Mario Ierardi.
Roma, 5-VI-2001
FUORI DALL'INGRATO MONDO: TOMMASO LANDOLFI
SCRITTORE DI "FANTASCIENZA "
di Mario Ierardi
Nella seconda parte, divisa in diciotto paragrafi datati dal 30 marzo al 30 maggio, notiamo che la narrazione si sposta verso una meditazione di impianto filosofico [omissis] Il naufrago, dopo aver superato l'iniziale stupore per la sua impotenza e precarietà nel primo paragrafo (30 marzo), medita: " come si può vivere così senza nulla, senza neppure una lontana speranza? [...] io in realtà aspetto qualcosa; aspetto il coraggio di morire" (p. 63). Il protagonista, di certo, non nega di amare la vita, il cui sentimento diventa più forte nell'attimo in cui si teme di perderla "[...] ecco amo la vita stessa [...] ho cominciato forse ad amarla [...] quando cominciava a farsi disperata la mia propria" (p. 64), ma risulta evidente che non può sopportare di condurre una "non vita": in quello "stato intermedio tra la vita e la morte che è il mio attuale" (p. 65). La meditazione filosofica dell'astronauta segue ritmi serrati, stemperata da un prepotente humour. Nel secondo paragrafo (6 aprile), per esempio, dopo aver discusso della speranza che vi sia una vita oltre la morte, la riflessione viene così schernita : "E patati patata: perché seguitar ? Al diavolo questa pippionata ! Bel passatempo in fede mia, la precedente speculazione, che ha finito per confondermi la testa" (p. 68). L'interruzione dura un attimo perché il comico si smorza , e il narrato scala al registro meditativo: "Essa in sostanza mena a concludere che la vita umana è praticamente eterna, che quando si muore si fa tutt'altro che morire eccetera eccetera; eh, perdio, non c'è male davvero come risultato". Nel quinto paragrafo (11 aprile) lo scrittore sostiene che lo stadio esistenziale posto tra la vita e la morte, o per dirla alla Landolfi "questa mezza morte ... che vita non è ", potrebbe essere superato se l'uomo raggiungesse la pace del cuore, traguardo che può ottenersi vivendo sulla terra con i propri simili. Ma a lui tale evenienza è preclusa: "Stare tra i propri simili è ben detto: ma se uno non ha simili ? " (p. 75). Questa alienata incompatibilità con gli uomini e il mondo si indirizza al trascendente: forse solo Dio può salvare il naufrago degli spazi dai suoi tormenti esistenziali, ma l'invocazione "Signore aiutami !" (11 aprile), giunge tardiva. In seguito, a partire dalla nota del 15 aprile, la riflessione si amplia, e si muove su temi già dibattuti: la morte come corrispondenza di amorosi sensi tra il defunto e i suoi cari - è, nemmeno a dirlo, il Foscolo dei Sepolcri - riavvicina il naufrago siderale ad un sentimento che non gli apparteneva; l'amore per la vita semplice, come quella condotta da un umile impiegato, che prima aveva disprezzato; il problema della difficoltà dell'uomo a vivere con i propri simili; l'invocazione salvifica verso Dio di un uomo che sembra aver imparato a vivere in pace con Lui, con le Sue leggi. Nella parte dialogica datata 23 maggio lo scrittore implora l'astronave di arrestare la sua folle corsa, ma dopo l'iniziale diniego si legge:
"IO: Ti deciderai finalmente a smettere questa inutile corsa e a posarti da qualche parte ? CANCROREGINA (dal fegato con voce di melma e di caratello): No. [...] IO: E in nome di Dio, muoviti a pietà di me C.: Eppoi non nominare il nome di chi [Dio] ti è alieno. IO: A nessuno è alieno. Ma cosa sto qui a discutere con te ! Allora non c'è niente da fare? C.: (dallo stomaco) NO. IO.: Dever seguitare così in eterno ? C.: In eterno IO. : Anche dopo morti ? C. : Anche dopo morti IO.: Signore aiutami tu "
