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[LaRedO]
La Redazione dell'Opificio

Giovani esploratori e fobie
di Filo Sganga


[improvvisazione] le stelle del jazz - di Marco Vettori
Sproloquio - di Marco Vettori
Locomotiva rossa - di Marco Vettori
Francia - di Marco Vettori
Signor marinaio - di Marco Vettori
Blob - di Marco Vettori
Canto di un'aquila sola in cima alla tempesta - di Marco Vettori
Dove osano le aquile - di Marco Vettori
Fatti fottere ragazza - di Silvana
Salivo scendevo - di Brigante

Girano, cadono e rotolano i dadi e il sottoscritto ritorna qui, sulle nuove sformattate pagine del nuovo LaReDo, a ricommentare (come gia' la sorte gli aveva concesso nel numero precedente) la poetica di Marco Vettori e il suo svolazzare arioso e saltabeccante tra spazi, virgole e parole di un foglio scritto.
Potrei rimandare i lettori a quanto - anche se poco - avevo detto a suo tempo, ma, datosicche', di nuove opere si tratta, sarebbe quantomeno inopportuno scansare la fatica, copiaincollare commenti e risparmiare inchiostro, toner e tastiera.
Inoltriamoci, ordunque, consapevoli che (come tutte le poesie, per me) si tratta di quei territori dove 'Buana non andare. Che se buana andare, buana morire'.
Per evitare di caricare troppo i miei gia' intimoriti portatori, tuttavia, premetto che non quotero' per niente le poesie in oggetto, che' troppo particolare e' il loro disegno e il loro gioco di spazi, per rischiare di compromettere - con piu' che possibili errori di formattazione - le intenzioni originarie dell'autore, se non, in qualche caso, il significato stesso delle poesie.
Me ne scuso con lui, prima di tutto, e poi con i lettori.
Non sara' facile e chiaro leggere questi commenti senza gli originali accanto, lo so, ma, essendo gli unici veri originali custoditi nel caveau discofissico del nostro autore, e sapendo che le copie non riproducono che molto labilmente l'opera nativa, ho preferito rinunciare al controlci'-controlvu' e lasciarvi liberi di andare a ripescare le poesie laddove vivono.


MARCO VETTORI

[improvvisazione] le stelle del jazz - di Marco Vettori

'Du-da-du-dad
Duemila enigmi nel jazz
ah, non si capisce il motivo'.
(Paolo Conte, Sotto le stelle del jazz)

Prego notare la 'curiosa' similitudine tra i due titoli, nonche' l'andamento sicuramente swing di questa poesia (deep-du du da daa compreso).
Se non era proprio il disco di Conte a girare in sottofondo (o a risuonare nella memoria dell'autore) durante la composizione del testo, sicuramente contrabbasso e pianoforte in contrappunti jazzistici aleggiavano potenti nella stanza e sulla scrivania del poeta.
Personalmente opto per Conte, che troppo evidente pare l'ispirazione, la scelta delle parole, la loro consequenzialita', il ritmo sincopato, le immagini proposte.
In un solo termine, il 'suono' di questa poesia.
Non e' perfetta (l'ultimo verso non mi sembra granche') ma e' una di quelle che preferisco (sara' Conte?) e possiede un grande colore.

Sproloquio - di Marco Vettori

Rumore di battaglia, di scontri campali, grida, urla, fughe e corpi impazziti, come galline decapitate che starnazzano ancora per pochi metri sull'aia, prima di rendersi conto - con grande sorpresa - che sarebbe forse il caso di chiudere li' la faccenda-vita.
La testa di uno scrittore.
La poesia e' molto bella nella sua prima parte, veloce e potente, diretta e arrembante.
Meno bella, molto meno, nella seconda, dove prende il soppravvento una sorta di grido di rabbia represso, un po' troppo trito e moralisticheggiante per avere la stessa efficiacia dei primi versi. Ancora una volta, l'ultimo verso mi lascia perplesso e non mi sembra all'altezza.

Locomotiva rossa - di Marco Vettori

In questo testo, invece, il genio sta proprio nelle ultimissime righe, in quel 'vuoto' ripetuto, spaziato, allargato, espanso, che, oltre a riempire la pagina, ne cambia la prospettiva e rende palese (anche ai piu' refrattari allo stile del nostro) come una sola parola, unita e manipolata negli spazi, riesca a rendere visivo, nitido e preciso un altrettanto semplice (si fa per dire) concetto.
Insomma, un esempio concreto di bella poesia, e, nello stesso tempo, un fulgido risultato di una ricerca stilistica e estetica che Marco Vettori sembra porre sullo stesso piano dei suoi contenuti.

