Gli itinerari del Lazio attraverso le vie consolari

 

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La testata del periodico

                        La rivista cartacea "Nuovo Arcobaleno" si è spenta per mancanza di adeguati finanziamenti

   

ANNO I- Numero 1- Novembre 1997
STORIA DI CRUSTUMERIUM

Le origini del sito di Crustumerio non sono del tutto chiare perché, come abbiamo già accennato nel precedente articolo, le fonti letterarie sono discordi: forse fu dedotta dai Siculi (Servio), da Alba Longa (Diodoro e Dioniso), dai Sabini (Plutarco) o dai Latini. Virgilio ci informa che fu una delle cinque città che fornirono le armi usate per combattere Enea (Eneide, VII, 629-631), mentre Dionigi e Livio (Livio, I, 9-10) ci tramandarono che la città fu coinvolta, in epoca romulea, nel famoso "ratto delle Sabine" insieme ai centri di Antemnae e Caenina. Gli abitanti di Crustumerium reagirono a questo sopruso, ma la questione fu risolta dai Romani con l’occupazione, sotto Romolo, delle tre città: prima Caenina (Livio, I, 10), poi Antemnae (Livio, I, 11) ed infiene Crustumerio; con quest’ultimi la lotta fu meno aspra, perchè l’animosità dei Crustumini era scemata dopa aver visto la sottomissione delle altre due città (Livio, I, 11). Dopo questi eventi Crustumerium sembra aver raggiunto una pacifica intesa con l’Urbe; ciò è dimostrato dal fatto che aiutò i Romani, colpiti da una carestia, inviando delle derrate che furono, però, intercettate dai Fidenati. Successivamente Crustumerium fu nuovamente conquistata , agli inizi del VI sec., da Tarquinio Prisco (Livio, I, 38) e poi nei primi anni della Repubblica (500-499. a.C.). La caduta della città determinò l’annessione (nel 499 o 495) dell’Agro di Crustumerio e la successiva creazione della nuova tribù Clustumina e con quest’ultima le tribù a Roma salirono a 17 o a 21. Negli anni successivi l’Agro di Crustumerio fu teatro di scontri tra Romani e Sabini, ma già a partire della metà del V secolo non troviamo più notizie di Crustumerium nelle fonti storiografiche, perché la città cominciò a perdere di importanza a seguito della crescente migrazione verso l’Urbe. Inoltre la presa di Veio (396 a.C.), di cui parleremo più diffusamente nei prossimi articoli, determinò il definitivo tracollo economico della città che si vide tagliata fuori dalle rotte commerciali che collegavano la Campania con l’Etruria meridionale. Ai tempi dello scontro tra i Romani e i Celti di Brenno, che avvenne nei pressi del fiume Allia (oggi Fosso Maestro o Fosso della Regina), la città di Crustumerium che si trovava non lontana dal teatro della battaglia doveva essere, oramai, in uno stato di evidente abbandono. In seguito nei secoli IV e III a.C. le fonti storiografiche ci forniscono nuove notizie sull’Agro di Crustumerium. Infine Plinio il Vecchio, scrittore del I sec. d.C., pone Crustumerium tra le famose città latine, ai suoi tempi però oramai estinte, che erano poste nella Regio prima augustea.

