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[improvvisazione] le stelle del jazz - di Marco Vettori
'Du-da-du-dad
Duemila enigmi nel jazz
ah, non si capisce il motivo'.
(Paolo Conte, Sotto le stelle del jazz)
Prego notare la 'curiosa' similitudine tra i due titoli, nonche' l'andamento
sicuramente swing di questa poesia (deep-du du da daa compreso).
Se non era proprio il disco di Conte a girare in sottofondo (o a risuonare
nella memoria dell'autore) durante la composizione del testo, sicuramente
contrabbasso e pianoforte in contrappunti jazzistici aleggiavano potenti
nella stanza e sulla scrivania del poeta.
Personalmente opto per Conte, che troppo evidente pare l'ispirazione,
la scelta delle parole, la loro consequenzialita', il ritmo sincopato,
le immagini proposte.
In un solo termine, il 'suono' di questa poesia.
Non e' perfetta (l'ultimo verso non mi sembra granche') ma e' una di
quelle che preferisco (sara' Conte?) e possiede un grande colore.
Sproloquio - di Marco Vettori
Rumore di battaglia, di scontri campali, grida, urla, fughe e corpi
impazziti, come galline decapitate che starnazzano ancora per pochi
metri sull'aia, prima di rendersi conto - con grande sorpresa - che
sarebbe forse il caso di chiudere li' la faccenda-vita.
La testa di uno scrittore.
La poesia e' molto bella nella sua prima parte, veloce e potente,
diretta e arrembante.
Meno bella, molto meno, nella seconda, dove prende il soppravvento
una sorta di grido di rabbia represso, un po' troppo trito e
moralisticheggiante per avere la stessa efficiacia dei primi versi.
Ancora una volta, l'ultimo verso mi lascia perplesso e non mi sembra
all'altezza.
Locomotiva rossa - di Marco Vettori
In questo testo, invece, il genio sta proprio nelle ultimissime
righe, in quel 'vuoto' ripetuto, spaziato, allargato, espanso,
che, oltre a riempire la pagina, ne cambia la prospettiva e rende
palese (anche ai piu' refrattari allo stile del nostro) come
una sola parola, unita e manipolata negli spazi, riesca
a rendere visivo, nitido e preciso un altrettanto semplice
(si fa per dire) concetto.
Insomma, un esempio concreto di bella poesia, e, nello stesso tempo,
un fulgido risultato di una ricerca stilistica e estetica che
Marco Vettori sembra porre sullo stesso piano dei suoi contenuti.
Francia - di Marco Vettori
La poesia in se' non mi sembra particolarmente riuscita, ma la debolezza della prima parte viene riscattata da un bel finale, dove - a differenza della precedente, dove era un gioco di spazi a dettare legge - e' la pausa tra il primo 'nessuno' e il secondo a rendere 'visivo' il silenzio che cala, ed a alimentare la tristezza.
Signor marinaio - di Marco Vettori
Gia' commentata (sic!) a suo tempo nel newsgroup, col lapidario accenno
al 'signor tenente' di falettiana memoria, questa poesia non e' male
nella sua apparente normalita' (niente spazi e pause, stavolta) e
mi sembra piu' che dignitosa.
Solita perplessita' sul verso finale, che mi sembra stoneggi un poco
con la cadenza del resto.
Blob - di Marco Vettori
Insomma, cosi' cosa'.
Le quattro righe finali, che dovrebbero (forse) dare tono e morale ai versi,
o comunque spiegarli o giustificarli, mi sembra al contrario indeboliscano
ulteriormente un pezzo che molto 'muscoloso' e forte non mi pare riesca
ad essere in nessun momento.
Canto di un'aquila sola in cima alla tempesta - di Marco Vettori
Tranquillo e limpido esempio di una poesia che mi e' piaciuta ma di cui
non saprei spiegare perche'. Mi piace e basta. Non bastera' a voi come
spiegazione, forse, ma a me si'.
Questo passa il convento, e, come il vento, passa.
Dove osano le aquile - di Marco Vettori
E questa, invece, gli e' brutta anzicheno'.
Non mi piace punto. E virgola.
Non mi piace il ritmo, non mi piacciono le immagini, non mi piace
la scelta e l'utilizzo delle parole, non mi piace la loro
posizione, non mi piace.
C'e' altro da dire? No.
E chiudo cosi' questa esplorazione - a base di colpi di machete, punture di zanzare e accampamenti sotto la luna blu - tra le poesie di Marco Vettori. Non so se buana tornare. Forse solo importante che buana andare, credo.
Questo pezzo di Silvana e' molto piaciuto ai lettori.
Si e' guadagnato una nutrita serie di elogi e un bel pezzo recensorio
di Giulia, che ha afferrato al volo l'occasione e ci ha offerto
un saggio delle sue capacita' dattiloscrittrici, esponendo un
interessantissimo, illuminato e illuminante concetto di poesia.
E questo vada quindi a merito di Silvana e dei suoi versi.
Per quanto mi riguarda, mi permetto di dissentire lievemente dal
pressoche' unanime coro di consensi, solo perche', a mio
pesonalissimo avviso, la poesia mi sembra divisa in due
parti, di cui la prima direi che e' assolutamente perfetta.
Rabbia, amarezza, cinismo, (auto)ironia, disincanto, rassegnazione e
accettazione/rifiuto di un ruolo che, in questo pianeta, la donna
sembra dover sostenere, sono espressi in maniera emozionante e...giusta.
Niente da aggiungere, niente da levare. E parole taglienti come
rasoi.
Ma, proprio per questo, la seconda parte mi sembra un po piu'
deboluccia, non dico proprio ridondante, ma quasi.
E troppo didascalica e moraleggiante, almeno se raffrontata alla
potenza evocativa dei primi versi.
Io avrei, forse e personalmente, chiuso la poesia qualche verso
prima.
Ma sono un uomo, e ci sono volte in cui e' meglio in cui gli uomini, per decenza, tacciano. E ascoltino.
Insomma.
Insomma si', insomma no.
Insomma mi dice qualcosa,
insomma mi lascia perplesso.
Insomma mi piace la parte centrale,
Insomma par brutta la parte finale.
Insomma ricorda Rodari la parte iniziale,
Insomma, incomplesso, e' quello che e'.
Insomma.
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