Il Bambino e l'Acqua Sporca. Coordinamento Genitori-Insegnanti

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Critica della pedagogia





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BAMBINI SI NASCE...

Incontro del  16 Maggio 1998  presso la Scuola di S. MARIA DELLE MOLE - Roma

 

Il titolo scelto per questa iniziativa, non è casuale in quanto tende a ribaltare l’ottica collodiana, Nell’opera di Carlo Collodi, infatti, Pinocchio nasce burattino e diventa un bambino solo nel momento in cui la Fata premia un comportamento che, dopo tante “disavventure”, si uniforma agli insegnamenti ed alle richieste degli adulti.

Potremo dire che per Collodi “burattini si nasce e bambini si diventa”. Nel percorso di riflessione dell’iniziativa del 16 Maggio si è voluto porre l’accento sul fatto che bambini si nasce… e, forse, burattini si diventa, soprattutto quanto il mondo degli adulti tenta di condizionare massivamente lo sviluppo dei più piccoli, attraverso gli strumenti di cui dispone.

Riportiamo una sintesi degli interventi con i quali i relatori hanno stimolato il dibattito sull’argomento il questione.

Il mondo adulto non ama i bambini.

Non faccio riferimento esclusivo ai piu’ recenti episodi di abbandono, violazione, sfruttamento. Mi riferisco alla fatica, al dolore, alla difficolta’

che costa un  rapporto  d’amore con i bambini , in ogni cultura, qualsiasi sia la cornice storica, antropologica, sociale di riferimento.

Sappiamo quanto ha faticato a nascere in Europa il concetto di infanzia, come eta’ della vita umana non incompleta, quasi un abbozzo in fieri di umanita’, ma come stagione fondamentale per la formazione di un individuo, di una distinta soggettivita’. Esiste un bellissimo libro di Ariès che ne rende conto. Esistono considerazioni sparse , negli innumerevoli contributi di Foucault sulla nascita dei sentimenti di cura di se’ e dell’altro, che ci aiutano anche a considerare la differenza, nella consapevolezza delle emozioni legate al rapporto con i figli, a seconda della classe sociale di appartenenza. E’ interessante analizzare ad esempio,  il sentimento di “paternita’ “, nutrito dalla necessita’ di mantenere il dominio patrilineare. Le classi dominanti, presso i greci e i romani, mostravano un interesse esclusivo per l’adolescente maschio, da formare e istruire; le borghesie europee hanno trasformato i legami di sangue dell’aristocrazia, inalienabili e terribilmente ricattatori, in rapporti orientati alla necessita’ di trasmettere beni e vantaggi sociali, quindi di fare dei figli un sistema di perpetuazione del privilegio.

I figli, per contro, sono  forza- lavoro  per i contadini e, non a caso l’etimologia, per il proletariato, possessore di sola prole, da sfamare, ma anche sulla quale investire per un futuro meno tragico.

Ma questo approccio ancora non coglie il centro della mia riflessione basata sulla lapidarieta’ dell’affermazione iniziale: gli adulti non amano i bambini. La scrittrice americana Toni Morrison, premio Nobel 1993,che non e’ ne’ una pedagogista, ne’ una sociologa, ma come ogni buon poeta, ha saputo scavare sotto gli tereotipi della nostra cultura, mi offre alcuni spunti per argomentare. In “Giochi al buio”(1994), la Morrison esplora il rapporto creatosi , durante il periodo dello schiavismo, negli Usa fra bianchi e neri. Vi analizza , con sofferta acutezza, il senso di inferiorita’, di minorita’, di “fanciullaggine” dell’Uomo Nero, cosi’ come  evidenzia la paura mista a desiderio dell’Uomo e della Donna Bianchi:

si pensi a quanti bambini mulatti sono stati messi al mondo, proprio quando imperversava la fase peggiore della segregazione.

La Morrison crea un interessante corto-circuito fra la negritudine e la fanciullezza. Entrambi, nell’immaginario dell’ Uomo Bianco, razionale e adulto per definizione, il negro e il bambino, l’uno segnato da una cultura incomprensibile, l’altro dall’inferiorita’ fisica e esperienziale, devono essere protetti, costretti, allevati, separati.Cio’ che li accumuna e’ l’ “a-storicita’ “, l’assenza di civilizzazione, la vicinanza alla nascita-morte, il rapporto contiguo con la Natura, le preminenza della fisicita’.

