Il Bambino e l'Acqua Sporca. Coordinamento Genitori-Insegnanti

Riordino dei cicli scolastici








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UNA SCUOLA AMICA

Ancora riflessioni sulla nostra proposta

Del testo del documento “Una scuola amica”, pubblicato da il “Bambino e l’Acqua Sporca”, condivido tutto, a partire dal titolo.

L’amicizia e la condivisione devono essere senz’altro proposte come valore in una società violata, nelle sue caratteristiche societarie, dall’individualismo, dall’aggressività, dalla vanità dei vincenti. La scuola può farlo perché è un luogo dove si “forma” la conoscenza, non la si veicola, nel patto comunitario di ogni piccolo gruppo che si pone delle domande, formula problemi, commette errori considerandoli ipotesi da rivedere insieme.

Ho scritto le righe che seguono prima di vedere il lavoro proposto dal coordinamento.

Ho cercato di ripensarle qua e là dopo la lettura e, su alcuni punti, appartenenti a più ordini di ragionamento, mi piacerebbe un approfondimento di analisi:

1. perché rendere obbligatorio il 3° anno di scuola materna?

2.  perché cavalcare il riordino come se fosse “la Riforma” per eccellenza, e schiacciarsi sull’esistente, per esempio per quanto concerne la formazione dei docenti?

3. a cosa servono i bienni? Sono un traguardo per il “controllo” delle prestazioni degli alunni? hanno una giustificazione pedagogica?

4. perché salvare in toto ad ogni costo i programmi 1985? (seguendo il mio ragionamento, molto ci sarebbe da scardinare...)

 

Il lavoro di riforma deve tener conto della necessità di guardare alla formazione del cittadino come problema complessivo, ed operare una “riparazione” degli attuali ordini di scuola, cercando di eliminare le aporie pedagogiche, le frantumazioni di percorso, le intromissioni della mentalità mercantile. Penso ai cittadini italiani, al fatto che il 10,1% della  popolazione è analfabeta, nel senso ampio del termine, come emerge dalla aggregazione dei dati statistici fornita da Tullio de Mauro (1995).

Il lavoro di riparazione è realistico, non perché risparmi risorse, anzi su un piano economico deve essere sostenuto da un forte impegno di spesa, ma perché salvaguarda il lavoro sotterraneo di ricerca e di riflessione degli ultimi 20 anni di storia della scuola.

Intendo quei contributi - saperi, quadri legislativi (leggi 517,820), pratiche di lavoro - che avrebbero potuto risultare innovativi e “rivoluzionari” se non fossero stati condannati al silenzio. Penso alle esperienze di scuola materna eccellenti, al tempo pieno come modello pedagogico, al lavoro con gli adulti per la formazione continua. A questo proposito, e non lo diremo mai abbastanza, credo che la formazione ricorrente, adulta, non può essere legata al solo lavoro, come fattore unico di identità e di senso.

E’ necessario riformulare i corollari sulla formazione del cittadino, ricavandoli direttamente dai postulati costituzionali; riportare all’attenzione politica l’utopia della libertà, i concetti di pubblico e di privato, ancorando il ragionamento allo scenario economico-culturale attuale; interrogarsi sul futuro del paese attraverso una domanda “inattuale”: quale infanzia per quale sviluppo economico e politico?

Nessuna ingegneria sarà credibile senza un aggancio utopico che sappia dire una parola sulla miseria dell’esistente e sulle potenzialità contenute nei desideri e nell’immaginario istituente delle donne e degli uomini di questo Paese.

 

LE CONDIZIONI (SECONDO ME)

1. La scuola è solo pubblica, nel senso che l’iniziativa privata rimane confinata , per principi e per acquisizione di risorse al contesto privatistico.

2. La scuola pubblica forma cittadini autonomi e quindi liberi, mediante la programmazione del suo intervento educativo come valorizzazione dei saperi delle comunità, dalle prime osservazioni spontanee e sistematizzazioni delle conoscenze infantili, alle conoscenze integrate degli adulti; la scuola pubblica costruisce tale conoscenza in modo intenzionale e ne salvaguarda gli aspetti di regionalità-territorialità all’interno di ampi quadri concettuali discussi e proposti a livello nazionale.

3. La scuola pubblica si avvale di operatori di altissima qualificazione professionale che aggiorna continuamente valorizzando le risorse interne agli stessi contesti di lavoro e di ricerca; impegna risorse per adeguare i luoghi della formazione (Universita’, Agenzie regionali, scuola, ecc.).

Senza troppa fantasia penso, che non si produce alcun “syllabus” delle discipline e non si può utilizzare alcun parametro per la valutazione, senza passare attraverso la formazione di accesso e continua degli insegnanti su questioni epistemologiche e di metodo (nesso fra conoscenza, percorsi disciplinari e costituzione di relazioni significative).

 

IPOTESI DI RIPARAZIONE

A) La scuola materna.

La scuola materna diventa scuola dell’infanzia, della durata di tre anni NON obbligatori

Si amplia e si valorizza lo spazio della scuola statale: 1) venendo a patti con la scuola comunale, soprattutto laddove “convive” con la scuola scuola elementare, con la stessa utenza; 2) evitando drenaggi di fondi per la scuola privata.

Si organizza una grandiosa operazione di formazione, il riferimento può essere il lavoro sulla fascia di età 4-8 anni a cura di Clotilde Pontecorvo.

Si deve operare una diminuzione del numero di bambini per sezione, 1/15, con o senza “H”.