E qui certo in "Cancroregina" traspare la coscienza critica dello stesso Landolfi. Nel paragrafo datato 30 maggio, la voce narrante ci informa che il naufrago è ormai morto da due giorni, e che dopo tutto la sua condizione di trapassato non è così dolorosa. Qui ravvisiamo un ulteriore tentativo di superare la paura della morte, perché dopo tutto niente è cambiato; in definitiva, è "meglio essere morti che vivi". In questo passo, quindi, l'autore vuole sottolineare che la morte, reinterpretata nei modi sopraindicati, è forse meno terribile e difficile da sopportare dell'esistenza in bilico tra la vita e il non essere. Scopriamo in ciò allora una inaspettata affinità con il pensiero, assai più radicale, del Pasolini de "La Terra vista dalla Luna", uno dei suoi brevi e significativi episodi comici: "Essere vivi ed essere morti è la stessa cosa". La terza parte, priva di notazioni diaristiche, è improntata sull'elemento dialogico. Il protagonista , come abbiamo già evidenziato, era morto da due giorni, ma la voce narrante sopravvive ad esso ed anzi si scinde in più voci (i due infermieri, il direttore e la moglie) ed apprendiamo, in particolare dal dialogo degli infermieri che si svolge nella prima scena, che la voce narrante che ha narrato la storia nella prima e nella seconda parte deve essere identificata con il pazzo ricoverato in manicomio, il quale scrive l'intera storia nella notte successiva al ricovero:
" 1° INF.: Ma cosa ha scritto ? 2° INF.: L'ho qui, guarda. 1° INF.: (sfogliando il manoscritto) : Là là , che po' po' di robba. Cosa, cosa ? Qui si parla di una macchina per andare nella luna. 2° INF.: Già, e dio non so quanta altre cose; ne ho letto una o due pagine. Voglio darlo al direttore, che è sempre in cerca di questa roba."
La seconda scena narra del dialogo tra il direttore della casa di cura e la moglie del malato, la quale asserisce che suo marito, in precedenza, era una persona normalissima dedita alla letteratura e alla poesia, ma un giorno, tornando a casa, ha cominciato a dare chiari segni di pazzia. Da qui l'inizio della vicenda e la necessità del ricovero. In seguito la moglie chiede al direttore di malattia fosse affetto suo marito. Il direttore asserisce trattarsi di un "tipo di pazzia malinconica" curabile, secondo quello che riferisce alla moglie, sebbene dentro di sé non creda affatto che il malato possa riprendersi. Nel finale, il direttore pensa di utilizzare il diario, "una vera chicca", come appendice ad un suo saggio per gli Annali di Psichiatria , allo scopo di ottenere un non precisato riconoscimento. Nel finale, infine, si rincontra l'understatement landolfiano: "E' questa chicca appunto che abbiamo voluto, né sappiamo bene perché, trasmettere, in parte, ai nostri dodici lettori e mezzo" Alla lettura, il racconto "Cancroregina", pubblicato nel 1951 dalla Vallecchi, ed ora reperibile nell'edizione Adelphi del 1993, presenta senza dubbio alcuni mitologemi del genere fantastico: si pensi ad Omero, Luciano di Samosata, Ludovico Ariosto, Cyrano de Bergerac, Jules Verne, Mary Shelley e Villiers de l'Isle-Adam. (6). Il tema dell'isolamento dell'uomo nello spazio, e del confronto-duello con le macchine, è un leit-motiv della letteratura fantastica e fantascientifica, e della cinematografia del genere. Il ricordato film di Kubrick 2001: A space Odissey, che si ispirò al racconto The Sentinel di Arthur Clarke, ne costituisce un esempio eclatante. (7). Più profondi sono i richiami con Solaris di Stanislaw Lem, e con l'omonimo film diretto da Tarkovskij. Se nello scrittore polacco era l'oceano che aiutava l' uomo, con un processo maieutico, a scavare nell'intimo della sua anima, in "Cancroregina" questa funzione viene svolta dall'astronave, ma solo quando il protagonista giunge al culmine della sua disperazione. L'interrogativo di Kelvin, uno dei personaggi di Solaris, poi, è il medesimo di Landolfi, e di Lem: "L'uomo si è mosso per andare alla scoperta di altri mondi, di altre civiltà, senza avere perlustrato a fondo dentro di sé, i cortiletti, i camini, i pozzi, le porte sbarrate". (8) Sotto la specie del linguaggio, in questo racconto vi è una antinomia tra la prima e la seconda parte: si passa da un idioma fluido, descrittivo, tradizionale e classicheggiante, ad una lingua più discontinua, per