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![]() La Redazione dell'Opificio |
Per gli autori: lo spirito con cui ho scritto questi commenti e' stato quello di frenare il mio ego. Leggendo le poesie mi sono sforzata di metterne in luce, di volta in volta, quegli aspetti positivi o negativi che potrebbero servirci a migliorare. L'ufficio reclami e' aperto 24 ore su 24.
Le poesie che la dea bendata mi ha destinato sono:
Amavo - di Demitri
Ultimatum alla coscienza - di Remo
La bianca coscienza - di Albert
Parole - di El Condor Blanco
Silenzio - di Andrea Fedeli
Docili ancelle - di ??? (un'amica di Index)
A Gismoe in un giorno particolare - di Albert
Il campiere dei versi - di Standard
Ghigliottina - di Zireux
Vorrei ricordarti - di Standard
Lacrime d'acqua - di Nikola (IV tanka)
Liquide rose - di Nikola (V tanka)
Rassegnazione e preghiera - di Serial
Sarebbero bastati i primi versi per farne una bella poesia. La prima parte
e' dura ed essenziale. Le metafore scelte sono appropriate, perche'
appartengono tutte al mondo degli agenti esterni. Forse "ghiaccio", al posto
di "ghiacci", avrebbe alleggerito la lettura. Molto giusta anche la
posizione del quinto verso "ti ho amato e continuero' a farlo", che e' come
una fonte di luce, un punto di riferimento, messo tra l'indifferenza del
verso precedente, e la tempesta di quello successivo. Questa prima parte
della poesia, presa da sola, e' "gia'" una poesia, compiuta.
La seconda parte invece, a mio avviso, e' totalmente ridondante, e non fa
che appesantire e sminuire la prima meta'. Sia per il linguaggio, che
improvvisamente rompe le metafore e diventa piano, debole, discorsivo, sia
per la scelta di versi cosi' lunghi, che ne fanno piu' un pezzo di prosa che
di poesia. Se poi Demitri l'abbia fatto intenzionalmente, se abbia scelto di
dividere in due momenti la rappresentazione del suo dolore, uno denso ed
evocativo, l'altro piatto e "prosaico", come il futuro che vede davanti a
se', chi puo' dirlo?
Ho qualche difficolta' a commentare questa poesia. Qualcosa si intravede e
qualcosa mi sfugge. Mi sembra che voglia descrivere i soprassalti della
coscienza, quegli sprazzi che a volte ci sorprendono e ci infastidiscono.
Pero' riesco a capirlo soltanto da un certo punto in poi: la parte che
comincia con "Misticherie si alternano", e finisce con "Musica! Te ne prego"
e' sicuramente quella piu' riuscita, perche' davvero sembra di attraversare
un dormiveglia. L'immagine della coscienza (lo deduco dal titolo, altrimenti
non ci sarei arrivata), dunque la coscienza come crampo che ti sveglia, e ti
fa saltare nel letto, e' molto molto bella, mentre le altre, per esempio
quella del natale, dell'emicrania, o della pioggia, mi sembrano un po' piu'
deboli. Se la pioggia e' il risveglio della coscienza, allora anche l'idea
della pioggia/musica liberatoria e' piuttosto azzeccata.
I versi finali, il medico, le bretelle, non mi piacciono. Sono come una
caduta improvvisa di stile. Comunque Remo ha avuto il bel merito di farmi
passare qualche ora a rileggere Eliot.
Diro' subito che questa e' una grande poesia, tanto per fugare ogni dubbio.
E' difficile mantenere l'intenzione, la tensione, la bellezza delle
immagini, i suoni giusti, in una poesia lunga; il rischio di sbagliare e'
maggiore. Invece "La bianca coscienza" e' un cerchio che si chiude, semina
dei significati qua e la' e non li abbandona, li fa germogliare e li
raccoglie.
Bellissimo il primo verso, i suoni trasmettono la calma del lago, e al tempo
stesso l'atmosfera sospesa, inquieta, la calma del lago (sara' la nostra
coscienza, il lago? mi piace pensarlo) e' solo apparente. Prima apparizione
dei bambini, e primo aggettivo per la "donna", che e' "felice". Si resta un
po' interdetti leggendo la prima strofa, chi sara' questa donna? ci si
chiede, perche' grida?