Si devono portare nella scuola d’Infanzia figure professionali con competenze legate alla prevenzione del disagio e della sofferenza infantili, attivando la formazione di profili professionali che operino al raccordo fra famiglia-scuola-territorio.

I suddetti punti sono attraversati dalla necessità di ripensare i concetti di maternità, di genitorialità, di famiglia; dalla necessità di prestare attenzione agli stili di vita del bambino nei primi anni, alla qualità dell’intervento nel Nido, ancora, con qualche eccezione, asilo.

B) La scuola elementare e la scuola media.

I due ordini si fondono in otto anni di scuola di base. Il tempo pieno viene generalizzato come modello di scuola, con percorsi differenziati in casi particolari, per tipologia di utenza.

Il segmento è unico, senza bienni. La valutazione rimane interna al percorso come valutazione “formativa”, che riguarda l’intera comunità docenti-alunni. I programmi 1979 (scuola media) e 1985 (scuola elementare) vengono completamente riscritti per le parti concernenti le discipline.

Il periodo 6-8 anni, “continuo” rispetto al precedente corso di scuola d’infanzia, è considerato di formazione delle competenze basilari (che non subiscono fenomeni di senescenza!).

Esse riguardano: 1) la progressiva sistematizzazione delle rappresentazioni dell’ambiente, come forme di comprensione condivisa di un “mondo tutto attaccato”; 2) la costruzione dell’autonomia personale come capacità di affrontare imprevisti-problemi mediante l’uso di strumenti pertinenti; il concetto di autonomia, nell’accezione di Varela (1979 ), considera fra loro “compromesse” le abilità cognitive e affettivo-relazionali.

Il periodo 9-14 anni, vede eliminati gli ambiti disciplinari, gli specialismi vari, le modularizzazioni. I programmi riorganizzano il sapere attraverso nuclei di conoscenze:

a) differenza sessuale

(costruzione della identità personale come progressivo e mai concluso lavoro sui confini noi-mondo, io-ambiente; togliere dall’oblio, in questa operazione, frutto dello sguardo incrociato di tutti i membri della comunità, le modalità del differire fra maschi e femmine; svelare quotidianamente i paradossi della parità e evidenziare i diversi stili nello stare al mondo; indagare le espressioni storiche del differire nelle varie culture)

b) culture

(lavoro interculturale - così come lo pratichiamo nella scuola - ad esempio intorno al concetto di “lavoro umano” nelle diverse realtà culturali, raccolta e riflessione su testimonianze presenti a scuola, ma anche confronto con altre modalità di organizzare il pensiero, immersione in altri modi di suoni a partire dal presupposto che una lingua è intanto un sistema fonologico marcato diversamente; osservazione sui prestiti linguistici, i fenomeni di contaminazione lessicale; apprendimento delle lingue straniere che parte  dal lavoro di sondaggio nel magma linguistico -anche mediato dalla televisione, dal cinema, dalla musica contemporanea- e si muove verso operazioni di riflessione linguistica comparata: legami forti con il punto c )

c) parole

( leggere, scrivere, parlare, ascoltare: come costruzione progressiva e personale di utilizzazione delle forme del simbolico; nell’insegnamento della lingua, prima il piacere poi il dovere: il racconto, l’affabulazione, la poesia, il gioco linguistico, come ricerca del gruppo; le strutture grammaticali sono  considerate un sistema di analisi e classificazione al servizio della efficacia del gioco comunicativo)

d) spazio tempo

(spazio-tempo come categorie del pensiero molto “storiche”, molto culturali, mai vere in assoluto; la trasformazione degli ambienti come fenomeno chiave; quindi nuovi paradigmi sull’insegnamento della storia, della geografia, degli studi sociali, che diventano tutt’uno; attraverso la storia della tecnologia, esplorazione del rapporto Uomo- Natura; la storia della tecnologia come fattore di trasformazione dell’ambiente e come modificazione, nel tempo e nello spazio, del “modo di produzione”, di marxiana -ahimè!- memoria)

e) ordine misura

(linguaggi formali come modalità per ordinare le esperienze; competenze matematiche come strumento alto per la soluzione di problemi, ma anche aspetti “magici” del linguaggio dei numeri -pensando a Enzensberger-; lavoro sulle geometrie come rappresentazioni dello spazio e loro provvisorietà storico-culturale, sempre a partire dalle forme personali di mappatura dello spazio).

Proprio in considerazione del fatto che nel  periodo di scuola di base si precisa, da parte degli insegnanti, il lavoro sugli “stili cognitivi” degli studenti, inizia la prima forma di orientamento, nella sua accezione ampia di comparsa e di consolidamento di attitudini, abilità, desideri.

La metodologia di insegnamento deve, nella scuola di base, attestarsi sul paradigma della Ricerca-Azione, con valutazione interna ai processi di ricerca e di scoperta; si eliminino i libri di testo, soprattutto quelli basati sulla gradualità del codice Morgan, si valorizzi la ricerca nella biblioteche di scuola, di classe, di quartiere e l’uso intelligente, al servizio della ricerca, della multimedialità.

Ovviamente sono questioni che meriterebbero un lavoro di approfondimento, penso ai fantomatici programmi di educazione sessuale, al silenzio sul pensiero della differenza, al lavoro della Commissione dei Saggi, all’alternarsi di pareri sulle seconde lingue, ecc.

Per la scuola superiore non so articolare nulla di meglio delle elaborazioni della Commissione Brocca, con l’obbligo esteso al compimento del 18° anno di età.

Con la formazione al lavoro, nel senso ristretto e aziendalistico, espulsa dalla scuola pubblica.

Renata Puleo
Direttrice didattica - Roma

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