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Davvero notevole, questo esercizio di retorica del prolifico Writer.
In due scattanti racconti, il Nostro prova ad esporci prima una tesi,
poi l'esatto contrario. E l'argomento prescelto e' il contrapporsi ai
diversi livelli della vita reale e di quella che i media hanno ormai
catalogato come virtuale (quasi che le persone che vi partecipano
sbiadiscano dalla realta').
Nel primo episodio, "Flame sperimentale", il protagonista impara a focalizzare i propri sentimenti d'amore lasciando incanalare la sua aggressivita' sul mezzo elettronico. La tesi esplicitamente dichiarata e' che "ci si deve amare nella vita reale per potersi odiare in quella virtuale"; in realta', il percorso del protagonista e' esattamente l'inverso: attraverso l'odio espresso per gioco (ma siamo sicuri che sia un gioco?) nei violenti messaggi che passano sulla rete egli scopre la sua dipendenza dall'avversario, in un rapporto che non e' azzardato definire amore.
Il tono di questo episodio e' studiato, a tratti pensoso; le scene ("movimenti", secondo le indicazioni autografe) ben tagliate, i dialoghi curati e credibili. Pure, la debolezza di questa prima parte e' da trovarsi proprio nell'impianto della storia, i cui assunti non riescono ad infrangere il muro della "sospensione del senso critico" (ma forse, e questo limite e' fisiologico al mezzo prescelto, il motivo di questo insuccesso e' da imputare alla familiarita' del particolare pubblico a questo mezzo inusuale per il resto del mondo).
Anche l'inserzione, violenta e in parte ingiustificata, dell'elemento fisico nella trama e' innegabilmente un passo falso che contribuisce non poco a minare il risultato complessivo. Non e' infatti accettabile, da un punto di vista strutturale, l'adozione di un premio fisico per i successi (i favori della ragazza) a fronte di una punizione crudelmente psicologica per gli insuccessi (l'allontanamento dal gioco): sarebbe stata preferibile una coerenza nell'uso dei piani (fisicita' o virtualita' per entrambi, preferibilmente quest'ultima, per dare maggior peso all'irruzione del reale durante lo svolgimento del drammatico duello finale).
Opposto, e molto piu' riuscito, da questo punto di vista, l'impianto del secondo episodio, nel quale l'energia della frenetica narrazione sgorga proprio dalla drammatica contrapposizione dei due piani, che rimangono sempre distinti nel loro violento contrasto. E proprio la perniciosa volonta' del protagonista (in preda ad un impulso che non esiterei ad associare a Thanatos) di provocare un'innaturale commistione dei due livelli e' quella che provoca la sua fine, e la fine del gioco da cui egli ormai dipende. Come un salmone risale faticosamente la corrente, lo sventurato risale faticosamente la penisola, incontro al suo amore -- e alla sua morte.
Analoga la tesi dei due episodi, quindi, ed esercizio retorico riuscito solo a meta'. Cio' nonostante, entrambe le meta' si leggono con piacere; forse, come detto, il piacere e' maggiore nella seconda, dove l'energia proviene da un contrasto piu' netto, rispetto alla prima nella quale questa rimane ostacolata dalla sfumata ambiguita' dei rapporti tra i personaggi. Anche il ritmo incalzante della narrazione (pur con qualche momentanea caduta, facilmente rimediabile con un po' di editing) contribuisce a rendere piu' netto il successo di questo pezzo.
Rimane da chiedersi, visto che malgrado i proponimenti dell'autore la
proposizione dimostrata e' la stessa in entrambe le meta' ("bisogna
odiarsi nella vita virtuale per potersi amare in quella reale"), se in
questo successo solo parziale non debba cercarsi un significato.
Ma questa e' materia che deve trascendere una seria analisi critica.
Doverosa premessa: l'insalata non mi piace, aceto o no.
Zittisco il coro di "Ecchissene..." precisando che il senso della mia premessa va ricercato nelle pagine del simpatico lavoretto imbastito dal ventitreenne Andrea Fedeli, che con "L'insalata" fa il suo esordio su ias. Esordio nel complesso positivo, devo aggiungere.
La storia e' presto riassunta: un Famoso Filosofo viene invitato a tenere una lezione introduttiva in un piccolo liceo di provincia; ricalcando le orme che furono di Robin Williams in "L'attimo fuggente", il F.F. riesce (contro ogni pronostico) nell'intento di non addormentare tutti i presenti "uscendo dal sistema" (come il professor Williams saliva in piedi sulla cattedra per stimolare i suoi allievi a "sperimentare punti di vista differenti"), e parlando di insalate in luogo di filosofia. E' un successo: gli studenti, forse ancora sotto choc, modificano le loro abitudini alimentari e si rifugiano nel latino per cercare una via d'uscita.
