La prima pagina de "Il ladro di merendine"
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S 'arrisbigliò malamente: i linzòla, nel sudatizzo del sonno agitato per via
del chilo e mezzo di sarde a beccafico che la sera avanti si era sbafàto, gli si erano
strettamente arravugliate torno torno il corpo, gli parse d'essere addiventato una mummia.
Si susì, andò in cucina, raprì il frigorifero, si scolò mezza bottiglia d'acqua
aggilàta. Mentre beveva, taliò fòra dalla finestra spalancata. La luce dell'alba
prometteva giornata bona, il mare una tavola, il cielo chiaro senza nuvole. Montalbano,
soggetto com'era al tempo che faceva, si sentì rassicurato circa l'umore che avrebbe
avuto nelle ore a venire. Era ancora troppo presto, si ricurcò, si predispose ad altre
due ore di dormitina tirandosi il linzòlo sopra la testa. Pensò, come sempre faceva
prima d'addormentarsi, a Livia nel suo letto di Boccadasse, Genova: era una prisenza
propiziatrice a ogni viaggio, lungo o breve che fosse, in «the country sleep », come
faceva una poesia di Dylan Thomas che gli era piaciuta assà. Il viaggio era appena principiato che venne subito interrotto dallo squillo del telefono. Gli parse che quel suono gli trasisse, come una virrìna, dentro un orecchio per nèsciri dall'altro, trapanandogli il cervello. «Pronto! ». «Con chi è che io sto parlando?». «Dimmi prima chi sei». |