Mario IERARDI


Anno I - numero 2 - Dicembre 1997
I RITROVAMENTI A CRUSTUMERIUM

La localizzazione del sito di Crustumerium avvenne nella seconda metà degli anni Settanta per opera di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici nell’ambito di un vasto piano di ricerche che coinvolgeva gli antichi abitati del Lazio . Anche la città sabina di Antemnae, per esempio, posta a Nord di Roma, è stata scoperta dai due ricercatori . Il termine "Antemnae" (ante amnem) deriva dal latino e significa "dinnanzi al fiume". Le ricerche condotte su Crustumerium sono poi confluite in un libro edito nel 1980 (1). A questo attento lavoro di ricerca e seguito un periodo di stasi per mancanza di fondi adeguati . Nel contempo è dilagata, purtroppo, l’intensa e illegale attività condotta dai cosiddetti "tombaroli" che hanno profanato numerose tombe asportando vasi o altri reperti che facevano parte dei corredi funebri. bacile di crustumerio L’attività di ricerca nel sito di Crustumerium è ripresa, tuttavia, in tempi recenti sotto la direzione del Di Gennaro e del Vergantini i quali, grazie anche alla collaborazione di giovani archeologi volontari, hanno condotto una scrupolosa e attenta attività di ricerca e di sorveglianza presidiando la zona anche nelle ore notturne scongiurando e informando le forze dell’ordine nel caso in cui notavano la presenza di persone sospette dedite a scavi clandestini. La lunga opera di ricerca e di scavo condotta sul posto a portato alla scoperta di almeno cinquanta tombe con i rispettivi corredi, ma si ritiene che moltissime altre devono essere ancora scoperte. Gran parte di esse, purtroppo, era stata già profanata e depredata dai tombaroli. Alcuni di questi reperti, recuperati dalle forze dell’ordine, sono stati esposti, come abbiamo già ricordato, nella mostra che si è tenuta a Castel S. Angelo. L’area sepolcrale di Crustumerium include diversi tipi di inumazione nell’arco dei secoli: tombe a fossa semplice (VIII-VII sec.), a loculi (prima metà del VII sec.) e a camera (dalla metà del VII al VI sec. a.C). Nella area sopraindicata sono stati ritrovati, nonostante le spoliazioni clandestine, dei ricchi corredi funerari come, per esempio, nella tomba a fossa n. 20 che risale alla metà dell’VIII secolo. In questo loculo, appartenente ad una giovane donna, sono stati scoperti una cista nuziale, fibule, anelli, un bacile di bronzo, un olla con tazzine per attingere le bevande, alcuni vasi di bronzo, alcuni vasi di bronzo, oggetti per l’igiene quotidiana ed altri reperti. Questa ricchezza di corredi funerari non è presente nelle tombe più recenti collocabili a partire dall’inizio del V sec. a.C. forse in coincidenza delle leggi emanate da Roma per limitare il lusso e i costumi. Nelle tombe degli uomini sono stati trovati, invece, come corredo delle fibule e delle armi (lance e spade di diverso formato) che testimoniano il loro ruolo sociale: erano dei guerrieri.

(1) L.QUILICI - S.QUILICI, Crustumerium, 1980. Per gli scavi recenti si veda anche AA. VV, Ultime scoperte a Crustumerium, in "Archeo", anno XIII, n. 8(150), Agosto 1997, pp. 32-39.

Mario IERARDI


Anno II-Numero 1- Gennaio/Febbraio 1998
LA IV CIRCOSCRIZIONE NEL V SEC. A.C.

