Penso a quel che v'ha in me, ch'io in te trasfusi
senza volerlo, o figlia, nell'oscuro
travaglio della specie, ove il futuro
s'incarna e pur s'ignora, ove son chiusi
i germi che la vita romperà:
al segreto del sangue, all'energie
latenti, alle ancora occulte vie,
alle tremende possibilità.
Penso all'ignota donna che s'appiatta
or nel fascio di nervi agile al balzo,
e nella grazia del tuo piede scalzo
se t'aggiri con mosse di cerbiatta;
e nel rapido battere di ciglia
che vela e svela...-Ah, basta.- Ah, ch'io non so
chi sia, se pur ti feci, se pur t'ho
nelle viscere ancora compressa, o figlia!...
Ma che tu sia da me diversa, è giusto.
Per questa tua diversità, t'ammiro.
Se il mio commisi al fresco tuo respiro,
s'uio m'innestai nel tronco tuo robusto,
fu per passar per più perfetta forma
in coscienza, in gaudio, in giovinezza
nuova: inutili son forza e bellezza
se potenza d'amor non le trasforma.
Tu seguirai la serpentina legge.
Viva, entrai nel sangue dei tuoi figli.
Arde nel trasmigrar di quei vermigli
rivi la volontà che il mondo regge.
Da te soltanto il cuor caduco avrà
la certezza del fato invan promesso
a me dal verso sulla carne impresso
come un cilicio: l'Immortalità.