l'uso di frequenti divagazioni, e articolata: oscillante tra l'uso di termini arcaici e rari, e l'uso di un impianto più consueto e quotidiano. (9) Questo vezzo di usare frequenti divagazioni accomuna Landolfi a Laurence Sterne, e a Diderot, e sottintende l'esigenza di voler dilatare la dimensione temporale, e di ritardare la conclusione del racconto. Non solo: la digressione implicherebbe addirittura " la fuga (...) dalla morte, (come) dice in una sua introduzione al Tristram Shandy uno scrittore italiano, Carlo Levi, che pochi immaginerebbero come un ammiratore di Sterne ...". (10) Il richiamo a Diderot ci riporta alla natura speculativa e alla struttura da "conte philosophique" della novella. Però, questo ci allontana dalla valutazione di quanto il racconto di Landolfi sia rappresentativo del connubio tra scienza e fantasia, anche se gli dona patenti di nobiltà letteraria, peraltro mai discusse. Il neologismo "fantascienza" è stato coniato da Urania nel lontano 1952, e successivamente entrò nell'uso comune per poi venire registrato nei più importanti dizionari (11). Per fantascienza, che include anche la science-fantasy, si intende un genere letterario che si prefigura di rappresentare in chiave fantastica l'intero universo, partendo da presupposti logico-scientifici, e di suggestionare il lettore attraverso storie e situazioni eccezionali. La fantascienza, infine, si distingue dal genere letterario definito fantasy, per il predominare degli aspetti scientifico-tecnologici, che risultano inesistenti in quest'ultimo. Ritengo allora che questo racconto possa ascriversi al genere fantastico, per l'elemento trasgressivo che perturba la vita reale ("il pazzo" che visita lo scrittore e l'astronave "Cancroregina"), per lo sconcerto di fronte all'inammissibile, per il desiderio intimistico di astrarsi dal mondo, per la figura del "folle" che si ribella contro i poteri costituiti (in questo caso il manicomio), e per l'elemento ironico e grottesco. Secondo il Nodier, inoltre, esistono tre differenti tipologie di storie fantastiche: la falsa, come la fiaba, in cui narratore e ascoltatore credono entrambi; la vaga, che genera nel Lettore un dubbio sulla sua plausibilità; e la vera, narrazione di un evento reale, ma incredibile. "Cancroregina" è perciò storia vaga, per l'intento dello scrittore di costruire una narrazione implausibile, e di salvarla all'ultimo, nella terza parte, come realtà utilizzando la follia del protagonista come escamotage. (12) Eppure secondo Umberto Eco la fantascienza "mantiene una tensione utopistica, una funzione allegorica ed educativa". (13) E dunque per questo rispetto, "Cancroregina" rientra a ragione nella science fiction, non per l'elemento pedagogico, che è presente anche nel fantastico, ma per quello allegorico. Tuttavia da una lettura più attenta ci sembra impossibile collocare il racconto landolfiano nel genere fantascientifico, in quanto l'elemento fantastico-tecnologico è irrilevante e pretestuoso. Quindi, ritengo condivisibile la posizione del Deiaco: "In "Cancroregina" vengono dunque pazientemente e capillarmente costruiti e poi smantellati i presupposti pertinenti all'attribuzione del testo al genere fantascientifico, in un gioco sapientemente orchestrato tanto da acquistare una rilevanza di primo piano, e da imporre la considerazione di un livello metaletterario di interpretazione intrinseco al testo landolfiano esaminato e naturalmente estendibile all' intertesto" (14). Nella stessa opera landolfiana, la riflessione metaletteraria assume spesso i toni della parodia, sconfessando la possibilità di rintracciare dei punti fermi. In definitiva, ritengo, che l'opera landolfiana si dimostra articolata su più livelli che devono essere interpretati singolarmente. Per esempio nel Landolfi si riscontrano numerosi temi cari al romanticismo "nero" e nella sua produzione sono numerose le storie di fantasmi (La spada, Ombre e il Bacio), ma in lui difetta