirito, e le varie sostanze si distinguono per la sua
maggiore o minore concentrazione (massima nei corpi più pesanti) o per la sua rarefazione
(che è al suo limite nel fuoco). Per la Terra, egli ripropone una forma piatta, un disco
sottile, cioè, sostenuto e trattenuto dall'aria.
La sfericità della Terra
Coi filosofi successivi comincia tuttavia a farsi strada l'idea di una Terra sferica, già da tempo recepita, come si è detto, in Egitto, e, forse ancor prima, in Mesopotamia. Pitagora, che viaggiò a lungo, e che fu attentissimo alle simmetrie che si verificano in natura, tanto da indicare l'armonia come la legge fondamentale del cosmo, cioè di una "bellezza ben ordinata" (i latini parleranno analogamente di mundus
), Pitagora dunque, intorno al 500 a.C., forse fu il primo ad insegnare ai Greci che la Terra è rotonda. Una moneta di età imperiale, coniata a Samo, ci mostra una statua di Pitagora (PYTAGORES SAMION in caratteri greci) certamente molto più antica della moneta che la riproduce, raffigurante il filosofo seduto che, a quanto sembra, con un compasso prende delle misure su di un globo posto davanti a lui, una figurazione che ricorre in altri antichi cimeli, ripresa anche da artisti relativamente recenti. Quella statua, dedicata a Pitagora dalla sua isola, è certamente ispirata ad una vecchia e non inverosimile tradizione. E la consapevolezza che la Terra è sferica è una tappa fondamentale, non solo per l'astronomia, ma per la civiltà e la cultura nel loro più vasto significato. E non si tratta di una semplice intuizione, che non avrebbe affatto appagato il razionalismo greco, pur sensibile alle ragioni di armonia e dì simmetria dei pitagorici; o, meglio, non si ferma ad essa. Ben presto cominciarono prove e verifiche. Parmenide di Elea nella Magna Grecia, cioè di quella stessa frontiera occidentale e floridissima del mondo greco nella quale Pitagora era emigrato dalla Jonia, parla delle fasce climatiche e dei cieli concentrici alla Terra. L'ombra dello gnomone acquista anche per i Greci tutta la sua utilità: a mezzogiorno dello stesso giorno essa è più breve verso l'equatore, più lunga verso il polo. Inoltre, il fatto che le stelle presso il polo celeste (quelle che descrivono nella notte i cerchi più piccoli), per chi viaggia verso nord, sono sempre più alte sull'orizzonte è un'ulteriore prova che la Terra è rotonda. Fra l'altro i marinai si faranno sempre più arditi navigando nell'oceano, un mare immenso, nel quale però temono sempre meno le paurose discontinuità.
Il ruolo di Atene
La filosofia è fuor d'ogni dubbio uno dei tanti doni che l'umanità ha
avuto dai Greci. Ma, come abbiamo visto, essa è fiorita, nella sua prima forma di
filosofia della natura, ai margini di quella civiltà in Asia Minore e nell'italia
meridionale, dove forse era più libera e più facilmente raggiunta da fecondi stimoli di
quei mondo che i Greci più rigidi consideravano barbaro. Chi ha portato la filosofia nel
cuore del mondo greco, ad Atene, è di nuovo un grande filosofo jonico, Anassagora di
Clazòmene. Egli era già ad Atene da una quindicina d'anni quando Pericle, nel 454, vi
faceva trasportare il tesoro della Lega fino a quei momento conservato nell'isola di Delo,
e faceva della sua città, che nei 488 aveva vinto da sola i Persiani, la metropoli più
splendida e più potente del momento. Fu una breve stagione, che tuttavia lasciò segni
incancellabili, anche nella storia del pensiero.
Amica, confidente e forse segreta ispiratrice di Pericle era Aspasia, anch'essa ionica,
anzi proprio di Mileto. Forse a metà strada fra la gran dama e l'avventuriera, ella
raccolse intorno a sé una sorta di circolo di intellettuali e di artisti, quasi un
salotto "ante litteram" dell'epoca dei lumi o del periodo neoclassico.