Detto cosi' puo' sembrare un po' poco per oltre 750 righe di racconto: e bisogna ammettere che effettivamente e' davvero un po' poco. Cio' nonostante, la storia si lascia leggere con sufficiente facilita', e i momenti di stanca sono abbastanza circoscritti. Di sicuro, una revisione generale che sintetizzasse il tutto riducendolo di una buona meta' non lederebbe, e contribuirebbe forse a sveltire un racconto il cui tono scanzonato e deliberatamente leggero viene ora alle volte sopraffatto da un periodare sinceramente non all'altezza della situazione.
Tra le note di biasimo, una menzione particolare meritano i dialoghi, che brillano (?) per la loro piatta uniformita'. Nello specifico, posso senza dubbio accettare il periodare minimalista degli studenti (e anche le relative velleita' acculturanti, ovvero i paroloni gettati allo sbaraglio nella mischia degli imperfetti), ma trovo francamente molto difficile credere che il F.F. riesca a non lasciarsi scappare nemmeno un congiuntivo, o quasi (ma forse si sforza di trattenerli per non umiliare troppo i presenti).
Se vogliamo girare il coltello nella piaga (ma non e' forse questo il senso di una recensione criticamente costruttiva?), occorrera' anche evidenziare che sarebbe buona norma per lo scrittore (e specialmente per il dilettante) cercare di documentarsi al meglio sulle competenze dei propri personaggi. Mi riferisco (e' d'obbligo) allo strafalcione messo in bocca all'insegnante di matematica, il quale dimostra bellamente di non conoscere il teorema di Goedel, e di arrampicarsi sugli specchi (per sua fortuna l'auditorio non si scompone, e quando il F.F. se ne accorge dimostra molto buon senso a cambiare discorso).
Detto a margine, non e' chiaro il motivo per cui l'acuto filosofo inglese che tutto il mondo conosce come Guglielmo da Occam debba invece essere identificato con il nome dell'oscura cittadina del Surrey che gli diede i natali (Ockham, appunto). Sono sofismi, questi, che lo scrittore smaliziato dovrebbe a mio avviso evitare, specie in un racconto il cui tono e' (volutamente e giustamente) tenuto basso.
Venendo invece ai punti qualificanti, assegnamo il primo posto alla sagacia con la quale il F.F. riesce a tracciare, con mano leggera, un credibile ponte tra le elucubrazioni delle Grandi Menti e un ortaggio prosaico come l'insalata. Devo ammettere che alcuni dei passaggi piu' felici del racconto coincidono proprio con gli equilibrismi mentali degli studenti, che riescono ad impattare senza quasi accorgersene con alcuni dei principi basilari della storia del pensiero grazie alla guida salda ma leggera di questo singolare individuo.
In conclusione, il racconto dimostra una notevole padronanza della materia filosofica (che non e' da intendersi come mera storia del pensiero filosofico), ed una passabile caratterizzazione dei personaggi (alcuni pero' ridotti al rango di macchiette). Posso solo consigliare all'autore di scrivere, scrivere e scrivere ancora, per affinare uno stile ancora pressocche' adolescenziale: i periodi che per semplicita' di costruzione sono credibili in bocca a studenti delle superiori non sono invece accettabili nella parte didascalica.
Nota positiva: l'affermazione dell'autore che piu' di tutte sento di condividere e' la sua asserzione che "non e' sufficiente voler scrivere per saper scrivere". Ma la tecnica si acquisisce. Il resto puo' anche gia' esserci.
Approda sulle spiagge di ias una bottiglia. Contiene un voluminoso plico di fogli arrotolati strettamente, marci dell'acqua salmastra che ha corroso il tappo ed e' penetrata all'interno. Con tutta la delicatezza del mondo proviamo ad estrarli e svolgerli, ma il rotolo ci si disfa in mano, le lettere consunte si confondono in una macchia illeggibile. Solo una paginetta conserva miracolosamente qualche periodo sopravvissuto.
Cosi', come un biologo cerca di ricostruire da un'istantanea l'incessante lavorio della Natura nei milioni di anni di evoluzione, anche noi ci ritroviamo investigatori nel cercare di dedurre il tutto da una microscopica parte. Dopotutto, ci diciamo, come le omeomerie di Anassagora, forse anche le parole di un frammento possono contenere la struttura del tutto piu' vasto cui appartengono.
Pure, inani restano i nostri sforzi, e questo urlo di frustrazione rimane tetragono ai nostri tentativi di trarne piu' di quanto non vi sia cristallizzato: rabbia repressa, vana catarsi destinata a non risolversi, forse l'infantile impulso di sbeffeggiare un grande stando dietro alla sua porta chiusa.
E la nostra mente inetta rimane ad interrogarsi sul contenuto dei fogli spappolati che sono ormai al di la' della nostra portata, e non sappiamo piu' se noi abbiamo sinora parlato di questo frammento, o se esso abbia parlato per bocca nostra.
Non mi rimane che tacere. Lascio questa scrittura, non so per chi, non so piu' intorno a che cosa.