La nostra posizione rispetto alle politiche scolastiche degli anni '90 è di netta e radicale critica.
In realtà ciò che critichiamo e denunciamo,
nei confronti dei governi che si sono succeduti in questi anni, compreso quello attuale,
è la più totale assenza di una politica scolastica vera e propria.
Non esiste un dibattito a livello politico in merito alle diverse strategie
educative, un luogo dove queste possano confrontarsi, scontrarsi e arricchirsi.
Non vi è, nei rarissimi dibattiti parlamentari sulla scuola,
nessuna traccia di riferimenti a scelte psicopedagogiche che definiscano
una politica scolastica piuttosto che un'altra.
Il metro di misura della "bontà"
delle scelte educative è diventato esclusivamente l'entità
del "risparmio" che i vari provvedimenti riscono ad
ottenere.
E' questo il reale filo conduttore unitario della
cosiddetta politica scolastica di questi ultimi anni: finanziarie,
autonomia, contratti per il personale, espulsione di migliaia
di precari, e via così, massacrando la scuola pubblica,
ignorando i danni provocati alle giovani generazioni. Chi può
si salvi contribuendo ad elevare il misero contributo che lo Stato
darà alle scuole autonome (vedasi Testo Unico) o iscrivendo
i propri figli alla scuola privata.
Contemporaneamente per chi si oppone a questa strategia
e cerca di organizzare risposte di difesa della scuola pubblica
gli spazi istituzionali di garanzia divengono ogni giorno più
ristretti: i diritti sindacali sono terreno di scontro in primo
luogo con Cgil, Cisl e Uil; dopo i referendum si attende ancora
una legge sulla rappresentanza sindacale, sui criteri per determinarla,
sullo spazio che si può creare per le autorganizzazioni.
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