Coloro che si trovavano nella ricca dimora di Aspasia, il cui nome e il cui ricordo
esercitarono una forte suggestione anche su Leopardi, erano personaggi come il giovane
Ippocrate, destinato a diventare uno dei medici più famosi, il matematico Metone,
Tucidide, che sarà testimone della tragica fine di quello splendido periodo, e tanti
altri, fra cui Fidia. Ma, di loro, Anassagora era il numero uno, tenuto in grande
considerazione da Pericle, non solo come saggio teoreta, ma soprattutto come valido
consigliere in materia di politica e anche nei campo delle arti, intese queste ultime nel
senso più lato di tale termine.
Anassagora è di fondamentale importanza, per la storia dell'astronomia, perché, senza
reticenze e con estrema chiarezza, estese la spiegazione razionale e naturalistica non
solo ai fenomeni atmosferici, ma anche a quelli più propriamente celesti, trattati, forse
per la prima volta, alla stregua di quelli terrestri.
Come prima cosa degna di nota, occorre ricordare che Anassagora propone l'esistenza di una
materia estremamente rarefatta, l'etere, che occupa ogni luogo, anche sulla Terra, e che,
negli spazi, crea un vortice che trascina i corpi celesti. Tralasciando la sua teoria dei
semi, ispirata ai fenomeni di crescita degli organismi viventi che sembrano
"trasformare ciò di cui si nutrono", veniamo alle sue concezioni in campo
astronomico, che dovettero non poco stupire i suoi contemporanei. Egli infatti affermò
che il Sole e le stelle altro non sono che pietre infuocate; e per dare un'idea della loro
grandezza e della loro distanza, disse che il Sole era più grande del Peloponneso! E,
come ricorda Plutarco fra il primo e il secondo secolo dellera volgare, Anassagora
additava, a riprova della sua teoria, una grande meteorite, che tutti veneravano perché
"discesa dal cielo", ed aggiungeva inoltre che essa altro non era che una
"pietra" staccatasi da un corpo celeste, nei quale si era verificato un
cataclisma, come ad esempio una frana o un terremoto, e che in seguito a ciò era
"caduta" sulla Terra. Tanta libertà di pensiero non mancò di irritare e di
sollevare l'opinione pubblica contro di lui e i suoi amici. Dopo le insinuazioni e le
critiche pesanti della commedia, che prese particolarmente di mira Aspasia, cominciarono i
processi, e Anassagora è probabilmente il primo filosofo che viene incriminato e
arrestato per empietà. Solo i buoni uffici di Pericle riuscirono a evitargli il carcere.
Ma Anassagora dovette prendere la via dell'esilio e si recò a Làmpsaco, vecchio
stanziamento di coloni di Mileto sulla costa asiatica dell'Ellesponto, cioè dei
Dardanelii, di fronte a Gallipoli. Morì fra il 428 e il 427: in quello stesso biennio ad
Atene, o comunque da un'illustre famiglia ateniese, nasceva Platone.