l'attenzione ossessiva alla necrofilia presente in Poe e Lovecraft, perché al Nostro più che la morte interessano le problematiche legate alla "non vita". In "Cancroregina" la critica pose in evidenza diversi aspetti di questo racconto, e in primo luogo l'elemento "allegorico", e in quest'ambito può essere accostato a "Miracolo a Milano" del De Sica che uscì proprio in quegli anni. In "Cancroregina" il Pampaloni intravide "un nuovo Landolfi", per aver posto in risalto l'elemento autobiografico e confessionale (15), mentre Sereni mise in evidenza oltre a queste due caratteristiche, anche l'aspetto allegorico del racconto landolfiano : "Ma intanto si può parlare, tranquillamente stavolta, d'allegoria e insieme di confessione, perché entrambe appaiono intenzionali e si dividono le parti del racconto ; né importa che Landolfi in extremis quasi si rimangi tutto e tenti di ristabilire l'equilibrio avvertendo che si tratta di un manoscritto d'un pazzo" (16). Gli elementi allegorico e confessionale, per il Sereni, celavano nel substrato l'elemento autobiografico: "Confessione , s'è detto ; messa in moto di un allegoria forse architettata a tal fine (di creare una zona vuota, preclusa alla comunicazione diretta) e in cui niente altro si adombra se non la storia intima di Landolfi. L'uomo ha ucciso lo scrittore che stava per ucciderlo e ne trascina nei giorni l'inerte spoglia (nel fatto l'espulso e ucciso Filano segue nello spazio, cadavere "rappagliato nel suo ultimo atteggiamento" la propria creatura Cancroregina)" (17). Per concludere e riassumere: Landolfi, buon scrittore fantastico, sembra stare al gioco della SF e della tecnologia, per meglio vanificarne l'apparato scientistico, per mostrare ancora l'ironia di una condizione umana che vorrebbe dominarsi e dominare, ma che non può invece far altro che assistere al proprioo naufragio, e alla propria resa, alla follia e al trascendente. Volendo fare una panoramica dell'opera landolfiana si deve porre in risalto, come abbiamo già ricordato, che le prime esperienze letterarie furono legate all'ambiente fiorentino. Nel 1937, presso la casa editrice Parenti, lo scrittore pubblicò il Dialogo dei massimi sistemi costituito da sette racconti. Nel 1945 uscì il racconto Le due zitelle dove traspare l'insofferenza verso la religione sorda e bigotta. Il racconto Cancroregina fu pubblicato sulla rivista "Botteghe oscure", nel 1949 e poi nella prima edizione in volume nel 1950 a cura della Vallecchi. In entrambi era presente la terza parte, ma al momento della ristampa dei Racconti nel 1961, il Landolfi raccomandò la Vallecchi di eliminare l'appendice dialogica di Cancroregina. La produzione letteraria del primo Landolfi si concluse con La Bière du pècheur (1953), dove ritroviamo alcune tematiche esistenziali già presenti in Cancroregina: lo "stato di insufficienza" e la "non vita". La produzione letteraria del secondo Landolfi è legata alla favola settecentesca Ottavio di Saint-Vincent (1958), alla tragedia di argomento storico Landolfo VI di Benevento (1959), alle pagine sotto forma di diario di Rien va (1963) e Des mois (1963), e al romanzo Un amore del nostro tempo (1965) in cui si narra l'amore incestuoso tra un fratello e una sorella. In seguito scrisse i Racconti impossibili (1966), i cinquanta elzevirini di Un paniere pieno di chiocciole (1968), il dramma o commedia Faust '67 (1968), il dialogo del Breve Canzoniere (1971) e la raccolta in volume di alcuni articoli letterari in Gogol a Roma (1971). La produzione letteraria dell'ultimo Landolfi si sposta verso la composizione delle poesie Viola di morte (1972) e Il tradimento (1977) e i racconti Le labrene (1974) e A caso (1975). Dopo la morte del nostro (1979) l'interesse verso l'opera landolfiana confluì nell'antologia postuma, curata da Italo Calvino, Le più belle pagine di Tommaso Landolfi (1982) e il volume Il gioco della torre dove vengono raccolti i racconti pubblicati sul Corriere della Sera.