Con la cacciata dei Tarquini , avvenuta nel 509 a.C., si segna il trapasso dalla monarchia alla repubblica. Nel medesimo anno, secondo Polibio, fu stipulato il primo trattato tra Roma e Cartagine nel quale venivano menzionati i nuovi magistrati che furono gli antesignani dei consoli: i pretori. Intorno al 504 fu riconosciuto ad Appio Claudio il diritto di partecipare alle sedute del Senato e di poter assegnare delle terre ai suoi clienti. I fondi attribuiti ai partigiani di Claudio furono sottratti dall’agro di Fidene che perse più di metà del suo territorio situato - secondo il SOZI (1) - nella "zona montesacrina e lungo tutto il settentrione dell’asse che oggi possiamo far coincidere sulle vie Adriatico-Bufalotta-Settebagni". Le assegnazioni di terre, di cui abbiamo parlato, non rappresentavano un evento immotivato ma costituivano il tentativo di stanziare un presidio di coloni-soldati allo scopo di poter controllare e soffocare l’influenza che esercitava Fidene, insieme con Veio, nel settore posto a settentrione di Roma. Sulle sorti di queste due città e del loro rapporto con l’Urbe ci soffermeremo, più diffusamente, nel prossimo articolo ma per il momento tratteremo soltanto gli avvenimenti storicamente più remoti. Dopo aver battuto i Latini nella battaglia del lago Regillo (499 o 496 a.C.), presso Frascati, i patrizi romani dovettero fronteggiare l’insurrezione della plebe. Per protestare contro lo Stato romano che tollerava, per esempio, le disparità di trattamento giuridico tra patrizi e plebei e le leggi totalmente inique contro i debitori, i plebei decisero di non partecipare più alla vita pubblica ritirandosi sul Monte Sacro o forse, più probabilmente, sull’Aventino (494 a.C.). Tito Livio nelle sue Storie (II, 32) ci narra che per far recedere la plebe dalle sue decisioni intervenne Menenio Agrippa, un uomo politico di umili origini che era riuscito a raggiungere il consolato nell’anno 503.

(1) G. SOZI, Montesacro. Antico e Nuovo, Roma, 1994, p. 42.

Mario IERARDI (Segue)

 


Anno II- Numero 2 - Marzo 1998
LA IV CIRCOSCRIZIONE NEL V SEC. A.C.
  (parte seconda)

Menenio Agrippa, di cui abbiamo accennato nell’articolo precedente, era un personaggio molto stimato dai ceti umili e si rese famoso per il suo "apologo delle membra" che in quanto appartenenti allo stesso corpo costituiscono, nel loro complesso, un "unicum" e sotto tale ottica dovevano considerarsi i patrizi e plebei: entrambi facevano parte dello stato romano e nessuno dei due poteva fare a meno dell’altro. Il discorso fu bene accolto dai plebei che rinunciarono alla secessione, ma dal punto di vista giuridico essi ottennero che la loro forza numerica avesse anche un peso politico attraverso l’istituzione di una nuova magistratura da contrapporre ai consoli: i tribuni della plebe. Nell’ anno successivo (493 a.C.) i Romani regolarizzarono anche i rapporti con i Latini stipulando, per opera di Spurio Cassio, un trattato con la Lega latina (Foedus Cassianum) in cui da un lato si stabiliva la parità di diritti tra Roma e le città aderenti al trattato, ma allo stesso tempo si poneva in evidenza il ruolo di leadership dell’Urbe nei confronti delle città aderenti alla Lega. Attraverso questo accordo Roma cercava di controllare e contrastare i popoli confinanti: gli Equi, gli Ernici, gli Etruschi e le città colonizzate dai Greci in Italia meridionale. Con questi gruppi etnici i Romani si comportarono in maniera diversa in rapporto ai singoli e agli eventi. In taluni casi si ricorse alla guerra aperta, in altri ad alleanze oppure, per controllare delle zone di particolare importanza , a degli stanziamenti di coloni come quelli attuati da Appio Claudio. Al di là della tradizione leggendaria che attribuisce i primi scontri tra Roma e Veio già in epoca regia dobbiamo ritenere, con molta probabilità, che i primi contatti tra le truppe romane e la città etrusca avvennero nel 485 a.C. ca. Lo scontro aperto con Veio avvenne otto anni dopo quando Roma cercò di estendere il suo predominio territoriale nel settore incluso tra Roma, Veio e Fidene. Ufficialmente si trattava della prima guerra contro Veio, ma nella sostanza era un conflitto di tipo "privato". La gens Fabia possedeva dei territori nella zona a ridosso di Veio e presto la lotta per il predominio territoriale divenne inevitabile. Lo scontro avvenne nel 477 a.C. sul fiume Cremera, posto vicino Fidene, e si risolse con lo sterminio quasi totale della famiglia dei Fabi. Per il SOZI (2) l’episodio del Cremera rappresentava il tentativo di completare un processo di accerchiamento, già iniziato in precedenza, intorno alla città di Fidene con l’obiettivo di isolare la città dalla vicina Veio. Questo era lo scopo iniziale, ma i Romani miravano ad impadronirsi di Fidene per porsi in una posizione di vantaggio, dal punto di vista strategico, nella lotta contro la città etrusca.

