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Una
tinta matinata del settembre 1866, i
nobili, i bene-
stanti, i borgisi, i commercianti all'ingrosso
e al minuto, i si-
gnori tanto di coppola quanto di cappello,
le guarnigioni e i
loro comandanti, gli impiegati di
uffici, sottuffici e ufficiuz-
zi governativi che dopo l'Unitā avevano invaso la Sicialia pejo
che le cavallette, vennero arrisbigliati di
colpo e malamente
da uno spaventoso tirribėlio di vociate,
sparatine, rumorate
di carri, nitriti di vestie, passi di corsa, invocazioni di aiuto.
Tre o quattromila
viddrani, contadini delle campagne
vicino a Palermo, armati e comandati
per gran parte da ex
capisquadra dell' impresa garibaldina,
stavano assalendo
la cittā. In un vėdiri e svėdiri,
Palermo capitolō, quasi sen-
za resistenza: ai viddrani si era
aggiunto il popolino, sca-
tenando una rivolta che sulle
prime parse addirittura in-
domabile.
Non tutti perō
a Palermo furono pigliati di
sorpresa.
Tutta la notte erano restati in
piedi e vigilanti quelli che
aspettavano che capitasse quello che
doveva capitare: i
parrini nelle sagrestie, i monaci e i
frati nei conventi, alcu-
ni nobili nostalgici e reazionari
nei loro ricchi palazzi di
cittā. Erano stati loro a scetenare quella
rivolta che defini-
vano "repubblicana", ma che i
siciliani, con l'ironia con la |