Francia - di Marco Vettori

La poesia in se' non mi sembra particolarmente riuscita, ma la debolezza della prima parte viene riscattata da un bel finale, dove - a differenza della precedente, dove era un gioco di spazi a dettare legge - e' la pausa tra il primo 'nessuno' e il secondo a rendere 'visivo' il silenzio che cala, ed a alimentare la tristezza.

Signor marinaio - di Marco Vettori

Gia' commentata (sic!) a suo tempo nel newsgroup, col lapidario accenno al 'signor tenente' di falettiana memoria, questa poesia non e' male nella sua apparente normalita' (niente spazi e pause, stavolta) e mi sembra piu' che dignitosa.
Solita perplessita' sul verso finale, che mi sembra stoneggi un poco con la cadenza del resto.

Blob - di Marco Vettori

Insomma, cosi' cosa'.
Le quattro righe finali, che dovrebbero (forse) dare tono e morale ai versi, o comunque spiegarli o giustificarli, mi sembra al contrario indeboliscano ulteriormente un pezzo che molto 'muscoloso' e forte non mi pare riesca ad essere in nessun momento.

Canto di un'aquila sola in cima alla tempesta - di Marco Vettori

Tranquillo e limpido esempio di una poesia che mi e' piaciuta ma di cui non saprei spiegare perche'. Mi piace e basta. Non bastera' a voi come spiegazione, forse, ma a me si'.
Questo passa il convento, e, come il vento, passa.

Dove osano le aquile - di Marco Vettori

E questa, invece, gli e' brutta anzicheno'.
Non mi piace punto. E virgola.
Non mi piace il ritmo, non mi piacciono le immagini, non mi piace la scelta e l'utilizzo delle parole, non mi piace la loro posizione, non mi piace.
C'e' altro da dire? No.

E chiudo cosi' questa esplorazione - a base di colpi di machete, punture di zanzare e accampamenti sotto la luna blu - tra le poesie di Marco Vettori. Non so se buana tornare. Forse solo importante che buana andare, credo.


Nel frattempo, mentre nelle folte e selvagge e inesplorate foreste del Continente Nero (parabonzibonzibo') il buana di turno si avventurava tra mille pericoli e insidie, nel cosiddetto mondo civile (che mondo forse, ma civile avrei i miei dubbi) la vita continuava coi soliti ritmi. E in quel vagone della metro che e' IAS (con tanto di spraydisegni sia fuori che dentro) saliva Silvana, con diverse proposte, e tale Brigante, che (se non sbaglio) scendeva quasi immediatamente, quasi si fosse ricordato di ben altre e piu' importanti commissioni da compiere.
O forse aveva solo sbagliato direzione, chissa'.


Fatti fottere ragazza - di Silvana

Questo pezzo di Silvana e' molto piaciuto ai lettori.
Si e' guadagnato una nutrita serie di elogi e un bel pezzo recensorio di Giulia, che ha afferrato al volo l'occasione e ci ha offerto un saggio delle sue capacita' dattiloscrittrici, esponendo un interessantissimo, illuminato e illuminante concetto di poesia.
E questo vada quindi a merito di Silvana e dei suoi versi.
Per quanto mi riguarda, mi permetto di dissentire lievemente dal pressoche' unanime coro di consensi, solo perche', a mio pesonalissimo avviso, la poesia mi sembra divisa in due parti, di cui la prima direi che e' assolutamente perfetta. Rabbia, amarezza, cinismo, (auto)ironia, disincanto, rassegnazione e accettazione/rifiuto di un ruolo che, in questo pianeta, la donna sembra dover sostenere, sono espressi in maniera emozionante e...giusta. Niente da aggiungere, niente da levare. E parole taglienti come rasoi.
Ma, proprio per questo, la seconda parte mi sembra un po piu' deboluccia, non dico proprio ridondante, ma quasi. E troppo didascalica e moraleggiante, almeno se raffrontata alla potenza evocativa dei primi versi.
Io avrei, forse e personalmente, chiuso la poesia qualche verso prima.

Ma sono un uomo, e ci sono volte in cui e' meglio in cui gli uomini, per decenza, tacciano. E ascoltino.


Salivo scendevo - di Brigante

Insomma.
Insomma si', insomma no.
Insomma mi dice qualcosa,
insomma mi lascia perplesso.
Insomma mi piace la parte centrale,
Insomma par brutta la parte finale.
Insomma ricorda Rodari la parte iniziale,
Insomma, incomplesso, e' quello che e'.
Insomma.


Ciao a tutti, laredolettori.
Vi saluto e vi ringrazio
sono amico di Pancrazio.

- Filo


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