(2) G. SOZI, Montesacro. Antico e Nuovo, cit. , p. 35.

Mario IERARDI

 


Anno II- Numero 3 -
FIDENE E ROMA

La città di Fidene sorse, in base alle testimonianze archeologiche, nel sec. XI a.C, sul colle di Villa Spada, in una posizione dominante in quanto poteva controllare le vie commerciali con i Sabini, quelle tra l’Etruria e l’Italia meridionale, nonché i traffici fluviali che avvenivano lungo il Tevere. Prima della nascita di Roma la città era fiorente sia per la fertilità del territorio (la zona era ricca di tufi di origine vulcanica, ma anche facilmente irrigabile per la vicinanza al Tevere e ai vari fossi) sia per le intense attività commerciali che erano favorite dalla sua posizione strategica sopraindicata. La città era cinta da mura e nell’ambito del suo territorio di influenza rientrava anche la zona di Montesacro (1). Il contrasto tra Roma e Fidene durò per 400 anni, se vogliamo considerare anche la tradizione leggendaria relativa al periodo monarchico. I Romani attaccarono più volte la città con Romolo, Numa Pompilio, Tullio Ostilio e con i Tarquini al fine di imporre il predominio romano in una zona che costituiva un punto nevralgico dal punto di vista economico-strategico. In particolare con la presa di Cenina (ponte Mammolo), del territorio di Ficulea (tra la Nomentana e il Grande raccordo Anulare), di Crusterium (nel settore N-E della Salaria) e con le assegnazioni di territori dell’agro di Fidene ai clienti della gens Claudia, - nonché con la battaglia sul fiume Cremera - si era cercato , come ritenne il SOZI (2) , di isolare e accerchiare la città di Fidene da Veio e dalle importanti vie di comunicazione fluviali (Tevere) e terrestri (Via Salaria). Per contrastare i Romani la città di Fidene si era alleata con l’etrusca Veio, ma nel 474 a seguito dell’armistizio quarantennale tra Roma e Veio la città di Fidene era stata occupata da una guarnigione romana. Nel 438 il pericolo per Roma fu grande perché i Fidenati dopo aver cacciato la guarnigione romana avevano stipulato una coalizione con Veieti e Falisci al fine di formare un esercito in comune per contrastare la potenza romana in ascesa. Con queste truppe, infatti, si erano spinti fin sotto le mura di Roma. I Romani, tuttavia, non erano rimasti inoperosi: nel 438 venne inviato contro Veio il console A.C. Cosso. Il generale romano dopo aver battuto l’esercito etrusco issò la testa del re di Veio (Tolumnio) su una lancia e i combattenti veienti e fidenati visto ciò si diedero alla fuga. Nell’anno successivo i nuovi consoli, Malungineuse e Crasso, depredarono l’agro di Fidene ed entrarono nel territorio di Falerii. Di li a poco, però, la città di Fidene fu conquistata, saccheggiata e data alle fiamme dai romani (436-435 a.C.). La città divenne un "municipium" di Roma e parte degli abitanti cadde in schiavitù. Per ricostruire le mura ed alcuni edifici che erano stati distrutti dopo l’incendio gallico, i Romani fecero affluire da Fidene una grossa quantità di pietre di tufo. Con la caduta di Fidene l’Urbe riuscì a porsi in una posizione favorevole nella lotta contro Veio. 