La seconda strofa propone subito il secondo tema, che corre parallelo, cioe'
quello della vendemmia, e anche qui non sappiamo ancora bene cosa ha voluto
dire Albert. Ci sono di nuovo i bambini, cui e' destinato il frutto della
vendemmia, e poi ancora la "donna", "felice e serena", sempre con lo stesso
atteggiamento, come la superficie di un lago. Quindi il primo collegamento,
la stessa azione, il grido, qualcuno che viene sacrificato. La terza strofa
dipana sempre piu' i significati, ormai quasi del tutto espliciti. La quarta
strofa e' un flash, il domani sara' "felice" come e' "felice" la bianca
coscienza, felice e terribile al tempo stesso. Nell'ultima strofa io rivedo
quei bambini, ora non piu' tali, che raccolgono i frutti di cio' che "la
bianca coscienza" ha seminato: "un mondo perfetto", perfetto come era il
lago del primo verso. Forse gli ultimi cinque versi potrebbero anche non
esserci, un po' perche' l'immagine della farfalla e totalmente nuova, e
inserirla nell'ultimo verso disorienta, e anche perche' e' molto meglio
scoprire il significato leggendo e rileggendo le strofe precedenti,
piuttosto che averlo li', pronto, nel finale.
Bravo Albert. Hai saputo dosare le tracce, gli indizi, le riprese e le
spiegazioni. E questo e' il modo di scrivere poesie che io preferisco.
Piu' che una poesia, questo mi sembra un esercizio stilistico. L'ho trovato un po' troppo meccanico per potersi definire poesia. Troppo distanti tra loro le definizioni delle "parole", e niente che le amalgami, nessun senso globale. Come dire, soltanto... "parole".
Interessante, questa poesia. La scrittura comanda sulla lettura. Impossibile leggere velocemente i primi versi. La spaziatura costringe la voce a seguire il ritmo del significato. E quindi ad accelerare, verso la fine. Forse ci sono troppi significati: il silenzio, il battito, le insegne luminose, la luce, il buio. Sono tutte immagini molto belle e appropriate, ma nella brevita' qualcosa si perde. Al posto di "dissolta in una lunga ombra", io leggerei meglio "dissolta nelle ombre lunghe", perche' i suoni cosi', appunto, allungherebbero un po' il verso. Forse io avrei anche concluso qui, senza gli ultimi tre versi, e togliendo il rigo di spazio dopo "e l'esistenza stessa finisce".
Ricorre anche in questa poesia il tema delle parole (e del resto e' logico,
ne subiamo o no il fascino?) o meglio della comunicazione.
Si tratta, secondo me, di uno dei primi approcci alla poesia, ma mi posso
sbagliare, naturalmente. Mi sembra una poesia acerba, ma anche molto
promettente. Chi l'ha scritta vorrebbe domarle, queste parole, ma non ci
riesce ancora bene. Mi e' piaciuta l'immagine delle parole come ancelle.
Temo pero' che spesso siamo noi gli schiavi delle parole, ed e' la stessa
sensazione che l'autrice ha avuto all'inizio della poesia.
Non credo si possa avere la meglio tramite intercessione. Bisogna usarle, e
usarle, e usarle...
Difficile commentare una storia, una situazione reale, con dei riferimenti
precisi. Difficile commentare i ricordi di un'altra persona.
Il meccanismo della memoria si mette in moto guardando le foglie autunnali.
Alla fine del secondo verso trovo che i puntini sospensivi siano un po'
troppo esplicativi perche' "telefonano" il passaggio dal presente al
passato. Poi c'e' la cronaca di un incontro, forse di un amore. Ma tutto e'
raccontato con toni troppo realistici, a mio avviso, troppo banali. La parte
riuscita della poesia e' la strofa che comincia con "il tuo sguardo
nell'anima", perche' abbandona il piano reale e si sposta su quello
metaforico. Sono versi molto belli perche' il presente e il passato si
incastrano, e in fondo e' cosi' nella realta', non possiamo spingere il
bottone e scegliere la destinazione temporale, ma siamo sempre tutto quanto
insieme. La penultima strofa sa un po' troppo di canzone, e' un'immagine
gia' vista e gia' sentita. Il finale e' un ritorno al presente e uno
slittamento verso il futuro.
Nel complesso non mi sembra molto coinvolgente, e questo e' un problema
legato alla storia personale. Cio' che all'autore sembra bellissimo, perche'
suscitato dai ricordi, agli altri non dice granche'. Per questo bisognerebbe
sempre cercare di allontanarsi dal "personale", o per lo meno provare ad
elaborarlo.
Trovo invece molto interessante, da sviluppare insomma, l'idea. Cimentarsi
con i passaggi temporali puo' essere davvero un bell'esercizio di stile.
Ho pensato subito due cose nel leggere "Il campiere dei versi": primo, qui
ci vuole un dizionario; secondo, questa e' una poesia "elegante". Per quanto
riguarda il dizionario, ecco i risultati della mia ricerca (naturalmente vi
chiedo scusa se gia' li conoscete).
Campiere: in Sicilia, guardia privata di un possedimento agricolo.
Crenobio: di organismo adattatosi a vivere nelle sorgenti.
Seguidilla: danza popolare spagnola, con ritmo piu' o meno vivace,
accompagnata dal suono di nacchere.
(A proposito, non per essere pignola, ma il plurale di seguidilla e'
seguidillas, a meno che non sia stata italianizzata; comunque io propenderei
per il plurale originale, che in questo caso suonerebbe meglio).