Qui l’analogia coglie e arricchisce un riferimento eccellente a Freud. Freud, che ha messo al centro del suo lavoro l’Infanzia di ciascuno, come paradigma per conoscere i processi psichici, per accettare la natura bi-polare della nostra esistenza, razionale fino alla astrazione piu’ raffinata, invischiata, in ogni momento con l’altra parte, quella oscura dell’inconscio. Freud, dicevo, parlando del Perturbante, come figura dell’inconscio che mina le nostre sicurezze, che ci fa vacillare di fronte a cio’ che e’ sconosciuto, cita, come esempio, il Bambino. L’Un-heim-lich per eccellenza e’ proprio lui. Heim vuol dire patria, ma anche luogo protetto, casa. Ebbene, dice Freud, automi, folli e bambini ci fanno sentire il terrore di non governare il corpo, il desiderio, la sessualita’, fuori dal noto.Questo sentimento di spaesamento ci puo’ rendere feroci, di quella crudelta’ che solo la  paura del diverso alimenta. Le intuizioni qui riportate trovano altre conferme, indirette, ma chiarissime, in Winnicott, Bettelheim, piu’ esplicitamente in un lavoro di Vegetti Finzi, “Il bambino della notte” (1990). Vengono allertate  le madri, che da sempre si vogliono amorose per natura, a comprendere l’avversione e la paura che spesso in loro desta il bambino. E si badi, proprio per quelle caratteristiche di piccolezza, di debolezza opprimente, di disabilita’, di dipendenza, che alimentano anche la tenerezza, il bisogno di accudire e allevare delle donne, per dettato fisico e mandato culturale.

Allora, ripercorrendo le tappe del mio ragionamento: il bambino perturbante, il bambino dentro di noi,  il bambino notturno. Il bambino interiore che alimenta il nostro narcisismo, il continuo bisogno di carezze simboliche, che orienta le nostre scelte e, forse, ci consente o ci impedisce di amare. Un bambino “nero”, umbratile, questa e’ la metafora riassuntiva.

Utilizzo in ultimo un brano tratto dal romanzo della Morrison “Tar baby” (1981), pubblicato in italiano con il titolo”L’isola delle illusioni” perche’ mai mi era capitato di leggere una descrizione tanto straziata e appropriata del sentimento materno, delle sue difficolta’ e ambiguita’, sempre rimosse, celate.

Come nasce il tormento di Margaret, la donna bianca del romanzo?

In modo banale, quando la nioa e la solitudine fanno emergere i lati piu’ oscuri di noi.  “..lei si sentiva oltraggiata da quel bisogno infantile. E c’erano volte in cui doveva assolutamente porre un limite al suo essere li’.; bloccare la sua richiesta implicita ed esplicita della parte migliore e piu’ costante di lei. Non poteva descrivere il suo odio per quel prodigioso appetito di sicurezza - l’arroganza criminale della convinzione di un neonato che, mentre lui dormiva, c’era qualcuno; quando si svegliava, ci sarebbe stato qualcuno....non poteva controllarsi-il che era vero, perche’ quando si senti’ prigioniera di quella stupida insolenza, di quella stupida fiducia, non pote’ fare a meno di trafiggerla. “ E Margaret la trafigge veramente, infliggendo al bambino piccoli patimenti fisici. Vicino a lei vive una donna nera, altrettanto giovane, che come tutte le donne di colore alleva un bambino bianco.

Sa , ma tace.Teme di perdere il lavoro, l’unica cosa che sente come propria e a cui appartiene totalmente.

Se pensiamo che questa prospettiva non ci tocchi, se crediamo che nuocere ad un bambino sia una perversione da psicopatici, da non acculturati, beh, siamo gia’ in pericolo. Nei confronti dell’uomo diversamente colorato, di chi parla un’altra limgua, con i bambini, basta una piccola deriva, un gioco di interessi non ben analizzato, un po’ di superficialita’, l’impoverirsi della riflessione critica sui nostri sentimenti, ed eccoci diventare razzisti, xenofobi, semplicementi crudeli.

Renata Puleo

Direttrice didattica - Roma

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