(1) G. SOZI, Montesacro. Antico e nuovo, Roma, 1994, p. 35
(2) Ibidem

Mario IERARDI

 


Anno II- Numero 4 -

LA SECONDA GUERRA CONTRO VEIO

Con la presa di Fidene avvenuta nel 426 a.C. i Romani controllavano il tratto della via Salaria e del fiume Tevere a ridosso della città di Veio, ponendosi, rispetto a prima, in una posizione di vantaggio contro la città etrusca. La guerra fu , però, lunga e logorante per entrambe le parti. La città fu definita "Troia etrusca", per la tenace resistenza che oppose ai Romani, malgrado la posizione di isolamento in cui era caduta. Nell’assemblea che si era tenuta nel tempio di Volturnna i rappresentanti delle città etrusche della Lega dei Dodici Popoli ritennero, infatti, che non era opportuno difendere Veio con una guerra a cui avrebbe partecipato la nazione intera. Il conflitto tra Roma e Veio fu combattuto per dieci anni (406-396 a.C.), e alla fine la città capitolò con l’ inganno: i Romani, comandati dal dittatore Furio Camillo, avevano scoperto l’esistenza di un vecchio pozzo che passava sotto la città e dopo averlo sgombrato l’utilizzarono per attaccare il nemico alle spalle. Dopo la resa dei veienti il dittatore autorizzo i soldati ad effettuare il saccheggio. Furono depredate di ogni bene le case private, i palazzi, i templi e gli edifici pubblici. L'Apollo di Veio Lo stesso dittatore fece vendere all’asta tutti i veienti e si impossesso degli oggetti d’oro particolarmente preziosi, nonché delle pesanti porte di bronzo della città. Le splendide terracotte che ornavano il tetto del tempio di Veio (tra cui il famoso Apollo), furono abbattute o distrutte dai legionari romani , ma risparmiate dal saccheggio perché di scarso valore economico. La caduta di Veio provocò, come scrive Livio, un indicibile entusiasmo nella città di Roma. Nell’ Urbe affluì l’imponente bottino di guerra che servi, poi, a placare l’orda dei Galli che si era riversata a Roma dopo aver messo in rotta l’esercito romano presso un fiumicello, l’Allia, che scorreva lungo la via Salaria. Con la distruzione della città, qualcuno suggerì che sarebbe stato opportuno ritirarsi a Veio, città che era stata saccheggiata ma sostanzialmente integra per quanto riguarda l’edificato, ma fu la tenacia di Camillo ad impedire l’esodo e ad esortare i Romani a ricostruire la loro città.

Mario IERARDI


Anno II- Numero 5 -
L’AGRO DI FIDENE DOPO LA CADUTA DI VEIO

Svetonio(Tib., 40 ) e Tacito (Ann, IV, 62) ci narrano del crollo dell’anfiteatro di Fidene. Apprendiamo da quest’ultimo che l’anfiteatro fu costruito da Attilio, figlio di liberti, con l’intento di rappresentare uno spettacolo di gladiatori, ma "poiché s’era messo in quella impresa non per dovizia di mezzi, né per ambizione municipale, ma soltanto con la mira di un sordito guadagno, non aveva posto solide fondamenta all’edificio né una struttura lignea sufficientemente salda". Si determinò che durante una rappresentazione, avvenuta nel 27 d.C., il teatro crollò travolgendo e uccidendo più di 20.000 spettatori. Nonostante la costruzione di questo edificio bisogna notare, però, che già in epoca tardo-repubblicana, come ha evidenziato il Coarelli (1), la città di Fidene aveva perso gran parte della sua importanza perché da un passo di Strabone si evince che Fidene, insieme a Gabii e a Labici, viene posta come esempio di città ridotta a villaggio. Questo fenomeno va posto in relazione con la crisi della piccola proprietà agricola e con la crescita del latifondo nella zona posta tra l’antica via Ficulea (Nomentana) e la Salaria. In epoca imperiale negli ampi latifondi, al cui centro si collocavano le ville, della zona di Monte Sacro , Fidene, Vigne Nuove, Bufalotta, Prati Fiscali, Serpentara, Tor S. Giovanni, Settebagni, Castel Giubileo e Magliana furono rinvenuti delle aziende agricole dove si coltivavano alberi da frutto, fiori, grano, ortaggi, ulivi e viti. Nel periodo tardo antico, infine, l’agro di Fidene aveva perso tutta la sua importanza in coincidenza dello sviluppo secolare che aveva avuto l’economia di tipo feudale. Per tutto il Medioevo la situazione rimase sostanzialmente immutata e bisognerà attendere il nostro secolo per vedere ricrescere l’urbanizzazione delle città. Dell’antica Fidene attualmente non rimane molto, tranne che una vecchia cisterna posta sulla collina di Villa Spada