Dunque, tornando al commento, vorrei far notare l'eccezionalita' di questa
poesia, nel senso piu' vero della parola "eccezionale". Mi sembra piuttosto
fuori dalla norma, infatti, l'uso di parole insolite e la ricerca di termini
accurati. Quando non diventa puro esibizionismo (ed esibizionismo non e' nel
caso di questa poesia) mi pare giusto sforzarsi di andare oltre il parlato
quotidiano; in fondo se ci piace giocare con le parole dovremmo avere anche
voglia di scoprirne ogni giorno almeno una nuova. Insomma, mi piace proprio
la ricerca di parole precise, di fronte all'appiattimento del linguaggio.
Detto questo, mi sforzo di "leggere" questa bella poesia, che mi
incuriosisce e mi stimola parecchio. Mi sembra di cogliere che il senso
profondo di questi versi e' una sorta di denuncia, o lamentela, nei
confronti di chi scrive poesia senza una certa... chiamiamola
"sensibilita'". Non so se ho preso fischi per fiaschi, ma a me e' sembrato
cosi'. Il campiere e' chi coglie solo la superficie delle cose, e non si
addentra a cercarne i significati piu' profondi. Mi pare anche che questa
superficialita' venga fatta coincidere col presente, anzi meglio con la
modernita' (il rock e la coca), mentre il passato dovrebbe garantire uno
sguardo piu' acuto sulle cose. Sono in disaccordo con questa visione un po'
tagliata con l'accetta, e con il dover "compiangere" qualcuno, ma resta il
fatto che le poesia e' molto bella. Le prime due strofe in particolare
creano l'atmosfera dei campi, con suoni e odori molto ben rappresentati. La
parte successiva, invece, e' un po' troppo esplicita, secondo me.
Un'ultima annotazione: ad esclusione del verso "non odora il timo e la
lavanda", che e', come dire, fuori tempo, tutti i versi di questa poesia
hanno un ritmo fantastico. Provate a leggerla ad alta voce: e' liquida,
scorre via senza sbavature, e in questo sta tutta la sua eleganza.
Poesia breve, come breve e' lo smarrimento che puo' cogliere di fronte all'universo, e alla nostra piccolezza in esso. Molto bella, anche se poteva essere limata ancora un po'. "Vedo l'atmosfera" e' un verso un po' stentato, tirato, e anche gli ultimi due versi sono, a mio avviso, troppo discorsivi. La parte iniziale e' invece ben riuscita, perche' esprime sia con i suoni sia con le immagini qualcosa sia diversamente e' molto difficile da spiegare.
Senza troppi giri di parole, diro' subito che questa secondo me non e' una poesia, ma solo un'idea da cui potrebbe nascere una poesia. Se si eliminassero i vari "a capo" potrebbe essere un pezzo di prosa. E' detto tutto troppo chiaramente, e con troppe ripetizioni. Puo' essere interessante l'idea, ma non basta. Lo sforzo della poesia dovrebbe essere quello di nascondere e allontanare, e qui vedo tutto esposto alla luce del sole.
[Tanka: nome della poesia classica giapponese di 31 sillabe, riportate in cinque versi secondo lo schema 5,7,5,7,7.]
Liquide rose - di Nikola (V tanka)
E chi mai poteva dirmi che un giorno avrei commentato un tanka? La vita
riserva sempre molte sorprese. Intanto direi grazie a Nikola che ci ha fatto
conoscere una nuova forma espressiva. Mi risulta pero' difficile
commentarle, perche', appunto, appartengono a un'altra cultura; a me, piu'
che poesie, sembrano dei pensieri, quindi, come ho detto, posso coglierne
solo l'aspetto formale.
Mi sembra che in entrambi i casi Nikola si riferisca a cio' che e'
inespresso, cio' che rimane dentro a fare male, che siano lacrime o parole.
Nella prima ho molto apprezzato la scelta dell'aggettivo "azzurre", che da
solo riesce a dare un'impronta particolare a tutto il tanka. Il secondo
tanka mi e' sembrato un po' piu' banale, forse anche per l'uso continuo
della rima, che personalmente non amo molto.
Riprendo il discorso fatto in precedenza a proposito del "Campiere dei
versi", per ribaltarlo. Ecco, questa e' una poesia in cui non riesco a
spiegarmi l'uso di un linguaggio e di costruzioni sintattiche decisamente
lontani nel tempo. Sono disorientata di fronte a "eppur, ancor, ardore, ah",
e questo inevitabilmente influenza la mia lettura. Non sono in grado di dare
un'interpretazione di questi versi, e nemmeno il titolo mi viene in
soccorso. L'attacco e' molto bello, ti prende subito, ma c'e' solo quello: i
versi successivi si perdono in un suono che fa eco da tutte le parti.
Davvero, e me ne dispiace, ma non l'ho capita.