Il primo astronomo: Eudosso
Prima che con i Sofisti, Socrate e Platone, la ricerca filosofica si sposti dalla natura all'uomo, secondo il fondamentale precetto attribuito a Socrate, "conosci te stesso", la filosofia naturale greca raggiunge il suo apice nell'atomismo di Democrito, di una generazione più giovane di Anassagora, del quale Democrito certamente conosceva gli insegnamenti. il suo principale ispiratore, però, fu Leucippo, una figura che sfuma nella leggenda e del quale si sa di certo quasi soltanto che era di Mileto. A base della sua teoria, Democrito pone gli atomi
, di per sé impercettibili, i quali, in continuo movimento si combinano a caso nel vuoto. Gli atomi sono infiniti e di infinite forme: il nostro mondo, pertanto, è infinito, ed è uno degli infiniti mondi. Concetti nuovi, per il pensiero classico e particolarmente per quello greco. Aristotele li rifiuterà come assurdi; eppure, ripresi da Epicuro e ben accolti a Roma non solo da Lucrezio, ma anche da Vitruvio, Virgilio e Orazio, benché avversati dalle più importanti scuole filosofiche e dalle religioni monoteistiche, rimarranno nel substrato della cultura occidentale e rappresenteranno uno dei fermenti del ricostituirsi della scienza nei Rinascimento e nell'età barocca. Quanto a Platone, che trasporta la realtà vera nel mondo ultraterreno delle idee, sembrerebbe responsabile di una svolta antiscientifica dei pensiero antico. Invece non è così, specialmente per quanto concerne l'astronomia. Anzitutto egli diede grande importanza all'insegnamento della geometria: si dice che sulla porta dell'Accademia, la sua scuola d'élite, avesse fatto scrivere: "Non entri chi non è portato alla geometria". E il privilegiare tale materia è la prima condizione perché si sviluppi un'astronomia che non sia semplicemente un'empirica raccolta di dati e di date. Per una simmetria e unarmonia che si addicono alla perfezione dei cicli, ma anche per spiegare la rigorosa periodicità dei moti degli astri, Platone ipotizzava che essi fossero animati esclusivamente da moti circolari e uniformi, un concetto che vivrà a lungo. Egli immaginava un universo monocentrico, con la rivoluzione degli astri e delle stelle intorno alla Terra sferica, ma immobile; la successione dei corpi celesti che facevano corona alla Terra, dopo la Luna, era: Sole, Mercurio e Venere, mentre per i pianeti esterni essa coincideva con quella tradizionalmente attribuita ai Pitagorici e quindi ripresa e confermata da Eudosso, da Aristotele e infine da Tolomeo.
Aristotele
Si può dire che il grande filosofo nato nel 384 a Stagira, un piccolo centro prossimo alla costa dell'Egeo settentrionale, poco distante dalla Macedonia, sia stato il primo serio cultore di scienze naturali e di scienze umane, con interessi che spaziavano dalla classificazione delle piante e degli animali, alle leggi costituzionali delle città-stato della Grecia. I numerosi scritti, che ci sono rimasti, vanno da quelli di "fisica", la disciplina che tratta della natura e in particolare delle varie specie di moti o mutamenti, a quelli di psicologia, questi ultimi riconosciuti praticamente insuperati fino all'Ottocento. Ma certo non si può dire che Aristotele, alieno alla geometria e nemico dei numeri, sia stato un astronomo. Eppure, la sua cosmologia, elemento base del suo sistema filosofico, ha incredibilmente influenzato e condizionato l'astronomia per circa mille e ottocento anni! Per Aristotele il mondo era pregiudizialmente pieno e finito
, e si divideva nettamente in due "nature": quella dei cieli sferici e concentrici, una natura perfetta e immutabile, che era costituita esclusivamente di etere, la quinta essenza che era tutta nei cieli; e quella dei mondo sublunare o delle sfere elementari, nelle quali l'ordine era solamente una tendenza, un fine sempre perseguito, ma mai raggiunto. Il mondo sublunare era quindi il regno dell'imperfetto e del mutevole, formato anch'esso da sfere concentriche, quattro per la precisione, ognuna luogo "naturale" dei quattro elementi dei quali sono composte tutte le cose di cui abbiamo conoscenza diretta. Partendo dal centro, si aveva la sfera della Terra, fasciata da quella dell'acqua, cui seguiva quella dell'aria e infine, dopo questa, c'era la sfera dei fuoco. Terra e acqua erano elementi pesanti in assoluto; aria e fuoco leggeri in assoluto. Ogni corpo tendeva per la via più breve, cioè in linea retta, verso la sfera dell'elemento che in esso era prevalente: la pietra, formata quasi esclusivamente dall'elemento terra, cadeva rapidamente verso il centro della Terra; il fumo, appesantito da fuliggine e umidità, saliva lentamente lungo la verticale, verso la sfera del fuoco.
Aristotele (IV secolo a.C.). Particolare della "Scuola di Atene" di
Raffaello.
Bibliografia
Enciclopedia: "Astronomia, alla scoperta del cielo", Curcio. Pagg: 1758-1767.
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