(1) F. Coarelli, Dintorni di Roma, Bari, Laterza, 1993, p. 192.

Mario IERARDI


Anno II- Numero 6 -
LA NECROPOLI

L’uso di seppelire i morti fuori dall’abitato urbano era stato istituzionalizzato già nel 450 a.C con la legge delle XII tavole:"Hominem mortuum in urbe ne sepelito neve urito" (Non seppellire né cremare un morto in città), Tavola X, 1. Da questa normativa risulta comprensibile perché esisteva una vasta necropoli, che fu attiva dal I al IV sec. d.C. ca., nell’area posta tra la via Nomentana, via Maiella, corso Sempione e l’Aniene. Nel tratto della via Nomentana cosiddetta "nuova" (da Porta Pia fino a Ponte Nomentano) si incontrano la Catacombe di Nicomede (con ingresso in Via dei Villini), il cimitero sotteraneo di S. Agnese, il cimitero Maggiore (posto nella zona di via Asmara), un mausoleo cilindrico in marmo bianco edificato in età flavia o trainea (lungo la via Nomentana tra Via Asmara e via di S. Agnese) e la famosa Sedia del Diavolo (Piazza E. Callisto). Quest’ultimo monumento, di epoca antonina, è un sepolcro in laterizio che si alza su due piani al cui interno si trovano delle nicchie . Infine, subito dopo aver superato il Ponte Nomentano è possibile vedere i resti di un antico sepolcro in calcestruzzo, di età imperiale, costituito da una base quadrata e da un nucleo cilindrico sovrapposto sui cui resti, in epoca medioevale, venne innalzata una torre. Sull’altro versante della strada, inoltre, possiamo scorgere, tra gli edifici, un altro mausoleo costituito da vari dadi sovrapposti. Proseguendo sul vecchi tracciato della Nomentana si può vedere, subito dopo viale Kant, il torraccio della Cecchina. Si tratta di una tomba a tempietto in laterizio del II sec. d.C. costituita da due camere sovrapposte che in epoca medioevale fu probabilmente adibita come residenza e presidio di guardia. Nei pressi del torraccio, detto comunemente tomba spuntapiedi, sono stati trovati tracce di altre tombe il che ci fa supporre che l’area sepolcrale fosso molto piu vasta di quello che pensiamo. Proseguendo lungo la via Nomentana incontriamo la catacombe di S. Alessandro (Km 12,900) e poco più avanti possiamo osservare, nei pressi di via Francesco Guglielmino (Km 13,600), i resti del torraccio di Capobianco. Si tratta di un sepolcro di epoca augustea o successiva sul quale, nel Medioevo, fu sovrapposta una torre (Torre Castiglione)(1).
(1) Gran parte delle notizie sui cimiteri e i mausolei lungo la via Nomentana sono tratte da: S. QUILICI GIGLI, Roma fuori le mura, Roma Newton Compton, 1986; AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI ROMA - ASSESSORATO SPORT E TURISMO, Via Salaria. Via Nomentana, Roma, Bonsignori,1996 e da F. COARELLI, Italia centrale, Bari, Laterza, 1985.