NOTE
(1) D. PORZIO, Landolfi va sulla luna, "Oggi", 15 marzo, 1951, p. 35.
(2) G.B. SECCHI, Ivito alla lettura di Landolfi, Milano, Mursia, 1978, p. 19.
(3) G. PAMPALONI, Tommaso Landolfi, in Storia della letteratura italiana, vol. IX:
Il Novecento, Milano, Garzanti, 1969, p. 795
(4) G.B. SECCHI, cit., p. 32.
(5) Per la trama di "Cancroregina" abbiamo seguito il testo dell'Adelphi e al
medesimo si riferiscono le pagine menzionate: T. LANDOLFI, Cancroregina, Milano,
Adelphi,1993.
(6) Sul tema del viaggio nella letteratura fantastica si veda: G.B.
SECCHI, cit., pp. 75-76 e in Landoldi: PANDINI, Landolfi , Firenze, La Nuova
Italia, 1975, "Il Castoro" , n. 107, p. 56. Riferimenti espliciti al viaggio
sulla luna, in alcuni casi di chiara ispirazione letteraria, si trovano anche
nella cinematografia: si pensi al Voyage dans la Lune di George Méliès (1902),
Destination Moon di Irving Pichel (1950) e From the earth to the Moon
di Byron Haskin (1958). Tuttavia il filone si esaurì rapidamente come aveva già
profetizzato A. Clark in The sand of Mars (1951):"... Quando la luna fu
raggiunta, era sicuro scrivere su Marte e su Venere ancora per qualche anno. Ora
anche quelle storie sono morte; nessuno le leggerebbe, tranne che per riderci
sopra... Le avventure interplanetarie che i nostri nonni conoscevano hanno avuto
termine ala fine degli anni ' 70".
(7) G. CAIMMI, P. NICOLAZZINI, Ritratto di
Arthur Clarke , in "Robot" , anno I, N. 2, pp. 84.
(8) S. LEM , Solaris , Milano, Mondadori, 1990, "Classici Urania", pp. 169 e 218.
L'idea della materializzazione dei "mostri dell'inconscio" si trova , oltre in Solaris,
in Gost V, di R. Sheckley e nel film the Forbiden Planet di Fred McLeod Wilcox; su
questi aspetti cfr. R. GIOVANNOLI, La scienza della fantascienza , Milano,
Bompiani, 1991, p. 42-43 e 89 (n. 17). Il racconto Gost V , di Sheckley è
presente nell 'antologia pubblicata da "Urania" nel n. 880 del 22-3-1981.
(9) G.B. SECCHI, cit., p. 59.
(10) I. CALVINO, Lezioni americane: sei proposte per il
prossimo millennio , Milano Garzanti, 1988 , p. 46.
(11) G. MONTANARI nel risvolto di copertina dell'opera su J. G. BALLARD, Il vento del nulla ,
Deserto d'acqua, Terra bruciata, Foresta di ghiaccio, Milano, Mondadori, 1986.
(12) C. NODIER, Il falso e il vero fantastico in S. ALBERTAZZI,
La letteratura fantastica , Roma-Bari, Laterza,1993, p. 114.
(13) U. ECO, Apocalittici e integrati , Milano, Bompiani,1995, p. 372.
(14) D.D. DEJACO, Un punto di svolta nella narrativa
landolfiana: "Cancroregina", in "Strumenti critici", N.S, IV, 3 , n. 61,
settembre 1989, pp. 412-413.
(15) PAMPALONI, cit., p. 714.
(16) V. SERENI, Viaggio nella luna , in "Milano Sera", 30-31 gennaio 1951. p. 3.
(17) Ibidem