Mario IERARDI


Anno II- Numero 7 -
MONTESACRO IN EPOCA IMPERIALE

In epoca imperiale la zona di Montesacro raggiunse il pieno svilppo dal punto di vista economico-residenziale, ma i prodomi di questo fenomeno risalgono agli ultimi due secoli della Repubblica. La rete viaria era cresciuta in modo intensivo e lungo i suoi assi erano state costruite numerose ville usate per scopi rurali e come dimore permanenti o temporanee: abitate solo nei periodi estivi. Alcune di queste ville sono importanti per la loro vastità e ricchezza (per esempio quella sulla collina del Prato Fiscale), ma la maggioranza di questi edifici era di tipo più sobrio. Quest’ultime erano le cosiddette "villae suburbanae" adibite, in prevalenza, ad attività di tipo agricolo. Tra le numerose ville della zona montesacrina degna di attenzione è quella del liberto Faonte. Durante gli scavi nel sito venne alla luce un’urna funeraria con incisa un’iscrizione dedicata a Claudia Egloge. Essa era stata la nutrice di Nerone ed insieme ad Atte aveva raccolto i resti dell’imperatore per poi trasportarli nella tomba dei Domizi. Questa villa secondo alcuni studiosi , deve essere identificata con la villa di Faonte. Al riguardo Svetonio ci informa che questo liberto consigliò a Nerone di rifuggiarsi nella sua villa per sfuggire all’ira dei partigiani di Galba. Sopraggiunti quest’ultimi Nerone decise di suicidarsi ficcandosi un pugnale in gola, aiutato da Epafrodido. Da Svetonio apprendiamo che il sito doveva essere posto tra la via Nomentana e la Salaria e con precisione, secondo l’identificazione effettuata dagli archeologi, in via Passo del Turchino, (Svetonio, Vita di Nerone, 48-49). La villa doveva essere di grandi dimensioni ed era suddivisa in due sezioni: una rustica e l’altrra abitativa ed ad essa era annessa una grande cisterna i cui resti sono ancora visibili. Resti di un ‘altra grande villa, del I-II sec. d.C, sono visibili in Piazza Monte Torrone, mentre se prendiamo via Lina Cavalieri possiamo vedere un tratto di una antica strada romana.

Mario IERARDI


Anno II- Numero 8 -

LA IV CIRCOSCRIZIONE NEL MEDIOEVO

La crescita del latifondo determinò lo spopolamento della zona, ma i centri di Capobianco, Fidene e Montesacro non risentirono di questo fenomeno. Nell’ambito della nostra circoscrizione bisogna segnalare, invece, l’incremento demografico che si verificò intorno all’abitato di Castel Giubileo e lungo la via Nomentana all’altezza del luogo del martirio di S. Alessandro. L’estendersi del tessuto abitativo si sviluppò intorno ai nuclei religiosi di S. Michele Arcangelo, Castel Giubileo, S. Alessandro e poi anche intorno ad altre chiese. La motivazione era di matura logistica, economica, religiosa e politica: con la crescita delle invasioni barbariche le chiese diventarono i centri dove la popolazione, che si dedicava all’agricoltura cercava di aggregarsi. Si tentava di costituire dei piccoli nuclei agricoli indipendenti formati da contadini e da piccole guarnigioni di presidio. Si trattava del sistema delle domuscultae che si sviluppò con papa Zaccaria (741-752) e Adriano I (772-795) e contribu’ a rafforzare il dominio della Chiesa a scapito della proprietà privata. In molti casi la popolazione riutilizzava, per gli scopi suddetti, gli edifici di epoca imperiale ancora in buone condizioni. Sui resti delle ville presenti nella zona della Marcigliana, Prati Fiscali e della Serpentara sorsero dei casali, ma anche gli altri monumenti e le tombe seguirono una sorte analoga. Un destino diverso subì, invece, il sepolcro romano posto nelle vicinanze di Ponte Salario che fu riutilizzato come torre di guardia per scopi difensivi e di sorveglianza.

Mario IERARDI

 

 

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